L’itinerario che vogliamo percorrere in questa riflessione è quello che, in
fondo, caratterizza tutta la nostra vita di fede. Essa nasce dall’incontro
salvifico con Gesù, che ci “guarisce” dalle nostre infermità spirituali, e
in particolare dalla cecità, e si sviluppa nell’impegno a far conoscere ad
altri quanto noi abbiamo sperimentato. Emblematico è, in questo senso, il
prologo della 1^ lettera di S. Giovanni, che dovrebbe costituire un vero
programma di vita per ciascuno di noi:
“Ciò che era fin da principio,
ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi,
ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato,
ossia il Verbo della vita, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo
annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”
(1 Gv 1, 1.3).
Noi annunciamo agli altri quanto
abbiamo veduto, udito, toccato. Annunciamo un Cristo vivo, vero, reale, non
una teoria, un principio astratto, una semplice verità dottrinale, un
sistema filosofico. L’annuncio cristiano non è l’insegnamento di
un’ideologia, ma la comunicazione vitale di un Dio tri-personale, che si è
reso visibile nella Persona del Figlio unigenito. In Lui contempliamo la
Bellezza della comunione trinitaria, la Bellezza che salva, per dirla con
Dostoevskij, la Bellezza “tanto antica e tanto nuova”, per dirla con S.
Agostino, il quale è rimasto “folgorato” da questa Bellezza e così ha
descritto il suo incontro con essa: “Tardi Ti amai, o bellezza tanto
antica e così nuova, tardi io Ti amai. Ed ecco che Tu eri dentro ed io fuori
e lì Ti cercavo, gettandomi, brutto, su queste cose belle fatte da Te. Tu
eri con me, ma io non ero con Te: mi tenevano lontano le creature, che, se
non fossero in Te, non sarebbero. Tu mi hai chiamato, hai gridato, hai vinta
la mia sordità. Tu hai balenato, hai sfolgorato, hai dissipata la mia
cecità. Tu hai sparso il tuo profumo, io l'ho respirato e ora anelo a Te. Ti
ho gustato e ora ho fame e sete. Mi hai toccato e ardo dal desiderio della
tua pace”.
L’incontro con Gesù è
sempre salvifico, perché ci guarisce in tutte le dimensioni del nostro
essere, come possiamo desumere dalle meravigliose parole di S. Agostino. Il
Signore guarisce la nostra sordità, che spesso ci rende incapaci di
ascoltare l’unica Parola che veramente salva e ci fa essere poco disponibili
ad ascoltare anche le parole dei fratelli che ci stanno accanto,
specialmente le parole che invocano aiuto e sostegno. Di conseguenza,
essendo sordi, spesso siamo anche muti, ossia non siamo capaci di dire
parole autentiche agli altri, perché non coltiviamo le nostre parole nel
silenzio della preghiera e della contemplazione: le nostre parole, perciò,
sono spesso vuote chiacchiere, che infastidiscono gli altri e non li
avvicinano a Dio.
Il Signore guarisce anche il nostro
odorato e il nostro palato: S. Agostino ha “respirato” il suo profumo e ha
“gustato” quanto è buono il Signore. Anche noi probabilmente abbiamo fatto
quest’esperienza, che è per tanti versi indicibile, indescrivibile in
termini concreti. Certo è che il Signore ha saziato la nostra fame e la
nostra sete, anche se non del tutto, perché più ci nutriamo di Lui e più
aumenta la nostra fame di Lui: non finiremo mai di saziarci del suo Amore e
di dissetarci alla sorgente d’acqua viva costituita dal suo Santo Spirito.
Il Signore ha guarito soprattutto la
nostra cecità, che ci impediva di vedere lo splendore del suo volto e,
contemporaneamente, di accorgerci delle persone che ci stanno accanto e
delle situazioni che ci circondano. Da quando abbiamo conosciuto il Signore
ci vediamo decisamente meglio, i nostri occhi, che prima erano incapaci di
riconoscerlo, come quelli dei discepoli di Emmaus (Lc 24,16), si sono
aperti e lo hanno riconosciuto. Abbiamo detto anche noi: “E’ il Signore!”,
come l’apostolo Giovanni quando riconobbe il Risorto sulla riva del lago
(Gv 21,7). E’ su questa guarigione dalla cecità che vogliamo riflettere
in modo particolare, rifacendoci all’episodio della guarigione del cieco
nato (Gv 9, 1-41).
1 - La guarigione del cieco
Ci
soffermiamo in modo specifico sulla prima parte di questo lungo racconto,
che occupa tutto il capitolo 9 del vangelo di Giovanni e che costituiva
probabilmente nella Chiesa primitiva una vera e propria catechesi
battesimale. La prima parte del racconto dice:
“Passando vide un uomo cieco
dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: <<Rabbì, chi ha peccato,
lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?>>. Rispose Gesù: <<Né lui
ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le
opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è
giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel
mondo, sono la luce del mondo>>. Detto questo sputò per terra, fece del
fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: <<Và
a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)>>. Quegli andò, si
lavò e tornò che ci vedeva” (Gv 9, 1-7).
La domanda posta dai
discepoli a Gesù rivela un tratto delle concezioni teologiche dell’Antico
Testamento, secondo cui la malattia era la conseguenza diretta del peccato,
una sorta di castigo di Dio per il peccato commesso dall’uomo. Trattandosi
in questo caso di un cieco dalla nascita, era difficile argomentare che
avesse peccato lui personalmente, per cui si pensava che quest’infermità
potesse essere una conseguenza del peccato dei suoi genitori.
Gesù non accetta questa
teoria, che lega direttamente la malattia al peccato. Egli sa che esiste
anche il dolore innocente, di cui sarà sulla Croce il principale esponente.
La spiegazione che il Signore offre va perciò in un’altra direzione: questa
malattia può aiutare Dio a manifestare le sue opere, a rivelare la sua
potenza. Dio è capace di scrivere dritto anche sulle righe storte del dolore
e della sofferenza. Egli sa trarre il bene anche dal male. In questo caso,
Dio fa capire agli uomini che in Gesù manifesta la sua Luce, che si oppone
alla tenebra del peccato, in cui spesso brancolano gli uomini. Dice a questo
riguardo la 1^ lettera di S. Giovanni: “Dio è luce e in lui non ci sono
tenebre” (1 Gv 1,5). E questa luce, che è Dio, si manifesta in tutta
la sua pienezza in Gesù, il quale ha detto di se stesso: “Io sono la luce
del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della
vita” (Gv 8,12). La guarigione del cieco nato è, di conseguenza, una
manifestazione della Luce che Gesù è venuto a portare sulla terra: una Luce
che vuole risplendere sulle tenebre del peccato dell’umanità per rivelare le
opere di Dio e manifestare il suo amore salvifico.
Interessante è anche il modo in cui
Gesù guarisce il cieco: sputa per terra, fa un po’ di fango con la saliva e
poi lo spalma sugli occhi del cieco. Si tratta di un segno di difficile
interpretazione. La saliva era vista, già al tempo di Gesù, come una
sostanza che aveva un potere medicamentoso. Il fango potrebbe far pensare al
secondo racconto della creazione citato nel libro della Genesi (Gen 2,7).
In ogni caso si tratta di un gesto di ri-creazione, di ri-generazione,
perché ridando la vista al cieco è come se Gesù gli avesse ridato la vita.
Molto importante è anche
l’ultimo tratto di questo racconto di guarigione: Gesù, dopo aver spalmato
il fango sugli occhi del cieco, lo manda a lavarsi nella piscina di Siloe.
L’evangelista ci tiene a spiegare che “Siloe” significa “Inviato”. Ora,
l’Inviato del Padre è proprio Gesù! Tutto il Vangelo di Giovanni testimonia
questa tesi fondamentale: Gesù è il Messia inviato dal Padre a salvare
l’umanità. Lavarsi nella piscina di Sìloe, che significa “Inviato”, vuol
dire lavarsi “in” Gesù! E’ Lui la “piscina”, l’acqua nella quale noi siamo
stati immersi per riottenere la luce degli occhi e la vita. Non è difficile
leggere perciò in questo miracolo una catechesi battesimale: il Battesimo è
infatti “photismòs”, “illuminazione”! Col Battesimo noi siamo diventati
“figli della luce” e siamo stati messi in grado di diffondere nel mondo la
Luce, che è Gesù!
2 – La
Trasfigurazione
L’incontro
salvifico con Gesù, la guarigione della vista che Egli ci ha ottenuto, ci
permette di contemplare il suo volto splendidissimo, quale si manifesta
nella Trasfigurazione (Mt 17,1-8; Lc 9,28-36; Mc 9,2-8). Quello che
accadde sul Tabor a Pietro, Giacomo e Giovanni probabilmente è accaduto
anche a noi. Ognuno di noi sicuramente ha avuto delle esperienze spirituali
che gli hanno consentito di contemplare la gloria di Dio, manifestatasi in
Gesù. Sono state esperienze ineffabili, nelle quali abbiamo avuto la
possibilità di “vedere” con gli occhi della fede il Risorto, il Glorificato,
il Cristo che ha dato la sua vita per noi e che ora siede alla destra del
Padre. I nostri occhi si sono prima dovuti abituare alla sua luce
abbagliante; sono stati purificati perciò dall’amore misericordioso del
Padre, in modo da poter vedere Gesù e riconoscerlo come Signore della
nostra vita. Ci è accaduto quanto accadde a Paolo sulla via di Damasco: i
suoi occhi rimasero abbagliati dal fulgore del Risorto, che gli era apparso,
e solo dopo alcuni giorni poterono riaprirsi, grazie anche all’aiuto di
Anania (Atti 9, 1-20).
Proviamo a compenetrarci
nell’esperienza della Trasfigurazione, rivivendola passo dopo passo insieme
a Pietro, Giacomo e Giovanni.
Probabilmente Gesù
aveva deciso di trasfigurarsi davanti a questi apostoli, perché aveva
compreso la loro difficoltà ad accettare il messaggio della Croce. In più di
una occasione Pietro aveva manifestato il suo disappunto dinanzi al mistero
della passione del Messia, prospettato da Gesù. Non è mai stato facile
comprendere la verità del dolore offerto per amore. La croce rimane pur
sempre uno scandalo e una stoltezza (1 Cor 1, 23). Gesù perciò aveva
deciso di offrire un’anticipazione della sua gloria futura, quella gloria
che avrebbe manifestato dopo la sua morte e risurrezione.
a) La salita verso il monte Tabor
Proviamo a pensare quali potevano
essere le domande che Pietro e gli altri apostoli si ponevano mentre
salivano sul monte Tabor. Probabilmente pensavano al Messia, che avrebbe
dovuto liberare l’umanità dall’ingiustizia e dall’oppressione; pensavano al
popolo d’Israele, ancora succube della dominazione romana; pensavano alla
difficile strada prospettata da Gesù per instaurare il Regno di Dio: un
concetto, questo, peraltro poco compreso dagli apostoli, i quali ancora
ragionavano in termini troppo umani, disputandosi perfino i primi posti in
questo Regno, di cui non avevano compreso il vero significato.
Che cosa penseremmo noi
oggi, salendo insieme a Gesù verso il monte della Trasfigurazione? Potremmo
pensare ai tanti drammi che attanagliano l’umanità di oggi: violenze,
guerre, ingiustizie, malattie. Potremmo pensare al fatto che spesso ancora
oggi, dopo duemila anni di cristianesimo, il male trionfa e non c’è poi
tanta Bellezza in questo mondo. Non c’è Bellezza dove non esiste più la
gioia di vivere, dove la speranza sembra spegnersi, dove l’entusiasmo viene
meno: e questo accade, non di rado, anche nella vita dei cristiani. Non c’è
Bellezza dove la sofferenza fisica, spirituale, morale spegne il coraggio di
andare avanti e inclina a cedere, a darsi per sconfitti. La Bellezza non
regna dove si osserva, con molta amarezza, che la mediocrità sembra
avanzare, a tutti i livelli. E con essa la logica del profitto e del
calcolo, l’arrivismo, la concorrenza spietata, il trionfo dei peggiori.
Manca la Bellezza anche dove si vive in modo vuoto, monotono, ripetitivo,
travolti dall’abitudine del quotidiano. Queste e altre domande possiamo
forse porci, salendo con Gesù verso il monte della gloria: una salita
faticosa, che facciamo tra mille dubbi e paure, pensando perfino talora che
non vale la pena di farla. Tuttavia il Signore ci ha invitato e noi abbiamo
deciso di salire con Lui su questo monte, dove qualcosa succederà, dove Egli
si rivelerà in un modo insospettato. L’importante è salire, superando tutti
gli ostacoli che ci impediscono o ci sconsigliano di farlo. Vogliamo seguire
Gesù sul monte, desideriamo raccogliere il suo invito.
b)
Con Gesù sul monte
Che cosa accadde
quando Gesù e gli apostoli arrivarono in cima al Tabor? Ecco cosa ci
riferiscono in proposito i Vangeli:
“Si trasfigurò
davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun
lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia
con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a
Gesù: <<Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te,
una per Mosè e una per Elia!>>. Non sapeva infatti che cosa dire, poiché
erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse
nell'ombra e uscì una voce dalla nube: <<Questi è il Figlio mio prediletto;
ascoltatelo!>>” (Mc 9, 2-7).
Gesù si manifesta agli
apostoli in tutto lo splendore della sua gloria, uno splendore che
l’evangelista Marco cerca di descrivere attraverso il segno delle vesti, che
divennero così bianche che nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle
tali. L’evangelista Luca aggiunge che il volto di Gesù “cambiò d’aspetto”
(Lc 9, 29). Matteo specifica che “il suo volto brillò come il sole” (Mt
17, 2). Sono tutte immagini che ovviamente cercano di descrivere quanti
accadde, ma lo fanno in maniera sempre approssimativa. Con Gesù apparvero
anche Mosè ed Elia, che sono i personaggi più insigni dell’Antico
Testamento: l’uno rappresenta la Torah, la Legge, e l’altro invece
rappresenta i Profeti. Gesù, che discute con loro, è Colui che ne ha
continuato l’opera, ma nello stesso tempo l’ha superata di gran lunga: Egli
infatti è più di Mosè, più di Elia, più di Davide, più di Salomone. In Lui
si realizzano la Legge e i Profeti, in Lui tutta la storia della salvezza
trova il suo culmine.
Dinanzi a questo
spettacolo meraviglioso è più che comprensibile l’esclamazione di Pietro:
“Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per
Mosè e una per Elia!” (Mc 9, 5). In realtà né Pietro né gli altri due
apostoli si rendono conto di quanto sta accadendo, sono confusi, spaventati,
non sanno cosa dire. In questo stato d’animo assistono alla scena finale,
che è una manifestazione della SS. Trinità: la nube che li avvolse
nell’ombra è il segno dello Spirito Santo, la voce che si udì dall’alto è
quella del Padre, che attesta l’identità divina del suo Figlio prediletto,
invitando tutti noi ad ascoltarne la Parola di salvezza. E’ quasi la
ripetizione di quanto era già accaduto in occasione del Battesimo di Gesù
presso il fiume Giordano (Mt 3, 13-17).
Anche noi siamo saliti
sul monte della gloria, dove Gesù si è manifestato a noi in tutta la sua
Bellezza. Questa Bellezza del Signore, che in tante occasioni abbiamo potuto
contemplare, è tutta particolare. Essa non ha niente a che vedere con i
canoni di bellezza del mondo, che si fondano spesso sull’apparenza, sul
successo, sull’effimero, su operazioni cosmetiche, che a mala pena riescono
a mimetizzare le bruttezze che cercano di nascondere…Gesù fa comprendere ai
suoi apostoli, e a noi oggi, che la Bellezza del suo volto noi possiamo
contemplarla sulla Croce. Egli paradossalmente è “il più bello tra i figli
delll’uomo” (Sal 44, 3) proprio perché sulla Croce “non ha apparenza
né bellezza per attirare i nostri sguardi” (Is 53, 2) e ci appare
come “uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale
ci si copre la faccia” (Is 53, 3). La Bellezza di Gesù è data
dall’Amore che Egli manifesta e sprigiona sulla Croce! La scena della
Trasfigurazione va legata perciò necessariamente a quella del Calvario e
della Risurrezione. Lo splendore del volto di Cristo Risorto promana dal suo
amore crocifisso, dalla sua donazione volontaria e totale per noi e per la
nostra salvezza. Il volto di Cristo “trasfigurato” e lo stesso
volto di Cristo che sulla Croce è stato “sfigurato”! Scrive a
questo proposito il card. Martini: “La Bellezza è l’Amore Crocifisso,
rivelazione del cuore divino che ama: del Padre sorgente di ogni dono, del
Figlio consegnato alla morte per amore nostro, dello Spirito che unisce
Padre e Figlio e viene effuso sugli uomini per condurre i lontani da Dio
negli abissi della carità divina”.
Nel contemplare la
Bellezza del Signore, così descritta, noi percepiamo anche la sua Bontà e la
sua Verità. Sappiamo infatti che il bello, il buono e il vero sono sempre
collegati tra di loro. Ciò che è bello, per essere tale, è anche vero e
buono. E lo stesso dicasi del vero e del bene. In un mondo che nega
l’esistenza di una Verità oggettiva, per fare posto solo alle opinioni
soggettive ritenute tutte indifferentemente vere; in una cultura che irride
il bene, riducendo spesso ogni cosa all’utile e al piacevole; in una società
nella quale la bellezza è esclusivamente quella effimera e apparente
risplende Gesù Verità, Bontà e Bellezza. Rimaniamo colpiti, confusi,
estasiati dinanzi a Lui, che continua ancora oggi ad esercitare un grande
fascino su tutti gli uomini, i quali in fondo non possono nascondere di
avere bisogno di Lui.
Questo ci incoraggia, perché sappiamo
che in ogni uomo c’è la nostalgia di Dio, c’è il bisogno di conoscere Lui,
la verità del suo amore, l’unica “verità che libera” (Gv 8, 32).
Forse anche noi, come Pietro, avremmo desiderio di rimanere con Gesù sul
monte della gloria, ma siamo invitati da Lui a scendere a valle, dove Egli
dovrà manifestare il suo Amore crocifisso e dovrà dare a tutti gli uomini la
vita nuova della risurrezione.
c) La discesa dal monte
Con la
consapevolezza di ciò che attende Gesù e noi, scendiamo dal Tabor e andiamo
a valle: là dove si consumano i drammi della storia, dove gli uomini vivono
ancora nelle tenebre e manifestano un infinito bisogno di pace e di amore.
Gesù dice a noi quanto disse ai suoi apostoli: “Alzatevi e non temete” (Mt
17, 7). E’ l’invito a riprendere il cammino senza paura, con lo stesso
coraggio che anima Lui, il Signore della gloria, ad andare incontro alla
Croce. Sappiamo che il nostro Dio non offre una spiegazione teorica
all’angoscioso problema del dolore, ma preferisce assumerlo su di sé e
trasformarlo in grazia potente, capace di liberare l’uomo dalle sue paure, a
cominciare da quella più grossa, che è la paura della morte. Scendere a
valle e andare ad incontrare le tante croci che costellano il cammino della
storia significa farlo in compagnia di Gesù glorificato, trasfigurato,
risuscitato. Non siamo soli in questo cammino, nessun uomo è solo, perché
Dio è con Lui, lotta al suo fianco, condivide il suo dolore, lo fa suo e lo
trasfigura in potenza d’amore.
Questa è la Bellezza di
Gesù crocifisso e risorto, la Bellezza che salva il mondo. Una Bellezza di
cui si fa esperienza nella misura in cui ci si lascia amare da Lui e
rimanendo nel suo amore, consegnandogli il proprio cuore perché lo inondi
della sua presenza.
Questa è la Bellezza che noi dobbiamo
annunciare agli uomini del nostro tempo, i quali vivono senza di essa, per
cui vivono male. E’ la Bellezza che deve risplendere nelle nostre liturgie,
nella nostra preghiera personale e comunitaria, nei nostri atti di carità,
nel nostro quotidiano impegno per promuovere la giustizia. E’ la Bellezza
che la Chiesa possiede e trasmette da duemila anni in ogni angolo della
terra, senza mai stancarsi di farla conoscere. La fa conoscere attraverso la
santità di alcuni suoi membri, i quali riflettono nella loro vita la
Bellezza del Cristo. La fa conoscere mediante le sue comunità monastiche e
religiose, che sono chiamate a testimoniare la gioia della consacrazione a
Gesù povero, casto e obbediente. La fa conoscere nel servizio generoso di
tanti suoi sacerdoti, che offrono quotidianamente la loro vita per il bene
dei fratelli. Vuole farla conoscere oggi attraverso l’impegno dei laici,
specialmente di quelli a cui il Signore ha aperto gli occhi e ha manifestato
la sua gloria. I laici sono chiamati ad annunciare la Bellezza salvifica di
Dio, operando in mezzo a tante “brutture” di questo mondo e dei suoi
ambienti. Non è un compito facile, perché tante volte ci si può sentire
sommersi dalle brutture che si incontrano ogni giorno. Quest’impegno, però,
potremo svolgerlo più fruttuosamente se sapremo viverlo in unione con Gesù e
se riusciremo a metterci in ascolto delle domande vere che ci sono nel cuore
di ogni uomo: esse sono le domande che rimandano a Dio, perché manifestano
la nostalgia di Lui, il bisogno del suo amore. Ha ragione S. Agostino quando
dice: “Tu ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non è in pace
finché non riposa in Te”.