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G. C. POLA FALLETTI VILLAFALLETTO

LA SCUOLA DI RIVARA

Benché la natura sia la vera, la grande ispiratrice dell'artista, il paesaggio non divenne che tardi soggetto di arte.
L'antichità greca e romana, bene avvertì Paolo Gaulthier in Reflets d'histoire (Hachette, Paris), trascurò la natura per non iscorgere che l'uomo: all'umanesimo classico era precetto il motto socratico :" I campi e gli alberi non hanno nulla da insegnarmi... ". Neppure il Cristianesimo, malgrado la sua concezione del Paradiso per gli eletti, cambiò questa mentalità.
All'Umbria spettava di far sbocciare vivo il sentimento della natura, grazie al suo San Francesco che salutava fratelli e sorelle, il sole, l'acqua, gli animali, le cose che vedeva, in una parola, la bellezza di Dio riflessa in tutta la natura, specie in quella soavissima della sua terra umbra. Perciò, come scrisse il Burchardt nella sua classica opera La Civiltà del Rinascimento in Italia (1), " gli Italiani sono i primi fra i moderni che intravedono e gustano il lato estetico del paesaggio " sia nella letteratura che nella pittura nella quale giganteggiano i fiamminghi Uberto e Gio. Van Eyk. Ma benché gli Italiani, gli Umbri e i Fiamminghi avessero già scoperta la bellezza del paesaggio, si può dire che fino all'800 i grandi artisti non sentirono veramente il paesaggio e non lo studiarono dal vero.
Furono il celebre Corot e il suo allievo d'Aubigny che cominciarono il paesaggio d'après nature.
Del paesaggio che era stato cornice fecero quadro, e seppero trasfondere in questo quadro una poesia viva, un sentimento appassionato della natura creato galla sensibilità pittorica dei nuovi paesaggisti. Calam e Humbert furono maestri insigni della nuova scuola e insigni discepoli ne furono il Pittara, l'Avondo. il Rayper, il D'Andrade, il Pastoris, il Soldi, il Bertea, il Ghisolfi, l'Issel. Duce il Pittara, per molti anni, sulle sponde della Viana e fra i poggi rivaresi, crearono un'arte che parve e fu nuova tra noi e che ebbe nome Scuola di Rivara. Ne parlò ampiamente A. Stella nel suo libro: Pittura e scultura in Piemonte dal 1842 al 1891 (2), a cui rinvio il lettore.
Dello Stella ricorderò solo queste linee:
" Sul Pittara, Mario Soldati nel suo Catalogo della Galleria d'Arte moderna di Torino, edita dalle Officine Grafiche Avezzano nel 1920, scrisse che fu il Pittara "artefice abile fino all'illusione nella riproduzione della natura ". Ma questa natura il Pittara rese sempre un po' abbellita, ingentilita, quale la vedeva la sua anima di artista, per cui, come diceva Fontanesi ai suoi allievi Pasquini e Stratta, uno schizzo pieno d'accento di verità non è ancora l'arte. Il paesaggio dev'essere qualcosa di più che la verità positiva. E tutti gli artisti della scuola di Rivara, pur tuffandosi nella natura nel dipingere le loro tele, sempre vi impressero la loro sensibilità artistica con che l'opera loro fu veramente la realtà vista e sentita dai singoli artisti, di qui le caratteristiche di questi vari artisti nel ritrarre il paesaggio rivarese. E la prevalenza o non dell'elemento soggettivo spiega la diversità delle varie produzioni dei rivariani ".


Incamminiamoci
- Federico Pastoris - Olio su tela 140x90 - 1869

E sul Pittara in particolare lo Stella aggiunge:
" C. Pittara ebbe il carattere lieto e spensierato dell'artista... La bohème onesta e intelligente ebbe in lui un gaio rappresentante ", il che confermò Alberto Virgilio parlando de Il Bogo e il Pittara in Torino e i Torinesi (II, 69, S.E.L.P., Torino 1931)
E' però debito di giustizia riconoscere che lo studio dal vero - sia pure di apprensione e di espressione - era stato da tempo iniziato dal D'Azeglio, dal Piacenza, dall'Alasson. dal Comino, dal Corsi e da qualche altro, schiera a cui vorrei ascrivere Pene da Bosconero, artista nell'anima ma a cui nocque lo spirito solitario che ne limitò la produzione d'après nature, specie la sua singolare abilità di restauratore di vecchi quadri. Il Cav. Dottor Francesco Pene di Favria, suo parente, ha di lui qualche buon paesaggio che meriterebbe di essere conosciuto dagli intendenti di arte.
Ascoltiamo ora Bertolotti che soggiornò a Rivara nel 1873-74, ove conobbe gli artisti del Cenacolo rivarese, e ci dà altri particolari: " Il valente pittore Cav. Pittara, cognato del banchiere Ogliani, che ha in Rivara una deliziosa villa ed è ora padrone del castello, cominciò a venire in villeggiatura a Rivara, e mercé i suoi finissimi lavori su soggetti rivaresi, il borgo diventò famoso nel mondo artistico.
Vari suoi amici vennero a trovarlo a Rivara, e tirando profitto delle loro gite, presero vedute sul luogo (3).
Sarebbe cosa lunga enumerare tutti i quadri che si fecero in questi ultimi anni con soggetti desunti da Rivara; basti l'accennare fra i molti del Pittara quel Ritorno alla stalla del pecoraio in tempo di pioggia, notissimo e questi altri suoi lavori (4):
I Dintorni di Rivara, illustrati dal Conte Cibrario nell'album della Società Promotrice di Belle Arti; La Ritirata - Le imposte anticipate - L'aratro modello, premiato con medaglia d'oro all'Esposizione di Parma - L'estate a Rivara.
Dell'Ernesto Rayper, genovese: Boscaglie presso Rivara - Il Settembre presso Rivara - I primi giorni d'autunno, premiato con medaglia d'oro alla accennata Esposizione.
L'Incamminianioci, del Conte Federico Pastoris, stupenda scena di costumi piemontesi, consistente in una processione presa dal - vero in Rivara - Sotto i noci a Rivara.
Del Ghisolfi: La Primavera.
Del d'Andrade: Le Cave della calce e Boscaglie lungo il Viana.
Del Soldi: L'idillio campestre - La punizione.
Dell'Issel: Il Sabato del villaggio, ed altri che più non ricordo, veduti nelle varie Esposizioni di Belle Arti od accennati nelle Riviste Artistiche dì giornali, poiché il verde di Rivara fu, tra gli artisti, il motto d'ordine per portarsi nell'autunno nei dintorni del borgo. Ed ancora oggidì il Pittara, il Rayper, ed altri nell'estate sono a Rivara, sempre trovando nuovi soggetti a ritrarre.
Rivara deve pertanto essere obbligata al Pittara ed altri artisti che concorsero nel far sempre più conoscere i suoi vaghi dintorni, poiché senza le tele dei suddetti nessuno avrebbe conosciuto Rivara.
Rivara fu celebre negli antichi tempi per i suoi feudatari, ora è tale per merito proprio, cioè dei pittorici dintorni (5) ".
Una parola particolare va spesa su qualcuno di questi pittori :
"Nella schiera dei pittori di Rivara il conte Federico Pastoris tenne un bellissimo posto. L'Incamminiamoci, che è uno, dei suoi quadri migliori e più personali, fu ispirato da una scena rivarese. Quest'opera ispirò al poeta Giovanni Camerana, che aveva veduto il Pastoris a lavorarvi intorno sul vero, alcune pagine fini, colorite, piene di ritmo e di passione, tali che rendono all'anima tutte le armonie ideali e pittoriche che il pittore fissò nella sua tela. (Cfr. l'Album dell'Esposizione del 1870 della Società Protettrice delle Belle Arti).

Da non dimenticare, nel giudicare l'arte dei Rivariani, che il D'Andrade era stato allievo del Luxoro a Genova, che Luxoro era un fontanesiano, venuto in Liguria nel 1856, aveva corso tutta la riviera dipingendo, e che Luxoro, De Avendano, Rayper e Issel furono strettamente legati (6) e che il Pittara, appunto nella Riviera ove si era recato colla sorella ammalata,, conobbe questi artisti che finì per attirare più o meno a lungo a Rivara. L'Issel colla famiglia acquistò addirittura una casa dove villeggiò molti anni.
"Questi liguri di nascita e d'adozione in estate, in autunno, soggiornarono a Rivara col Pittara, s'incontrarono con Antenore Soldi, col Gignous, e con qualche altro giovane artista piemontese. Da Rivara si recano spesso a Volpiano a trovare Fontanesi" (7).
L'effetto di questi rapporti, che non poté mancare sulle tele dei nostri dovrebbe rivelare un esame attento dei quadri di paesaggio di questi artisti, ma per questo occorrerebbe averne la produzione datata e fare uno studio molto approfondito e paziente, tenendo presente l'evoluzione artistica dei nostri vari pittori per confrontarne l'opera nelle diverse epoche. Solo così si potrebbe cogliere il reciproco influsso. Ma questo studio sarebbe stato possibile forse solo quando gli artisti stessi avessero risposto al quesito, difficile anche per essi, perché certi influssi interiori è malagevole lo scoprire anche per chi li subisce.
Lo Stella e il Bertolotti non resero al D'Andrade, presto più dedicato all'archeologia medioevale che alla pittura, l'onore dovuto al suo pennello. Questa giustizia fece recentemente Emilio Zanzi illustrando la galleria d'arte Pricipe Oddone di Savoia recentemente trasportata da Genova a Pegli nella villa dei Groppello. In questa galleria, scrive lo Zanzi " vi è una serie di severe opere di pittura che richiamano lo studioso a considerare la grande tradizione piemontese del mezzo ottocento. Esse in verità testimoniano l'importanza estetica e morale della pittura che ha trovato la sua ragione d'essere e la sua ispirazione nei dintorni della nostra Torino, a Rivara Canavese; poesia spirituale del Pittara, e a Volpiano, dove andava a cercare la semplicità, direi la povertà agreste, lo splendore della luce solare e il mistero delle ombre, la grande anima di Antonio Fontanesi ".
E in questa galleria trionfa il D'Andrade, di cui lo Zanzi parlò in termini lusinghieri sulla Gazzetta del Popolo di Torino del 9 luglio 1931 nell'articolo: Una Galleria d'arte in un parco fiorito in memoria di Alfredo D'Andrade, portoghese di Torino.
Una delle opere del Rayper: Boscaglie a Rivara, esposta alla promotrice del 1870 e riprodotta dallo stesso Rayper nell'Album della Società, offrì a G. Guadmpain, paesista e critico di vaglia, l'occasione di dettare un lungo articolo che riassume con chiarezza le condizioni dell'allora moderno paesaggio (8).
Un artista dimenticato della Scuola di Rivara, dove dipinse, io credo, l'affresco che stava sulla facciata della chiesa parrocchiale, ora distrutto per rifacimento, fu Ferdinando Rossaro. di cui così la necrologia del giornale La Sesia del 26 aprile del 1927:
"Ferdinando Rossaro aveva iniziato la sua carriera artistica a Torino, sotto la direzione del prof. Enrico Gamba, più tardi studiò pittura a Milano alla scuola di Francesco Hayez. Fu quindi a Roma dove visse, studiò e lavorò intimamente associato al Pittara, allora all'apice della sua fama. Il Pittara gli offrì di cedergli il suo studio e la sua ricca clientela della capitale, oppure di condurlo con sé a Parigi come collaboratore ai grandiosi lavori che doveva eseguirvi. Ma il Rossaro rinunziò ai sicuri larghi guadagni, ed alla fama che certo avrebbe col suo eletto ingegno conquistato in più vasto campo.
"Aprì in Vercelli uno studio di pittura, tosto apprezzato, e quantunque agli inizi della sua carriera, si guadagnò subito la considerazione dei colleghi piemontesi, allora riuniti, secondo le simpatiche tradizioni dell'epoca, nel cenacolo noto sotto il nome di Accademia di Rivara del quale il Pittara era l'anima.
" Il Rossaro si dedicò fin da principio con particolare simpatia alla pittura di figura. L'arte sacra gli deve alcuni lavori pregevolissimi, fra gli altri la "Via Crucis" di Masserano, alcune pale di altare, ed affreschi eseguiti con rigido rispetto alla tecnica dei maestri del Rinascimento: a Vercelli, il San Bernardino di Piazza Cavour, e le lunette delle porte d'ingresso delle chiese di San Giuliano e di Sant'Anna ".
Rivarese e allievo autentico del Pittara, e più tardi, a Parigi, di Beniamino Constant, fu il rivarese Eugenio Gays, nato nel 1861 dal Cav. Uff. mauriziano Paolo Francesco, direttore del Demanio di Torino, discendente da una delle famiglie civili più antiche di Rivara, e dalla Contessa Elvira Falletti di Villafaletto, mia prozia, sorella del Colonnello degli alpini Conte Pio, che volle onorarmi con un'adozione e che, perciò io accolsi nella mia tomba già appartenente alla famiglia Gays, dalla quale proveniva la mia nonna materna Margherita Gays, sposa al farmacista D.co Cavalli.
Il padre, che avrebbe voluto farne un laureato come gli avi, non vide di buon occhio la tendenza del figliuolo per la pittura, tanto che una volta gli scappò detto: Vuoi rovinare l'onore della famiglia?
Ma il giovane Eugenio aveva respirato l'aria della Scuola di Rivara e divenne pittore. Fu suo maestro il Pittara, e l'allievo fece onore al maestro nei quadri ad olio nella sua prima maniera.
Nell'Album della Società Promotrice di Belle Arti del 1889 è riprodotto un bel quadro: Poesia attuale esposto in quell'anno e acquistato dal Re. Riproduzioni di questo bel quadro possiedono il nostro scultore Prof. Emilio Musso e chi scrive.
Altri lavori del Gays acquistarono il Ministero della P. I. il Conte Balbo Bertone di Sambuy, sindaco di Torino, che si intendeva di arte, acquistò un Corso del Po da Castiglione.
Il temperamento artistico del Gays si era rivelato sin da quando era allievo dell'Accademia Albertina di Torino conquistando alcune medaglie d'argento. Ma è come acquarellista che il Gays si affermò all'estero dopo il 1893, allorché per tristi vicende che amo passare sotto silenzio, fu costretto a lasciare per molti anni l'Italia.
All'Esposizione Colombiana di Genova guadagnò una medaglia d'argento; a quella di Bristol del 1906-1907 una medaglia d'oro.
Come acquerellista infatti egli non è secondo ai nostri artisti migliori. Che se la fama non è pari al merito di lui, ciò si deve al fatto che egli girò mezzo mondo senza fissarsi in un luogo e che molti suoi lavori non furono firmati o furono firmati con uno pseudonimo.
Ebbene, come i Rivaresi non avevano lavori del Pittara e degli artisti che per tanti anni, nell'estate si diedero convegno da noi, così nessun quadro del Gays vi era, neppure in casa sua!
Quale magistrato, epperò ministro di giustizia che ha per principio il cuique suum tribuere, e per amore del mio paese, volli fare apprezzare l'arte di questo rivarese. Invitai a tal fine un giorno i noti pittori Dottore Falchetti, Prof. Micheletti e il critico d'arte Comm.re Emilio Zanzi a Rivara per far loro vedere i lavori del Gays di cui avevo popolato la mia villa. Il giudizio non avrebbe potuto essere più lusinghiero. Ecco la lettera che lo Zanzi mi scriveva subito dopo questa gita rivarese:
Caro ed illustre Amico.
" Le ore canavesane trascorse ieri in così amabile consorzio, vicino alla tua Signora, nella felicità delle conversazioni e dei ricordi d'arte e di vita e di storia con Gays - bell'artista avventuroso e innamorato pazzo della luce, e verista come Pasini - mi si sono fissati negli occhi e nel cuore......
…." Grazie ancora alla tua Signora ed a Te dell'indicibile consolazione e del dono prezioso della tua amicizia e dell'arte del tuo compaesano
dev. mo
E. Zanzi ".
E avendolo in seguito invitato a parlarne nei suoi scritti, mi rispondeva: " Farò di tutto per rendere degna testimonianza di affetto e di rispetto all'arte calda, succosa, pulita ed espressiva dell'ultimo della grande Scuola di Rivara ", e non molto dopo, essendo membro della commissione artistica del Museo Civico di Torino incaricata di esaminare due acquarelli del Gays offerti in dono al detto Museo da mio figlio, così me ne annunciava l'accettazione:
" Da Torino il 16 Aprile 1925:
Caro Pola.
Il nostro Gays entra da trionfatore, vivo e vitale, al, Museo. Abbiamo scelto il fiume (La Marna) e le barche sul mare d'Africa.
" Grazie a tuo figlio del dono di bellezza Il tuo Zanzi è lieto di aver votato toto corde per l'artista insigne e per il mecenate generoso ed esemplare. Se l'esempio fosse imitato !
Tuo Emilio Zanzi ".
E l'ottimo e dotto E. Zanzi fu sempre largo di lodi al nostro acquerellista. Facendo nel N. 376 dell'Emporium dell'aprile 1926 la Cronaca della Mostra d'arte fatta a Torino nel Palazzo Madama, in cui il nostro Gays aveva esposto alcuni lavori benché non dei migliori, scriveva:
"Eugenio Gays, da anni esule errabondo sulle spiagge dell'Africa Tunisina e della Costa Azzurra è rimpatriato con una serie di acquarelli luminosi, energici, vecchio stile ma potenti. Quest'ultimo fedele alla celebre Scuola di, Rivara, del Pittara del Pastoris. del D'Andrade, non ha trovato un sol cenno nelle cronache e nelle critiche. Meriterebbe uno studio assai attento per la fecondità, per la straelegante facilità di ritrarre l'acqua e per l'esagerante obbiettivismo delle sue vedute. Ora è negletto. Fra pochi anni gli scrittori illustri forse lo esalteranno. Chi scrive vorrebbe anticipare per conto suo l'opera di giustizia che verrà " (p. 265).
Più lusinghiero giudizio non avrei potuto desiderare, giudizio che conferma quello datomi a voce e confermatomi a mia richiesta per iscritto dall'insigne pittore Giacomo Grosso, il 10 Aprile 1925, su vari lavori del Gays, in questi termini lapidari: "Bellissimi di disegno, forti di colore, mirabili dì chiaroscuro".
E di proposito poi E. Zanzi discorreva del Gays nella Gazzetta del Popolo del 24 novembre 1927, nell'articolo Un acquerellista Canavesano.
Due mostre d'arte fatte dal Gays, una a Trieste, inaugurata il 2 Maggio 1927 nel salone d'arte Michelazzi, e un'altra a Milano nel novembre successivo, confermarono questi giudizi. Per la mostra di Trieste il nostro pittore canavesano Dr. Falchetti dettava questo giudizio:
"Eugenio Gays.
Vi immaginate a 60 anni un pittore che ogni anno si supera, che ogni anno aggiunge qualche cosa alla sua capacità magistrale di tradurre e sintetizzare il vero? Questa è ben prova di capacità, di onestà e di sincerità. Ogni suo tocco dice qualche cosa...
La sua arte è fatta con tale sicurezza e con sì pieno possesso di sé che nasconde tutte le difficoltà, e par sempre venuta su di getto, con la facilità suprema, come fosse un giuoco, un godimento, una gioia.
L'unità d'ambiente, la fusione, l'armonia e l'intonazione sono tali che vi seducono sempre, e sono conservate da cima a fondo in ciascuna sua opera sì che ciascuna ha un suo carattere tutto speciale ".


Boscaglie presso Rivara -
Ernesto Rayper - Olio su tela 62x90
E al giudizio del Falchetti corrispose quello degli artisti triestini B. Croatto e Ballerini e della stampa triestina (BENCO: Il Piccolo della Sera del 6 maggio 1927).
Nell'opuscolo illustrato della mostra milanese del novembre 1927 lo scrittore Arturo Rossato disse il Gays " signore dell'armonia, signore del garbo, veramente signore nella composta visione che al di là del quadro, è forse qualcosa più del quadro stesso ".
A questo lusinghiero giudizio facevano eco il Corriere della Sera del 29 novembre 1927 e il Secolo della sera del 23 novembre, che riconoscono " l'opera solida, il valore eccezionale " dell'artista.
L'Eco di Bergamo del 23 nov. 1923 lodò " il sicuro equilibrio di toni, l'austerità degli effetti, l'assenza di ogni svenevolezza pittorica e il notevole impeto coloristico ".
Il "Sole" del dicembre del 1927 scriveva alla sua volta: " Più che virtuosa l'arte del Gays è sapiente. Basta osservare come egli accompagni in graduale ed armonica sinfonia i più delicatì o violenti passaggi di un tramonto infocato o di un cielo perlaceo di luce sommessa o vibrante e vivido per prossima tempesta.

Tutta la gamma delle diverse tonalità è espressa dal pennello preciso e spontaneo di questo ormai più che sessantenne artista con tale sicurezza e insieme con tanta baldanza giovanile, da costituire un raro esempio di perizia e di ardore artistico. Le diverse caratteristiche del paesaggio sono sempre interpretate dal Gays con bella penetrazione e la risoluzione delle più difficili prospettive e il tocco sempre felice per gusto decorativo affermano trattarsi " di un artista completo oltre che eletto ".
Anche Rivarolo Canavese improvvisò il 14 settembre 1928 una piccola mostra del Gays, onorata da una visita dei Duchi di Genova, del Prefetto di Torino, del Conte di Robilant e di altre personalità.
Ne parlarono in termini lusinghieri i giornali di Torino fra cui Il Momento del 19 settembre, in cui Ambrogio Parisi ripeteva le cose scritte dallo Zanzi sulla Gazzetta del Popolo.
Anche la Mostra del Gays a Genova del 1932 ebbe successo. Il Podestà sen. Boccardi acquistò un quadro per il Museo d'Arte Moderna. (Così Il Nuovo Cittadino di Genova del 18-6-1932).
Altre mostre fece il Gays in Aosta e Ivrea.
Ebbene, lo credereste? L'Opera di Sewelyn Lloyd: La Pittura dell'Ottocento in Italia ignora la Scuola di Rivara e tutti gli artisti che vi appartennero!
Ma il tempo è galantuomo, dice il proverbio. Difatti, proprio nel 1947 Angelo Dragone e Jolanda Dragone Conti. nel volume I Paesistí Piemontesi dell'Ottocento, edito dal Bertieri di Milano, ricordano la Scuola di Rivara. Lo appresi da un articolo di Marziano Bernardi nella Gazzetta del Popolo di Torino del 22 aprile 1948 intitolato: I pittori di paesaggio.
Compagni del Gays furono i pittori Viani d'Orano di Favria, Giovanni Carpanetto e Alfredo Chicco che vennero a Rivara per non pochi anni, nell'estate, a continuarvi le tradizioni d'arte della Scuola di Rivara. Due gruppi fotografici ricordano quel tempo, come ricorda un tempo precedente questo motto di Giuseppe Giacosa, detto una Domenica in cui Pittara e Gays dipingevano sulle rive della Viana:

Pitoc, Pitara, Pitour
a travaío la festa e '1 dì d' lavour!

E Carpanetto, dopo un lungo intervallo, ritornò a Rivara per parecchi estati in questi ultimi anni, e alle Esposizioni della Promotrice qualche angolo della nostra terra ritornò a ricordare ai Torinesi come in passato, il nostro paese.
Il Carpanetto, come disse di lui la Gazzetta del Popolo del 27 luglio 1928, nella sua necrologia "in tutte le opere espresse l'indole sincera ed onesta del verista senza dubbi, fedele all'insegnamento dei suoi maestri di elezione, il Quarone, il Pittara, il Chialiva e gli altri maestri della sua prediletta Rivara".
In questa necrologia sono ricordati il suo Torrente Viana del 1885 e Campagna a Viù che fa parte della mia piccola collezione di opere di pittori della Scuola di Rivara.
Alla Scuola di Rivara si ispirarono i pittori Roda e Sacco-Oytana, come scrisse la Gazzetta del Popolo il 6-7 maggio del 1933.
Dopo la morte del Pittara vennero a Rivara, sia pure per breve tempo, il pittore Placido Mossello e Giov. Somatis, e ivi villeggiò Giovanni Beroggio che sposò una rivarese, la signora Teresa Musso. Mi auguro che i Morgari, che nel 1896 villeggiarono pure a Rivara quando erano ragazzi, ne ricordino le tradizioni artistiche e vengano a ridarci un po' della bella vita artistica portatale dal Pittara e dai suoi compagni d'arte.
Quest'atmosfera doveva favorire altre vocazioni artistiche che si ebbero nel campo della scultura per merito del Cav. Carlo Musso e del nipote Prof. Cav. Emilio Musso. Il primo non si consacrò tutto all'arte ma non fu meno perciò un degno artista: il monumento al compianto Comm.re Tealdi del cimitero di Torino, e due leoni rampanti che reggono lo stemma sabaudo sull'ingresso dell'Arsenale di Torino, bastano a mostrare la valentia di questo rivarese nella scultura.
Quanto al Cav. Emilio Musso basterà il ricordare che egli fu l'assistente dell'insigne Senatore Edoardo Rubino, Professore di scultura all'Accademia Albertina, e che molto pregiati sono i suoi numerosi lavori.
La stele monumentale in onore dei Rivaresi caduti nella guerra 1915-1918 è un suo dono.
A quest'ambiente artistico piacemi legare il Prof. Federico Cantori di Roma, figlio di una rivarese, Domenica Beltrami, che conobbe i primi e più valorosi artisti della Scuola di Rivara e fu sorella della bella ragazza, detta " La Madonnina ", ritratta dal Pastoris nel suo quadro: Incamminiamoci, nel costume di Umiliata, in atto di leggere il suo libro di preghiere. Il Cantori, benché più disegnatore che Pittore, dipinse tuttavia un grande Corteo Papale in S. Pietro e mostrò molta abilità.
Il Gazzettino di Venezia del 22 luglio 1928 registrò il successo di una sua mostra a Grado durante quella stagione balneare. Tre suoi piccoli acquerelli mi inviò in dono per la mia raccolta di quadri di pittori della Scuola di Rivara. Rimpiango di non aver potuto conoscere e ringraziare di persona questo artista appartenente per madre a Rivara e che morì giovane ancora.
Un riflesso di atmosfera artistica rivarese io amo scorgere altresì nell'opera di ricamo e di arredamento artistico della Ditta torinese Colli di schiatta rivarese. A questo gusto artistico io ascrivo ancora la vocazione di tre modesti ma bravi decoratori rivaresi dell'epoca: Giuseppe e Carlo Gays (non parenti dell'acquarellista Eugenio); di Carlo Paglia, nonché la valentia spiegata dal fabbro Domenico Bruno che, sotto l'ispirazione del D'Andrade diede ottimi lavori in ferro battuto. Il Cristo che adorna la cancellata della magnifica tomba della famiglia Ogliani nel cimitero di Rivara è un'opera che merita, al nostro modesto fabbro rivarese, l'onore di essere ascritto fra gli artisti del genere. E perché tale, allorché il D'Andrade, per l'Esposizione torinese del 1884, ideò il Borgo Medioevale, il nostro Bruno fu là trapiantato durante l'Esposizione, nella bottega del ferro battuto, per creare i suoi bei lavori.
Un emulo del Bruno sarebbe stato il fabbro e meccanico Giuseppe Germonio se fosse vissuto a quei tempi e avesse potuto secondare le proprie inclinazioni.
Dilettanti pittori sono oggi Ber. Gays, nipote dei due decoratori suddetti, e Giovanni Marta, lattoniere e meccanico, quest'ultimo probabilmente ispirato dagli studi che E. Gays e C. Carpanetto facevano pubblicamente in paese.
E ancora sotto il D'Andrade elevarono altresì il loro livello professionale il capomastro Pietro Gays e il falegname Pernetta D.co, che sono una nuova prova della benefica influenza che esercitò la geniale schiera di artisti che il Pittara condusse nel, nostro borgo, influenza che mostrò il compianto Secondo Musso, padre dello scultore Emilio, che pur non essendo un artista, diede prova di genialità e di gusti rispondenti all'ambiente in cui visse.
E queste pagine, e la mia passione di raccogliere lavori della Scuola di Rivara, non sono forse esse pure un po' l'effetto dell'aria respirata da fanciullo a Rivara e della conoscenza. di quegli artisti che si erano resi così simpatici a tutti?
Per amor di brevità taccio degli altri artisti che fecero parte del Cenacolo Rivarese rinviando i miei lettori al libro, dello Stella ed alle recenti pubblicazioni di Marziano Bernardi.
Quest'ultimo, in occasione dell'inaugurazione della Mostra Paesista Piemontese dell'Ottocento fatta dagli Amici dell'arte nella sala della Promotrice (19 novembre 1933) ricordava la Scuola di Rivara ne la Stampa di detto giorno.
Dal volume del Bernardi: Arte Piemontese, che ha un ampio e buon capitolo sulla Scuola di Rivara, meritano di essere riportati questi passi: "La scuola di Rivara fu l'unico Cenacolo artistico piemontese" (p. 36). "Essa ebbe una tendenza fondamentale al paesaggio romantico, cioè un'aspirazione costante ad un'interpretazione sentimentale della natura commista ad una proba ricerca del particolare realistico, con un pathos agreste inconfondibile fatto di intimità, di candore, di sincerità, di lievemente malinconica eppur dolcissima commozione suscitata dal motivo con inesausta freschezza. Dal D'Azeglio al Piacenza, a Camino, a Beccaria, a Perotti, a Pittara, a Bertea ed Avondo, via via fino a Pollonera e Delleani e Reycend. Portati fuori del Piemonte codesti artisti apparirebbero come sfocati, difficilmente comprensibili: ed è questa la prova migliore della omogeneità spirituale - se non di una vigorosa unità di intenti specialmente polemici - della pittura piemontese di paesaggio della seconda metà del secolo XIX: pittura i cui ideali e le cui forme più genuine risultano per oltre vent'anni chiaramente indicati dalla Scuola di Rivara " (p. 42-43).
"Se si pensa ai precisi scopi con cui venivano fondate la Scuola di Pergentina (1862) e di Resina (1864), è evidente che assai lontana da quei cenacoli... è la scuola di Rivara. La distingue (come, del resto, tutta quanta la pittura piemontese) un che di idillico, di spontaneo e di timidamente affettuoso; e pur avendo in comune col cenacolo fiorentino. "l'atmosfera gioconda, burlesca, sollazzevole, pur manifestando ben netto un medesimo indirizzo artistico, le manca quel non so che di determinato e di teso, di preciso e di intransigente che fu proprio della battaglia toscana per l'arte nuova " (ivi pag. 51).
"I Rivariani piemontesi o piemontesizzanti come il fiorentino Antenore Soldi - Pittara, Avondo, Pastoris. Giuseppe Monticelli, Giulio Viotti, Eugenio Gays, Casimiro Teja, Adolfo Dalbesio - finita la vacanza in Canavese, ciascuno se ne tornava a lavorar per conto suo, chi a Torino, chi a Roma, chi a Parigi, chi a Ginevra, che i più erano degli irrequieti avidi di esperienza e di ambienti nuovi... Ma col tornar dell'agosto e del settembre il mite orizzonte di Rivara risorrideva alla fantasia dei lontani, ed ecco che uno dopo l'altro, o a gruppi, talvolta dopo assenze di anni, la nostalgia ve li riconduceva. I benpensanti si scandalizzavano scorrendo poi sulle tele, alla Promotrice, quello che sarcasticamente avevano battezzato " il verde di Rivara ". Il verde di Rivara poteva anche essere soltanto una ricetta di tavolozza. Ciò che contava era l'insurrezione di quei giovani contro i vecchi schemi e la pigra abitudine accademica, era la loro ansia di riaprire gli occhi sulla vita come se cielo ed acque, uomini e cose apparissero loro per la prima volta " (pag. 53).
Ventidue anni prima di Telemaco Signorini, così aveva Giovanni Camerana precisato qual fosse l'intento degli artisti di Rivara: " S'eran messi a studiare la campagna con un amore, con uno slancio libero e schietto; figliuoli del tempo, secondavano anch'essi la universale aspirazione verso la realtà. Sbozzavano i loro quadri dal vero e il più spesso li terminavano sul vero. Quella piccola schiera novatrice, allorché scese nella lizza delle mostre artistiche, sollevò tremendi uragani. Il pubblico, educato da lungo tempo a scorgere nei quadri di paesaggio, non già il paesaggio, non già il vero, ma una cifra più o meno simpatica... recalcitrò, gridò all'assurdo... Rivara, il verde di Rivara, il verde avvenire, tutta codesta gioconda terminologia corse per le labbra di tutti... ".
Era il contributo che il Piemonte apportava alla grande rivoluzione pittorica italiana, la rivoluzione ottocentesca del verismo. (M. Bernardi, Lorenzo Delleani, cit, p. 12).
" La vita del cenacolo rivarese durò un ventennio, tra il 1856 e il 1876 e il Pittara ne fu il capo. Morto poi nel '73 il Rayper, morti nel '77 il Soldi, nel '78 il Viotti, nel '79 il Montivelli, nell'84 il Pastoris, preso sempre più dalle occupazioni archeologiche il D'Andrade, fissata il Pittara a Parigi la sua dimora invernale, distratto da altre cure anche l'Issel, è probabile che intorno al 1884 Rivara non fosse più che un ricordo. Vi ritornava fedelmente ogni estate il Pittara: ma come chi ritorna in casa propria. La Scuola di Rivara aveva cessato la sua vita " (p. 62).
Dello studio del Bernardi sulla Scuola di Rivara non vanno dimenticate queste altre linee:
"Interferenze continue corrono tra gli apporti fontanesiani e gli ideali di Rivara, perché è proprio il genovese Tammar Luxoro, uno dei Rivariani, che si entusiasmò per Fontanesi durante i suoi viaggi in Liguria del 1856-57, e spinse poi Alfredo D'Andrade a conoscere il reggiano - Fontanesi sì che i fedeli di Rivara, già in queste pagine ampiamente studiati, guardano all'autore dell'Aprile come al più autorizzato rivoluzionario di ogni schema accademico " (p. 226).
Il Bernardi, che ricorda nelle pagine succitate il Delleani come il paesista più verista, più sincero, più forte, non lo ascrive nè lo mette in relazione con la Scuola di Rivara, ma questo artista non fu estraneo al cenacolo Rivarese.
Valgono anzitutto i rapporti personali coi rivariani, specie col Pittara che ne fece per un pò il maestro di pittura per qualcuna delle nipoti Ogliani; l'essere stato il Delleani maestro del Viani villeggiante a Favria presso Rivara; l'intima amicizia col poeta-magistrato Giovanni Camerana, Grande amico del Pastoris di cui illustrò il quadro: Incamminiamoci fatto a Rivara nel settembre 1869 sotto i suoi occhi, e l'accompagnamento a Parigi, nel 1876, dei rivariani Soldi e Ghisolfi ricordati dal Bernardi nell'opuscolo illustrativo edito da La Stampa sulla Mostra della Scuola di Rivara fatta nel 1942 (a pag. 39).

E l'ìnflusso del cenacolo rivarese traspare qua e là in certe opere del pittore di Pollone. Nota lo stesso M. Debernardi che, quest'influsso traspare dalle opere di Lorenzo Delleani paesista, specie dal quadro Toni esposto dal fratello del Delleani, Celestino, "quadro di un verismo alla Pittara " (9).
Questo Toni mi ricorda il quadro Artisti di passaggio; Ciarlatani alla festa di S. Firmino, del Soldi. L'Incamminiamoci del Pastoris, del 1869, che Delleani non poteva ignorare dovette esso pure entrare per qualche cosa nella Processione di Fontanamora del 1882 (10), onde - conclude il Bernardi senza la Scuola di Rivara con le sue suggestive proposte, senza Fontanesi col suo lirismo trasfiguratone (e d'intendimenti Fontanesiani pure nelle manchevolezza è la stessa Quies del 1881, come lo sarà il bellissimo quadro Luci crepuscolari del 1888), Delleani non sarebbe diventato quell'irruente, quell'insaziabile quasi rapace scrutatore d'una natura agreste tutta in funzione di luce che noi oggi conosciamo ed ammiriamo (Ivi p. 26).
L'influenza della Scuola di Rivara sul Delleani fu riconosciuta anche dallo Zanzi con queste parole che si leggono nel Catalogo alla Mostra retrospettiva dei Pittori di Rivara, del 1930: "Dall'aperta e cordiale pittura dei fedeli di Rivara, piemontesi e liguri, doveva derivare, sia Dure indirettamente, in un'autonomia schiva e fiera, la pittura celeste e terragna di Lorenzo Delleani. In altra sede si dovrà fare un esame critico, e comparativo sulle derivazioni dell'arte del grande biellese, se da Fontanesi o da Pittara ".
"Se io potessi permettermi un giudizio direi che Delleani non derivò la sua arte da nessuno dei due, ma che da entrambi subì un influsso profondo senza perdere tuttavia la propria personalità ".
L'influenza dell'ambiente di Rivara è altresì visibile nei soggetti medioevali del quadro del Pastoris " Ritorno da Terra Santa e I Signori di Challant " che si conserva nella Galleria Torinese d'Arte Moderna, in un quadro del Soldi "I Giullari", riprodotto nel libro dello Stella, e in un quadro del Viotti rappresentante un Suonatore di liuto addormentato presso un leggìo con lo strumento ai piedi, venduto nel 1925, alla Galleria d'Arte Codebò in Torino.
Qui l'ispirazione, a mio avviso, risale alla passione del D'Andrade per i castelli medioevali, specie della Valle d'Aosta e del Canavese, di cui uno - quello di Pavone - acquistò e ristorò; come risale alla stessa passione dell'Avondo che un bel giorno acquistò il castello d'Issogne, mèta cara ai nostri artisti e a Giuseppe Giacosa, che al Medioevo ispirava i suoi noti lavori teatrali: Una partita a scacchi - Il trionfo d'amore - Il fratello d'armi - Il Conte Rosso.
E' ancora vivo il ricordo delle visite del Giacosa a Rivara, per una sua poesia popolare per un'antica fiera, e per la sua partecipazione agli spettacoli teatrali dei nostri artisti. Una sorella del Giacosa, la sig.na Claudia, venne non di rado in casa del Dottor Beltrami, il cui figlio, Dottor Jean, era vissuto a lungo in casa Giacosa e possedeva qualcuno dei suoi lavori drammatici, che portavano questa dedica: "A Jean Pin".
A quest'ambiente io ascrivo ancora un quadro del Pasini raffigurante il Castello di Fenis che trovai in vendita nel 1942 a Torino presso il pittore Gino Simonetti.
Finalmente devo ricordare che da bimba e per molti anni venne in campagna a Rivara la signora Margherita Bolangero, valente miniaturista, la cui famiglia ebbe col pittore Gays la più grande dimestichezza. Anche qui non credo di errare scorgendo un tardo benefico influsso della Scuola di Rivara.
Tardo allievo della Scuola di Rivara, in quanto un po’ allievo del Gays, fu il maggiore Giacinto Ghiglione, la cui famiglia villeggiava in Rivara in una propria villa. Purtroppo una morte prematura gli impedì di diventare un artista come prometteva.
Di lui io e mio fratello possediamo un quadro ciascuno, ma che non hanno quella caratteristica del paesaggio - il verde di Rivara - che avevo riscontrato in uno studio di betulle visto presso la famiglia di lui, nel quale mi era parso di ravvisare realmente l'influenza della scuola rivarese.
Mi accorgo che non ho parlato del Gignous e del valpergano Barucco, il quale ultimo, col Viotti, dipinse i noti affreschi del vicino santuario di Belmonte. Del Barucco conservo un autoritratto proveniente dalla quadreria del banchiere Ronzini di Cuorgnè. Riparo alla dimenticanza dicendo che entrambi questi artisti furono onorevolmente ricordati dal Bernardi nel volume Arte Piemontese, rispettivamente a pagg. 52 e 49, riportando quello che scrisse il macchiaiolo toscano Cecioni parlando dell'accoglienza avuta a Torino da Barucco, Bertea, Avondo, Pastoris e Teja, "i quali fecero a lui e ai colleghi toscani dichiarazioni di stinta per la loro arte innovatrice fino allora maltrattata ".

il Bernardi, a pag. 292 del volume Questo Piemonte, e dell'altro suo libro ora ricordato, scrisse che il torrente Levone circonda Rivara. E' un errore. Rivara è lambita a nord-est dalla Viana, che fu oggetto di non pochi quadri, come si è visto. Il torrente Levona (in dialetto Vunà) scorre vicino al paese di Levone.
Quanto alla " Marcia di Rivara ", fatta sua dal Circolo degli Artisti di Torino, essa non fu composta dal Pittara. Era una marcia un po' ridicola della banda rivarese, che il Pittara modificò e adottò e di cui forse suggerì agli allegri compagni il modo singolare di eseguirla. Non escludo che vi abbia preso notevole parte il sig. Dalbesio padre, maestro di musica delle signorine Ogliani. Questa marcia era ancora in vita il 22 giugno 1896 in una gita artistica del Circolo degli Artisti a S.Antonio di Ranverso, promossa da Bistolfi, Brayda, Dalbesio e Rey. Ne parlò la Gazzetta del Popolo del 22-23 giugno suddetto con queste parole: "Subito dopo la partenza da Torino, dove Braydà e Rey funsero da bigliettari, la comitiva prese ed affermò il suo carattere speciale di artisti in viaggio. Sarebbe bastato a caratterizzarla quella meravigliosa banda musicale che porta il nome di Banda dell'Amicizia, composta di tre soggetti artisticamente famigerati, e che eseguisce a perfezione un sol gran pezzo: La Marcia di Rivara. E che applausi! Che successo in tutte le stazioni intermedie, specie in quella di Collegno che era la più indicata per quella gabbia di... artisti! " (11).
La 38a Mostra della Società Torinese degli Amici dell'Arte Torinese faceva, nell'ottobre-novembre 1933 una esposizione retrospettiva dei Pittori di Rivara. E. Zanzi la illustrò nel relativo Catalogo, concludendo con queste parole: "E' un'arte che fa bene al cuore e resta nella memoria e negli occhi come la fisionomia delle creature amate e dalle cose utili e preziose!".
Il ricordo della Scuola di Rivara certo contribuì a portare nel nostro paese, in villeggiatura, artisti quali il pittore Luigi Morgari nel 1906, e più tardi il Somatis, poi Gheduzzi che sposò una rivarese.
Sul fine del 1942 poi, allorché i Torinesi, per le incursioni aeree dovettero sfollarne, Rivara ebbe il pittore Cav. Giulio Vercelli colla figlia Gemma, pittrice, e lo scultore ungherese di Budapest Naschitz.
Non so resistere alla tentazione di scrivere qualche riga su Gemma Vercelli, perché i Rivaresi che mi leggeranno ricordino con soddisfazione che a Rivara lavorò questa nota quanto singolare artista. Di Gemma Vercelli hanno parlato i giornali nostri ed esteri. Io mi limiterò a ricordare la rivista Torino (Rassegna mensile della Città, A. XIV, febbraio 1934, N. 11, pp. 26-32). In questa Rivista Anna Lucci Chiesa parlò con dottrina, cognizione di causa e con ammirazione dell'esimia Pittrice, le cui mostre personali di Parigi e di Londra, fatte sotto gli auspici delle Ambasciate italiane, conseguirono il più brillante successo.
La Vercelli ha l'anima di un poeta, come dimostra una sua pubblicazione: Disegni e Liriche di Gemma Vercelli, edita dall'Istituto Italiano di Arti Grafiche di Bergamo, e la sua arte pittorica non è mai la semplice riproduzione di un panorama, di una persona, ma la creazione di un soggetto che ha sempre un suo significato ideale. La V. idealizza i suoi temi. dà loro un significato; nei suoi quadri si riscontrano sogni, aspirazioni di bellezza, aneliti di elevazioni spirituali...
Sì, il motivo estetico nell'arte della V. si fonde sempre in un motivo spirituale, ideale. Questa concezione dell'arte costituisce la personalità e la grandezza dell'artista le cui figure portano sempre l'anima sul volto, come sì vede nei quadri Le tre Marie, L'Attesa, nell'Autoritratto e in tanti altri quadri. Parmi però, se non erro, che la V. talvolta voglia tradurre sulla tela soggetti che, per l'effetto artistico, contro gl'insegnamenti del Lessing nel Laoocoonte, sono più adatti per la letteratura che per la pittura. Quest'impressione mi fanno i quadri Homo e Intenzione, in cui trovo genialità di concezione e valentia di esecuzione ma che, quanto all'effetto, mancano di sufficiente chiarezza e mostrano troppo artificio.
Fondata o no questa mia impressione, è certo che la conoscenza dell'anima genuina e profonda, sensibilissima e fantasiosa della V. è quella che spiega la sua arte che tiene tanto dell'antico e ha pur tanto del moderno. Basta leggere i primi versi di Disegni e liriche per farsi un'idea dell'artista:
Uomini - sotto la luna - non siete che maschere bianche sospese nel buio - Un poco di luce - attorno alla fossa degli occhi - Nessuno vi tocchi - Ombre ancora di carne la notte già vi dissolve...
Al fondo della strada - sta la mia casa - Una finestra sola - è aperta - come un occhio gigante...-Neppure il sole - potrebbe accecare - quell'occhio senza pupilla - scavato nel bianco muro. - Forse ho scorto l'immobile occhio d'un mostro - O l'immenso, spietato - occhio d'un Dio - che guarda senza battere ciglio.
Come avverte chi legge, una finestra si anima e si presenta all'artista come un occhio da gigante; altrove " la fessura di muro " in cui si rifugia una lucertola diventa per l'artista " una ferita "...

Ecco l'arte della V., di cui, nella mia modesta collezione di quadri di interesse rivarese, ho tre saggi, purtroppo insufficienti per far conoscere l'artista quale brilla coi suoi quadri di figura.
Un bel ritratto della Signora Lidia Vallero in Hericsson, oriunda di Rivara ove risiede spesso potrà far meglio conoscere l'arte di G. V.
Anche nelle forti sculture dell'ungherese Naschitz che sposò, in Rivara, io penso, la Gemma Veralli, domina la fantasia dell'artista e l'originalità dei soggetti, non tutti sempre, a mio avviso sommesso, adatti per la scultura.
Comunque, come Rivarese, io sono grato a questi artisti di essere venuti nel nostro paese che onorarono colle belle opere loro.
Ecco così, senza fatica, alla portata di mano dei Rivaresi che amano il loro paese, notizie sulla Scuola di Rivara e su qualcuno dei suoi pittori che sentiranno qualche volta nominare.
E queste notizie i miei compaesani troveranno illustrate da tele dei pittori nominati che raccolsi nella mia villa di Rivara e che dovrebbero passare al Comune di Rivara quando questa villa uscirà dalla mio famiglia, e così potesse venir meno quella collezione di quadri - circa un centinaio - che vi si trovano. Naturalmente il nostro Municipio dovrebbe ospitare la mia collezione in un locale degno e sicuro, nel qual caso non dubito che la mia raccolta sarebbe completata da chi meglio di me è in grado di farlo specie per lumeggiare degnamente l'opera del Pittara, la contessina Mercurina Gattinara.
Al nome del Pittara, come a quello di Alfredo D'Andrade, io ottenni dal Comune, nel 1942, che venisse intitolata una via del nostro borgo. Avrei desiderato vedere ricordato allo stesso modo il nostro poeta canavesano Giuseppe Giacosa e quegli artisti che più fecero conoscere ed onorarono Rivara. La cosa non poté essere realizzata possa esserlo in seguito da parte dei miei compaesani meglio in grado di apprezzare e far valere questo mio desiderio. Amor patriae urgeat nos!

 

(1) Traduz. del Dr. Valbusa, 3a, ed. accresciuta dallo Zippel, Il, 25 e 31.

(2) A pag.. '267 e segg. toritio 1993, Paravia editore.

(3) Secondo l'Issel fu nel 1868 che i pittori Ernesto Rayper di Genova e Ghisolfi di Torino raggiunsero a Rivara Canavese Carlo Pittara.
La convivenza dei tre artisti acuì le loro larghe attitudini pittoriche e nella successiva esposizione di Torino della primavera 1869 i dipinti del Pittara, del Ghisolfi e del Rayper che ritraevano motivi canavesani cominciavano a dare alla regione una insolita notorietà.
Fu specialmente lodato il quadro del Rayper: " Una boscaglia nel Canavese ". Era un grande paesaggio ritratto interamente dal vero, in un bosco di proprietà Ogliani, lungo le rive del torrente Viana. In esso l'autore aveva saputo ritrarre il verde smagliante dei giovani pioppi, spiccanti sul cielo chiazzato, e rendere a perfezione l'impressione fresca e tremolante delle erbe e dei cespugli imperlati di rugiada di cui era ricoperto il terreno.
Appunto dopo quella esposizione, in cui le campagne Canavesane avevano fatto una così lodevole comparsa, iniziavano il loro soggiorno a Rivara altri giovani e valenti paesisti: Alfredo d'Andrade, Federico Pastoris, Alberto Issel, seguiti poco dopo da Antenore Soldi, da Benisson e da qualche altro. La presenza di uno stuolo così numeroso di artisti cangiò tosto l'aspetto della gentile borgata ,delle prealpi in quell'anno, e nei successivi fu così intensa che nelle rassegne d'arte dell'epoca, specialmente nelle toscane, a quel gruppo di artisti si assegnò il titolo di Scuola di Rivara.
Erano assidui visitatori della colonia letterati, musicisti, scienziati. Ricordo le visite frequenti di Michele Lessona, di Giuseppe e Piero Giacosa, degli scultori Tabacchi e Guglierero, del poeta Camerana, dei pittori Viotti, Mosso e Morgari, Ferri, Bertea, Avondo e Fontanesi. Ricordo pure la simpatica figura di Casimiro Teia, l'indimenticabile umorista del Pasquino. (Appunti di un superstite del periodo artistico di Rivara Canavese, di Alberto Issel, favoritimi a mia richiesta, quando non c'erano ancora gli scritti di Zanzi e del Bernardi e non avevo ancora letto l'opera dello Stella). Queste notizie completano quelle dello Stella, dello .Zanzi e del Bernardi che scrissero tardi, solo in questi ultimi anni, e relativamente poco poterono apprendere sugli artisti che ebbero meno attivi rapporti coi Rivariani.

(4) L'ambiente fu la riproduzione di un cortile delle case che stanno nella via della Parrocchia, di fianco a questa. Questo ambiente è ora alterato assai, anche il pozzo che pur sussiste ancora.

(5) BERTOLOTTI: Passeggiate nel Canavese. VI, 497-498.

(6) e (7) E. ZANZI: Una Galleria d'arte... in memoria di A. D'Andrade. " Gazzetta del Popolo " del 9 luglio 1931, p. 3.

(8) Il più forte nel definire nell'arte gl'intendimenti dei paesisti che recansi a Rivara era il pittore Ernesto Rayper, genovese, che fu un realista convinto, deciso a equilibrare nella sua tavolozza l'ardimento passionale di Fontanesi con una speciale finezza nella interpretazione della natura... Egli fece entrare trionfalmente la poesia del verde nel paesaggio elevando la tavolozza alla più sincera trascrizione della macchia, delle foreste, dei prati, delle colline, di tutto l'umido brillante, crudo, morbido, valutato, verde, dei dintorni di Rivara, dove dipinse ,le sue tele migliori (A. STELLA, cit., p. 337).

(9) BERNARDI: Lorenzo Delleani, p. 22, 39: ed Arione, Torino, 1940.

(10) Questa quadro del Pastoris inspirò anche all'Issel un piccolo schizzo donato al padre di Eugenio Gays, il quale alla sua volta lo donò a me, e altro quadro inspirò che rimase presso l'Issel a Genova e che egli mi fece vedere in casa sua. E "le mucche del Delleani sono strette parenti di quelle del Pittara".

(11) A Collegno vi è il Manicomio provinciale. Questo esprimono i puntini

 

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