La gestualità nell'incontro di preghiera
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Strettamente parlando, si può riferire il termine "linguaggio", in maniera appropriata e corretta, solo a quello verbale, ma in realtà si parla ormai di linguaggio per tutti i sistemi di segni, sia che ci si riferisca ad un linguaggio visivo, ad un linguaggio sonoro o ad un linguaggio del movimento, che fa riferimento ad una gestualità comunicativa, che consiste nel linguaggio dei gesti di fine utilitaristico (come il linguaggio dei sordomuti e altri sistemi di comunicazione non verbale affini). Nella comunicazione, molto spesso l'abito fa il monaco, intendendo con abito il complesso delle manifestazioni esteriori che caratterizza la nostra maniera di esprimerci. Risulta infatti che circa il 70-80% dell'informazione che raggiunge la corteccia cerebrale, giunge dagli occhi, contro il 10-15% che proviene dall'udito. Siamo dunque prima "visti" che ascoltati. Nel Rinnovamento nello Spirito si può notare come il corpo abbia un ruolo molto rilevante nella preghiera: in piedi, - alzare le braccia, - in ginocchio, - seduti, - battere le mani, - imporre le mani, - danzare…Sono le gestualità costanti che caratterizzano lo stesso movimento. Lo scopo di questa riflessione, è quello di riuscire a far prendere coscienza, ai partecipanti alle riunioni di preghiera, ciò che significa lodare Dio con tutto il proprio corpo, che è la descrizione più arricchente per narrare nella nostra carne e nella storia l’amore per il Signore. L’uomo, spirito _ anima _ corpo, è creato, elevato, redento, risorto, in attesa dell’eredità futura. Da quando Cristo si è fatto uomo, la corporeità, in maniera tutta sua, è coinvolta nella vita divina. Non è del tutto esatto dire che l’uomo ha un corpo; è più preciso dire: l’uomo è anche il suo corpo, perché il corpo non è un involucro, ma una parte essenziale. Gregorio Nazianzeno era come abitato da questo mistero che l’univa a un corpo, e diceva: “ Gli voglio bene come a un amico di prigionia. Lo rispetto come un coerede, tutti e due eredi di luce e di fuoco. Compagno di sofferenza che debbo alleviare, l’amo come un fratello, per rispetto verso Chi ci ha uniti”. E ancora: “Vorrei riuscire a farti amare il corpo e provare la gioia di essere nel corpo. Proprio quel corpo che ti è affidato quale inseparabile compagno del tuo cammino, senza il quale non puoi essere ciò che sei." A sua volta, Bernardo di Chiaravalle lo definisce “ nostra Eva”, compagna fedele destinata alla gloria, e dice: “A questa gloria la preparo con cura piena d’affetto. L’amo, e con lei amo Dio”. Il corpo, allora, nell’esperienza evangelica si manifesta quale soggetto e provvidenziale via della gioia salvifica. Nessun battezzato può avere in odio la propria carne.
La posizione eretta La posizione eretta in piedi è assunta normalmente sia ambito liturgico che nella preghiera personale. È l’atteggiamento classico dell’orante: in piedi, ben diritto, le braccia aperte e le mani rivolte verso il cielo. La posizione eretta del corpo era ed è l’atteggiamento consueto del popolo di Dio. Durante il servizio religioso, ed in genere anche davanti ad una persona autorevole. Anche gli ebrei pregavano nel tempio e nelle sinagoghe, come durante la lettura della Thorah, eretti alzando le mani. Anche i cristiani memori dell’insegnamento di Cristo trasportarono lo stesso gesto simbolico ma imprimendovi un nuovo significato: il sentimento dell’uomo liberato dal peccato reso da Gesù, figlio del Padre celeste, può alzare fiduciosamente gli occhi e le braccia verso Dio. La posizione in piedi esprime in un certo qual modo la risurrezione:
Quando nella celebrazione dei misteri si è in piedi, si vuol far memoria dell’evento pasquale di Gesù Cristo il figlio del Dio vivente.
Con le braccia alzate Un altro gesto che viene messo in evidenza nei gruppi del RnS è quello di alzare le mani verso il cielo. Nella sacra scrittura abbiamo moltissimi esempi in cui si pregava con le braccia elevate, leggiamo nel libro di Neemia:
E ancora nei salmi leggiamo:
Nel libro dell’Esodo, il combattimento contro Amelek:
I santi padri amavano paragonare questo atteggiamento di Mosè, con quello di Gesù sulla croce. Teturliano diceva: se metti un uomo con le braccia aperte, ottieni la figura della croce. L’uomo nel pregare, alza gli occhi ed eleva le mani verso il cielo, con la fiducia di rivolgersi non più ad un Dio lontano, ma ad un Padre. Lo stesso Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare, come ci testimoniano i Vangeli, sicuramente avrà insegnato loro anche ad alzare le braccia verso il cielo, invocando Dio Padre. Quando pregate dite così: Padre nostro che sei nei cieli…(Lc 11,1-5). Elevare le mani verso il cielo significa voler offrire il mondo, e voler offrire tutto il nostro essere al Signore che da la vita.
In ginocchio Altra posizione del corpo che viene spesso usata nella liturgia, posizione ritenuta alquanto importante, e quella di mettersi in ginocchio. Mettersi in ginocchio è fondamentale per esprimere: penitenza, riconoscimento del proprio peccato; adorazione, sottomissione e dipendenza; preghiera raccolta e intensa. Nella Sacra Scrittura questo atteggiamento si trova quando una persona o un gruppo vuole pregare o manifestare la propria supplica, adorare o esprimere il proprio pentimento:
Dio lo esige in virtù del suo dominio supremo su tutta la creazione:
Perciò inginocchiarsi significa adorazione di Dio di Gesù come Signore nella Sua onnicomprensiva maestà (cf. Fl 2,10). (la parola inginocchiarsi né NT ricorre 59 volte).
Seduti Un altro atteggiamento che nel RnS durante la preghiera è molto frequente è quello di stare seduti. Il sedersi ha il vantaggio di favorire il relax e dà la possibilità di essere più attenti alla parola di Dio. Sedersi per ascoltare è un segno che esprime fiducia nei confronti dell’altro che parla. Questo atteggiamento è quindi, particolarmente consigliato per l’ascolto:
Gesù stesso, da bambino:
Stare seduti è un’ottima posizione per la meditazione ed il raccoglimento. Inoltre, anche nello stare seduti si possono assumere varie posizioni, come avere le mani aperte sulle ginocchia, in segno d’accoglienza del Dono che il Padre vuole dare ai suoi figli in Cristo, Figlio prediletto (cfr Mt 3,17b) o altre posizioni ispirate dal proprio cuore.
Il bacio santo (il saluto di pace) Un gesto molto importante nella liturgia è quello del bacio di pace fraterno. S. Paolo è il primo che parla di questo segno, fino allora estraneo al culto: segno di saluto, di spiritualità e di fraternità. Nel Nuovo Testamento quando si parla di bacio, troviamo sempre accanto ad esso l’aggettivo “santo”:
Ma qual è il significato del gesto di pace? Ne abbiamo molti: È la pace di Cristo:
E’ il saluto e il dono del Signore, che si comunica ai suoi nell’Eucaristia. Non una pace puramente psicologica o umana, ma un dono di Cristo. È un dono dello Spirito:
L’imposizione delle mani Un segno che nel “Rinnovamento nello Spirito” si manifesta è quello dell’imposizione delle mani. Questo è il gesto che crea più difficoltà, appunto per il suo valore polivalente. Per la maggior parte dei cristiani, l’unico gesto compatibile con la preghiera è il segno della croce. Invece il gesto d'imporre le mani risale all'Antico Testamento dove viene menzionato fin dai primi libri. Si tratta di un gesto che significa, allo stesso tempo, benedizione e intercessione. Toccando la persona, si chiede al Signore di far scendere su di lei la sua grazia, la sua benedizione e, allo stesso tempo, si prega, s’intercede affinché il Signore agisca. Perché le braccia e le mani rappresentano un legame di forza e di potenza all'interno del Corpo: Quale mano potente Mosè aveva messa in opera agli occhi di Israele! Attraverso questo gesto, si vuole comunicare, in un certo senso, la forza del Signore. Si tratta anche di un gesto istintivo di protezione, di sostegno, di tenerezza. Si stende il braccio per proteggere un bambino, un amico dal pericolo; si posa la mano sulla testa o sul braccio di un bambino, di un amico, per consolare, calmare e mostrare il proprio amore che non si è soli. Ecco perché Dio si serve di questo gesto, alle volte addirittura istintivo di imporre le mani, per manifestarsi, esprime la sua tenerezza, la sua protezione, la sua grazia e la sua volontà di guarirci. Esaminiamo ora alcuni esempi d'imposizione delle mani nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, intendendo il gesto, prima di tutto, come segno di benedizione. Dalla Genesi:
Per il popolo di Israele, i gesti di benedizione sono efficaci in se stessi. In questo caso, il gesto d’imposizione significa anche presentazione al Signore libro dei Numeri:
Jahvè disse a Mosè:
Ricordiamo ora alcuni gesti di Gesù e degli apostoli:
Si può veramente dire che l'imposizione delle mani sia un gesto che si fonda sulla tradizione biblica. In altri passi biblici, imporre le mani su di una persona significava invocare e trasmettere su di lei il dono dello Spirito Santo, per una determinata missione, servizio…
Nel Rinnovamento nello Spirito questo gesto si usa in casi analoghi: quando si prega per le guarigioni, quando si da un ministero, e, soprattutto durante la preghiera di effusione. Oggi, nella Chiesa, e considerata un sacramentale, vale a dire, che i suoi effetti dipendono dalla volontà di Dio e dalle disposizioni interiori di coloro che la ricevono. Non dimentichiamo mai che è in nome di Gesù, e non in nome nostro, che imponiamo le mani, "in nome mio" dice Gesù (cfr. Mc 16,17). Come serva o servo del Signore, più diminuirò io più Lui crescerà in me. Prendere coscienza che da solo, io non sono niente, ma con il Signore, unito a Gesù, tutto è possibile. "Se tu credi, vedrai la gloria di Dio ". Convincendomi d’essere "servo" e strumento, capirò anche che, tutta la mia ricchezza viene da Cristo. E' preferibile, ordinariamente, che l'imposizione delle mani sia fatta da una équipe di persone (almeno3). Perché? Perché significa vivere nella Chiesa, vivere come membra del Corpo di Cristo come ci dice San Paolo (cfr. 1 Cor 12). Vi è una diversità di doni, ma lo stesso è lo Spirito; diversità di ministeri; ma lo stesso è lo Spirito; diversi sono i modi di agire, ma un unico Dio che realizza tutto in tutti. Ciascuno riceve il dono di manifestare lo Spirito per il bene di tutti.Lo Spirito dona un messaggio di sapienza a uno e di scienza all'altro; ad un altro, lo stesso Spirito, dona fede, ad un altro ancora, l'unico e stesso Spirito, concede i doni di guarigione. E' volontà di Dio che vi sia complementarità dei carismi affinché possiamo sentire il bisogno gli uni degli altri e ciascuno abbia il suo posto unico e, insieme, nel complesso, possiamo riunire la ricchezza immensa di Cristo. Quando si tratta di pregare su una persona sarà opportuno domandare i motivi per i quali è richiesta la preghiera dei fratelli, ma con discrezione e misura: se non è bene voler sapere troppo non è nemmeno bene tirare poi a indovinare. Prima di pregare su qualcuno, comunque, chiunque sia, a meno che non se ne abbia un buona conoscenza, sarà sempre utilissimo, ovviamente, domandare al Signore di coprirci con il suo Sangue prezioso, di proteggerci attraverso il suo Nome e di rivestirci della sua Armatura. E' meglio che questa preghiera sia fatta interiormente avendo sempre a mente il brano di Efesini 6,10-17.
Battere le mani Un altro segno che viene molto criticato dai sapienti di questo mondo è quello del battere le mani durante la liturgia eucaristica, la preghiera comunitaria…il battere le mani scaturisce da una gioia interiore. La gioia, la sua volontà, l’epifania di un incontro. Sappiamo bene che quando si va a vedere uno spettacolo, alla fine, spontaneamente, i presenti dimostrano il loro consenso battendo le mani. Vediamo quanta euforia nei giovani per un incontro con il loro “divo”, quante battute di mani per un cantante, un calciatore, che fa un goal, un compleanno ecc. insomma l’uomo d’oggi quando deve manifestare la propria gioia, il proprio compiacimento, applaude! Noi del Rinnovamento nel battere le mani vogliamo esteriorizzare tutto l’amore, la gioia dell’incontro con il Signore. Il RnS vuole essere testimone della gioia. Anche nella scrittura troviamo molti riferimenti a questo gesto. Nel libro dei salmi leggiamo:
In un altro salmo:
I pagani ci chiedono:
Oggi il cristiano è chiamato ad una grande responsabilità, è chiamato ad essere “ testimone della gioia”. Come dice il Salmo 47,2:
La danza Presso tutti i popoli antichi la danza è nata naturalmente dal bisogno di esprimere esteriormente alcuni sentimenti dell’anima; quando questi sentimenti raggiungono un alto grado d’intensità, il corpo entra in movimento come per mettersi all’unisono con vibrazioni dell’anima. La danza è stata sempre un mezzo fondamentale per manifestare la gioia d’essere popolo di Dio, e di lodarlo con tutto il corpo. Ricordiamo benissimo l’episodio del passaggio del Mar Rosso. Dopo che ebbero attraversato le acque, Miriam intonò il canto della vittoria:
Subito dopo Maria e le altre donne danzarono in onore del Signore:
Nella sacra Scrittura abbiamo molte testimonianze sulla danza nei riti liturgici. Canti accompagnati da danze. Subito ci viene in mente il grande “cantore di Dio”, il re Davide che in tal modo, rende lode al Signore: “Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore” (1Cr 15,29)
Non solo Davide esprimeva con la danza la lode al Signore, ma tutto il popolo esultava di gioia davanti all’arca. Infatti quando Davide e tutto il popolo si recarono a prelevare l’arca a Baal, in Kiriat- Iearìm:
Questo aspetto festoso di rapportarsi a Dio, si trova anche nei salmi. Si legge in molti salmi, qui ne elenco alcuni:
Gaetano Lo Iacono |