La
preghiera nello Spirito
Parliamo,
infatti, d'esperienza di preghiera nella quale si gusta la presenza del Signore.
La
parola “esperienza” ha vari
significati, sia nel vocabolario profano sia in quello religioso. Può
designare, l’esperienza scientifica o filosofica e, in religione, quella
spirituale cristiana e in altri casi l’esperienza mistica.
L’esperienza
di cui parleremo oggi, non è né il mistico eccezionale né il carismatico
straordinario, ma il cristiano normale che si sforza di vivere
pienamente la sua fede.
Sarebbe interessante
studiare in San Paolo i differenti gradi dell’esperienza del credente:
1.
vi si troverebbero gli spirituali principianti che sono come fanciulli
nella fede, chiamati a crescere a diventare adulti.
2.
Vi sono anche gli spirituali adulti che Paolo chiama “perfetti”,
cristiani
normali, fedeli alle grazie che hanno ricevuto.
Nella
lettera ai Romani si tratta appunto di questi cristiani.
Paolo spiega attraverso
la lettera il suo vivo desiderio di venire a contatto personale con la comunità
di Roma, la cui fama è ovunque nota. Di ciò ringrazia Dio per mezzo di Gesù
Cristo: l’esistenza di una comunità di credenti va salutata ed esaltata come
un miracolo della bontà di Dio! Tutta l’attività apostolica di San Paolo,
non è stata solo la preghiera, ma anche l’annuncio del vangelo, come un
rendimento di culto a Dio.
E'
possibile allora che gli spirituali possono diventare carnali e i carnali
possono diventare spirituali.
(mi
meraviglio che cosi in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di
Cristo passiate ad un altro vangelo. In realtà non ce n’è un altro; solo che
vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo.
Quest’ammonizione
prende il posto del ringraziamento, abituale delle lettere paoline. Per i
cristiani della Galazia, contrariamente al suo solito, Paolo non fa alcun
elogio. Tutta la lettera ha un tono severo e polemico.
Al
terzo capitolo li chiama “insensati,”
“stolti” che dopo aver sperimentato lo Spirito e la sua efficacia
carismatica, San Paolo li invita a saper leggere nella loro esperienza di fede e
non a contraddirla. Fu loro “rappresentato
al vivo Gesù Cristo crocifisso”: su
di Lui dovrebbero fissare lo sguardo, che ha fatto nascere in loro la fede e li
ha introdotti nella sfera dello Spirito, e non la legge, che non fa che rendere
manifesta la povertà dell’uomo la carne dell’umana esistenza, chiusa in se
stessa, nella propria avidità nella morte.
Lo spirito e la carne
non potranno mai diventare amici, compagni di viaggio.
Infine,
San Paolo fa allusione ad un’esperienza di tipo del tutto eccezionale: (fui
rapito, dice, al terzo cielo). Nell’esperienza cristiana e soprattutto
nella preghiera, vi è prima un elemento di conoscenza, di lucidità e
d'adesione intellettuale.
L’uomo deve prendere
coscienza di sé davanti alla verità di Dio, e del suo essere. Per questo vi è
una contemplazione obiettiva di Dio, quale si rileva nella Bibbia.
Dio
non esiste solamente perché l’ho incontrato, ma anche perché si è rivelato
obiettivamente ad un popolo, a dei testimoni, e nel Figlio Gesù Cristo,
attraverso avvenimenti precisi della storia. Per questo la vera esperienza di
Dio deve essere autentica, lungo tutta la nostra vita quotidiana e, le relazioni
fraterne; è il solo criterio di verifica, ben più sicuro delle emozioni
provate nella preghiera.
1.
C’è mai avvenuto di amare un fratello senza interesse, per la sola
gioia di promuoverlo come uomo libero?
2.
Siamo capaci di perdonare a qualcuno che ci ha ferito, senza aspettare in
cambio nient’altro che di compiere in segreto la volontà del Padre?
3.
Compiamo coscienziosamente i nostri doveri quotidiani con il solo
desiderio di donare al Padre la sostanza stessa del nostro essere nell’amore,
nascosti ad ogni sguardo?
4.
C’è mai avvenuto di consacrare un’ora di libertà a pregare il Padre
ascoltando la sua Parola nel segreto della nostra stanza?
Non
si tratta di agire per pura volontà, ma di provare la gioia e la felicità del
dono gratuito della nostra persona. Penso, che a questo livello facciamo
un’autentica esperienza dell’amore di Dio e della grazia.
Molto
spesso e dopo anni di preghiera, di adorazione a Dio, vissuti nella fedeltà e
avvolte nell’aridità che si manifesta la presenza e l’azione dello Spirito
Santo in noi. Newman diceva:
“Noi
non discerniamo la presenza di Dio nel
momento in cui e in noi, ma dopo. Quanto volgiamo lo sguardo in dietro verso
ciò che è passato è finito.
Il
tempo è dunque un fattore di primaria importanza nella preghiera e nella vita
spirituale. D'un tratto scopriamo che Gesù ci ha visitati, che è realmente per
noi una persona cara, un amico, non potremo dire esattamente in quale momento
sia avvenuto quest’incontro, ma abbiamo l’evidenza che vi è stato un
avvenimento spirituale. Questo lo fa notare S. Bernardo, che dice:
Non
possiamo presentire nel nostro cuore l’entrata di Cristo o la sua uscita, ma
lo sperimentiamo nello scorrere dei giorni con il rinnovamento del nostro
essere e il progresso spirituale della nostra vita.
E
come Giacobbe potremmo dire: “Dio era
presente e non lo sapevo”.
Nella preghiera noi
siamo soprattutto attirati dal moto d'amore di Dio che viene a salvarci in Gesù
Cristo. Adorare non è per noi solo un dovere che deriva dalla nostra condizione
di creatura: esso e la forma più elevata della nostra vita d'essere figli di
Dio. Adorando Dio, noi proclamiamo la sua santità, il Dio tre volte santo come
la visione de l profeta Isaia (cap. 6).
“
Adorare Dio, è abbassare gli occhi davanti alla sua gloria”. “quanto Mosè
senti la voce di Dio, nel roveto ardente, si velò il viso, perché aveva
paura di guardare verso Dio” (Es. 3,6).
Solo
Cristo rende una lode di adorazione perfetta al Padre: Chiediamo allo Spirito
Santo che rigenera in noi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, la
preghiera incessante che lo
faceva tendere al Padre. Dio è adorabile perchè è Amore che ci fa partecipare
alla sua vita trinitaria. La preghiera di Gesù è un tema caro a Luca che in
molti capitoli del Vangelo ci parla proprio della preghiera di Gesù. “quando
tutto il popolo fu battezzato e mendre Gesù, ricevuto lui il battesimo, stava
in preghiera, il cielo si apri e scese su di lui lo Spirito Santo…”
(Lc.3,21-22);
(In
quel giorno Gesù se n’andò alla montagna a pregare passò la notte a
pregare. (Lc.6,12);
(Un
giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare….(Lc,9,18);
“Un
giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei
discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare… ed egli disse loro:
quando pregate, dite: Padre nostro che sei nei cieli….(Lc,11,1 SS).
Questa
è la preghiera per eccellenza di cui le parole sono uscite dalla bocca di Gesù
e che noi cristiani recitiamo con disinvoltura, ma che i primi cristiani
recitavano con grande trepidazione per l’ineguagliabile privilegio di essere
figli di Dio. Una preghiera che noi – purtroppo – utilizziamo con una
superficialità ed una fretta indescrivibile, più preoccupati della quantità
che della qualità di questa preghiera.
Un
po’ come fra Masseo dei fioretti, il quale, trovandosi con San Francesco sul
Monte della Verna, lo sfidò, una sera, ad una gara singolare: chi dei due
sarebbe stato capace di recitare più Padre nostro durante la notte. Li
avrebbero contati con dei sassolini.
All’indomani,
dopo l’Ora Terza, quando cessava il silenzio della Fraternità, fra Masseo,
con le mani colme di sassolini si recò da san Francesco, apostrofandolo con una
frase di vittoria: Ecco i “Padre nostro”
che ho recitato in questa notte. Mostrami i tuoi! Al che Francesco, con un senso
d'ammirazione disse al compagno: “Beato te! Io non sono riuscito a finire un
solo “Padre nostro”. Mi sono
fermato sulla prima parola per l’intera notte!”.
In
effetti, Francesco aveva trascorso l’intera notte contemplando, tra sospiri
d'amore e slanci d'estasi, “il Padre
che è nei cieli”. E nella preghiera che assistiamo ad un’invasione
dello Spirito che trasforma i cuori e arriva persino a restituire la salute agli
infermi. Non vi è zona del nostro essere che non subisca l’influenza di
questa vita nello Spirito; il nostro stesso inconscio e raggiunto dall’acqua
viva che irriga fino nel più profondo del nostro essere. Allora ricordiamoci
sempre della potenza dello Spirito: Egli è l’autore della prima creazione
come della seconda a Pentecoste.
La preghiera nello
Spirito non è altro che un’estasi d'amore. Non è una preghiera fredda fatta
di formule scritte, ad un Dio lontano, dove avvolte si teme di mostrarsi a Lui.
Spesso quando ci
scopriamo peccatori e miserevoli, la nostra preghiera subisce un rallentamento,
mendre dovrebbe farsi più intensa. Lasciando i nostri vizzi dietro alla porta
offrendogli un volto di gesso e un essere di pezza, mendre nei formulari che
leggiamo mentiamo dicendo: “Signore ti amo con tutto il cuore ”; “Ti offro
la mia vita”; Infondo,
sappiamo che non è vero preferiamo che Dio ci lascia in pace, dato che amiamo
poco la sua volontà, ma vogliamo solo ricevere delle grazie con “se mi
dai…..io ti do…..”volendo barattare il suo tutto col nostro niente.
Se invece invochiamo
lo Spirito Santo di venire in nostro aiuto Egli ci
presenta a Dio quale siamo, peccatori, bisognosi della sua misericordia,
filtra il nostro cuore nel nome di Gesù, ci lava col sangue di Cristo, ricrea
in noi una vita nuova, toglie il cuore di pietra e ci da un cuore di carne, un
cuore nuovo, guarisce il nostro spirito ammalato venendo Lui in noi, ci porta
alla ricerca della sua Parola, Pane Vivo per un nutrimento spirituale ci toglie
dalla cecità spirituale e cosi che poi riusciremo a vedere tutto in maniera
nuova.
Nella
preghiera, occorre avere una strada sicura, e questa strada sicura parte dal
nostro cuore, dal nostro amore per Gesù, perché è il nostro cuore l’unica
zolla di terra nella quale possiamo scegliere consapevolmente la regalità di
Cristo, dobbiamo fare in modo che il nostro amore per Gesù cresca e si
sviluppi, ma questo avverrà solo nella misura in cui prenderemo coscienza del
suo amore per noi.
Non potremo imboccare
la strada sicura dell’amore per il nostro Re, se non cammineremo sulla via
dell’amore del Cristo che è Amore primo ricevuto e poi donato. Bisogna aprire
la porta del nostro cuore a Dio che vuole entrare:
ecco stò alla porta e busso se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta
io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap.3-20).
Un invito dolcissimo,
che viene posto a ciascuno di noi, è una chiamata che deve risuonare chiara e
dare la possibilità di rispondere al momento giusto. Aprire il cuore invitare
Gesù. L’accettazione di Gesù nel cuore, è come una comunione spirituale,
nella quale si aprono coscienziosamente le porte della vita e di tutto il nostro
essere a Gesù risuscitato, affinché Egli possa entrare e rimanere per sempre
nel cuore.
L’evangelista
Giovanni ci ricorda che alcuni discepoli, quando furono chiamati da Gesù
incominciarono a stare con Lui. E’ dal dialogo con Lui (la preghiera), che il
nostro cuore si converte e si apre ad accogliere il dono dello Spirito.
Solamente stando in
silenzio con Lui, sotto la croce, s’impara a perdonare ed amare, mettendoci
all’ascolto della sua parola perché la parola di Dio va ascoltata con il
cuore: il seme caduto sulla terra buona sono coloro che dopo aver ascoltato la
parola con cuore buono e perfetto, lo custodiscano e producono frutto con la
perseveranza (Lc 8-15).la parola ha bisogno di tutta l’energia, il calore,
l’intensità del nostro cuore, che è una realtà che può bruciare senza
consumarsi come il cespuglio di Mosè (Es.3), ascoltare con il cuore significa
lasciare operare la parola che fa nascere in noi un nuovo essere dopo aver
distrutto il vecchio.
Se ascoltiamo con il
cuore diamo vita a tutto il nostro essere e lo manifestiamo, secondo le parole
di Luca “Non c’è nulla di nascosto
che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere
conosciuto e venire in piena luce (Lc 8-17).