La parola
evangelo o vangelo, d'origine greca, significava anticamente la
gratificazione che si dava ad un messo per aver recato una buona novella;
nel cristianesimo antico significò la buona novella annunziante ch'era
stata operata la salvezza del genere umano e che erano state adempite le
antiche promesse di redenzione, per merito di Gesù Cristo: perciò colui
che, per vocazione particolare, annunziava agli uomini quella salvezza e
quella redenzione era chiamato evangelista (Efesini, 4, 11; 2ª Timoteo, 4,
5). Da quest’uso la parola passò spontaneamente a designare uno scritto
che conteneva la narrazione dei fatti e della dottrina di Gesù Cristo,
causa di quella buona novella.
Di scritti
siffatti già la Chiesa più antica ne riconobbe ed accolse come «canonici»
soltanto quattro, sostanzialmente concordanti tra loro, ma differenti per
forma; cosicché si poté giustamente parlare già da antichi Padri di un
unico «vangelo quadriforme» o anche di «quattro libri d'uno stesso
vangelo». Sono i nostri quattro vangeli che, dai rispettivi autori, si
denominano di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni.
Parecchi altri
scritti furono composti nel cristianesimo antico con lo scopo di esporre
fatti della vita di Gesù Cristo o taluni punti della sua dottrina, e ciò
sia da parte cattolica sia da parte eretica (vedi l'Introduzione Generale:
apocrifi); ma questi, oltre ad essere tutti assai più tardivi dei quattro
vangeli suddetti, furono giustamente respinti dalla Chiesa come scritti
non «ispirati» e rimasero esclusi dal Cànone. Al contrario le più recenti
scoperte paleografiche hanno confermato sempre più che, fin dagli inizi
del secolo II d.C., i soli quattro vangeli suddetti erano accettati come
scritti «canonici» ovunque si era diffuso il cristianesimo.
Confrontando
però tra loro questi quattro scritti, viene naturale separarli in due
categorie: in una vanno Matteo, Marco e Luca, nell'altra resta il solo
Giovanni. Si nota subito, infatti, che, pur non contraddicendosi mai tra
loro, queste due categorie s'integrano parzialmente a vicenda, e che
trattano un argomento unico ma da punti di vista differenti. Mentre i tre primi vangeli seguono
una serie di fatti e una maniera di narrarli che sono generalmente
somiglianti tra loro; il quarto vangelo rispetto ai tre primi o aggiunge
fatti nuovi, o tralascia del tutto fatti già narrati da quelli, o precisa
più distintamente taluni particolari della narrazione, e in genere
inquadra il racconto in maniera differente.
La grande
somiglianza dei tre primi vangeli ha procurato loro il nome di sinottici,
perché se si dispongono i loro testi in tre colonne parallele se ne
scorgono ad un solo sguardo riassuntivo («sinossi») le scambievoli
relazioni. Queste sono, sì, soprattutto di somiglianza, ma in minor parte
anche di divergenza. La somiglianza è dovuta alla causa che tutt'e tre
narrano quasi esclusivamente il ministero di Gesù Cristo in Galilea,
riferendo gli stessi fatti, miracoli e discorsi, spesso con lo stesso
ordine e con le stesse parole; le divergenze si riferiscono ad episodi o a
circostanze di fatti che si ritrovano soltanto in uno o due dei tre
narratori, o anche a parole di straordinaria importanza che sembrerebbero
avere un valore strettamente letterale (ad es., le parole dell'iscrizione
apposta sulla croce di Gesù, in Matteo, 27, 37; Marco, 15, 26; Luca, 23,
38; oppure le parole dell'istituzione dell'Eucarestia, in Matteo, 26,
26-29; Marco, 14, 22-25; Luca, 22, 17-20). Da accurati computi fatti è
risultato che Matteo ha il 58 % del suo testo in comune con gli altri
vangeli, Marco (il più breve) ha il 93 %, Luca il 41 %.
Varie ipotesi sono state fatte per
spiegare il complesso di queste somiglianze e divergenze fra i tre vangeli
sinottici; la migliore soluzione sembra la seguente. Gli apostoli formularono di comune
accordo uno schema di predicazione sui fatti della vita di Gesù, che
dapprima visse soltanto oralmente (in analogia a quanto verso lo stesso
tempo avveniva per il targum: vedi l'Introduzione Generale: Versioni
aramaiche); questa predicazione, o catechesi, esportata fuori della
Palestina con l'effondersi del cristianesimo, assunse naturalmente un
colorito diverso con l'adattarsi alle lingue, costumanze, mentalità, ecc.,
delle nuove regioni, pur rimanendo sostanzialmente la stessa: così
sorsero, di questa catechesi, un tipo palestinese adattato a cristiani
convertiti dal giudaismo, un tipo romano adattato a cristiani convertiti
dal paganesimo, e un tipo antiocheno adattato a cristiani di provenienza
mista. E questi tre tipi
sarebbero appunto rispecchiati nei tre primi vangeli; poiché secondo
antichissime testimonianze Matteo scrisse originariamente in ebraico
(aramaico) ossia per Palestinesi, Marco scrisse conforme alla predicazione
romana di S. Pietro, e Luca conforme alla predicazione di S. Paolo che era
dimorato a lungo in Antiochia. Ma oltre a ciò, per spiegare soprattutto le
divergenze, è inevitabile ammettere che gli evangelisti posteriori si
servirono anche di altre fonti, come espressamente attesta l'ultimo dei
sinottici (Luca, 1, 1-3): tra queste fonti certamente erano i sinottici
anteriori, e specialmente Matteo base comune agli altri due, e anche altri
documenti di cui non abbiamo precise notizie.
È certissimo
poi che nessuno dei tre sinottici ha preteso scrivere una biografia
compiuta di Gesù né un'esposizione totale della sua dottrina; e tanto meno
ha preteso fare ciò Giovanni il quale, sebbene scriva più tardi dei
sinottici e con la mira d'integrarli parzialmente, termina il suo scritto
con l'affermazione che vi sono ancora molte altre cose fatte da Gesù, che
se si volesse scriverle ad una ad una il mondo intero, credo, non potrebbe
contenere i libri che si dovrebbero scrivere (Giov., 21, 25). I vangeli
canonici, dunque, non sono che un minimo florilegio di fatti ed
insegnamenti di Gesù, florilegio raccolto nei primissimi tempi dalla
Chiesa docente, e trasmesso dapprima oralmente e poi in iscritto, ma senza
alcuna pretesa di sostituire, e tanto meno di contrapporre, alla più ampia
dottrina dell'autorità docente quella più ristretta già fissata in
iscritto. In altre parole, il vangelo scritto non si contrappone alla
Chiesa vivente e non la sostituisce: che anzi, secondo una celebre
aforisma di Sant' Agostino, un cristiano non potrebbe credere al vangelo
(come libro ispirato) se non vi fosse mosso dall'autorità della
Chiesa.
Contenuta nei
suoi giusti limiti, l'autorità dei vangeli, com'è di prim'ordine sotto
l'aspetto storico, così è somma sotto l'aspetto spirituale per un
cristiano. I suoi autori o furono discepoli diretti di Gesù o ebbero lunga
familiarità con quei discepoli: essi inoltre narrano con fedeltà ingenua,
senza tendenziosità, senza preoccupazioni contenziose; l'odierno testo dei
loro scritti ha le massime garanzie di un'ottima conservazione (vedi
l'Introduzione Generale: testi originali della Bibbia). Spiritualmente i
vangeli sono un repertorio ufficiale e autentico, benché non compiuto, del
dogma e della morale cristiana, perché contengono parte degli insegnamenti
dati da Gesù stesso; sono anche il più venerando e autorevole scritto
edificativo, perché mettono avanti agli occhi del lettore il sommo modello
di virtù, l'ideale supremo d'ogni cristiano, cioè il Figlio di Dio fatto
uomo.