“DIO E’ AMORE” 1Gv 4,8

Fare una catechesi sull’amore di Dio è un compito tanto arduo quanto può essere, invece, semplice. Per vedere l’amore di Dio in tutta la storia della salvezza bisognerebbe iniziare dalla genesi e finire all’Apocalisse, e non basta perché la storia della salvezza e dell’amore di Dio continua ancora nel tempo e si svolge nella Chiesa di oggi e in ogni istante del mondo.

Dall’altro lato può, invece, essere facile perché dell’amore di Dio se ne può parlare in ogni modo: dalla semplicità dei bambini, dalla bellezza del creato, da un semplice gesto di carità o da una buon’azione; oppure dalla semplice affermazione sintetica di San Giovanni evangelista “Dio è Amore”, espressione che è il più alto attributo che si può dare a Dio e dove non c’è niente da togliere o da aggiungere. Iniziamo, però, con ordine.

Parlare dell’amore di Dio, può essere qualcosa che ci esalta e ci manda in estasi o ci mette in crisi e ci prostra. L’Amore di Dio per l’uomo è sicuro, non è altrettanto sicuro quello dell’uomo per Dio. Allora iniziamo a parlare dell’amore di Dio per l’uomo che è certo, anche se primo o poi la Parola di Dio ci porta ad affrontare decisamente l’altro aspetto e non in modo secondario.

Intanto prima di parlare dell’amore di Dio dobbiamo individuare dove abita quest’amore o dove ha la sua sede, poi per sapere che cos’è quest’amore (l’attività e l’azione di Dio) lo dice San Giovanni evangelista nella sua prima lettera apostolica.

Prima che l’amore di Dio sia un amore ad extra, cioè verso fuori, è un amore ad intra, cioè all’interno del DioTrino, la sede propria dell’amore è la Trinità: l’amore è la relazione di mutuo scambio tra  Dio Padre e Dio Figlio e tra Dio Figlio e Dio Padre, relazione di amore che è una persona Dio Spirito Santo. Quindi l’amore ha sempre un carattere comunitario e comunionale e per sua natura è attività, effusione, dinamismo, creazione. E’ proprio nella creazione che l’amore di Dio diventa ad extra, soprattutto nella creazione dell’uomo: <<Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza…>> (Gn 1,26).

Quest’amore ad extra è un amore discendente: Dio liberamente e amorevolmente decide, all’interno della trinità, di creare l’uomo, e l’uomo da quel momento porta dentro di se, più di ogni altra opera creata, l’immagine dell’amore trinitario di Dio, tanto che l’autore della Genesi nota la distinzione tra le opere buone create da Dio e l’uomo che è cosa molto buona (Gn 1,31).

L’amore di Dio dopo aver creato l’uomo, liberamente e incondizionatamente, lo accompagna lungo tutta la sua vita, perché dopo la caduta, l’uomo ha perso di vista il fine ultimo della sua stessa esistenza: quello d’amare e di dare gloria a Dio (Is 43,7), di ricambiare l’amore trinitario di Dio con la stessa libertà e amore con cui era stato creato.

Prima della caduta, l’uomo poteva amare direttamente e liberamente Dio, cioè in modo ascendente (utilizzando sempre la mediazione della seconda persona della SS. Trinità, cioè del Figlio), dopo la caduta, invece, il peccato di origine ha creato una solidarietà sociale e comunitaria nel peccato, perciò per ritornare all’amore ascendente di Dio bisogna ristabilire l’ordine e l’armonia primigenia, ricreando la comunione con il creato e con l’uomo stesso. Questo ritorno all’amore di Dio non può non passare dall’amore fraterno (in Cristo Gesù), dimensione comunitaria dell’amore di Dio.

Per parlare dell’amore di Dio, allora, è necessario parlare dell’amore fraterno, con tutte le sue implicazioni e necessità che ben esprime la prima lettera di San Giovanni apostolo ai cc. 4 e 5; noi seguiremo il seguente schema:

1)     L’amore di Dio nell’A. T.

2)     Il comando dell’amore nell’A. T.

3)     L’amore di Dio per l’uomo arriva fino alla donazione dell’unigenito Figlio.

4)     Il nuovo comandamento dell’amore nel N. T.

5)     L’amore fraterno.

1. L’AMORE DI DIO NELL’A. T.

Benché nella creazione di Gn cc.1-3, l’amore di Dio è espresso attraverso la bontà con cui Adamo ed Eva sono oggetto da parte di Dio: la benedizione per la moltiplicazione di Gn 1,28, l’uomo che era cosa molto buona Gn 1,31, Dio che colloca l’uomo nel giardino dell’Eden Gn 2,8.15, Dio che passeggiava nel Giardino Gn 3,8.

Dio inizia il dialogo d’amore con Adamo per la via indiretta del comandamento Gn 2,16: <<Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”>>. Adamo ha voluto prendere da se ciò che Dio gli aveva destinato come dono ed ha peccato. Dio però non lo abbandona e il mistero della bontà creazionale di Dio diventa misericordia verso l’uomo peccatore: <<Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe, questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno>> (Gn 3,15), l’autore sacro annunziando un’ostilità tra la razza del serpente e quella della donna, oppone l’uomo al diavolo e alla sua razza, ma lascia intravedere la vittoria finale dell’uomo; è già un primo barlume di salvezza; progressivamente si ristabiliranno i legami d’amore che uniscono Dio all’uomo.

Dio è sempre colui che fa il primo passo e inizia un nuovo rapporto d’amore sotto forma di amicizia, chiamando Abramo, scelto tra i pagani (Gs 24,2-3), a diventare suo amico (Is 41,8; Gc 2,23) e confidente dei suoi segreti (Gn 18,17; Am 3,7). Questo perché Egli ha risposto alle esigenze dell’amore divino, lasciando prima la sua patria d’origine (Gn 12,1) e poi accogliendo la richiesta di Dio nell’essere pronto a sacrificare l’unico figlio che amava (Gn 22.2).

Mosè è chiamato ad essere testimone dell’amore misericordioso di Dio: <<…Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione…>> (Es 34,6-7).

Tutto il popolo è oggetto dell’amore di Dio perché ha amato i loro patriarchi e per mezzo di loro li ha scelti ed eletti: <<…il Signore predilesse soltanto i tuoi padri, li amò e, dopo loro, ha scelto fra tutti i popoli la loro discendenza, cioè voi…>> (Dt 10,13). Il Deuteronomio sottolinea come Dio si è legato liberamente al popolo e gratuitamente lo ama: <<Il signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli…, ma perché vi ama e perché ha voluto mantenere il suo giuramento fatto ai vostri padri…>> e <<…mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni, con coloro che l’amano e osservano i suoi comandamenti>> (Dt 7-9; 4,37; Gn 12,2ss). Quest’amore e fedeltà, Dio lo assicura per sempre: <<poiché buono è il Signore, eterna la sua misericordia, la sua fedeltà per ogni generazione>> (Sl 100,5). Geremia rimarca ancora di più l’amore misericordioso di Dio: <<Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà (amore)…>> (Ger 31,3). L’amore di Dio non è un’attività passiva, ma attiva: ciò che ama Dio trasforma <<Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida gioia>> (Sof 3,17). Su questa stessa linea di grande considerazione dell’uomo da parte di Dio è anche Isaia: <<…tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo…>> (Is 43,4). L’amore di Dio trova alta espressione nell’immagine di un padre che prende per mano il proprio bambino, gli insegna a camminare e lo solleva alla sua guancia: <<Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato…ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano…Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia…>> (Os 11,1.3-4). L’amore di Dio trova espressione piena non solo nell’immagine paterna, ma ancor più in quella materna: <<Una madre si può dimenticare del frutto del proprio grembo, anche se una madre si dimenticasse del proprio figlio, io non ti dimenticherò mai>>.

2. IL COMANDAMENTO DELL’AMORE NELL’A. T.

I profeti sono testimoni dell’amore di Dio, che non è ricambiato da parte degli uomini, ma l’amore è più forte del peccato e Osea, nello stesso capitolo 11, contrappone all’immagine amorosa del padre, quella dei figli disubbidienti: <<…più li chiamavo e più si allontanavano da me…essi non compresero che avevo cura di loro…chiamati a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo>> (Os 11,2-3.7). Dio, però, non abbandona il suo atteggiamento amorevole e misericordioso: <<Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele?… Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira… perché sono Dio e non uomo…>> (Os 11,8-9). Anche Geremia ricorda quest’amore profondo (dalle viscere) di Dio per il suo popolo impersonato da una delle dodici tribù di Israele: <<Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti, dopo averlo minacciato me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza. Oracolo del Signore>> (Ger 31,20).

Dio conosce la debolezza dell’uomo e non solo lo perdona, ma gli crea un cuore nuovo capace di amarlo: <<vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi>> (Ez 36,26-27; 18,19).

A questa promessa del cuore nuovo e dello spirito nuovo corrisponde, però, il comando dell’amore di Deuteronomio: <<Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze>> (Dt 6,5). Questo comando include anche il timore di Dio, l’obbligo del suo servizio e l’osservanza delle sue leggi. Così il libro del Deuteronomio vi insiste continuamente: <<Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non che tu tema il signore tuo Dio, che tu cammini per tutte le sue vie, che tu l’ami e serva il signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, che tu osservi i comandi del signore e le sue leggi, che oggi ti dò per il tuo bene?>> (Dt 10,12-13). Ancora: <<Ama dunque il Signore tuo Dio e osserva le sue prescrizioni: le sue leggi, le sue norme e i suoi comandi>> (Dt 11,1). Affinché il popolo possa osservare questo comando dell’amore, Dio stesso purificherà e circonciderà il cuore di Israele per renderlo capace di amare: <<Il Signore tuo Dio circonciderà il tuo cuore e il cuore della tua discendenza, perché tu ami il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima e viva>> (Dt 30,6). Questo comando di amare Dio non è qualcosa di impossibile o difficile da raggiungere, perché Dio non comanda niente che sia al di sopra delle possibilità umane, anzi chiede che l’uomo viva da uomo e che ami con quel cuore che Dio gli ha dato. Infatti, il Deuteronomio continua: <<Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo… Non è al di là del mare… Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica>> (Dt 30,11-14).

Dopo la prova dell’esilio in Babilonia, Israele scopre sempre di più che la vita con Dio è un dialogo di amore; dialogo che raggiunge le forme più poetiche e anche le espressioni più alte dell’amore nel Cantico dei Cantici: qui è la figlia di Sion che si presenta come una sposa che parla a Dio suo sposo, dove l’amore diventa presenza, comunione, fedeltà e né la morte né inferi possono distruggere, né le grandi acque spegnere il fuoco dell’amore o i fiumi travolgerlo. Così, è da biasimare chi pensa che l’amore si possa acquistare con le ricchezze: <<Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore… Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio>> (Ct 8,6-7).

Dopo l’esilio inoltre, ci si rende conto che Dio si rivolge al cuore di ciascuno: non ama soltanto la collettività (Dt 4,7) o i suoi capi (1 Sam 12,24s), ma ogni uomo, soprattutto il giusto: <<…il Signore ama i giusti>> (Sl 146,8), perché egli è giusto: <<Giusto è il Signore, ama le cose giuste; gli uomini retti vedranno il suo volto>> (Sl 11,7). Nell’A. T. a poco a poco si va delineandosi l’idea che oltre al pio israelita, l’amore di Dio si estende anche ai pagani, cosa poco comprensibile alle aspettative del profeta Giona: <<… perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato>> (Gn 4,2). Ancor di più l’amore di Dio si estende a tutte le creature: <<Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata… perché son tue, Signore, amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose>> (Sap 11,24-25; 12,1).

3. L’AMORE DI DIO PER L’UOMO ARRIVA FINO ALLA DONAZIONE DELL’UNIGENITO FIGLIO.

L’amore di Dio raggiunge la pienezza con un evento unico nel tempo e nella storia, tanto unico che è stato preparato dall’eternità: il dialogo e talvolta il dramma d’amore tra Dio e l’uomo, che vi era stato nell’A. T., Dio lo risolve definitivamente nell’incarnazione dell’unigenito Figlio Gesù Cristo. In Lui ristabilisce in modo unico e totale l’unione tra Dio e l’uomo, facendosì che l’uomo diventi come Dio, anzi lo stesso figlio di Dio. Ciò che Adamo voleva fare da se stesso, diventare come Dio sotto suggerimento del tentatore, ma senza passare attraverso la mediazione del Figlio, “l’eicon”, l’immagine di Dio, ora è possibile in Cristo Gesù Uomo-Dio.

L’incarnazione del figlio è un atto libero del Padre che lo compie ricordando la propria misericordia, il suo amore, e le promesse fatte ai padri nell’A. T.: <<Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre>> (Lc 1, 54-55). Così, anche la Lettera agli Ebrei afferma l’unicità di quest’evento singolare: <<Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola…>> (Eb 1,1-3). Nel Figlio, il Padre, riversa tutto il suo amore: <<Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa>> (Gv 3,35). Il motivo dell’amore del Padre è l’obbedienza del Figlio ai suoi comandi e alla sua volontà: <<Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita… nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso… Questo comando ho ricevuto dal Padre mio>> (Gv 10,17-18).

L’amore del Padre, allora, si esprime in un modo insuperabile e il dono d’amore fatto da Dio è completamente gratuito: <<Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.>> (Rm 5,8). Quest’amore va al di là di ogni aspettativa umana, fino alle estreme conseguenze acconsentendo alla morte del Figlio, affinché noi avessimo la vita: <<Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?>> (Rm8,32).  Nel sacrificio del figlio il Padre dimostra l’amore libero e spontaneo per l’uomo e per la sua salvezza, iniziando ad amare per primo e senza condizioni, dandone l’esempio e mostrando in che cosa consiste l’amore: <<In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati>> (1 Gv 4,8-10).

In Cristo Dio si fa conoscere (Gv 1,18) e manifesta il suo amore assoluto e totale, cosicché, come dice la lettera ai Romani: <<… né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in cristo Gesù, nostro Signore>> (Rm 8,38-39).

Questo grande amore di Dio si manifesta proprio nell’aver chiamato l’uomo ad essere figlio di Dio: <<Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!>> (1 Gv 3,1). Questo grande amore Dio lo riversa nell’uomo per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato nel Figlio Gesù: quello che Dio aveva annunziato in Ezechiele nell’A. T., il cuore nuovo e lo spirito nuovo, ora Dio lo compie: <<… l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato>> (Rm 5,5). Ora l’uomo può amare Dio di vero cuore, non ha giustificazione, perché Dio lo ha reso capace di amare riversando il suo amore e donando la capacità di contenere quest’amore: lo Spirito Santo.

 

4. IL NUOVO COMANDAMENTO DELL’AMORE NEL N. T.

Il dialogo e il dramma dell’amore iniziato da Dio, si svolge ora nella persona del Figlio con la sua stessa esistenza. Gesù è la rivelazione e l’incarnazione stessa dell’amore, in lui il dialogo dell’uomo con Dio trova compimento e Dio viene a vivere in piena umanità il suo amore. Nella persona di Gesù l’uomo ama Dio e n’è amato, di quest’amore, il Figlio ne fa modello anche per l’uomo: <<Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore…>> (Gv 15,9-10). Questo amore domanda la reciprocità e Gesù riprende e riafferma il comandamento dell’amore del Deuteronomio, facendo dell’amore di Dio il primo comandamento e dell’amore del prossimo, simile al primo, il secondo: <<Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti>> (Mt 22,37-40). A questo comando vi si obbedisce attraverso Gesù: amandolo, si ama il Padre (come anche amando i fratelli si ama il Padre): <<Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui>> (Gv 14,21). Prima condizione per amare il Padre è accogliere i comandamenti del Figlio, così avverrà ciò che il Padre ama, anche il Figlio ama.

Perciò in tutto il Vangelo si opera una divisione tra coloro che accettano e coloro che rifiutano quest’amore, di fronte al quale non si può rimanere neutrali, a Cafarnao molti si sono scandalizzati e ritirati dalla sequela: <<Molti suoi discepoli, dopo aver ascoltato dissero: “questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” Gesù conoscendo dentro di sé… disse: Questo vi scandalizza?… E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono… Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui>> (Gv 6,59-66). Il non accogliere il Figlio, la parola e l’amore di Dio, non è cosa indifferente e senza conseguenze: <<Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio>> (Gv 3,16-18). Ancora San Giovanni continua: <<Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno>> (Gv 12,48), e <<… se, infatti, non credete che io sono, morirete nei vostri peccati>> (Gv 8,24).

Sulla croce l’amore rivela in modo decisivo la sua intensità ed il suo dramma. Bisognava che Gesù soffrisse (Lc 9,22), perché fossero pienamente rivelati la sua obbedienza al Padre (Fil 2,8) ed il suo amore verso i suoi: <<Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici>> (Gv 15,13). Nel suo sacrificio Gesù rimette tutto nelle mani di Dio: <<…Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito. Detto questo spirò>> (Lc 23,46) e si dona a tutti gli uomini senza eccezione: <<Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti>> (Mc 10,45). Così nell’ultima cena, Gesù, dopo aver desiderato ardentemente questo momento, dimostra il suo amore pieno e totale  per gli apostoli prima nel servizio, con la lavanda dei piedi, dopo nel farsi cibo per la salvezza tutti: <<… Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo lì amò sino alla fine>> (Gv 13,1.4-5) e mentre cenavano disse: <<… Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. Poi prese il calice… Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati>> (Mt 16,26-28).

Per mezzo della croce Dio è pienamente glorificato: <<Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare>> (Gv 17,4) e con la sua ubbidienza, a sua volta, Dio glorifica il Figlio: <<E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse>> (Gv 17,5). In Gesù l’umanità intera merita di essere amata da Dio. In Gesù l’uomo e Dio sono congiunti nell’unità, e la gloria che il Padre ha dato al Figlio, passa anche nell’uomo secondo la preghiera di Gesù stesso: <<Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola… E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me,perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me… io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro>> (Gv 17,20-26).

Tuttavia bisogna che l’uomo accetti liberamente un amore così totale ed esigente, e sia disposto a sacrificarsi sull’esempio di Gesù Cristo, anche l’uomo diventi dono ed eucaristia per i fratelli: <<per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati (separati, immolati) nella verita>> (Gv 17,19). Come Cristo è passato per lo scandalo della croce, anche l’uomo deve passare per lo scandalo dell’amore che arriva fino ad amare e perdonare i propri nemici: <<Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori… Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?… Siate voi dunque perfetti com’è il Padre vostro celeste>> (Mt 6,43-48).

Questo grande amore di Dio si manifesta proprio nell’aver chiamato l’uomo ad essere figlio di Dio: <<Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!>> (1 Gv 3,1). Questo grande amore Dio lo riversa nell’uomo per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato nel Figlio Gesù: quello che Dio aveva annunziato in Ezechiele nell’A. T. (Ez 36,25ss) il cuore nuovo e lo spirito nuovo, ora Dio lo compie: <<… l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato>> (Rm 5,5). Ora l’uomo può amare Dio di vero cuore, non ha giustificazione, perché Dio lo ha reso capace di amare riversando il suo amore e donando la capacità di contenere quest’amore: lo Spirito Santo. Grazie allo Spirito l’uomo si può rivolgere a Dio con il dolce nome di “abbà”, papa: <<… voi… avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”>> (Rm 8,15) e se non siamo ancora convinti: <<Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio>> (Rm 8,16).

Con il dono dello Spirito Santo, l’uomo, allora è capace di accogliere il comando nuovo dell’amore che Gesù ha dato, prima di morire, come un testamento (come fa una persona cara prima di lasciare i suoi): <<Questo è il mio comandamento: che vi amate gli uni gli altri, come io ho amato voi… Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri>> (Gv 15,12.17). Mentre prima, allo scriba che l’aveva interrogato, Gesù aveva dato come secondo comandamento, l’amare il prossimo come se stessi (Mt 22,35.37), ora Gesù porta a perfezione quest’amore: amare il prossimo e i nemici come Gesù stesso ha amato. Gesù è il nuovo termine di confronto e di paragone, un amore senza limiti e confini; un amore libero, senza condizioni o restrizioni; un amore che si fa dono, sacrificio ed eucaristia, cibo per gli altri. In altri termini “amare” significa prolungare l’azione divina.

5. L’AMORE FRATERNO

Da un capo all’altro del N. T., l’amore del prossimo appare indissociabile dall’amore di Dio, e la prima lettera di San Giovanni apostolo, è tutta intessuta su questo binomio e un riprendere e approfondire i comandi del Signore: <<… chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato>> (1 Gv 2,5-6). Il comandamento dell’amore dice San Giovanni è antico, tuttavia è nuovo nei contenuti: <<Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto fin da principio. Il comandamento antico è la parola che avete udito. E tuttavia è un comandamento nuovo… Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione d’inciampo. Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va…>> (1 Gv 2,7-11). Questa è la novità che rende nuovo il comandamento antico: chi ama è nella luce, chi odia è nelle tenebre. San Giovanni fa un’altra distinzione tra i figli di Dio e i figli del diavolo, e la distinzione è riferita alla giustizia e all’amore fraterno: <<Da questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chi non pratica la giustizia non è da Dio, né lo è chi non ama il suo fratello. Poiché questo è il messaggio che avete ricevuto fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri>> (1 Gv 3,10-11). San Giovanni non si ferma a queste semplici conclusioni, come l’amore per i fratelli porta alla vita, così il non amarli conduce alla morte, anzi ci fa degli omicidi: <<Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna.>> (1 Gv 3,14-15).

San Giovanni, poi, fa un’altra analogia che sconvolge la logica umana, e se l’amore del Cristo si conosce perché lui ha dato la vita per noi, logica vuole che anche noi diamo la vita per Cristo per dimostrargli il nostro amore. Invece la conclusione di San Giovanni è diversa: noi amiamo Cristo se diamo la vita per i fratelli: <<Da questo abbiamo conosciuto l’amore: E gli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli>> (1 Gv 3,16). Così se un fratello è in necessità e un altro fratello ch’è nelle condizioni di aiutarlo gli chiude il cuore, come fa quel fratello a dire che ama Dio: <<… se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?>> (1 Gv 3,17). A questo interrogativo, a cui pochi possono rispondere, San Giovanni fa una esortazione paterna: <<Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità>> (1 Gv 3,18) e Giovanni non si stanca mai di ripetere: <<Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del suo Figlio e ci amiamo gli uni glia altri>> (1 Gv 3,23). San Giovanni non stacca mai l’amore a Dio o a Cristo o l’osservanza dei loro comandamenti senza l’amore per i fratelli.  Questo continuo ritornello che risuona sempre nel cervello e nello spirito ci fa capire che è di primaria importanza e nuovo comando l’amore per i fratelli. Senza di questo, come dirà San Paolo nella prima lettera ai Corinzi cap.13, siamo campane stonate e né la scienza e le virtù ci gioverebbero a niente. Mentre quello di San Paolo è l’inno alla carità, all’amore, per concludere, ritorniamo alla fonte della carità di San Giovanni Apostolo, dove si raggiungono le vette più alte, dove l’uomo si trova messo a nudo nel suo essere e dove si trova anche la nostra salvezza o la nostra dannazione eterna: <<Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore>> (1 Gv 4,7-8). Dio rende partecipi del suo amore, così chi ama nasce da Dio, e in Lui trova la fonte dell’amore e la vita stessa, la nascita. Ora se siamo nati da Dio e abbiamo in noi la capacità di amare, anche noi dobbiamo amare Dio e, secondo la logica di San Giovanni, “nei fratelli”: <<Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri>> (1 Gv 4,11). L’amore per i fratelli ci fa vedere Dio, ce lo fa conoscere, rende perfetto l’amore di Dio in noi e realizza la mutua inabitazione: <<Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi… Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è Amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio in lui. Per questo l’amore ha raggiunto in noi la sua perfezione… Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: “Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello>> (1 Gv 4,12-13.16-17.19). Questa perfezione dell’amore di Dio in noi fa sì che anche noi, a sua volta, amiamo Dio. Quest’amore però non è diretto, in modo ascendente, verso Dio, ma ha una dimensione orizzontale: l’amore a Dio si dimostra dall’amore per i fratelli; non si può dire di amare Dio se non si ama ciò che egli ha fatto: l’uomo, la creazione e il figlio Stesso.