ESORTAZIONE
APOSTOLICA
POST-SINODALE
PASTORES DABO
VOBIS
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO
AL CLERO E AI FEDELI
CIRCA LA FORMAZIONE DEI SACERDOTI
NELLE CIRCOSTANZE ATTUALI
Venerati Fratelli e diletti Figli e
Figlie,
salute e Apostolica Benedizione
INTRODUZIONE
« Vi darò Pastori secondo il mio cuore ».1
Con queste parole del profeta Geremia Dio
promette al suo popolo di non lasciarlo mai privo di pastori che lo radunino e
lo guidino: « Costituirò sopra di esse (ossia sulle mie pecore) pastori che le
faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi ».2
La Chiesa, popolo di Dio, sperimenta sempre
la realizzazione di questo annuncio profetico e nella gioia continua a rendere
grazie al Signore. Essa sa che Gesù Cristo stesso è il compimento vivo, supremo
e definitivo della promessa di Dio: « Io sono il buon pastore ».3
Egli, « il Pastore grande delle pecore »,4
ha affidato agli apostoli e ai loro successori il ministero di pascere il
gregge di Dio.5 In particolare, senza sacerdoti la Chiesa non potrebbe vivere
quella fondamentale obbedienza che è al cuore stesso della sua esistenza e
della sua missione nella storia: l'obbedienza al comando di Gesù: « Andate
dunque e ammaestrate tutte le genti » 6 e « Fate questo in memoria di me »,7
ossia il comando di annunciare il Vangelo e di rinnovare ogni giorno il
sacrificio del suo corpo dato e del suo sangue versato per la vita del mondo.
Nella fede sappiamo che la promessa del
Signore non può venir meno. Proprio questa promessa è la ragione e la forza che
fa gioire la Chiesa di fronte alla fioritura e alla crescita numerica delle
vocazioni sacerdotali, che oggi si registrano in alcune parti del mondo, così
come rappresenta il fondamento e lo stimolo per un suo atto di fede più grande
e di speranza più viva di fronte alla grave scarsità di sacerdoti, che pesa in
altre parti del mondo.
Tutti siamo chiamati a condividere la
fiducia piena nell'ininterrotto compiersi della promessa di Dio, che i Padri
sinodali hanno voluto testimoniare in modo chiaro e forte: « Il Sinodo con
piena fiducia nella promessa di Cristo che ha detto: "Ecco, io sono con
voi tutti i giorni sino alla fine del mondo" 8 e consapevole dell'attività
costante dello Spirito Santo nella Chiesa, intimamente crede che non
mancheranno mai completamente nella Chiesa i sacri ministri... Anche se in
varie regioni si dà scarsità di clero, tuttavia l'azione del Padre, che suscita
le vocazioni, non cesserà mai nella Chiesa ».9
Come ho detto a conclusione del Sinodo, di
fronte alla crisi delle vocazioni sacerdotali « la prima risposta che la Chiesa
dà sta in un atto di fiducia totale nello Spirito Santo. Siamo profondamente
convinti che questo fiducioso abbandono non deluderà, se peraltro restiamo
fedeli alla grazia ricevuta ».10
2. Restare fedeli alla grazia ricevuta!
Infatti, il dono di Dio non annulla la libertà dell'uomo, ma la suscita, la
sviluppa e la esige.
Per questo la fiducia totale
nell'incondizionata fedeltà di Dio alla sua promessa si accompagna nella Chiesa
alla grave responsabilità di cooperare all'azione di Dio che chiama, di
contribuire a creare e a mantenere le condizioni nelle quali il buon seme,
seminato da Dio, possa mettere radici e dare frutti abbondanti. La Chiesa non
può mai cessare di pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua
messe,11 di rivolgere una limpida e coraggiosa proposta vocazionale alle nuove
generazioni, di aiutarle a discernere la verità della chiamata di Dio e a
corrispondervi con generosità, di riservare una cura particolare per la formazione
dei candidati al presbiterato.
In realtà la formazione dei futuri
sacerdoti, sia diocesani sia religiosi, e l'assidua cura, protratta lungo tutto
il corso della vita, per la loro santificazione personale nel ministero e per
l'aggiornamento costante del loro impegno pastorale, sono considerate dalla
Chiesa come uno dei compiti di massima delicatezza e importanza per il futuro
dell'evangelizzazione dell'umanità.
Quest'opera formativa della Chiesa è una
continuazione nel tempo dell'opera di Cristo, che l'evangelista Marco indica
con le parole: « Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi
andarono da lui. Ne costituì 12 che stessero con lui e anche per mandarli a
predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni ».12
Si può affermare che nella sua storia, la
Chiesa ha sempre rivissuto, sia pure con intensità e in modalità diverse,
questa pagina del Vangelo mediante l'opera formativa riservata ai candidati al
presbiterato e ai sacerdoti stessi. Oggi però la Chiesa si sente chiamata a
rivivere quanto il Maestro ha fatto con i suoi apostoli con un impegno nuovo,
sollecitata com'è dalle profonde e rapide trasformazioni delle società e delle
culture del nostro tempo, dalla molteplicità e diversità dei contesti nei quali
essa annuncia e testimonia il Vangelo, dal favorevole andamento numerico delle
vocazioni sacerdotali che si registra in diverse diocesi, dall'urgenza di una
nuova verifica dei contenuti e dei metodi della formazione sacerdotale, dalla
preoccupazione dei Vescovi e delle loro comunità per la persistente scarsità di
clero, dall'assoluta necessità che la « nuova evangelizzazione » abbia nei
sacerdoti i suoi primi « nuovi evangelizzatori ».
Proprio in questo contesto storico e
culturale si è collocata l'ultima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei
Vescovi, dedicata a « La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali »,
con l'intento, a distanza di 25 anni dalla fine del Concilio, di portare a
compimento la dottrina conciliare su questo argomento e di renderla più attuale
e incisiva nelle circostanze odierne.13
3. In continuità con i testi del Concilio
Vaticano II circa l'ordine dei presbiteri e la loro formazione,14 e
nell'intento di applicarne in concreto alle varie situazioni la ricca ed
autorevole dottrina, la Chiesa ha affrontato più volte i problemi della vita,
del ministero e della formazione dei sacerdoti.
Le occasioni più solenni sono stati i Sinodi
dei Vescovi. Fin dalla prima Assemblea generale, svoltasi nell'ottobre del
1967, il Sinodo dedicò 5 congregazioni generali al tema del rinnovamento dei
seminari. Questo lavoro diede impulso decisivo all'elaborazione del documento
della Congregazione per l'Educazione Cattolica: « Norme fondamentali per la
formazione sacerdotale ».15
Fu soprattutto la seconda Assemblea generale
ordinaria del 1971 a impegnare la metà dei suoi lavori sul sacerdozio
ministeriale. I frutti di questo lungo confronto sinodale, ripresi e condensati
in alcune « raccomandazioni » sottomesse al mio Predecessore, Papa Paolo VI, e
lette in apertura del Sinodo del 1974, riguardavano principalmente la dottrina
sul sacerdozio ministeriale ed alcuni aspetti della spiritualità e del
ministero sacerdotale.
Anche in molte altre occasioni il Magistero
della Chiesa ha continuato a testimoniare la sua sollecitudine per la vita e
per il ministero dei sacerdoti. Si può dire che negli anni del post-Concilio
non ci sia stato intervento magisteriale che in qualche misura non abbia
riguardato, in modo esplicito o implicito, il senso della presenza dei
sacerdoti nella comunità, il loro ruolo e la loro necessità per la Chiesa e per
la vita del mondo.
In questi anni più recenti e da più parti è
stata avvertita la necessità di ritornare sul tema del sacerdozio,
affrontandolo da un punto di vista relativamente nuovo e più adatto alle
presenti circostanze ecclesiali e culturali. L'attenzione si è spostata dal
problema dell'identità del prete ai problemi connessi con l'itinerario
formativo al sacerdozio e con la qualità di vita dei sacerdoti. In realtà le
nuove generazioni di chiamati al sacerdozio ministeriale presentano
caratteristiche notevolmente diverse rispetto a quelle dei loro immediati
predecessori e vivono in un mondo per tanti aspetti nuovo e in continua e
rapida evoluzione. E di tutto ciò non si può non tener conto nella
programmazione e nella realizzazione degli itinerari educativi al sacerdozio
ministeriale.
I sacerdoti poi, già inseriti da un tempo
più o meno lungo nell'esercizio del ministero, sembrano oggi soffrire di
eccessiva dispersione nelle sempre crescenti attività pastorali e, di fronte
alle difficoltà della società e della cultura contemporanea, si sentono
costretti a ripensare i loro stili di vita e le priorità degli impegni
pastorali, mentre avvertono sempre più la necessità di una formazione permanente.
Ora all'incremento delle vocazioni al
presbiterato, alla loro formazione perché i candidati conoscano e seguano Gesù
preparandosi a celebrare e a vivere il sacramento dell'Ordine che li configura
a Cristo Capo e Pastore, Servo e Sposo della Chiesa, all'individuazione di
itinerari di formazione permanente capaci di sostenere in modo realistico ed
efficace il ministero e la vita spirituale dei sacerdoti sono state dedicate le
preoccupazioni e le riflessioni del Sinodo dei Vescovi 1990.
Questo stesso Sinodo intendeva anche
rispondere a una richiesta fatta dal precedente Sinodo sulla vocazione e
missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. I laici stessi avevano sollecitato
l'impegno dei sacerdoti alla formazione per essere opportunamente aiutati nel
compimento della comune missione ecclesiale. E in realtà, « più si sviluppa
l'apostolato dei laici e più fortemente viene percepito il bisogno di avere dei
sacerdoti che siano ben formati. Così la vita stessa del popolo di Dio
manifesta l'insegnamento del Concilio Vaticano II sul rapporto tra sacerdozio
comune e sacerdozio ministeriale o gerarchico: infatti nel mistero della Chiesa
la gerarchia ha un carattere ministeriale.16 Più si approfondisce il senso
della vocazione propria dei laici, più si evidenzia ciò che è proprio del
sacerdozio ».17
4. Nell'esperienza ecclesiale tipica del
Sinodo, quella cioè di « una singolare esperienza di comunione episcopale
nell'universalità, che rafforza il senso della Chiesa universale, la
responsabilità dei Vescovi verso la Chiesa universale e la sua missione, in
comunione affettiva ed effettiva attorno a Pietro »,18 si è fatta sentire,
limpida ed accurata, la voce delle diverse Chiese particolari — e in
questo Sinodo, per la prima volta, di alcune Chiese dell'Est —, le Chiese hanno
proclamato la loro fede nel compimento della promessa di Dio: « Vi darò pastori
secondo il mio cuore »,19 e hanno rinnovato il loro impegno pastorale per la
cura delle vocazioni e per la formazione dei sacerdoti, nella consapevolezza
che da queste dipendono l'avvenire della Chiesa, il suo sviluppo e la sua
missione universale di salvezza.
Riprendendo ora il ricco patrimonio delle
riflessioni, degli orientamenti e delle indicazioni che hanno preparato e
accompagnato i lavori dei Padri sinodali, con questa Esortazione Apostolica
post-sinodale unisco alla loro la mia voce di Vescovo di Roma e di Successore
di Pietro e la rivolgo al cuore di tutti i fedeli e di ciascuno di essi, in
particolare al cuore dei sacerdoti e di quanti sono impegnati nel delicato ministero
della loro formazione. Sì, con tutti i sacerdoti e con ciascuno di
loro, sia diocesani sia religiosi, desidero incontrarmi mediante questa
Esortazione.
Con le labbra e il cuore dei Padri sinodali
faccio mie le parole e i sentimenti del « Messaggio finale del Sinodo al popolo
di Dio »: « Con animo riconoscente e pieno di ammirazione ci rivolgiamo a voi
che siete i nostri primi cooperatori nel servizio apostolico. La vostra opera
nella Chiesa è veramente necessaria e insostituibile. Voi sostenete il peso del
ministero sacerdotale e avete il contatto quotidiano con i fedeli. Voi siete i
ministri dell'Eucaristia, i dispensatori della misericordia divina nel
Sacramento della Penitenza, i consolatori delle anime, le guide dei fedeli
tutti nelle tempestose difficoltà della vita.
« Vi salutiamo con tutto il cuore, vi
esprimiamo la nostra gratitudine e vi esortiamo a perseverare in questa via con
animo lieto e pronto. Non cedete allo scoraggiamento. La nostra opera non è
nostra ma di Dio.
« Colui che ci ha chiamati e che ci ha
inviati rimane con noi per tutti i giorni della nostra vita. Noi infatti
operiamo per mandato di Cristo ».20
CAPITOLO
I
PRESO
FRA GLI UOMINI
5. « Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini,
viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio ».21
La Lettera agli Ebrei afferma chiaramente
l'« umanità » del ministro di Dio: egli viene dagli uomini ed è
al servizio degli uomini, imitando Gesù Cristo « lui stesso provato in ogni
cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato ».22
Dio chiama i suoi sacerdoti sempre da
determinati contesti umani ed ecclesiali, dai quali sono inevitabilmente
connotati e ai quali sono mandati per il servizio del Vangelo di Cristo.
Per questo il Sinodo ha contestualizzato
l'argomento dei sacerdoti, collocandolo nell'oggi della società e della Chiesa
e aprendolo alle prospettive del terzo millennio, come del resto risulta dalla
stessa formulazione del tema: « La formazione dei sacerdoti nelle circostanze
attuali ».
Certamente « c'è una fisionomia essenziale
del sacerdote che non muta: il sacerdote di domani infatti, non meno di quello
di oggi, dovrà assomigliare a Cristo. Quando viveva sulla terra, Gesù offrì in
se stesso il volto definitivo del presbitero, realizzando un sacerdozio
ministeriale di cui gli apostoli furono i primi ad essere investiti; esso è
destinato a durare, a riprodursi incessantemente in tutti i periodi della
storia. Il presbitero del terzo millennio sarà, in questo senso, il
continuatore dei presbiteri che, nei precedenti millenni, hanno animato la vita
della Chiesa. Anche nel Duemila la vocazione sacerdotale continuerà ad essere
la chiamata a vivere l'unico e permanente sacerdozio di Cristo ».23 Altrettanto
certamente la vita e il ministero del sacerdote devono anche « adattarsi a ogni
epoca e ad ogni ambiente di vita... Da parte nostra dobbiamo perciò cercare di
aprirci, per quanto possibile, alla superiore illuminazione dello Spirito
Santo, per scoprire gli orientamenti della società contemporanea, riconoscere i
bisogni spirituali più profondi, determinare i compiti concreti più importanti,
i metodi pastorali da adottare, e così rispondere in modo adeguato alle attese
umane ».24
Dovendo coniugare la permanente verità del
ministero presbiterale con le istanze e le caratteristiche dell'oggi, i Padri
Sinodali hanno cercato di rispondere ad alcune domande necessarie: quali
problemi e, nello stesso tempo, quali stimoli positivi l'attuale contesto
socio-culturale ed ecclesiale suscita nei ragazzi, negli adolescenti e nei
giovani che devono maturare, per tutta l'esistenza, un progetto di vita
sacerdotale? Quali difficoltà e quali nuove possibilità offre il nostro tempo
per l'esercizio di un ministero sacerdotale coerente col dono del Sacramento
ricevuto e con l'esigenza di una vita spirituale corrispondente?
Ripresento ora alcuni elementi dell'analisi
della situazione che i Padri sinodali hanno sviluppato, ben consapevole però
che la grande varietà delle circostanze socio-culturali ed ecclesiali presenti
nei diversi paesi consiglia di segnalare solo i fenomeni più profondi e più
diffusi, in particolare quelli che si rapportano ai problemi educativi e alla
formazione sacerdotale.
6. Molteplici fattori sembrano favorire
negli uomini d'oggi una più matura coscienza della dignità della persona e una
nuova apertura ai valori religiosi, al Vangelo e al ministero sacerdotale.
Nell'ambito della società troviamo,
nonostante tante contraddizioni, una più diffusa e forte sete di giustizia e di
pace, un senso più vivo della cura dell'uomo per il creato e per il rispetto
della natura, una ricerca più aperta della verità e della tutela della dignità
umana, l'impegno crescente, in molte fasce della popolazione mondiale, per una
più concreta solidarietà internazionale e per un nuovo ordine planetario, nella
libertà e nella giustizia. Cresce anche, mentre si sviluppa sempre più il
potenziale di energie offerto dalle scienze e dalle tecniche e si diffondono
l'informazione e la cultura, una nuova domanda etica, la domanda, cioè, di
senso e quindi di un'oggettiva scala di valori che permetta di stabilire le
possibilità e i limiti del progresso.
Nel campo più propriamente religioso e
cristiano, cadono pregiudizi ideologici e chiusure violente all'annuncio dei
valori spirituali e religiosi, mentre sorgono nuove e insperate possibilità per
l'evangelizzazione e la ripresa della vita ecclesiale in molte parti del mondo.
Si notano così una crescente diffusione della conoscenza delle Sacre Scritture;
una vitalità e forza espansiva di molte Chiese giovani con un ruolo sempre più
rilevante nella difesa e nella promozione dei valori della persona e della vita
umana; una splendida testimonianza del martirio da parte delle Chiese del
Centro-Est europeo, come anche della fedeltà e del coraggio di altre Chiese,
che ancora sono costrette a subire persecuzioni e tribolazioni per la fede.25
Il desiderio di Dio e di un rapporto vivo e
significativo con Lui si presenta oggi tanto forte da favorire, là dove manca
l'autentico e integrale annuncio del Vangelo di Gesù, la diffusione di forme di
religiosità senza Dio e di molteplici sette. La loro espansione, anche in
alcuni ambienti tradizionalmente cristiani, è sì per tutti i figli della
Chiesa, e per i sacerdoti in particolare, un costante motivo di esame di
coscienza sulla credibilità della loro testimonianza al Vangelo, ma insieme
anche un segno di quanto sia tuttora profonda e diffusa la ricerca di Dio.
7. Ma con questi e con altri fattori
positivi si trovano intrecciati molti elementi problematici o negativi.
Ancora molto diffuso si presenta il razionalismo,
che, in nome di una concezione riduttiva di scienza, rende insensibile la
ragione umana all'incontro con la Rivelazione e con la trascendenza divina.
È da registrarsi poi una difesa esasperata
della soggettività della persona, che tende a chiuderla
nell'individualismo, incapace di vere relazioni umane. Così molti, soprattutto
tra i ragazzi e i giovani, cercano di compensare questa solitudine con
surrogati di varia natura, con forme più o meno acute di edonismo, di fuga
dalle responsabilità; prigionieri dell'attimo fuggente, cercano di « consumare
» esperienze individuali il più possibile forti e gratificanti sul piano delle
emozioni e delle sensazioni immediate, trovandosi però inevitabilmente
indifferenti e come paralizzati di fronte all'appello di un progetto di vita
che includa una dimensione spirituale e religiosa e un impegno di solidarietà.
Si diffonde, inoltre, in ogni parte del
mondo, anche dopo la caduta delle ideologie che avevano fatto del materialismo
un dogma e del rifiuto della religione un programma, una sorta di ateismo
pratico ed esistenziale, che coincide con una visione secolarista della
vita e del destino dell'uomo. Quest'uomo « tutto occupato di sé, quest'uomo che
si fa non soltanto centro di ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione
di ogni realtà »,26 si trova sempre più impoverito di quel supplemento d'anima
che gli è tanto più necessario quanto più una larga disponibilità di beni
materiali e di risorse lo illude di autosufficienza. Non c'è più bisogno di
combattere Dio, si pensa di poter fare semplicemente a meno di lui.
In questo quadro, si devono notare, in
particolare, la disgregazione della realtà familiare e l'oscuramento o il
travisamento del vero senso della sessualità umana: sono fenomeni che
incidono in modo fortemente negativo sull'educazione dei giovani e sulla loro
disponibilità ad ogni vocazione religiosa. Si devono notare, inoltre,
l'aggravarsi delle ingiustizie sociali e il concentrarsi della ricchezza
nelle mani di pochi, come frutto di un capitalismo disumano,27 che allarga
sempre più la distanza tra popoli opulenti e popoli indigenti: vengono così
introdotte nella convivenza umana tensioni e inquietudini che turbano
profondamente la vita delle persone e delle comunità.
Anche nell'ambito ecclesiale, si registrano
fenomeni preoccupanti e negativi, che hanno diretto influsso sulla vita e sul
ministero dei sacerdoti. Così l'ignoranza religiosa che permane in molti
credenti; la scarsa incidenza della catechesi, soffocata dai più diffusi e più
suadenti messaggi dei mezzi di comunicazione di massa; il malinteso pluralismo
teologico, culturale e pastorale che, pur partendo a volte da buone intenzioni,
finisce per rendere difficile il dialogo ecumenico e per attentare alla
necessaria unità della fede; il persistere di un senso di diffidenza e quasi di
insofferenza per il magistero gerarchico; le spinte unilaterali e riduttive
della ricchezza del messaggio evangelico, che trasformano l'annuncio e la
testimonianza della fede in un esclusivo fattore di liberazione umana e sociale
oppure in un alienante rifugio nella superstizione e nella religiosità senza
Dio.28
Un fenomeno di grande rilievo, anche se
relativamente recente in molti paesi di antica tradizione cristiana, è la
presenza in uno stesso territorio di consistenti nuclei di razze diverse e di
diverse religioni. Si sviluppa così sempre più la società multirazziale e
multireligiosa. Se questo può essere occasione, da un lato, di un esercizio più
frequente e fruttuoso del dialogo, di un'apertura di mentalità, di esperienze
di accoglienza e di giusta tolleranza, dall'altro lato può essere causa di
confusione e di relativismo, soprattutto in persone e popolazioni dalla fede
meno matura.
A questi fattori, e in stretto collegamento
con la crescita dell'individualismo, si aggiunge il fenomeno della soggettivizzazione
della fede. Si registra cioè, da parte di un numero crescente di cristiani,
una minore sensibilità all'insieme globale ed oggettivo della dottrina della
fede, per un'adesione soggettiva a ciò che piace, che corrisponde alla propria
esperienza, che non scomoda le proprie abitudini. Anche l'appello
all'inviolabilità della coscienza individuale, in se stesso legittimo, non
manca di assumere, in questo contesto, pericolosi caratteri di ambiguità.
Di qui deriva anche il fenomeno delle appartenenze
alla Chiesa sempre più parziali e condizionate, che esercitano un influsso
negativo sul nascere di nuove vocazioni al sacerdozio, sulla stessa autocoscienza
del sacerdote e sul suo ministero nella comunità.
Infine, in molte realtà ecclesiali è, ancora
oggi, la scarsa presenza e disponibilità di forze sacerdotali a creare i
problemi più gravi. I fedeli sono spesso abbandonati per lunghi periodi, senza
adeguato sostegno pastorale: ne soffrono così la crescita della loro vita
cristiana nel suo complesso e, ancor più, la loro capacità di farsi
ulteriormente promotori di evangelizzazione.
8. Le numerose contraddizioni e potenzialità
di cui sono segnate le nostre società e culture e, nello stesso tempo, le
comunità ecclesiali sono percepite, vissute e sperimentate con una intensità
del tutto particolare dal mondo dei giovani, con ripercussioni immediate e
quanto mai incisive sul loro cammino educativo. In tal senso il sorgere e lo
svilupparsi della vocazione sacerdotale nei ragazzi, negli adolescenti e nei
giovani incontrano continuamente ad un tempo ostacoli e sollecitazioni.
Quanto mai forte è sui giovani il fascino
della cosiddetta « società dei consumi », che li fa succubi e prigionieri
di un'interpretazione individualista, materialista ed edonista dell'esistenza
umana. Il benessere materialmente inteso tende ad imporsi come unico ideale di
vita, un benessere da ottenersi a qualsiasi condizione e prezzo: di qui il
rifiuto di tutto ciò che sa di sacrificio e la rinuncia alla fatica di cercare
e di vivere i valori spirituali e religiosi. La « preoccupazione » esclusiva
per l'avere soppianta il primato dell'essere, con la conseguenza
di interpretare e di vivere i valori personali e interpersonali non secondo la
logica del dono e della gratuità, bensì secondo quella del possesso egoistico e
della strumentalizzazione dell'altro.
Questo si riflette, in particolare, sulla
visione della sessualità umana, che viene fatta decadere dalla sua dignità
di servizio alla comunione e alla donazione tra le persone per essere
semplicemente ricondotta ad un bene di consumo. Così l'esperienza affettiva di
molti giovani si risolve non in una crescita armoniosa e gioiosa della propria personalità
che si apre all'altro nel dono di sé, ma in una grave involuzione psicologica
ed etica, che non potrà non avere i suoi pesanti condizionamenti sul loro
domani.
Alla radice di queste tendenze si dà per non
pochi giovani un'esperienza distorta della libertà: lungi dall'essere
obbedienza alla verità oggettiva e universale, la libertà è vissuta come
assenso cieco alle forze istintive e alla volontà di potenza del singolo. Si
fanno allora in qualche modo naturali, sul piano della mentalità e del
comportamento, lo sgretolarsi del consenso intorno ai principii etici, e, sul
piano religioso, se non sempre il rifiuto esplicito di Dio, una larga
indifferenza e comunque una vita che, anche nei suoi momenti più significativi
e nelle sue scelte più decisive, viene vissuta come se Dio non esistesse. In un
simile contesto si fa difficile non solo la realizzazione ma la stessa
comprensione del senso di una vocazione al sacerdozio, che è una specifica
testimonianza del primato dell'essere sull'avere, è riconoscimento del senso
della vita come dono libero e responsabile di sé agli altri, come disponibilità
a porsi interamente al servizio del Vangelo e del Regno di Dio in quella
particolare forma.
Anche nell'ambito della comunità ecclesiale
il mondo dei giovani costituisce, non poche volte, un « problema ». In realtà,
se nei giovani, ancor più che negli adulti, sono presenti una forte tendenza
alla soggettivizzazione della fede cristiana e un'appartenenza solo parziale e
condizionata alla vita e alla missione della Chiesa, nella comunità ecclesiale
fatica, per una serie di ragioni, a decollare una pastorale giovanile
aggiornata e coraggiosa: i giovani rischiano di essere lasciati a se stessi, in
balìa della loro fragilità psicologica, insoddisfatti e critici di fronte ad un
mondo di adulti che, non vivendo in modo coerente e maturo la fede, non si
presentano loro come modelli credibili.
Si fa allora evidente la difficoltà di
proporre ai giovani un'esperienza integrale e coinvolgente di vita cristiana ed
ecclesiale e di educarli ad essa. Così la prospettiva della vocazione al
sacerdozio rimane lontana dagli interessi concreti e vivi dei giovani.
9. Non mancano però situazioni e stimoli
positivi, che suscitano e alimentano nel cuore degli adolescenti e dei giovani
una nuova disponibilità, nonché una vera e propria ricerca di valori etici e
spirituali, che per loro natura offrono il terreno propizio per un cammino
vocazionale verso il dono totale di sé a Cristo e alla Chiesa nel sacerdozio.
È da rilevare, anzitutto, come si siano
attenuati alcuni fenomeni, che in un recente passato avevano provocato non
pochi problemi, quali la contestazione radicale, le spinte libertarie, le
rivendicazioni utopiche, le forme indiscriminate di socializzazione, la violenza.
Si deve riconoscere, inoltre, che anche i
giovani d'oggi, con la forza e la freschezza tipiche dell'età, sono portatori
degli ideali che si fanno strada nella storia: la sete della libertà, il
riconoscimento del valore incommensurabile della persona, il bisogno
dell'autenticità e della trasparenza, un nuovo concetto e stile di reciprocità
nei rapporti tra uomo e donna, la ricerca convinta e appassionata di un mondo
più giusto, più solidale, più unito, l'apertura e il dialogo con tutti,
l'impegno per la pace.
Lo sviluppo, così ricco e vivace in tanti
giovani del nostro tempo, di numerose e varie forme di volontariato rivolto
alle situazioni più dimenticate e disagiate della nostra società, rappresenta
oggi una risorsa educativa particolarmente importante, perché stimola e
sostiene i giovani ad uno stile di vita più disinteressato e più aperto e
solidale con i poveri. Questo stile di vita può facilitare la comprensione, il
desiderio e l'accoglienza di una vocazione al servizio stabile e totale verso
gli altri anche sulla strada della piena consacrazione a Dio con una vita
sacerdotale.
Il recente crollo delle ideologie, il modo
fortemente critico di porsi di fronte al mondo degli adulti che non sempre
offrono una testimonianza di vita affidata a valori morali e trascendenti, la
stessa esperienza di compagni che cercano evasioni nella droga e nella
violenza, contribuiscono non poco a rendere più acuta ed ineludibile la
fondamentale domanda circa i valori che sono veramente capaci di dare pienezza
di significato alla vita, alla sofferenza e alla morte. In tanti giovani si
fanno più espliciti la domanda religiosa e il bisogno di spiritualità: di qui
il desiderio di esperienze di deserto e di preghiera, il ritorno ad una lettura
più personale e abituale della Parola di Dio e allo studio della teologia.
E come già nell'ambito del volontariato
sociale, così in quello della comunità ecclesiale i giovani si fanno sempre più
attivi e protagonisti, soprattutto con la partecipazione alle varie
aggregazioni, da quelle tradizionali ma rinnovate a quelle più recenti:
l'esperienza di una Chiesa « sollecitata alla nuova evangelizzazione » dalla
fedeltà allo Spirito che la anima e dalle esigenze del mondo lontano da Cristo
ma bisognoso di Lui, come pure l'esperienza di una Chiesa sempre più solidale
con l'uomo e con i popoli nella difesa e nella promozione della dignità
personale e dei diritti umani di tutti e di ciascuno aprono il cuore e la vita
dei giovani a ideali quanto mai affascinanti e impegnativi, che possono trovare
la loro concreta realizzazione nella sequela di Cristo e nel sacerdozio.
È naturale che da questa situazione umana ed
ecclesiale, caratterizzata da forte ambivalenza, non si potrà affatto
prescindere non solo nella pastorale delle vocazioni e nell'opera di formazione
dei futuri sacerdoti, ma anche nell'ambito della vita e del ministero dei
sacerdoti e della loro formazione permanente. Così, se si possono comprendere
le varie forme di « crisi » alle quali vanno soggetti i sacerdoti d'oggi
nell'esercizio del ministero, nella loro vita spirituale ed anche nella stessa
interpretazione della natura e del significato del sacerdozio ministeriale, si
devono pure registrare, con gioia e con speranza, le nuove possibilità positive
che il momento storico attuale offre ai sacerdoti per il compimento della loro
missione.
10. La complessa situazione attuale,
rapidamente evocata per cenni e in modo esemplificativo, chiede di essere non
solo conosciuta, ma anche e soprattutto interpretata. Solo così si potrà
rispondere in modo adeguato alla fondamentale domanda: Come formare sacerdoti
che siano veramente all'altezza di questi tempi, capaci di evangelizzare il
mondo di oggi?.29
È importante la conoscenza della
situazione. Non basta una semplice rilevazione dei dati; occorre un'indagine «
scientifica » con la quale delineare un quadro preciso e concreto delle reali
circostanze socio-culturali ed ecclesiali.
Ancor più importante è l'interpretazione della
situazione. Essa è richiesta dall'ambivalenza e talvolta dalla
contraddittorietà di cui è segnata la situazione, che registra profondamente
intrecciati tra loro difficoltà e potenzialità, elementi negativi e ragioni di
speranza, ostacoli e aperture, come il campo evangelico nel quale sono seminati
e « convivono » il buon grano e la zizzania.30
Non è sempre facile una lettura
interpretativa, che sappia distinguere tra bene e male, tra segni di speranza e
minacce. Nella formazione dei sacerdoti non si tratta solo e semplicemente di
accogliere i fattori positivi e di contrastare frontalmente quelli negativi. Si
tratta di sottoporre gli stessi fattori positivi ad attento discernimento,
perché non si isolino l'uno dall'altro e non vengano in contrasto tra loro,
assolutizzandosi e combattendosi a vicenda. Altrettanto si dica dei fattori
negativi: non sono da respingere in blocco e senza distinzioni, perché in
ciascuno di essi può nascondersi un qualche valore, che attende di essere
liberato e ricondotto alla sua verità piena.
Per il credente l'interpretazione della
situazione storica trova il principio conoscitivo e il criterio delle scelte
operative conseguenti in una realtà nuova e originale, ossia nel discernimento
evangelico; è l'interpretazione che avviene nella luce e nella forza del
Vangelo, del Vangelo vivo e personale che è Gesù Cristo, e con il dono dello
Spirito Santo. In tal modo il discernimento evangelico coglie nella situazione
storica e nelle sue vicende e circostanze non un semplice « dato » da
registrare con precisione, di fronte al quale è possibile rimanere
nell'indifferenza o nella passività, bensì un « compito », una sfida alla
libertà responsabile sia della singola persona che della comunità. È una «
sfida » che si collega ad un « appello », che Dio fa risuonare nella stessa
situazione storica: anche in essa e attraverso di essa Dio chiama il credente,
e prima ancora la Chiesa, a far sì che « il Vangelo della vocazione e del
sacerdozio » esprima la sua verità perenne nelle mutevoli circostanze della
vita. Anche alla formazione dei sacerdoti sono da applicarsi le parole del Concilio
Vaticano II: « È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e
di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ogni
generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso
della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto. Bisogna infatti
conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo nonché le sue attese, le sue
aspirazioni e la sua indole spesso drammatiche ».31
Questo discernimento evangelico si fonda
sulla fiducia nell'amore di Gesù Cristo, che sempre e instancabilmente si
prende cura della sua Chiesa,32 Lui che è il Signore e il Maestro, chiave di
volta, centro e fine di tutta la storia umana;33 si nutre della luce e della
forza dello Spirito Santo, che suscita ovunque e in ogni circostanza
l'obbedienza della fede, il coraggio gioioso della sequela di Gesù, il dono
della sapienza che tutto giudica e non è giudicata da nessuno;34 riposa sulla
fedeltà del Padre alle sue promesse.
In questo modo la Chiesa sente di poter
affrontare le difficoltà e le sfide di questo nuovo periodo della storia e di
poter assicurare anche per il presente e per il futuro sacerdoti ben formati,
che siano convinti e ferventi ministri della « nuova evangelizzazione »,
servitori fedeli e generosi di Gesù Cristo e degli uomini.
Non ci nascondiamo le difficoltà. Non sono
né poche né leggere. Ma a vincerle sono la nostra speranza, la nostra fede
nell'indefettibile amore di Cristo, la nostra certezza della insostituibilità
del ministero sacerdotale per la vita della Chiesa e del mondo.
CAPITOLO
II
MI
HA CONSACRATO CON L'UNZIONE E MI HA MANDATO
La natura e la missione del sacerdozio ministeriale
11. « Gli occhi di tutti nella sinagoga
stavano fissi sopra di lui ».35 Quanto dice l'evangelista Luca di coloro che erano
presenti quel sabato nella sinagoga di Nazareth in ascolto del commento, che
Gesù avrebbe fatto del rotolo del profeta Isaia da lui stesso letto, può
applicarsi a tutti i cristiani, sempre chiamati a riconoscere in Gesù di
Nazareth il definitivo compimento dell'annuncio profetico: « Allora cominciò a
dire: "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i
vostri orecchi" ».36 E la « scrittura » era questa: « Lo Spirito del
Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha
mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai
prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli
oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore ».37 Gesù, dunque, si
autopresenta come ripieno di Spirito, « consacrato con l'unzione », « mandato
per annunziare ai poveri un lieto messaggio »: è il Messia, il Messia
sacerdote, profeta e re.
È questo il volto di Cristo sul quale gli
occhi della fede e dell'amore dei cristiani devono stare fissi. Proprio a
partire da e in riferimento a questa « contemplazione » i Padri sinodali hanno
riflettuto sul problema della formazione dei sacerdoti nelle circostanze
attuali. Tale problema non può trovare risposta senza una previa riflessione
sulla meta alla quale è ordinato il cammino formativo: la meta è il sacerdozio
ministeriale, più precisamente il sacerdozio ministeriale come partecipazione
nella Chiesa del sacerdozio stesso di Gesù Cristo. La conoscenza della natura e
della missione del sacerdozio ministeriale è il presupposto irrinunciabile, e
nello stesso tempo la guida più sicura e lo stimolo più incisivo, per
sviluppare nella Chiesa l'azione pastorale di promozione e di discernimento
delle vocazioni sacerdotali e di formazione dei chiamati al ministero ordinato.
La retta e approfondita conoscenza della
natura e della missione del sacerdozio ministeriale è la via da seguire, e il
Sinodo di fatto l'ha seguita, per uscire dalla crisi sull'identità del
sacerdote: « Questa crisi — dicevo nel Discorso al termine del Sinodo — era
nata negli anni immediatamente successivi al Concilio. Si fondava su un'errata
comprensione, talvolta persino volutamente tendenziosa, della dottrina del
magistero conciliare. Qui indubbiamente sta una delle cause del gran numero di
perdite subite allora dalla Chiesa, perdite che hanno gravemente colpito il
servizio pastorale e le vocazioni al sacerdozio, in particolare le vocazioni
missionarie. È come se il Sinodo del 1990, riscoprendo, attraverso tanti
interventi che abbiamo ascoltato in quest'aula, tutta la profondità
dell'identità sacerdotale, fosse venuto a infondere la speranza dopo queste
perdite dolorose. Questi interventi hanno manifestato la coscienza del legame
ontologico specifico che unisce il sacerdote a Cristo, Sommo Sacerdote e Buon
Pastore. Questa identità sottende alla natura della formazione che deve essere
impartita in vista del sacerdozio, e quindi lungo tutta la vita sacerdotale.
Era questo lo scopo proprio del Sinodo ».38
Per questo il Sinodo ha ritenuto necessario
richiamare, in modo sintetico e fondamentale, la natura e la missione del
sacerdozio ministeriale, così come la fede della Chiesa le ha riconosciute
lungo i secoli della sua storia e come il Concilio Vaticano II le ha
ripresentate agli uomini del nostro tempo.39
12. « L'identità sacerdotale — hanno scritto
i Padri sinodali —, come ogni identità cristiana, ha la sua fonte nella
Santissima Trinità »,40 che si rivela e si autocomunica agli uomini in Cristo,
costituendo in Lui e per mezzo dello Spirito la Chiesa come « germe e inizio
del Regno ».41 L'Esortazione « Christifideles Laici », sintetizzando
l'insegnamento conciliare, presenta la Chiesa come mistero, comunione e
missione: essa « è mistero perché l'amore e la vita del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a
quanti sono nati dall'acqua e dallo Spirito,42 chiamati a rivivere la
comunione stessa di Dio e a manifestarla e comunicarla nella storia (missione)
».43
È all'interno del mistero della Chiesa, come
mistero di comunione trinitaria in tensione missionaria, che si rivela ogni
identità cristiana, e quindi anche la specifica identità del sacerdote e del
suo ministero. Il presbitero, infatti, in forza della consacrazione che riceve
con il sacramento dell'Ordine, è mandato dal Padre, per mezzo di Gesù Cristo,
al quale come Capo e Pastore del suo popolo è configurato in modo speciale, per
vivere e operare nella forza dello Spirito Santo a servizio della Chiesa e per
la salvezza del mondo.44
Si può così comprendere la connotazione
essenzialmente « relazionale » dell'identità del presbitero: mediante il
sacerdozio, che scaturisce dalle profondità dell'ineffabile mistero di Dio,
ossia dall'amore del Padre, dalla grazia di Gesù Cristo e dal dono dell'unità
dello Spirito Santo, il presbitero è inserito sacramentalmente nella comunione
con il Vescovo e con gli altri presbiteri,45 per servire il Popolo di Dio che è
la Chiesa e attrarre tutti a Cristo, secondo la preghiera del Signore: « Padre
santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa
sola, come noi... Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi
una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato ».46
Non si può allora definire la natura e la
missione del sacerdozio ministeriale, se non in questa molteplice e ricca trama
di rapporti, che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella
comunione della Chiesa, come segno e strumento, in Cristo, dell'unione con Dio
e dell'unità di tutto il genere umano.47 In questo contesto l'ecclesiologia di
comunione diventa decisiva per cogliere l'identità del presbitero, la sua
originale dignità, la sua vocazione e missione nel Popolo di Dio e nel mondo.
Il riferimento alla Chiesa è, perciò, necessario, anche se non prioritario nella
definizione dell'identità del presbitero. In quanto mistero, infatti, la
Chiesa è essenzialmente relativa a Gesù Cristo: di Lui, infatti, è la
pienezza, il corpo, la sposa. È il « segno » e il « memoriale » vivo della sua
permanente presenza e azione fra noi e per noi. Il presbitero trova la verità
piena della sua identità nell'essere una derivazione, una partecipazione
specifica ed una continuazione di Cristo stesso, sommo e unico sacerdote della
nuova ed eterna Alleanza: egli è un'immagine viva e trasparente di Cristo
sacerdote. Il sacerdozio di Cristo, espressione della sua assoluta « novità »
nella storia della salvezza, costituisce la fonte unica e il paradigma
insostituibile del sacerdozio del cristiano e, in specie, del presbitero. Il
riferimento a Cristo è allora la chiave assolutamente necessaria per la
comprensione delle realtà sacerdotali.
13. Gesù Cristo ha manifestato in se stesso
il volto perfetto e definitivo del sacerdozio della nuova Alleanza:48 questo ha
fatto in tutta la sua vita terrena, ma soprattutto nell'evento centrale della
sua passione, morte e risurrezione.
Come scrive l'autore della Lettera agli
Ebrei, Gesù, essendo uomo come noi e insieme il Figlio unigenito di Dio, è nel
suo stesso essere mediatore perfetto tra il Padre e l'umanità,49 Colui che ci
dischiude l'accesso immediato a Dio, grazie al dono dello Spirito: « Dio ha
mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo che grida: Abbà, Padre! ».50
Gesù porta a piena attuazione il suo essere
mediatore attraverso l'offerta di Se stesso sulla croce, con la quale ci apre,
una volta per tutte, l'accesso al santuario celeste, alla casa del Padre.51 Al
confronto di Gesù, Mosè e tutti i mediatori dell'Antico Testamento tra Dio e il
suo popolo — i re, i sacerdoti e i profeti — si presentano solo come figure ed
ombre dei beni futuri e non come la realtà stessa.52
Gesù è il Buon Pastore preannunciato,53
Colui che conosce le sue pecore una ad una, che offre la sua vita per loro e
che tutti vuol raccogliere in un solo gregge con un solo pastore.54 È il
pastore venuto « non per essere servito, ma per servire »,55 che, nell'atto
pasquale della lavanda dei piedi,56 lascia ai suoi il modello del servizio che
dovranno avere gli uni verso gli altri e che si offre liberamente come agnello
innocente immolato per la nostra redenzione.57
Con l'unico e definitivo sacrificio della
croce, Gesù comunica a tutti i suoi discepoli la dignità e la missione di
sacerdoti della nuova ed eterna Alleanza. Si adempie così la promessa che Dio
ha fatto a Israele: « Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione
santa ».58 È tutto il popolo della nuova Alleanza — scrive San Pietro — ad
essere costituito come « un edificio spirituale », « un sacerdozio santo, per
offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo ».59 Sono i
battezzati le « pietre vive », che costruiscono l'edificio spirituale
stringendosi a Cristo « pietra viva... scelta e preziosa davanti a Dio ».60 Il
nuovo popolo sacerdotale che è la Chiesa, non solo ha in Cristo la propria
autentica immagine, ma anche da Lui riceve una partecipazione reale e
ontologica al suo eterno e unico sacerdozio, al quale deve conformarsi con
tutta la sua vita.
14. A servizio di questo sacerdozio
universale della nuova Alleanza, Gesù chiama a sé, nel corso della sua missione
terrena, alcuni discepoli 61 e con un mandato specifico e autorevole chiama e
costituisce i Dodici, affinché « stessero con lui e anche per mandarli a
predicare, e perché avessero il potere di scacciare i demoni ».62
Per questo, già durante il suo ministero
pubblico 63 e poi in pienezza dopo la morte e risurrezione,64 Gesù conferisce a
Pietro e ai Dodici poteri del tutto particolari nei confronti della futura
comunità e per l'evangelizzazione di tutte le genti. Dopo averli chiamati alla
sua sequela, li tiene accanto a sé e vive con loro, impartendo con l'esempio e
con la parola il suo insegnamento di salvezza e, infine, li manda a tutti gli
uomini. E per il compimento di questa missione Gesù conferisce agli apostoli,
in virtù di una specifica effusione pasquale dello Spirito Santo, la stessa
autorità messianica che gli viene dal Padre e che gli è conferita in pienezza
con la risurrezione: « Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate
dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho
comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo ».65
Gesù stabilisce così uno stretto
collegamento tra il ministero affidato agli apostoli e la sua propria missione:
« Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha
mandato »;66 « Chi ascolta voi ascolta me, chi di- sprezza voi disprezza me. E
chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato ».67 Anzi, il quarto
vangelo, nella luce dell'evento pasquale della morte e della risurrezione,
afferma con grande forza e chiarezza: « Come il Padre ha mandato me, così io
mando voi ».68 Come Gesù ha una missione che gli viene direttamente da Dio e
che concretizza l'autorità stessa di Dio,69 così gli apostoli hanno una
missione che viene loro da Gesù. E come « il Figlio non può fare nulla da se
stesso »,70 sicché la sua dottrina non è sua ma di colui che lo ha mandato,71 così
agli apostoli Gesù dice: « Senza di me non potete far nulla »:72 la loro
missione non è loro, ma è la stessa missione di Gesù. E ciò è possibile non a
partire dalle forze umane, ma solo con il « dono » di Cristo e del suo Spirito,
con il « sacramento »: « Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati
saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi ».73 Così,
non per qualche loro merito particolare, ma soltanto per la gratuita
partecipazione alla grazia di Cristo, gli apostoli prolungano nella storia,
sino alla consumazione dei tempi, la stessa missione di salvezza di Gesù a
favore degli uomini.
Segno e presupposto dell'autenticità e della
fecondità di questa missione è l'unità degli apostoli con Gesù e, in Lui, tra
di loro e col Padre, come testimonia la preghiera sacerdotale del Signore,
sintesi della sua missione.74
15. A loro volta, gli apostoli costituiti
dal Signore assolveranno via via alla loro missione chiamando, in forme diverse
ma alla fine convergenti, altri uomini, come Vescovi, come presbiteri e come
diaconi, per adempiere al mandato di Gesù risorto che li ha inviati a tutti gli
uomini di tutti i tempi.
Il Nuovo Testamento è unanime nel
sottolineare che è lo stesso Spirito di Cristo a introdurre nel ministero
questi uomini, scelti di mezzo ai fratelli. Attraverso il gesto
dell'imposizione delle mani,75 che trasmette il dono dello Spirito, essi sono
chiamati e abilitati a continuare lo stesso ministero di riconciliare, di
pascere il gregge di Dio e di insegnare.76
Pertanto i presbiteri sono chiamati a
prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore, attualizzando il suo
stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza in mezzo al gregge loro
affidato. Come scrive in modo chiaro e preciso la prima Lettera di Pietro: «
Esorto i presbiteri che sono tra voi, quale com-presbitero,
testimone della sofferenza di Cristo e partecipe della gloria che deve
manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non
per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo:
non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del
gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria
che non appassisce ».77
I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa,
una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano
autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della
salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l'Eucaristia, ne esercitano
l'amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che
raccolgono nell'unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito.
In una parola, i presbiteri esistono ed agiscono per l'annuncio del Vangelo al
mondo e per l'edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo Capo e
Pastore.78
Questo è il modo tipico e proprio con il
quale i ministri ordinati partecipano all'unico sacerdozio di Cristo. Lo
Spirito Santo mediante l'unzione sacramentale dell'Ordine li configura, ad un
titolo nuovo e specifico, a Gesù Cristo Capo e Pastore, li conforma ed anima
con la sua carità pastorale e li pone nella Chiesa nella condizione autorevole
di servi dell'annuncio del Vangelo ad ogni creatura e di servi della pienezza
della vita cristiana di tutti i battezzati.
La verità del presbitero quale emerge dalla
Parola di Dio, ossia da Gesù Cristo stesso e dal suo disegno costitutivo della
Chiesa, viene così cantata con gioiosa gratitudine dalla Liturgia nel Prefazio
della Messa del Crisma: « Con l'unzione dello Spirito Santo hai costituito il
Cristo tuo Figlio Pontefice della nuova ed eterna alleanza, e hai voluto che il
suo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa. Egli comunica il sacerdozio
regale a tutto il popolo dei redenti, e con affetto di predilezione sceglie
alcuni tra i fratelli che mediante l'imposizione delle mani fa partecipi del
suo ministero di salvezza. Tu vuoi che nel suo nome rinnovino il sacrificio
redentore, preparino ai tuoi figli la mensa pasquale, e, servi premurosi del
tuo popolo, lo nutrano con la tua parola e lo santifichino con i sacramenti. Tu
proponi loro come modello il Cristo, perché, donando la vita per te e per i
fratelli, si sforzino di conformarsi all'immagine del tuo Figlio, e rendano
testimonianza di fedeltà e di amore generoso ».
16. Il sacerdote ha come sua relazione
fondamentale quella con Gesù Cristo Capo e Pastore: egli, infatti, partecipa,
in modo specifico e autorevole, alla « consacrazioneunzione » e alla « missione
» di Cristo.79 Ma, intimamente intrecciata con questa relazione, sta quella con
la Chiesa. Non si tratta di « relazioni » semplicemente accostate tra loro, ma
interiormente unite in una specie di mutua immanenza. Il riferimento alla
Chiesa è iscritto nell'unico e medesimo riferimento del sacerdote a Cristo, nel
senso che è la « rappresentanza sacramentale » di Cristo a fondare e ad animare
il riferimento del sacerdote alla Chiesa.
In questo senso i Padri sinodali hanno
scritto: « In quanto rappresenta Cristo capo, pastore e sposo della Chiesa, il
sacerdote si pone non soltanto nella Chiesa ma anche di fronte alla
Chiesa. Il sacerdozio, unitamente alla Parola di Dio e ai segni
sacramentali di cui è al servizio, appartiene agli elementi costitutivi della
Chiesa. Il ministero del presbitero è totalmente a favore della Chiesa; è per
la promozione dell'esercizio del sacerdozio comune di tutto il popolo di Dio; è
ordinato non solo alla Chiesa particolare, ma anche alla Chiesa universale,80
in comunione con il Vescovo, con Pietro e sotto Pietro. Mediante il sacerdozio
del Vescovo, il sacerdozio di secondo ordine è incorporato nella struttura
apostolica della Chiesa. Così il presbitero come gli apostoli funge da
ambasciatore per Cristo.81 In questo si fonda l'indole missionaria di ogni
sacerdote ».82
Il ministero ordinato sorge dunque con la
Chiesa ed ha nei Vescovi, e in riferimento e comunione con essi nei presbiteri,
un particolare rapporto al ministero originario degli apostoli, al quale
realmente succede, anche se rispetto ad esso assume modalità diverse di esistenza.
Non si deve allora pensare al sacerdozio
ordinato come se fosse anteriore alla Chiesa, perché è totalmente al servizio
della Chiesa stessa; ma neppure come se fosse posteriore alla comunità
ecclesiale, quasi che questa possa essere concepita come già costituita senza
tale sacerdozio.
La relazione del sacerdote con Gesù Cristo
e, in Lui, con la sua Chiesa si situa nell'essere stesso del sacerdote,
in forza della sua consacrazioneunzione sacramentale, e nel suo agire,
ossia nella sua missione o ministero. In particolare « il sacerdote ministro è
servitore di Cristo presente nella Chiesa mistero, comunione e missione.
Per il fatto di partecipare all'"unzione" e alla "missione"
di Cristo, egli può prolungare nella Chiesa la sua preghiera, la sua parola, il
suo sacrificio, la sua azione salvifica. È dunque servitore della Chiesa
mistero perché attua i segni ecclesiali e sacramentali della presenza di
Cristo risorto. È servitore della Chiesa comunione perché — unito al
Vescovo e in stretto rapporto con il presbiterio — costruisce l'unità della
comunità ecclesiale nell'armonia delle diverse vocazioni, carismi e servizi. È,
infine, servitore della Chiesa missione perché rende la comunità
annunciatrice e testimone del Vangelo ».83
Così, per la sua stessa natura e missione
sacramentale, il sacerdote appare, nella struttura della Chiesa, come segno
della priorità assoluta e della gratuità della grazia, che alla Chiesa viene
donata dal Cristo risorto. Per mezzo del sacerdozio ministeriale la Chiesa
prende coscienza, nella fede, di non essere da se stessa, ma dalla grazia di
Cristo nello Spirito Santo. Gli apostoli e i loro successori, quali detentori
di un'autorità che viene loro da Cristo Capo e Pastore, sono posti — col loro
ministero — di fronte alla Chiesa come prolungamento visibile e segno
sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di fronte alla Chiesa e al mondo,
come origine permanente e sempre nuova della salvezza, « lui che è il salvatore
del suo corpo ».84
17. Il ministero ordinato, in forza della
sua stessa natura, può essere adempiuto solo in quanto il presbitero è unito
con Cristo mediante l'inserimento sacramentale nell'ordine presbiterale e
quindi in quanto è nella comunione gerarchica con il proprio Vescovo. Il
ministero ordinato ha una radicale « forma comunitaria » e può essere
assolto solo come « un'opera collettiva ».85 Su questa natura comunionale del
sacerdozio si è soffermato a lungo il Concilio,86 esaminando distintamente il
rapporto del presbitero con il proprio Vescovo, con gli altri presbiteri e con
i fedeli laici.
Il ministero dei presbiteri è innanzi tutto
comunione e collaborazione responsabile e necessaria al ministero del Vescovo,
nella sollecitudine per la Chiesa universale e per le singole Chiese
particolari, a servizio delle quali essi costituiscono con il Vescovo un unico
presbiterio.
Ciascun sacerdote, sia diocesano che
religioso, è unito agli altri membri di questo presbiterio, sulla base del
sacramento dell'Ordine, da particolari vincoli di carità apostolica, di
ministero e di fraternità. Tutti i presbiteri infatti, sia diocesani sia
religiosi, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo Capo e Pastore, «
lavorano per la stessa causa, cioè per l'edificazione del corpo di Cristo, la
quale esige molteplici funzioni e nuovi adattamenti, soprattutto in questi
tempi »,87 e si arricchisce nel corso dei secoli di sempre nuovi carismi.
I presbiteri, infine, poiché la loro figura
e il loro compito nella Chiesa non sostituiscono, bensì promuovono il
sacerdozio battesimale di tutto il popolo di Dio, conducendolo alla sua piena
attuazione ecclesiale, si trovano in relazione positiva e promovente con i
laici. Della loro fede, speranza e carità sono al servizio. Ne riconoscono e
sostengono, come fratelli ed amici, la dignità di figli di Dio e li aiutano ad
esercitare in pienezza il loro ruolo specifico nell'ambito della missione della
Chiesa.88
Il sacerdozio ministeriale conferito dal
sacramento dell'Ordine e quello comune o « regale » dei fedeli, che
differiscono tra loro per essenza e non solo per grado,89 sono tra loro
coordinati, derivando entrambi — in forme diverse — dall'unico sacerdozio di
Cristo. Il sacerdozio ministeriale, infatti, non significa di per sé un
maggiore grado di santità rispetto al sacerdozio comune dei fedeli; ma,
attraverso di esso, ai presbiteri è dato da Cristo nello Spirito un particolare
dono, perché possano aiutare il Popolo di Dio ad esercitare con fedeltà e
pienezza il sacerdozio comune che gli è conferito.90
18. Come sottolinea il Concilio, « il dono
spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara a
una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione
di salvezza sino agli ultimi confini della terra, dato che qualunque ministero
sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata
da Cristo agli apostoli ».91 Per la natura stessa del loro ministero, essi
debbono dunque essere penetrati e animati di un profondo spirito missionario e
« di quello spirito veramente cattolico che li abitua a guardare oltre i
confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro alle
necessità della Chiesa intera, pronti nel loro animo a predicare dovunque il
Vangelo ».92
Inoltre, proprio perché all'interno della
vita della Chiesa è l'uomo della comunione, il presbitero dev'essere, nel
rapporto con tutti gli uomini, l'uomo della missione e del dialogo.
Profondamente radicato nella verità e nella carità di Cristo, e animato dal
desiderio e dall'imperativo di annunciare a tutti la sua salvezza, egli è chiamato
a intessere rapporti di fraternità, di servizio, di comune ricerca della
verità, di promozione della giustizia e della pace, con tutti gli uomini. In
primo luogo con i fratelli delle altre Chiese e confessioni cristiane; ma anche
con i fedeli delle altre religioni; con gli uomini di buona volontà, in special
modo con i poveri e i più deboli, e con tutti coloro che anelano, anche senza
saperlo ed esprimerlo, alla verità e alla salvezza di Cristo, secondo la parola
di Gesù che ha detto: « Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i
malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori ».93
Oggi, in particolare, il prioritario compito
pastorale della nuova evangelizzazione, che investe tutto il Popolo di Dio e
postula un nuovo ardore, nuovi metodi e una nuova espressione per l'annuncio e
la testimonianza del Vangelo, esige dei sacerdoti radicalmente e integralmente
immersi nel mistero di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile di vita
pastorale, segnato dalla profonda comunione con il Papa, i Vescovi e tra di
loro, e da un feconda collaborazione con i fedeli laici, nel rispetto e nella
promozione dei diversi ruoli, carismi e ministeri all'interno della comunità
ecclesiale.94
« Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi
avete udita con i vostri orecchi ».95 Ascoltiamo, ancora una volta, queste
parole di Gesù, alla luce del sacerdozio ministeriale che abbiamo presentato
nella sua natura e missione. L'« oggi » di cui parla Gesù, proprio perché
appartiene alla « pienezza del tempo », ossia al tempo della salvezza piena e
definitiva, indica il tempo della Chiesa. La consacrazione e la missione di
Cristo: « Lo Spirito del Signore... mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha
mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio... »,96 sono la radice viva
da cui germogliano la consacrazione e la missione della Chiesa, « pienezza » di
Cristo:97 con la rigenerazione battesimale, su tutti i credenti si effonde lo
Spirito del Signore, che li consacra a formare un tempio spirituale e un
sacerdozio santo e li manda a far conoscere i prodigi di Colui che dalle
tenebre li ha chiamati all'ammirabile sua luce.98 Il presbitero partecipa
alla consacrazione e alla missione di Cristo in modo specifico e autorevole,
ossia mediante il sacramento dell'Ordine, in virtù del quale è configurato nel
suo essere a Gesù Cristo Capo e Pastore e condivide la missione di « annunciare
ai poveri un lieto messaggio » nel nome e nella persona di Cristo stesso.
Nel loro Messaggio finale i Padri sinodali
hanno compendiato in poche ma quanto mai ricche parole la « verità », meglio,
il « mistero » e il « dono » del sacerdozio ministeriale, dicendo: « La nostra
identità ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre. Al Figlio da Lui
mandato, Sacerdote Sommo e buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con il
sacerdozio ministeriale per l'azione dello Spirito Santo. La vita e il
ministero del sacerdote sono continuazione della vita e dell'azione dello
stesso Cristo. Questa è la nostra identità, la nostra vera dignità, la sorgente
della nostra gioia, la certezza della nostra vita ».99
CAPITOLO
III
LO
SPIRITO DEL SIGNORE E' SOPRA DI ME
La vita spirituale del sacerdote
19. « Lo Spirito del Signore è sopra di me
».100 Lo Spirito non sta semplicemente « sopra » il Messia, ma lo « riempie »,
lo penetra, lo raggiunge nel suo essere ed operare. Lo Spirito, infatti, è il
principio della « consacrazione » e della « missione » del Messia: « per questo
mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto
messaggio... ».101 In forza dello Spirito, Gesù appartiene totalmente ed
esclusivamente a Dio, partecipa all'infinita santità di Dio che lo chiama, lo
elegge e lo manda. Così lo Spirito del Signore si rivela fonte di santità e
appello alla santificazione.
Questo stesso « Spirito del Signore » è «
sopra » l'intero popolo di Dio, che viene costituito come popolo « consacrato »
a Dio e da Dio « mandato » per l'annuncio del Vangelo che salva. Dallo Spirito
i membri del Popolo di Dio sono « inebriati » e « segnati » 102 e chiamati alla
santità.
In particolare, lo Spirito ci rivela e ci
comunica la vocazione fondamentale che il Padre dall'eternità rivolge a
tutti: la vocazione ad essere « santi e immacolati al suo cospetto nella
carità », in virtù della predestinazione « a essere suoi figli adottivi per
opera di Gesù Cristo ».103 Non solo. Rivelandoci e comunicandoci questa
vocazione, lo Spirito si fa in noi principio e risorsa della sua
realizzazione: lui, lo Spirito del Figlio,104 ci conforma a Cristo Gesù e ci
rende partecipi della sua vita filiale, ossia della sua carità verso il Padre e
verso i fratelli. « Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo
Spirito ».105 Con queste parole l'apostolo Paolo ci ricorda che l'esistenza
cristiana è « vita spirituale », ossia vita animata e guidata dallo Spirito
verso la santità o perfezione della carità.
L'affermazione del Concilio: « Tutti i
fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita
cristiana e alla perfezione della carità » 106 trova una sua particolare
applicazione per i presbiteri: essi sono chiamati non solo in quanto
battezzati, ma anche e specificamente in quanto presbiteri, ossia ad un titolo
nuovo e con modalità originali, derivanti dal sacramento dell'Ordine.
20. Della « vita spirituale » dei presbiteri
e del dono e della responsabilità di divenire « santi » il Decreto conciliare
sul ministero e sulla vita sacerdotale ci offre una sintesi quanto mai ricca e
stimolante: « Con il sacramento dell'Ordine i presbiteri si configurano a
Cristo sacerdote come ministri del Capo, allo scopo di far crescere ed
edificare tutto il Corpo che è la Chiesa, in qualità di cooperatori dell'ordine
episcopale. Già fin dalla consacrazione del Battesimo, essi, come tutti i
fedeli, hanno ricevuto il segno e il dono di una vocazione e di una grazia così
grande che, pur nell'umana debolezza, possono e devono tendere alla perfezione,
secondo quanto ha detto il Signore: "Siate dunque perfetti così come il
Padre vostro celeste è perfetto".107 Ma i sacerdoti sono specialmente
obbligati a tendere a questa perfezione, poiché essi — che hanno ricevuto una
nuova consacrazione a Dio mediante l'ordinazione — vengono elevati alla
condizione di strumenti vivi di Cristo eterno Sacerdote, per proseguire nel
tempo la sua mirabile opera, che ha reintegrato con divina efficacia l'intero
genere umano. Dato quindi che ogni sacerdote, nel modo che gli è proprio,
agisce a nome e nella persona di Cristo stesso, fruisce anche di una grazia
speciale, in virtù della quale, mentre è al servizio della gente che gli è
affidata e di tutto il Popolo di Dio, egli può avvicinarsi più efficacemente
alla perfezione di Colui del quale è rappresentante, e l'umana debolezza della
carne viene sanata dalla santità di Lui, il quale è fatto per noi pontefice
"santo, innocente, incontaminato, segregato dai peccatori" 108 ».109
Il Concilio afferma, anzitutto, la vocazione
« comune » alla santità. Questa vocazione si radica nel Battesimo, che
caratterizza il presbitero come un « fedele » (Christifidelis), come «
fratello tra fratelli », inserito e unito con il Popolo di Dio, nella gioia di
condividere i doni della salvezza 110 e nell'impegno comune di camminare «
secondo lo Spirito », seguendo l'unico Maestro e Signore. Ricordiamo la celebre
parola di Sant'Agostino: « Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello
è nome di un ufficio assunto, questo di grazia; quello è nome di pericolo,
questo di salvezza ».111
Con identica chiarezza il testo conciliare
parla anche di una vocazione « specifica » alla santità, più
precisamente di una vocazione che si fonda sul sacramento dell'Ordine, quale
sacramento proprio e specifico del sacerdote, in forza dunque di una nuova
consacrazione a Dio mediante l'ordinazione. A questa vocazione specifica allude
ancora Sant'Agostino, che all'affermazione « Per voi sono vescovo, con voi sono
cristiano », fa seguire queste altre parole: « Se dunque mi è causa di maggior
gioia l'essere stato con voi riscattato che l'esservi posto a capo, seguendo il
comando del Signore, mi dedicherò col massimo impegno a servirvi, per non
essere ingrato a chi mi ha riscattato con quel prezzo che mi ha fatto vostro
conservo ».112
Il testo del Concilio procede oltre
segnalando alcuni elementi necessari a definire il contenuto della « specificità
» della vita spirituale dei presbiteri. Sono elementi che si connettono con la
« consacrazione » propria dei presbiteri, che li configura a Gesù Cristo Capo e
Pastore della Chiesa; con la « missione » o ministero tipico degli stessi
presbiteri, che li abilita e li impegna ad essere strumenti vivi di Cristo
eterno Sacerdote e ad agire « nel nome e nella persona di Cristo stesso »; con
la loro intera « vita », chiamata a manifestare e a testimoniare in modo
originale il « radicalismo evangelico ».113
21. Mediante la consacrazione sacramentale,
il sacerdote è configurato a Gesù Cristo in quanto Capo e Pastore della Chiesa
e riceve in dono un « potere spirituale » che è partecipazione all'autorità con
la quale Gesù Cristo mediante il suo Spirito guida la Chiesa.114
Grazie a questa consacrazione operata dallo
Spirito nell'effusione sacramentale dell'Ordine, la vita spirituale del
sacerdote viene improntata, plasmata, connotata da quegli atteggiamenti e
comportamenti che sono propri di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa e che
si compendiano nella sua carità pastorale.
Gesù Cristo è Capo della Chiesa, suo
Corpo. È « Capo » nel senso nuovo e originale dell'essere servo, secondo le
sue stesse parole: « Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito,
ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti ».115 Il servizio
di Gesù giunge a pienezza con la morte in croce, ossia con il dono totale di
sé, nell'umiltà e nell'amore: « Spogliò se stesso, assumendo la condizione di
servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso,
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce... ».116 L'autorità
di Gesù Cristo Capo coincide dunque con il suo servizio, con il suo dono, con
la sua dedizione totale, umile e amorosa nei riguardi della Chiesa. E questo in
perfetta obbedienza al Padre: egli è l'unico vero Servo sofferente del Signore,
insieme Sacerdote e Vittima.
Da questo preciso tipo di autorità, ossia
dal servizio verso la Chiesa, viene animata e vivificata l'esistenza spirituale
di ogni sacerdote, proprio come esigenza della sua configurazione a Gesù Cristo
Capo e servo della Chiesa.117 Così Sant'Agostino ammoniva un vescovo nel giorno
della sua ordinazione: « Chi è capo del popolo deve per prima cosa rendersi conto
che egli è il servo di molti. E non disdegni di esserlo, ripeto, non disdegni
di essere il servo di molti, poiché non disdegnò di farsi nostro servo il
Signore dei signori ».118
La vita spirituale dei ministri del Nuovo
Testamento dovrà essere improntata, dunque, a questo essenziale atteggiamento
di servizio al popolo di Dio,119 scevro da ogni presunzione e da ogni desiderio
di « spadroneggiare » sul gregge affidato.120 Un servizio fatto di buon animo,
secondo Dio e volentieri: in questo modo i ministri, gli « anziani » della
comunità, cioè i presbiteri, potranno essere « modello » del gregge, che, a sua
volta, è chiamato ad assumere nei confronti del mondo intero questo
atteggiamento sacerdotale di servizio alla pienezza della vita dell'uomo e alla
sua liberazione integrale.
22. L'immagine di Gesù Cristo Pastore
della Chiesa, suo gregge, riprende e ripropone, con nuove e più suggestive
sfumature, gli stessi contenuti di quella di Gesù Cristo Capo e servo.
Inverando l'annuncio profetico del Messia Salvatore, cantato gioiosamente dal
salmista e dal profeta Ezechiele,121 Gesù si autopresenta come il « buon
Pastore » 122 non solo di Israele, ma di tutti gli uomini.123 E la sua vita è
ininterrotta manifestazione, anzi quotidiana realizzazione della sua « carità
pastorale »: sente compassione delle folle, perché sono stanche e sfinite, come
pecore senza pastore;124 cerca le smarrite e le disperse 125 e fa festa per il
loro ritrovamento, le raccoglie e le difende, le conosce e le chiama ad una ad
una,126 le conduce ai pascoli erbosi e alle acque tranquille,127 per loro
imbandisce una mensa, nutrendole con la sua stessa vita. Questa vita il buon
Pastore offre con la sua morte e risurrezione, come la liturgia romana della
Chiesa canta: « È risorto il Pastore buono che ha dato la vita per le sue
pecorelle, e per il suo gregge è andato incontro alla morte. Alleluia ».128
Pietro chiama Gesù il « Principe dei pastori
»,129 perché la sua opera e missione continuano nella Chiesa attraverso gli
apostoli 130 e i loro successori131 e attraverso i presbiteri. In forza della
loro consacrazione, i presbiteri sono configurati a Gesù Buon Pastore e sono
chiamati a imitare e a rivivere la sua stessa carità pastorale.
Il donarsi di Cristo alla Chiesa, frutto del
suo amore, si connota di quella dedizione originale che è propria dello sposo
nei riguardi della sposa, come più volte suggeriscono i testi sacri. Gesù è
il vero Sposo che offre il vino della salvezza alla Chiesa.132 Lui, che è
il « capo della Chiesa... e il salvatore del suo corpo »,133 « ha amato la
Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo
del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire
davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di
simile, ma santa e immacolata ».134 La Chiesa è sì il corpo, nel quale è
presente e operante Cristo Capo, ma è anche la Sposa, che scaturisce come nuova
Eva dal costato aperto del Redentore sulla croce: per questo Cristo sta «
davanti » alla Chiesa, « la nutre e la cura » 135 con il dono della sua vita
per lei. Il sacerdote è chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo Sposo
della Chiesa:136 certamente egli rimane sempre parte della comunità come
credente, insieme a tutti gli altri fratelli e sorelle convocati dallo Spirito,
ma in forza della sua configurazione a Cristo Capo e Pastore si trova in tale
posizione sponsale di fronte alla comunità. « In quanto ripresenta Cristo capo,
pastore e sposo della Chiesa, il sacerdote si pone non solo nella Chiesa ma
anche di fronte alla Chiesa ».137 È chiamato, pertanto, nella sua vita
spirituale a rivivere l'amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa.
La sua vita dev'essere illuminata e orientata anche da questo tratto sponsale,
che gli chiede di essere testimone dell'amore sponsale di Cristo, di essere
quindi capace di amare la gente con cuore nuovo, grande e puro, con autentico
distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele, e insieme con una
specie di « gelosia » divina,138 con una tenerezza che si riveste persino delle
sfumature dell'affetto materno, capace di farsi carico dei « dolori del parto »
finché « Cristo non sia formato » nei fedeli.139
23. Il principio interiore, la virtù che
anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo
Capo e Pastore è la carità pastorale, partecipazione della stessa carità
pastorale di Gesù Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo, e nello
stesso tempo compito e appello alla risposta libera e responsabile del
presbitero.
Il contenuto essenziale della carità
pastorale è il dono di sé, il totale dono di sé alla Chiesa,
ad immagine e in condivisione con il dono di Cristo. « La carità pastorale è
quella virtù con la quale noi imitiamo Cristo nella sua donazione di sé e nel
suo servizio. Non è soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi,
che mostra l'amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale determina
il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente.
E risulta particolarmente esigente per noi... ».140
Il dono di sé, radice e sintesi della carità
pastorale, ha come destinataria la Chiesa. Così è stato di Cristo che « ha
amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei »;141 così dev'essere del
sacerdote. Con la carità pastorale che impronta l'esercizio del ministero
sacerdotale come « amoris officium »,142 « il sacerdote, che accoglie la
vocazione al ministero, è in grado di fare di questo una scelta di amore, per
cui la Chiesa e le anime diventano il suo interesse principale e, con tale spiritualità
concreta, diventa capace di amare la Chiesa universale e quella porzione di
essa, che gli è affidata, con tutto lo slancio di uno sposo verso la sposa
».143 Il dono di sé non ha confini, essendo segnato dallo stesso slancio
apostolico e missionario di Cristo, del buon Pastore, che ha detto: « E ho
altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre;
ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore ».144
All'interno della comunità ecclesiale, la
carità pastorale del sacerdote sollecita ed esige in un modo particolare e
specifico il suo rapporto personale con il presbiterio, unito nel e con il
Vescovo, come esplicitamente scrive il Concilio: « La carità pastorale esige
che i presbiteri, se non vogliono correre invano, lavorino sempre nel vincolo
della comunione con i Vescovi e gli altri fratelli nel sacerdozio ».145
Il dono di sé alla Chiesa la riguarda in
quanto essa è il corpo e la sposa di Gesù Cristo. Per questo la carità
del sacerdote si riferisce primariamente a Gesù Cristo: solo se ama e serve
Cristo Capo e Sposo, la carità diventa fonte, criterio, misura, impulso
dell'amore e del servizio del sacerdote alla Chiesa, corpo e sposa di Cristo. È
stata questa la coscienza limpida e forte dell'apostolo Paolo, che ai cristiani
della Chiesa di Corinto scrive: « Quanto a noi, siamo i vostri servitori per
amore di Gesù ».146 È questo, soprattutto, l'insegnamento esplicito e
programmatico di Gesù quando affida a Pietro il ministero di pascere il gregge
solo dopo la sua triplice attestazione di amore, anzi di un amore di
predilezione: « Gli disse per la terza volta: "Simone di Giovanni, mi vuoi
bene?". Pietro gli disse: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti
voglio bene". Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecorelle..."
».147 La carità pastorale, che ha la sua sorgente specifica nel sacramento
dell'Ordine, trova la sua espressione piena e il suo supremo alimento nell'Eucaristia:
« Questa carità pastorale — leggiamo nel Concilio — scaturisce soprattutto dal
sacrificio eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta
la vita del presbitero, cosicché l'anima sacerdotale si studia di rispecchiare
in sé ciò che viene realizzato sull'altare ».148 È nell'Eucaristia, infatti,
che viene ripresentato, ossia fatto di nuovo presente il sacrificio della
croce, il dono totale di Cristo alla sua Chiesa, il dono del suo corpo dato e
del suo sangue sparso, quale suprema testimonianza del suo essere Capo e
Pastore, Servo e Sposo della Chiesa. Proprio per questo, la carità pastorale
del sacerdote non solo scaturisce dall'Eucaristia, ma trova nella celebrazione
di questa la sua più alta realizzazione, così come dall'Eucaristia riceve la
grazia e la responsabilità di connotare in senso « sacrificale » la sua intera
esistenza.
Questa stessa carità pastorale costituisce il
principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse
attività del sacerdote. Grazie ad essa può trovare risposta l'essenziale e
permanente esigenza dell'unità tra la vita interiore e le tante azioni e
responsabilità del ministero, esigenza quanto mai urgente in un contesto
socio-culturale ed ecclesiale fortemente segnato dalla complessità, dalla
frammentarietà e dalla dispersività. Solo la concentrazione di ogni istante e
di ogni gesto attorno alla scelta fondamentale e qualificante di « dare la vita
per il gregge » può garantire questa unità vitale, indispensabile per l'armonia
e per l'equilibrio spirituale del sacerdote: « L'unità di vita — ci ricorda il
Concilio — può essere raggiunta dai presbiteri seguendo nello svolgimento del
loro ministero l'esempio di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento della
volontà di colui che lo aveva inviato a realizzare la sua opera... Così,
rappresentando il buon Pastore, nello stesso esercizio pastorale della carità
troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l'unità nella
loro vita e attività ».149
24. Lo Spirito del Signore ha consacrato
Cristo e lo ha mandato ad annunciare il Vangelo.150 La missione non è un
elemento esteriore e giustapposto alla consacrazione, ma ne costituisce la
destinazione intrinseca e vitale: la consacrazione è per la missione.
Così, non solo la consacrazione, ma anche la missione sta sotto il segno
dello Spirito, sotto il suo influsso santificatore.
Così è stato di Gesù. Così è stato degli
apostoli e dei loro successori. Così è dell'intera Chiesa e in essa dei
presbiteri: tutti ricevono lo Spirito come dono e appello di santificazione
all'interno e attraverso il compimento della missione.151
Esiste dunque un intimo rapporto tra la vita
spirituale del presbitero e l'esercizio del suo ministero,152 rapporto che il
Concilio così esprime: « Esercitando il ministero dello Spirito e della
giustizia essi (presbiteri) vengono consolidati nella vita dello spirito, a
condizione però che siano docili agli insegnamenti dello Spirito di Cristo che
li vivifica e li conduce. I presbiteri, infatti, sono ordinati alla perfezione
della vita in forza delle stesse azioni che svolgono quotidianamente, come
anche di tutto il loro ministero, che esercitano in stretta unione con il
Vescovo e tra di loro. Ma la stessa santità dei presbiteri, a sua volta,
contribuisce moltissimo al compimento efficace del loro ministero ».153
« Vivi il mistero che è posto nelle tue
mani »! È questo l'invito, il monito
che la Chiesa rivolge al presbitero nel rito dell'ordinazione, quando gli
vengono consegnate le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico.
Il « mistero », di cui il presbitero è dispensatore,154 è, in definitiva, Gesù
Cristo stesso, che nello Spirito è sorgente di santità e appello alla
santificazione. Il « mistero » chiede di essere inserito nella vita vissuta del
presbitero. Per questo esige grande vigilanza e viva consapevolezza. È ancora
il rito dell'ordinazione a far precedere le parole ricordate dalla
raccomandazione: « Renditi conto di ciò che farai ». Già Paolo ammoniva il
vescovo Timoteo: « Non trascurare il dono spirituale che è in te ».155
Il rapporto tra la vita spirituale e
l'esercizio del ministero sacerdotale può trovare una sua spiegazione anche a
partire dalla carità pastorale donata dal sacramento dell'Ordine. Il ministero
del sacerdote, proprio perché è una partecipazione al ministero salvifico di
Gesù Cristo Capo e Pastore, non può non riesprimere e rivivere quella sua
carità pastorale che insieme è la sorgente e lo spirito del suo servizio e del
suo dono di sé. Nella sua realtà oggettiva il ministero sacerdotale è «
amoris officium », secondo la citata espressione di Sant'Agostino: proprio
questa realtà oggettiva si pone come fondamento e appello per un ethos
corrispondente, che non può essere se non quello di vivere l'amore, come rileva
lo stesso Sant'Agostino: « Sit amoris officium pascere dominicum gregem ».156
Tale ethos, e quindi la vita spirituale, altro non è che l'accoglienza
nella coscienza e nella libertà, e pertanto nella mente, nel cuore, nelle
decisioni e nelle azioni, della « verità » del ministero sacerdotale come «
amoris officium ».
25. È essenziale, per una vita spirituale
che si sviluppa attraverso l'esercizio del ministero, che il sacerdote rinnovi
continuamente e approfondisca sempre più la coscienza di essere ministro di
Gesù Cristo in forza della consacrazione sacramentale e della
configurazione a Lui Capo e Pastore della Chiesa.
Una simile coscienza non soltanto
corrisponde alla vera natura della missione che il sacerdote svolge a favore
della Chiesa e dell'umanità, ma decide anche della vita spirituale del
sacerdote che compie quella missione. Il sacerdote, infatti, viene scelto da
Cristo non come una « cosa », bensì come una « persona »: egli non è uno
strumento inerte e passivo ma uno « strumento vivo », come si esprime il
Concilio, proprio là dove parla dell'obbligo di tendere alla perfezione.157 È
ancora il Concilio a parlare dei sacerdoti come di « soci e collaboratori » di
Dio « santo e santificatore ».158
In tale senso nell'esercizio del ministero è
profondamente coinvolta la persona cosciente, libera e responsabile del
sacerdote. Il legame con Gesù Cristo, che la consacrazione e configurazione del
sacramento dell'Ordine assicurano, fonda ed esige nel sacerdote un ulteriore
legame che è dato dalla « intenzione », ossia dalla volontà cosciente e libera
di fare, mediante il gesto ministeriale, ciò che intende fare la Chiesa. Un
simile legame tende, per sua natura, a farsi il più ampio e il più profondo
possibile, investendo la mente, i sentimenti, la vita, ossia una serie di «
disposizioni » morali e spirituali corrispondenti ai gesti ministeriali che il
sacerdote pone.
Non c'è dubbio che l'esercizio del ministero
sacerdotale, in specie la celebrazione dei Sacramenti, riceve la sua efficacia
di salvezza dall'azione stessa di Gesù Cristo resa presente nei Sacramenti. Ma
per un disegno divino, che vuole esaltare l'assoluta gratuità della salvezza
facendo dell'uomo un « salvato » e insieme un « salvatore » — sempre e solo con
Gesù Cristo —, l'efficacia dell'esercizio del ministero è condizionata anche
dalla maggior o minor accoglienza e partecipazione umana.159 In particolare, la
maggiore o minore santità del ministro influisce realmente sull'annuncio della
Parola, sulla celebrazione dei Sacramenti, sulla guida della comunità nella
carità. È quanto afferma con chiarezza il Concilio: « La stessa santità dei
presbiteri ... contribuisce moltissimo al compimento efficace del loro
ministero: infatti, se è vero che la grazia di Dio può realizzare l'opera della
salvezza anche attraverso ministri indegni, ciò nondimeno Dio, ordinariamente,
preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro i quali, fattisi più
docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito Santo, possono dire con
l'apostolo, grazie alla propria intima unione con Cristo e alla santità di
vita: "Ormai non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in me"160
».161
La coscienza di essere ministro di Gesù
Cristo Capo e Pastore comporta anche la coscienza grata e gioiosa di una
singolare grazia ricevuta da Gesù Cristo: la grazia di essere stato scelto
gratuitamente dal Signore come « strumento vivo » dell'opera della salvezza.
Questa scelta testimonia l'amore di Gesù Cristo per il sacerdote. Proprio
quest'amore, come e più d'ogni altro amore, esige la corrispondenza. Dopo la
sua risurrezione, Gesù pone a Pietro la fondamentale domanda sull'amore: «
Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro? ». E alla risposta di
Pietro segue l'affidamento della missione: « Pasci i miei agnelli ».162 Gesù
chiede a Pietro se lo ami, prima di e per potergli consegnare il suo gregge.
Ma, in realtà, è l'amore libero e preveniente di Gesù stesso a originare la sua
richiesta all'apostolo e l'affidamento a lui delle « sue » pecore. Così ogni
gesto ministeriale, mentre conduce ad amare e a servire la Chiesa, spinge a
maturare sempre più nell'amore e nel servizio a Gesù Cristo Capo, Pastore e
Sposo della Chiesa, un amore che si configura sempre come risposta a quello
preveniente, libero e gratuito di Dio in Cristo. A sua volta, la crescita
dell'amore a Gesù Cristo determina la crescita dell'amore alla Chiesa: « Siamo
vostri pastori (pascimus vobis), con voi siamo nutriti (pascimur
vobiscum). Il Signore ci dia la forza di amarvi a tal punto da poter morire
per voi, o di fatto o col cuore (aut effectu aut affectu) ».163
26. Grazie al prezioso insegnamento del
Concilio Vaticano II,164 possiamo cogliere le condizioni e le esigenze, le
modalità e i frutti dell'intimo rapporto che esiste tra la vita spirituale del
sacerdote e l'esercizio del suo triplice ministero: della Parola, del
Sacramento e del servizio della Carità.
Il sacerdote è, anzitutto, ministro della
Parola di Dio, è consacrato e mandato ad annunciare a tutti il Vangelo del
Regno, chiamando ogni uomo all'obbedienza della fede e conducendo i credenti ad
una conoscenza e comunione sempre più profonde del mistero di Dio, rivelato e
comunicato a noi in Cristo. Per questo, il sacerdote stesso per primo deve
sviluppare una grande familiarità personale con la Parola di Dio: non gli basta
conoscerne l'aspetto linguistico o esegetico, che pure è necessario; gli
occorre accostare la Parola con cuore docile e orante, perché essa penetri a
fondo nei suoi pensieri e sentimenti e generi in lui una mentalità nuova — « il
pensiero di Cristo » 165 —, in modo che le sue parole, le sue scelte e i suoi
atteggiamenti siano sempre più una trasparenza, un annuncio ed una
testimonianza del Vangelo. Solo « rimanendo » nella Parola, il sacerdote
diventerà perfetto discepolo del Signore, conoscerà la verità e sarà veramente
libero, superando ogni condizionamento contrario od estraneo al Vangelo.166 Il
sacerdote dev'essere il primo « credente » alla Parola, nella piena
consapevolezza che le parole del suo ministero non sono « sue », ma di Colui
che lo ha mandato. Di questa Parola egli non è padrone: è servo. Di questa
Parola egli non è unico possessore: è debitore nei riguardi del Popolo di Dio.
Proprio perché evangelizza e perché possa evangelizzare, il sacerdote, come la
Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere
evangelizzato.167 Egli annuncia la Parola nella sua qualità di « ministro »,
partecipe dell'autorità profetica di Cristo e della Chiesa. Per questo, per
avere in se stesso e per dare ai fedeli la garanzia di trasmettere il Vangelo
nella sua integrità il sacerdote è chiamato a coltivare una sensibilità, un
amore e una disponibilità particolari nei confronti della Tradizione viva della
Chiesa e del suo Magistero: questi non sono estranei alla Parola, ma ne servono
la retta interpretazione e ne custodiscono il senso autentico.168
È soprattutto nella celebrazione dei
Sacramenti e nella celebrazione della Liturgia delle Ore che il sacerdote è
chiamato a vivere e a testimoniare l'unità profonda tra l'esercizio del suo
ministero e la sua vita spirituale: il dono di grazia offerto alla Chiesa si fa
principio di santità e appello di santificazione. Anche per il sacerdote il
posto veramente centrale, sia nel ministero sia nella vita spirituale, è
dell'Eucaristia, perché in essa « è racchiuso tutto il bene spirituale della
Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua
carne vivificata dallo Spirito Santo, dà vita agli uomini, i quali sono in tal
modo invitati e indotti a offrire insieme a lui se stessi, le proprie fatiche e
tutte le cose create ».169
Dai diversi Sacramenti, e in particolare
dalla grazia specifica e propria a ciascuno di essi, la vita spirituale del
presbitero riceve connotazioni particolari. Essa, infatti, viene strutturata e
plasmata dalle molteplici caratteristiche ed esigenze dei diversi Sacramenti
celebrati e vissuti.
Una parola speciale voglio riservare per il
Sacramento della Penitenza, del quale i sacerdoti sono i ministri ma devono
anche esserne i beneficiari, divenendo testimoni della compassione di Dio per i
peccatori. La vita spirituale e pastorale del sacerdote, come quella dei suoi
fratelli laici e religiosi, dipende, per la sua qualità e il suo fervore,
dall'assidua e coscienziosa pratica personale del Sacramento della Penitenza.
Ripropongo quanto ho scritto nell'Esortazione « Reconciliatio et Paenitentia »:
« La vita spirituale e pastorale del sacerdote, come quella dei suoi fratelli
laici e religiosi, dipende, per la sua qualità e il suo fervore, dall'assidua e
coscienziosa pratica personale del Sacramento della Penitenza. La celebrazione
dell'Eucaristia e il ministero degli altri Sacramenti, lo zelo pastorale, il
rapporto con i fedeli, la comunione con i confratelli, la collaborazione col
Vescovo, la vita di preghiera, in una parola tutta l'esistenza sacerdotale
subisce un inesorabile scadimento, se viene a mancarle, per negligenza o per
qualsiasi altro motivo, il ricorso, periodico e ispirato d'autentica fede e
devozione, al Sacramento della Penitenza. In un prete che non si confessasse
più o si confessasse male, il suo essere prete e il suo fare il prete
ne risentirebbero molto presto, e se ne accorgerebbe anche la Comunità, di cui
egli è pastore ».170
Infine, il sacerdote è chiamato a rivivere
l'autorità e il servizio di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa animando
e guidando la comunità ecclesiale, ossia riunendo « la famiglia di Dio come
fraternità animata nell'unità » e conducendola « al Padre per mezzo di Cristo
nello Spirito Santo ».171 Questo « munus regendi » è compito molto delicato e
complesso, che include, oltre all'attenzione alle singole persone e alle
diverse vocazioni, la capacità di coordinare tutti i doni e i carismi che lo
Spirito suscita nella comunità, verificandoli e valorizzandoli per
l'edificazione della Chiesa sempre in unione con i Vescovi. Si tratta di un
ministero che richiede al sacerdote una vita spirituale intensa, ricca di
quelle qualità e virtù che sono tipiche della persona che « presiede » e «
guida » una comunità, dell'« anziano » nel senso più nobile e ricco del
termine: tali sono la fedeltà, la coerenza, la saggezza, l'accoglienza di
tutti, l'affabile bontà, l'autorevole fermezza sulle cose essenziali, la
libertà da punti di vista troppo soggettivi, il disinteresse personale, la
pazienza, il gusto dell'impegno quotidiano, la fiducia nel lavoro nascosto
della grazia che si manifesta nei semplici e nei poveri.172
27. « Lo Spirito del Signore è sopra di me
».173 Lo Spirito Santo effuso dal sacramento dell'Ordine è fonte di santità e
appello alla santificazione, non solo perché configura il sacerdote a Cristo
Capo e Pastore della Chiesa e gli affida la missione profetica, sacerdotale e
regale da compiere nel nome e nella persona di Cristo, ma anche perché anima e
vivifica la sua esistenza quotidiana, arricchendola di doni e di esigenze, di
virtù e di impulsi, che si compendiano nella carità pastorale. Una simile
carità è sintesi unificante dei valori e delle virtù evangeliche e insieme
forza che sostiene il loro sviluppo sino alla perfezione cristiana.174
Per tutti i cristiani, nessuno escluso, il
radicalismo evangelico è un'esigenza fondamentale e irrinunciabile, che
scaturisce dall'appello di Cristo a seguirlo e ad imitarlo, in forza
dell'intima comunione di vita con lui operata dallo Spirito.175 Questa stessa
esigenza si ripropone per i sacerdoti, non solo perché sono « nella » Chiesa,
ma anche perché sono « di fronte » alla Chiesa, in quanto sono configurati a
Cristo Capo e Pastore, abilitati e impegnati al ministero ordinato, vivificati
dalla carità pastorale. Ora, all'interno e come manifestazione del radicalismo
evangelico si ritrova una ricca fioritura di molteplici virtù ed esigenze
etiche che sono decisive per la vita pastorale e spirituale del sacerdote,
come, ad esempio, la fede, l'umiltà di fronte al mistero di Dio, la
misericordia, la prudenza. Espressione privilegiata del radicalismo sono i
diversi « consigli evangelici », che Gesù propone nel Discorso della Montagna
176 e tra questi i consigli, intimamente coordinati tra loro,d'obbedienza,
castità e povertà: 177 il sacerdote è chiamato a viverli secondo quelle
modalità, e più profondamente secondo quelle finalità e quel significato
originale, che derivano dall'identità propria del presbitero e la esprimono.
28. « Tra le virtù che più sono necessarie
nel ministero dei presbiteri, va ricordata quella disposizione d'animo per cui
sempre sono pronti a cercare non la propria volontà, ma il compimento della
volontà di colui che li ha inviati 178 ».179 È l'obbedienza, che nel
caso della vita spirituale del sacerdote si riveste di alcune caratteristiche
peculiari.
Essa è, anzitutto, un'obbedienza «
apostolica », nel senso che riconosce, ama e serve la Chiesa nella sua
struttura gerarchica. Non si dà, infatti, ministero sacerdotale se non nella
comunione con il sommo Pontefice e con il Collegio episcopale, in particolare
con il proprio Vescovo diocesano, ai quali sono da riservarsi « il filiale
rispetto e l'obbedienza » promessi nel rito dell'ordinazione. Questa «
sottomissione » a quanti sono rivestiti dell'autorità ecclesiale non ha nulla
di umiliante, ma deriva dalla libertà responsabile del presbitero, che accoglie
non solo le esigenze di una vita ecclesiale organica e organizzata, ma anche
quella grazia di discernimento e di responsabilità nelle decisioni ecclesiali,
che Gesù ha garantito ai suoi apostoli e ai loro successori, perché sia custodito
con fedeltà il mistero della Chiesa e perché la compagine della comunità
cristiana venga servita nel suo unitario cammino verso la salvezza.
L'obbedienza cristiana autentica, rettamente
motivata e vissuta senza servilismi, aiuta il presbitero ad esercitare con
evangelica trasparenza l'autorità che gli è affidata nei confronti del Popolo
di Dio: senza autoritarismi e senza scelte demagogiche. Solo chi sa obbedire in
Cristo, sa come richiedere, secondo il Vangelo, l'obbedienza altrui.
L'obbedienza presbiterale presenta inoltre
un'esigenza « comunitaria »: non è l'obbedienza di un singolo che
individualmente si rapporta con l'autorità, ma è invece profondamente inserita
nell'unità del presbiterio, che come tale è chiamato a vivere la concorde
collaborazione con il Vescovo e, per suo tramite, con il successore di
Pietro.180
Questo aspetto dell'obbedienza del sacerdote
richiede una notevole ascesi, sia nel senso di un'abitudine a non legarsi
troppo alle proprie preferenze o ai propri punti di vista, sia nel senso di
lasciare spazio ai confratelli perché possano valorizzare i loro talenti e le
loro capacità, al di fuori di ogni gelosia, invidia e rivalità. Quella del
sacerdote è un'obbedienza solidale, che parte dalla sua appartenenza all'unico
presbiterio e che sempre all'interno di esso e con esso esprime orientamenti e
scelte corresponsabili.
Infine, l'obbedienza sacerdotale ha un
particolare carattere di « pastorali- tà ». È vissuta, cioè, in un clima
di costante disponibilità a lasciarsi afferrare, quasi « mangiare », dalle
necessità e dalle esigenze del gregge. Queste ultime devono avere una giusta
razionalità, e talvolta vanno selezionate e sottoposte a verifica, ma è
innegabile che la vita del presbitero è « occupata » in modo pieno dalla fame
di Vangelo, di fede, di speranza e di amore di Dio e del suo mistero, la quale
più o meno consapevolmente è presente nel Popolo di Dio a lui affidato.
29. Tra i consigli evangelici — scrive il
Concilio — « eccelle questo prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad
alcuni 181 di votarsi a Dio solo più facilmente e con un cuore senza divisioni
182 nella verginità e nel celibato. Questa perfetta continenza per il Regno dei
cieli è sempre stata tenuta in singolare onore dalla Chiesa, come un segno e
uno stimolo della carità e come una speciale sorgente di fecondità nel mondo
».183 Nella verginità e nel celibato la castità mantiene il suo
significato originario, quello cioè di una sessualità umana vissuta come
autentica manifestazione e prezioso servizio all'amore di comunione e di
donazione interpersonale. Questo significato sussiste pienamente nella
verginità, che realizza, pur nella rinuncia al matrimonio, il « significato
sponsale » del corpo mediante una comunione e una donazione personale a Gesù
Cristo e alla sua Chiesa che prefigurano e anticipano la comunione e la
donazione perfette e definitive dell'al di là: « Nella verginità l'uomo è in
attesa, anche corporalmente, delle nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa,
donandosi integralmente alla Chiesa nella speranza che Cristo si doni a questa
nella piena verità della vita eterna ».184
In questa luce si possono più facilmente
comprendere e apprezzare i motivi della scelta plurisecolare che la Chiesa di
Occidente ha fatto e che ha mantenuto, nonostante tutte le difficoltà e le
obiezioni sollevate lungo i secoli, di conferire l'ordine presbiterale solo a
uomini che diano prova di essere chiamati da Dio al dono della castità nel
celibato assoluto e perpetuo.
I Padri sinodali hanno espresso con
chiarezza e con forza il loro pensiero con un'importante Proposizione, che
merita di essere integralmente e letteralmente riferita: « Ferma restante la
disciplina delle Chiese Orientali, il Sinodo, convinto che la castità perfetta
nel celibato sacerdotale è un carisma, ricorda ai presbiteri che essa
costituisce un dono inestimabile di Dio per la Chiesa e rappresenta un valore
profetico per il mondo attuale. Questo Sinodo nuovamente e con forza afferma
quanto la Chiesa Latina e alcuni riti orientali richiedono, che cioè il sacerdozio
venga conferito solo a quegli uomini che hanno ricevuto da Dio il dono della
vocazione alla castità celibe (senza pregiudizio della tradizione di alcune
Chiese orientali e dei casi particolari di clero uxorato proveniente da
conversioni al cattolicesimo, per il quale si dà eccezione nell'enciclica di
Paolo VI, « Sacerdotalis Caelibatus »). Il Sinodo non vuole lasciare nessun
dubbio nella mente di tutti sulla ferma volontà della Chiesa di mantenere la
legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati
all'ordinazione sacerdotale nel rito latino. Il Sinodo sollecita che il
celibato sia presentato e spiegato nella sua piena ricchezza biblica, teologica
e spirituale, come dono prezioso dato da Dio alla sua Chiesa e come segno del
Regno che non è di questo mondo, segno dell'amore di Dio verso questo mondo
nonché dell'amore indiviso del sacerdote verso Dio e il Popolo di Dio, così che
il celibato sia visto come arricchimento positivo del sacerdozio ».185
È particolarmente importante che il
sacerdote comprenda la motivazione teologica della legge ecclesiastica sul
celibato. In quanto legge, esprime la volontà della Chiesa, prima ancora
che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità. Ma la volontà
della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha
con l'Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e
Sposo della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata
dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo
l'ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo
alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con
il Signore.
Per un'adeguata vita spirituale del
sacerdote occorre che il celibato sia considerato e vissuto non come un
elemento isolato o puramente negativo, ma come un aspetto di un orientamento
positivo, specifico e caratteristico del sacerdote: egli, lasciando il padre e
la madre, segue Gesù buon Pastore, in una comunione apostolica, a servizio del
Popolo di Dio. Il celibato è dunque da accogliere con libera e amorosa
decisione da rinnovare continuamente, come dono inestimabile di Dio, come «
stimolo della carità pastorale »,186 come singolare partecipazione alla
paternità di Dio e alla fecondità della Chiesa, come testimonianza al mondo del
Regno escatologico. Per vivere tutte le esigenze morali, pastorali e spirituali
del celibato sacerdotale è assolutamente necessaria la preghiera umile e
fiduciosa, come ci avverte il Concilio: « Al mondo d'oggi, quanto più la
perfetta continenza viene considerata impossibile da tante persone, con tanta
maggiore umiltà e perseveranza debbono i presbiteri implorare insieme alla
Chiesa la grazia della fedeltà che mai è negata a chi la richiede, ricorrendo
allo stesso tempo ai mezzi soprannaturali e naturali di cui tutti dispongono
».187 Sarà ancora la preghiera, unita ai Sacramenti della Chiesa e all'impegno
ascetico, ad infondere speranza nelle difficoltà, perdono nelle mancanze,
fiducia e coraggio nella ripresa del cammino.
30. Della povertà evangelica i Padri
sinodali hanno dato una descrizione quanto mai concisa e profonda,
presentandola come « sottomissione di tutti i beni al Bene supremo di Dio e del
suo Regno ».188 In realtà, solo chi contempla e vive il mistero di Dio quale
unico e sommo Bene, quale vera e definitiva Ricchezza, può capire e realizzare
la povertà, che non è certamente disprezzo e rifiuto dei beni materiali, ma è
uso grato e cordiale di questi beni ed insieme lieta rinuncia ad essi con grande
libertà interiore, ossia in ordine a Dio e ai suoi disegni.
La povertà del sacerdote, in forza della sua
configurazione sacramentale a Cristo Capo e Pastore, assume precise
connotazioni « pastorali », sulle quali, riprendendo e sviluppando
l'insegnamento conciliare,189 si sono soffermati i Padri sinodali. Scrivono tra
l'altro: « I sacerdoti, sull'esempio di Cristo che da ricco come era si è fatto
povero per nostro amore,190 devono considerare i poveri e più deboli come loro
affidati in una maniera speciale e devono essere capaci di testimoniare la
povertà con una vita semplice e austera, essendo già abituati a rinunciare
generosamente alle cose superflue 191 ».192
È vero che « l'operaio è degno della sua mercede
» e che « il Signore ha disposto che quelli che annunziano il Vangelo vivano
del Vangelo »,193 ma è altrettanto vero che questo diritto dell'apostolo non
può assolutamente confondersi con qualsiasi pretesa di piegare il servizio del
Vangelo e della Chiesa ai vantaggi e agli interessi che ne possono derivare.
Solo la povertà assicura al sacerdote la sua disponibilità ad essere mandato là
dove la sua opera è più utile ed urgente, anche con sacrificio personale. È
condizione e premessa indispensabile alla docilità dell'apostolo allo Spirito,
che lo rende pronto ad « andare », senza zavorre e senza legami, seguendo solo
la volontà del Maestro.194
Personalmente inserito nella vita della
comunità e responsabile di essa, il sacerdote deve offrire anche la testimonianza
di una totale « trasparenza » nell'amministrazione dei beni della comunità
stessa, che egli non tratterà mai come fossero un patrimonio proprio, ma come
cosa di cui deve rendere conto a Dio e ai fratelli, soprattutto ai poveri. La
coscienza poi di appartenere all'unico presbiterio spingerà il sacerdote ad
impegnarsi per favorire sia una più equa distribuzione dei beni tra i
confratelli, sia un certo uso in comune dei beni.195
La libertà interiore, che la povertà
evangelica custodisce e alimenta, abilita il prete a stare accanto ai più
deboli, a farsi solidale con i loro sforzi per l'instaurazione d'una società
più giusta, ad essere più sensibile e più capace di comprensione e di
discernimento dei fenomeni riguardanti l'aspetto economico e sociale della
vita, a promuovere la scelta preferenziale dei poveri: questa, senza escludere
nessuno dall'annuncio e dal dono della salvezza, sa chinarsi sui piccoli, sui
peccatori, sugli emarginati di ogni specie, secondo il modello dato da Gesù
nello svolgimento del suo ministero profetico e sacerdotale.196
Né va dimenticato il significato profetico
della povertà sacerdotale, particolarmente urgente nelle società opulente e
consumiste: « Il sacerdote veramente povero è di certo un segno concreto della
separazione, della rinuncia e non della sottomissione alla tirannia del mondo
contemporaneo che ripone ogni sua fiducia nel denaro e nella sicurezza
materiale ».197
Gesù Cristo, che sulla croce conduce a
perfezione la sua carità pastorale con un'abissale spogliazione esteriore e
interiore, è il modello e la fonte delle virtù di obbedienza, castità e
povertà, che il sacerdote è chiamato a vivere come espressione del suo amore
pastorale per i fratelli. Secondo quanto Paolo scrive ai cristiani di Filippi,
il sacerdote deve avere gli « stessi sentimenti » di Gesù, spogliandosi del
proprio « io », per trovare, nella carità obbediente, casta e povera, la via
maestra dell'unione con Dio e dell'unità con i fratelli.198
31. Come ogni vita spirituale autenticamente
cristiana, anche quella del sacerdote possiede un'essenziale e irrinunciabile
dimensione ecclesiale: è partecipazione alla santità della Chiesa stessa, che
nel Credo professiamo quale « Comunione dei Santi ». La santità del
cristiano deriva da quella della Chiesa, la esprime e nello stesso tempo
l'arricchisce. Questa dimensione ecclesiale riveste modalità, finalità e
significati particolari nella vita spirituale del presbitero, in forza del suo
specifico rapporto con la Chiesa, sempre a partire dalla sua configurazione a
Cristo Capo e Pastore, dal suo ministero ordinato, dalla sua carità pastorale.
In questa prospettiva occorre considerare
come valore spirituale del presbitero la sua appartenenza e la sua dedicazione
alla Chiesa particolare. Queste, in realtà, non sono motivate soltanto da
ragioni organizzative e disciplinari. Al contrario, il rapporto con il Vescovo
nell'unico presbiterio, la condivisione della sua sollecitudine ecclesiale, la
dedicazione alla cura evangelica del Popolo di Dio nelle concrete condizioni
storiche e ambientali della Chiesa particolare sono elementi dai quali non si
può prescindere nel delineare la configurazione propria del sacerdote e della
sua vita spirituale. In questo senso la incardinazione non si esaurisce in un
vincolo puramente giuridico, ma comporta anche una serie di atteggiamenti e di
scelte spirituali e pastorali, che contribuiscono a conferire una fisionomia
specifica alla figura vocazionale del presbitero.
È necessario che il sacerdote abbia la
coscienza che il suo « essere in una Chiesa particolare » costituisce, di sua
natura, un elemento qualificante per vivere la spiritualità cristiana. In tal
senso il presbitero trova proprio nella sua appartenenza e dedicazione alla
Chiesa particolare una fonte di significati, di criteri di discernimento e di
azione, che configurano sia la sua missione pastorale sia la sua vita
spirituale.
Al cammino verso la perfezione possono
contribuire anche altre ispirazioni o riferimenti ad altre tradizioni di vita
spirituale, capaci di arricchire la vita sacerdotale dei singoli e di animare
il presbiterio di preziosi doni spirituali. È questo il caso di molte
aggregazioni ecclesiali antiche e nuove, che accolgono nel proprio ambito anche
sacerdoti: dalle società di vita apostolica agli istituti secolari
presbiterali, dalle varie forme di comunione e di condivisione spirituale ai
movimenti ecclesiali. I sacerdoti, che appartengono ad ordini e a congregazioni
religiose, sono una ricchezza spirituale per l'intero presbiterio diocesano, al
quale offrono il contributo di specifici carismi e di ministeri qualificati,
stimolando con la loro presenza la Chiesa particolare a vivere più intensamente
la sua apertura universale.199
L'appartenenza del sacerdote alla Chiesa
particolare e la sua dedicazione, fino al dono della vita, per l'edificazione
della Chiesa « nella persona » di Cristo Capo e Pastore, a servizio di tutta la
comunità cristiana, in cordiale e filiale riferimento al Vescovo, devono essere
rafforzate da ogni altro carisma che entri a far parte di un'esistenza
sacerdotale o si affianchi ad essa.200
Perché l'abbondanza dei doni dello Spirito
venga accolta nella gioia e fatta fruttificare a gloria di Dio per il bene
della Chiesa intera, si esige da parte di tutti, in primo luogo, la conoscenza
ed il discernimento dei carismi propri ed altrui, e un loro esercizio
accompagnato sempre dall'umiltà cristiana, dal coraggio dell'autocritica,
dall'intenzione, prevalente su ogni altra preoccupazione, di giovare
all'edificazione dell'intera comunità al cui servizio è posto ogni carisma
particolare. Si chiede, inoltre, a tutti un sincero sforzo di reciproca stima,
di rispetto vicendevole e di coordinata valorizzazione di tutte le positive e
legittime diversità presenti nel presbiterio. Anche tutto questo fa parte della
vita spirituale e della continua ascesi del sacerdote.
32. L'appartenenza e la dedicazione alla
Chiesa particolare non rinchiudono in essa l'attività e la vita del presbitero:
queste non possono affatto esservi rinchiuse, per la natura stessa sia della
Chiesa particolare 201 sia del ministero sacerdotale. Il Concilio scrive al
riguardo: « Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione
non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima e
universale missione di salvezza, "fino agli ultimi confini della
terra",202 dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa
ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli ».203
Ne deriva che la vita spirituale dei
sacerdoti dev'essere profondamente segnata dall'anelito e dal dinamismo
missionario. Tocca loro, nell'esercizio del ministero e nella testimonianza
della vita, plasmare la comunità loro affidata come comunità autenticamente
missionaria. Come ho scritto nell'enciclica « Redemptoris Missio », « tutti i
sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni
della Chiesa e del mondo, attenti ai più lontani e, soprattutto, ai gruppi non
cristiani del proprio ambiente. Nella preghiera e, in particolare, nel sacrificio
eucaristico sentano la sollecitudine di tutta la Chiesa per tutta l'umanità
».204
Se questo spirito missionario animerà
generosamente la vita dei sacerdoti, sarà facilitata la risposta a
quell'esigenza sempre più grave oggi nella Chiesa che nasce da una diseguale
distribuzione del clero. In questo senso già il Concilio è stato quanto mai
preciso e forte: « Ricordino i presbiteri che a loro incombe la sollecitudine
di tutte le Chiese. Pertanto i presbiteri di quelle diocesi che hanno maggior
abbondanza di vocazioni si mostrino disposti ad esercitare volentieri il
proprio ministero, previo il consenso o l'invito del proprio ordinario, in
quelle regioni, missioni o opere che soffrano di scarsezza di clero ».205
33. « Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato, e mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto
messaggio... ».206 Gesù fa risuonare anche oggi nel nostro cuore di sacerdoti
le parole che ha pronunciato nella sinagoga di Nazaret. La nostra fede,
infatti, ci rivela la presenza operante dello Spirito di Cristo nel nostro
essere, nel nostro agire e nel nostro vivere così come l'ha configurato,
abilitato e plasmato il sacramento dell'Ordine.
Sì, lo Spirito del Signore è il grande
protagonista della nostra vita spirituale. Egli crea il « cuore nuovo », lo
anima e lo guida con la « legge nuova » della carità, della carità pastorale.
Per lo sviluppo della vita spirituale è decisiva la consapevolezza che non
manca mai al sacerdote la grazia dello Spirito Santo, come dono totalmente
gratuito e come compito responsabilizzante. La coscienza del dono infonde e
sostiene l'incrollabile fiducia del sacerdote nelle difficoltà, nelle
tentazioni, nelle debolezze che s'incontrano sul cammino spirituale.
Ripropongo a tutti i sacerdoti quanto dissi
a tanti di loro in altra occasione: « La vocazione sacerdotale è essenzialmente
una chiamata alla santità, nella forma che scaturisce dal sacramento
dell'Ordine. La santità è intimità con Dio, è imitazione di Cristo, povero,
casto e umile; è amore senza riserve alle anime e donazione al loro vero bene;
è amore alla Chiesa che è santa e ci vuole santi, perché tale è la missione che
Cristo le ha affidato. Ciascuno di voi deve essere santo anche per aiutare i
fratelli a seguire la loro vocazione alla santità.
Come non riflettere... sul ruolo essenziale
che lo Spirito Santo svolge nella specifica chiamata alla santità, che è
propria del ministero sacerdotale? Ricordiamo le parole del rito
dell'Ordinazione sacerdotale, che sono ritenute centrali nella formula
sacramentale: "Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del
presbiterato. Rinnova in loro l'effusione del tuo Spirito di santità; adempiano
fedelmente, o Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da te
ricevuto e con il loro esempio guidino tutti a un'integra condotta di
vita".
Mediante l'Ordinazione, carissimi, avete
ricevuto lo stesso Spirito di Cristo, che vi rende simili a Lui, perché
possiate agire nel suo nome e vivere in voi i suoi stessi sentimenti. Questa
intima comunione con lo Spirito di Cristo, mentre garantisce l'efficacia
dell'azione sacramentale che voi ponete "in persona Christi", chiede
anche di esprimersi nel fervore della preghiera, nella coerenza della vita,
nella carità pastorale di un ministero instancabilmente proteso alla salvezza
dei fratelli. Chiede, in una parola, la vostra personale santificazione ».207
CAPITOLO
IV
VENITE
E VEDRETE
La vocazione sacerdotale nella pastorale della Chiesa
34. « Venite e vedrete ».208 Così
Gesù risponde ai due discepoli di Giovanni il Battista, che gli chiedevano dove
abitasse. In queste parole troviamo il significato della vocazione.
Ecco come l'evangelista racconta la chiamata
di Andrea e di Pietro: « Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei
suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco
l'agnello di Dio!". E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono
Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che
cercate?". Gli risposero: "Rabbi (che significa maestro), dove
abiti?". Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e
videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le
quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e
lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per
primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che
significa il Cristo)" e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su
di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che
vuol dire Pietro)" ».209
Questa pagina di Vangelo è una delle tante
del Libro Sacro nelle quali si descrive il « mistero » della vocazione, nel
nostro caso il mistero della vocazione ad essere apostoli di Gesù. La pagina di
Giovanni, che ha un significato anche per la vocazione cristiana come tale,
riveste un valore emblematico per la vocazione sacerdotale. La Chiesa, quale
comunità dei discepoli di Gesù, è chiamata a fissare il suo sguardo su questa
scena che, in qualche modo, si rinnova continuamente nella storia. È invitata
ad approfondire il senso originale e personale della vocazione alla sequela di
Cristo nel ministero sacerdotale e l'inscindibile legame tra la grazia divina e
la responsabilità umana, racchiuso e rivelato nei due termini che più volte
troviamo nel Vangelo: vieni e seguimi.210 È sollecitata a decifrare e a
percorrere il dinamismo proprio della vocazione, il suo svilupparsi graduale e
concreto nelle fasi del cercare Gesù, del seguirlo e del rimanere
con lui.
La Chiesa coglie in questo « Vangelo
della vocazione » il paradigma, la forza e l'impulso della sua pastorale
vocazionale, ossia della sua missione destinata a curare la nascita, il
discernimento e l'accompagnamento delle vocazioni, in particolare delle
vocazioni al sacerdozio. Proprio perché « la mancanza di sacerdoti è certamente
la tristezza di ogni Chiesa »,211 la pastorale vocazionale esige, oggi
soprattutto, di essere assunta con un nuovo, vigoroso e più deciso impegno da
parte di tutti i fedeli, nella consapevolezza che essa non è un elemento
secondario o accessorio, né un momento isolato o settoriale, quasi una semplice
parte, per quanto rilevante, della pastorale globale della Chiesa: è piuttosto,
come hanno ripetutamente affermato i Padri sinodali, un'attività intimamente inserita
nella pastorale generale di ogni Chiesa,212 una cura che dev'essere integrata e
pienamente identificata con la « cura delle anime » cosiddetta ordinaria,213
una dimensione connaturale ed essenziale della pastorale della Chiesa, ossia
della sua vita e della sua missione.214
Sì, la dimensione vocazionale è
connaturale ed essenziale alla pastorale della Chiesa. La ragione sta nel
fatto che la vocazione definisce, in un certo senso, l'essere profondo della
Chiesa, prima ancora che il suo operare. Nel medesimo nome della Chiesa, Ecclesia,
è indicata la sua intima fisionomia vocazionale, perché essa è veramente «
convocazione », assemblea dei chiamati: « Dio ha convocato l'assemblea
di coloro che guardano nella fede a Gesù, autore della salvezza e principio di
unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia per tutti e per i
singoli il sacramento visibile di questa unità salvifica ».215
Una lettura propriamente teologica della
vocazione sacerdotale e della pastorale che la riguarda può scaturire solo
dalla lettura del mistero della Chiesa come mysterium vocationis.
35. Ogni vocazione cristiana trova il suo
fondamento nell'elezione gratuita e preveniente da parte del Padre « che ci ha
benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha
scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo
cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera
di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà ».216
Ogni vocazione cristiana viene da Dio, è
dono di Dio. Essa però non viene mai elargita fuori o indipendentemente dalla
Chiesa, ma passa sempre nella Chiesa e mediante la Chiesa, perché, come ci
ricorda il Concilio Vaticano II, « piacque a Dio di santificare e salvare gli
uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire
di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse
».217
La Chiesa non solo raccoglie in sé tutte le
vocazioni che Dio le dona nel suo cammino di salvezza, ma essa stessa si
configura come mistero di vocazione, quale luminoso e vivo riflesso del mistero
della Trinità santissima. In realtà la Chiesa, « popolo adunato dall'unità del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo »,218 porta in sé il mistero del Padre
che, non chiamato e non inviato da nessuno,219 tutti chiama a santificare il
suo nome e a compiere la sua volontà; custodisce in sé il mistero del Figlio
che dal Padre è chiamato e mandato ad annunciare a tutti il Regno di Dio e che
tutti chiama alla sua sequela; ed è depositaria del mistero dello Spirito Santo
che consacra per la missione quelli che il Padre chiama mediante il Figlio suo
Gesù Cristo.
La Chiesa, che per nativa costituzione è «
vocazione », è generatrice ed educatrice di vocazioni. Lo è nel suo
essere di « sacramento », in quanto « segno » e « strumento » in cui risuona e
si compie la vocazione di ogni cristiano; e lo è nel suo operare, ossia nello
svolgimento del suo ministero di annuncio della Parola, di celebrazione dei
Sacramenti e di servizio e testimonianza della carità.
Si può cogliere ora l'essenziale
dimensione ecclesiale della vocazione cristiana: non solo essa deriva «
dalla » Chiesa e dalla sua mediazione, non solo si fa riconoscere e si compie «
nella » Chiesa, ma si configura — nel fondamentale servizio a Dio — anche e
necessariamente come servizio « alla » Chiesa. La vocazione cristiana, in ogni
sua forma, è un dono destinato all'edificazione della Chiesa, alla crescita del
Regno di Dio nel mondo.220
Ciò che diciamo di ogni vocazione cristiana
trova una sua specifica realizzazione nella vocazione sacerdotale: questa è
chiamata, mediante il sacramento dell'Ordine ricevuto nella Chiesa, a porsi al
servizio del Popolo di Dio con una peculiare appartenenza e configurazione a
Gesù Cristo e con l'autorità di agire nel nome e nella persona di lui Capo e
Pastore della Chiesa.
In questa prospettiva si comprende quanto
scrivono i Padri sinodali: « La vocazione di ciascun presbitero sussiste nella
Chiesa e per la Chiesa: per essa una simile vocazione si compie. Ne segue che
ogni presbitero riceve la vocazione dal Signore attraverso la Chiesa come un
dono grazioso, una gratia gratis data (charisma). È proprio del Vescovo
o del superiore competente non solo sottoporre ad esame l'idoneità e la
vocazione del candidato, ma anche riconoscerla. Un simile elemento
ecclesiastico inerisce alla vocazione al ministero presbiterale come tale. Il
candidato al presbiterato deve ricevere la vocazione non imponendo le proprie
personali condizioni ma accettando anche le norme e le condizioni che la Chiesa
stessa, per la sua parte di responsabilità, pone ».221
36. La storia di ogni vocazione sacerdotale,
come peraltro di ogni vocazione cristiana, è la storia di un ineffabile
dialogo tra Dio e l'uomo, tra l'amore di Dio che chiama e la libertà
dell'uomo che nell'amore risponde a Dio. Questi due aspetti indissociabili
della vocazione, il dono gratuito di Dio e la libertà responsabile dell'uomo,
emergono in modo splendido e quanto mai efficace nelle brevissime parole con le
quali l'evangelista Marco presenta la vocazione dei dodici: Gesù « salì poi sul
monte, chiamò a sé quelli che volle ed essi andarono da lui
».222 Da un lato sta la decisione assolutamente libera di Gesù, dall'altro l'«
andare » dei dodici, ossia il loro « seguire » Gesù.
È questo il paradigma costante, il dato
irrinunciabile di ogni vocazione: quella dei profeti, degli apostoli, dei
sacerdoti, dei religiosi, dei fedeli laici, di ogni persona.
Ma del tutto prioritario, anzi preveniente e
decisivo è l'intervento libero e gratuito di Dio che chiama. Sua è
l'iniziativa del chiamare. È questa, ad esempio, l'esperienza del profeta
Geremia: « Mi fu rivolta la parola del Signore: "Prima di formarti nel
grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo
consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni" ».223 È la stessa
verità presentata dall'apostolo Paolo, che radica ogni vocazione nell'eterna
elezione in Cristo, fatta « prima della creazione del mondo e secondo il beneplacito
della sua volontà ».224 L'assoluto primato della grazia nella vocazione trova
la sua perfetta proclamazione nella parola di Gesù: « Non voi avete scelto me,
ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il
vostro frutto rimanga ».225
Se la vocazione sacerdotale testimonia in
modo inequivocabile il primato della grazia, la libera e sovrana decisione di
Dio di chiamare l'uomo domanda assoluto rispetto, non può minimamente essere
forzata da qualsiasi pretesa umana, non può essere sostituita da qualsiasi
decisione umana. La vocazione è un dono della grazia divina e mai un diritto
dell'uomo, così che « non si può mai considerare la vita sacerdotale come una
promozione semplicemente umana, né la missione del ministro come un semplice
progetto personale ».226 È così escluso in radice ogni vanto e ogni presunzione
da parte dei chiamati.227 L'intero spazio spirituale del loro cuore è per una
gratitudine ammirata e commossa, per una fiducia ed una speranza incrollabili,
perché i chiamati sanno di essere fondati non sulle proprie forze, ma
sull'incondizionata fedeltà di Dio che chiama.
« Chiamò quelli che volle ed essi andarono
da lui ».228 Questo « andare », che s'identifica con il « seguire » Gesù,
esprime la risposta libera dei 12 alla chiamata del Maestro. Così è stato di
Pietro e di Andrea: « E disse loro: "Seguitemi, vi farò pescatori di
uomini". Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono ».229 Identica è
stata l'esperienza di Giacomo e di Giovanni.230 Così sempre: nella vocazione
risplendono insieme l'amore gratuito di Dio e l'esaltazione più alta possibile
della libertà dell'uomo: quella dell'adesione alla chiamata di Dio e
dell'affidamento a lui.
In realtà, grazia e libertà non si oppongono
tra loro. Al contrario, la grazia anima e sostiene la libertà umana,
liberandola dalla schiavitù del peccato,231 sanandola ed elevandola nelle sue
capacità di apertura e di accoglienza del dono di Dio. E se non si può
attentare all'iniziativa assolutamente gratuita di Dio che chiama, neppure si
può attentare all'estrema serietà con la quale l'uomo è sfidato nella sua
libertà. Così al « vieni e seguimi » di Gesù il giovane ricco oppone un
rifiuto, segno — sia pure negativo — della sua libertà: « Ma egli,
rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni
».232
La libertà, dunque, è essenziale alla vocazione, una
libertà che nella risposta positiva si qualifica come adesione personale
profonda, come donazione d'amore, o meglio come ri-donazione al Donatore che è
Dio che chiama, come oblazione. « La chiamata — diceva Paolo VI — si commisura
con la risposta. Non vi possono essere vocazioni, se non libere; se esse non
sono cioè offerte spontanee di sé, coscienti, generose, totali... Oblazioni,
diciamo: qui sta praticamente il vero problema... È la voce umile e penetrante
di Cristo, che dice, oggi come ieri, più di ieri: vieni. La libertà è posta al
suo supremo cimento: quello appunto dell'oblazione, della generosità, del
sacrificio ».233
L'oblazione libera, che costituisce il
nucleo intimo e più prezioso della risposta dell'uomo a Dio che chiama, trova
il suo incomparabile modello, anzi la sua radice viva nell'oblazione
liberissima di Gesù Cristo, il primo dei chiamati, alla volontà del Padre: «
Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: "Tu non hai voluto né
sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto:
Ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà" ».234
In intima comunione con Cristo, Maria, la
Vergine Madre, è stata la creatura che più di tutte ha vissuto la piena verità
della vocazione, perché nessuno come lei ha risposto con un amore così grande
all'amore immenso di Dio.235
37. « Ma egli, rattristatosi per quelle
parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni ».236 Il giovane ricco del
Vangelo, che non segue la chiamata di Gesù, ci ricorda gli ostacoli che possono
bloccare o spegnere la risposta libera dell'uomo: non soltanto i beni materiali
possono chiudere il cuore umano ai valori dello spirito e alle radicali
esigenze del Regno di Dio, ma anche alcune condizioni sociali e culturali del
nostro tempo possono presentare non poche minacce e imporre visioni distorte e
false circa la vera natura della vocazione, rendendone difficili, se non
impossibili, l'accoglienza e la stessa comprensione.
Molti hanno di Dio un'idea così generica e
confusa da sconfinare in forme di religiosità senza Dio, nelle quali la volontà
di Dio è concepita come un destino immutabile e ineluttabile, al quale l'uomo
deve solo adeguarsi e rassegnarsi in piena passività. Ma non è questo il volto
di Dio che Gesù Cristo è venuto a rivelarci: Dio, infatti, è il Padre che con
amore eterno e preveniente chiama l'uomo e lo costituisce in un meraviglioso e
permanente dialogo con lui, invitandolo a condividere, da figlio, la sua stessa
vita divina. È certo che con una visione errata di Dio l'uomo non può
riconoscere neppure la verità di se stesso, sicché la vocazione non può essere
né percepita né vissuta nel suo autentico valore: può essere sentita soltanto
come un peso imposto e insopportabile.
Anche talune idee distorte sull'uomo, spesso
sostenute da pretestuosi argomenti filosofici o « scientifici », inducono
talvolta l'uomo a interpretare la propria esistenza e la propria libertà come
totalmente determinate e condizionate da fattori esterni, di ordine educativo,
psicologico, culturale o ambientale. Altre volte la libertà viene intesa in
termini di assoluta autonomia, pretende di essere l'unica e insindacabile fonte
delle scelte personali, si qualifica come affermazione di sé ad ogni costo. Ma
in tal modo si preclude la strada per intendere e vivere la vocazione quale
libero dialogo d'amore, che nasce dalla comunicazione di Dio all'uomo e si
conclude nel dono sincero di se stesso. Nel contesto attuale non manca anche la
tendenza a pensare in modo individualistico e intimistico il rapporto dell'uomo
con Dio, come se la chiamata di Dio raggiungesse la singola persona per via
diretta, senza alcuna mediazione comunitaria, e avesse di mira un vantaggio, o
la stessa salvezza, del singolo chiamato e non la dedizione totale a Dio nel
servizio della comunità. Incontriamo così un'altra più profonda ed insieme
sottile minaccia, che rende impossibile riconoscere e accettare con gioia la
dimensione ecclesiale iscritta nativamente in ogni vocazione cristiana, ed in
quella presbiterale in specie: infatti, come ci ricorda il Concilio, il
sacerdozio ministeriale acquista il suo autentico significato e realizza la
piena verità di se stesso nel servire e nel far crescere la comunità cristiana
e il sacerdozio comune dei fedeli.237
Il contesto culturale ora ricordato, il cui
influsso non è assente tra gli stessi cristiani e specialmente tra i giovani,
aiuta a comprendere il diffondersi della crisi delle stesse vocazioni
sacerdotali, originate e accompagnate da più radicali crisi di fede. Lo hanno
dichiarato esplicitamente i Padri sinodali, riconoscendo che la crisi delle
vocazioni al presbiterato ha profonde radici nell'ambiente culturale e nella
mentalità e prassi dei cristiani.238
Di qui l'urgenza che la pastorale
vocazionale della Chiesa punti decisamente e in modo prioritario sulla
ricostruzione della « mentalità cristiana », quale è generata e sostenuta dalla
fede. È più che mai necessaria una evangelizzazione che non si stanchi di
presentare il vero volto di Dio, il Padre che in Gesù Cristo chiama ciascuno di
noi, e il senso genuino della libertà umana quale principio e forza del dono
responsabile di se stessi. Solo così saranno poste le basi indispensabili
perché ogni vocazione, compresa quella sacerdotale, possa essere percepita
nella sua verità, amata nella sua bellezza e vissuta con dedizione totale e con
gioia profonda.
38. Certamente la vocazione è un mistero
imperscrutabile, che coinvolge il rapporto che Dio instaura con l'uomo nella sua
unicità e irripetibilità, un mistero che viene percepito e sentito come un
appello che attende una risposta nel profondo della coscienza, in quel «
sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona
nell'intimità propria ».239 Ma ciò non elimina la dimensione comunitaria, ed
ecclesiale in specie, della vocazione: anche la Chiesa è realmente presente e
operante nella vocazione di ogni sacerdote.
Nel servizio alla vocazione sacerdotale e al
suo itinerario, ossia alla nascita, al discernimento e all'accompagnamento
della vocazione, la Chiesa può trovare un modello in Andrea, uno dei primi due
discepoli che si pongono al seguito di Gesù. È lui stesso a raccontare al
fratello ciò che gli era accaduto: « Abbiamo trovato il Messia (che significa
il Cristo) ».240 E il racconto di questa « scoperta » apre la strada
all'incontro: « E lo condusse da Gesù ».241 Nessun dubbio
sull'iniziativa assolutamente libera e sulla decisione sovrana di Gesù. È Lui
che chiama Simone e gli dà un nuovo nome: « Gesù, fissando lo sguardo su di
lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che
vuol dire Pietro)" ».242 Ma pure Andrea ha avuto la sua iniziativa: ha
sollecitato l'incontro del fratello con Gesù.
« E lo condusse da Gesù ». Sta qui, in un certo senso, il cuore di tutta la
pastorale vocazionale della Chiesa, con la quale essa si prende cura della
nascita e della crescita delle vocazioni, servendosi dei doni e delle
responsabilità, dei carismi e del ministero ricevuti da Cristo e dal suo
Spirito. La Chiesa, come popolo sacerdotale, profetico e regale, è impegnata a
promuovere e a servire il sorgere e il maturare delle vocazioni sacerdotali con
la preghiera e con la vita sacramentale, con l'annuncio della Parola e con
l'educazione alla fede, con la guida e la testimonianza della carità.
La Chiesa, nella sua dignità e
responsabilità di popolo sacerdotale, ha nella preghiera e nella
celebrazione della liturgia i momenti essenziali e primari della
pastorale vocazionale. La preghiera cristiana, infatti, nutrendosi della
Parola di Dio, crea lo spazio ideale perché ciascuno possa scoprire la verità
del proprio essere e l'identità del personale e irripetibile progetto di vita
che il Padre gli affida. È necessario, quindi, educare in particolare i ragazzi
e i giovani perché siano fedeli alla preghiera e alla meditazione della Parola
di Dio: nel silenzio e nell'ascolto potranno percepire la chiamata del Signore
al sacerdozio e seguirla con prontezza e generosità.
La Chiesa deve accogliere ogni giorno
l'invito suadente ed esigente di Gesù, che chiede di « pregare il padrone della
messe perché mandi operai nella sua messe ».243 Obbedendo al comando di Cristo,
la Chiesa compie, prima di ogni altra cosa, un'umile professione di fede:
pregando per le vocazioni, mentre ne avverte tutta l'urgenza per la sua vita e
per la sua missione, riconosce che esse sono un dono di Dio e, come tali, sono
da invocarsi con una supplica incessante e fiduciosa. Questa preghiera, cardine
di tutta la pastorale vocazionale, deve però impegnare non solo i singoli ma
anche le intere comunità ecclesiali. Nessuno dubita dell'importanza delle
singole iniziative di preghiera, dei momenti speciali riservati a questa
invocazione, a cominciare dall'annuale Giornata Mondiale per le Vocazioni, e
dell'impegno esplicito di persone e di gruppi particolarmente sensibili al
problema delle vocazioni sacerdotali. Ma oggi l'attesa orante di nuove
vocazioni deve diventare sempre più un'abitudine costante e largamente
condivisa nell'intera comunità cristiana e in ogni realtà ecclesiale. Così si
potrà rivivere l'esperienza degli apostoli che nel cenacolo, uniti con Maria,
attendono in preghiera l'effusione dello Spirito,244 il quale non mancherà di
suscitare ancora nel Popolo di Dio « degni ministri dell'altare, annunziatori
forti e miti della parola che ci salva ».245
Culmine e fonte della vita della Chiesa 246
e, in particolare, di ogni preghiera cristiana, anche la liturgia ha un ruolo
indispensabile e un'incidenza privilegiata nella pastorale delle vocazioni.
Essa, infatti, costituisce un'esperienza viva del dono di Dio e una grande
scuola della risposta alla sua chiamata. Come tale, ogni celebrazione
liturgica, e innanzitutto quella eucaristica, ci svela il vero volto di Dio, ci
fa comunicare al mistero della Pasqua, ossia all'« ora » per la quale Gesù è
venuto nel mondo e verso la quale si è liberamente e volontariamente
incamminato in obbedienza alla chiamata del Padre,247 ci manifesta il volto
della Chiesa quale popolo di sacerdoti e comunità ben compaginata nella varietà
e complementarità dei carismi e delle vocazioni. Il sacrificio redentore di
Cristo, che la Chiesa celebra nel mistero, dona un valore particolarmente
prezioso alla sofferenza vissuta in unione con il Signore Gesù. I Padri sinodali
ci hanno invitato a non dimenticare mai che « attraverso l'offerta delle
sofferenze, così frequenti nella vita degli uomini, il cristiano ammalato offre
se stesso come vittima a Dio, ad immagine di Cristo, che per tutti noi ha
consacrato se stesso »248 e che « l'offerta delle sofferenze secondo tale
intenzione è di grande giovamento per la promozione delle vocazioni ».249
39. Nell'esercizio della sua missione
profetica, la Chiesa sente incombente e irrinunciabile il compito di annunciare
e di testimoniare il senso cristiano della vocazione, potremmo dire « il
Vangelo della vocazione ». Avverte, anche in questo campo, l'urgenza delle
parole dell'apostolo: « Guai a me se non evangelizzassi! ».250 Tale ammonimento
risuona innanzitutto per noi pastori e riguarda, insieme con noi, tutti gli
educatori nella Chiesa. La predicazione e la catechesi devono sempre
manifestare la loro intrinseca dimensione vocazionale: la Parola di Dio
illumina i credenti a valutare la vita come risposta alla chiamata di Dio e li
accompagna ad accogliere nella fede il dono della vocazione personale.
Ma tutto questo, che pure è importante ed
essenziale, non basta: occorre una « predicazione diretta sul mistero della
vocazione nella Chiesa, sul valore del sacerdozio ministeriale, sulla sua
urgente necessità per il Popolo di Dio ».251 Una catechesi organica e offerta a
tutte le componenti della Chiesa, oltre a dissipare dubbi e a contrastare idee
unilaterali o distorte sul ministero sacerdotale, apre i cuori dei credenti
all'attesa del dono e crea condizioni favorevoli per la nascita di nuove
vocazioni. È giunto il tempo di parlare coraggiosamente della vita sacerdotale
come di un valore inestimabile e come di una forma splendida e privilegiata di
vita cristiana. Gli educatori, e specialmente i sacerdoti, non devono temere di
proporre in modo esplicito e forte la vocazione al presbiterato come una reale
possibilità per quei giovani che mostrano di avere i doni e le doti ad essa
corrispondenti. Non si deve aver alcuna paura di condizionarli o di limitarne
la libertà; al contrario, una proposta precisa, fatta al momento giusto, può
essere decisiva per provocare nei giovani una risposta libera e autentica. Del
resto, la storia della Chiesa e quella di tante vocazioni sacerdotali,
sbocciate anche in tenera età, attestano ampiamente la provvidenzialità della
vicinanza e della parola di un prete: non solo della parola, ma anche della
vicinanza, cioè di una testimonianza concreta e gioiosa, capace di far sorgere
interrogativi e di condurre a decisioni anche definitive.
40. Come popolo regale, la Chiesa si
riconosce radicata e animata dalla « legge dello Spirito che dà vita »,252 che
è essenzialmente la legge regale della carità 253 o la legge perfetta della
libertà.254 Essa, perciò, adempie la sua missione quando guida ogni fedele a
scoprire e a vivere la propria vocazione nella libertà e a portarla a
compimento nella carità.
Nel suo compito educativo, la Chiesa mira,
con attenzione privilegiata, a suscitare nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani
il desiderio e la volontà di una sequela integrale e avvincente di Gesù Cristo.
L'opera educativa, che pure riguarda la comunità cristiana come tale, deve
rivolgersi alla singola persona: Dio, infatti, con la sua chiamata raggiunge il
cuore di ciascun uomo e lo Spirito, che dimora nell'intimo di ogni
discepolo,255 si dona a ciascun cristiano con carismi diversi e con
manifestazioni particolari. Ciascuno, dunque, dev'essere aiutato a cogliere il
dono che proprio a lui, come a persona unica e irripetibile, è affidato e ad
ascoltare le parole che lo Spirito di Dio gli rivolge singolarmente.
In questa prospettiva, la cura delle
vocazioni al sacerdozio saprà esprimersi anche in una ferma e persuasiva
proposta di direzione spirituale. È necessario riscoprire la grande
tradizione dell'accompagnamento spirituale personale, che ha sempre portato
tanti e preziosi frutti nella vita della Chiesa: esso può essere aiutato in
determinati casi e a precise condizioni, ma non sostituito, da forme di analisi
o di aiuto psicologico.256 I ragazzi, gli adolescenti e i giovani siano
invitati a scoprire e ad apprezzare il dono della direzione spirituale, a
ricercarlo e a sperimentarlo, a chiederlo con fiduciosa insistenza ai loro
educatori nella fede. I sacerdoti, per parte loro, siano i primi a dedicare
tempo ed energie a quest'opera di educazione e di aiuto spirituale personale:
non si pentiranno mai di aver trascurato o messo in secondo piano tante altre
cose, pure belle e utili, se questo era inevitabile per mantenere fede al loro
ministero di collaboratori dello Spirito nell'illuminazione e nella guida dei
chiamati.
Fine dell'educazione del cristiano è di
giungere, sotto l'influsso dello Spirito, alla « piena maturità di Cristo ».257
Ciò si verifica quando, imitandone e condividendone la carità, si fa di tutta
la propria vita un servizio d'amore,258) offrendo a Dio un culto spirituale a
lui gradito 259 donandosi ai fratelli. Il servizio d'amore è il senso
fondamentale di ogni vocazione, che trova una realizzazione specifica nella
vocazione del sacerdote: egli, infatti, è chiamato a rivivere, nella forma più
radicale possibile, la carità pastorale di Gesù, l'amore cioè del buon Pastore
che « offre la vita per le pecore ».260
Per questo un'autentica pastorale
vocazionale non si stancherà mai di educare i ragazzi, gli adolescenti e i
giovani al gusto dell'impegno, al senso del servizio gratuito, al valore del
sacrificio, alla donazione incondizionata di sé. Si fa allora particolarmente
utile l'esperienza del volontariato, verso cui sta crescendo la sensibilità di
tanti giovani: se sarà un volontariato evangelicamente motivato, capace di
educare al discernimento dei bisogni, vissuto con dedizione e fedeltà ogni
giorno, aperto all'eventualità di un impegno definitivo nella vita consacrata,
nutrito di preghiera, esso saprà più sicuramente sostenere una vita di impegno
disinteressato e gratuito e renderà più sensibile chi ad esso si dedica alla
voce di Dio che lo può chiamare al sacerdozio. Diversamente dal giovane ricco,
il volontario potrebbe accettare l'invito, colmo d'amore, che Gesù gli
rivolge;261 e lo potrebbe accettare perché gli unici suoi beni consistono già
nel donarsi agli altri e nel « perdere » la sua vita.
41. La vocazione sacerdotale è un dono di
Dio, che costituisce certamente un grande bene per colui che ne è il primo
destinatario. Ma è anche un dono per l'intera Chiesa, un bene per la sua vita e
per la sua missione. La Chiesa, dunque, è chiamata a custodire questo dono, a
stimarlo e ad amarlo: essa è responsabile della nascita e della maturazione
delle vocazioni sacerdotali. Di conseguenza la pastorale vocazionale ha come
soggetto attivo, come protagonista la comunità ecclesiale come tale, nelle sue
diverse espressioni: dalla Chiesa universale alla Chiesa particolare e,
analogamente, da questa alla parrocchia e a tutte le componenti del Popolo di
Dio.
È quanto mai urgente, oggi soprattutto, che
si diffonda e si radichi la convinzione che tutti i membri della Chiesa,
nessuno escluso, hanno la grazia e la responsabilità della cura delle vocazioni.
Il Concilio Vaticano II è stato quanto mai esplicito nell'affermare che « il
dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità
cristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una vita
perfettamente cristiana ».262 Solo sulla base di questa convinzione la
pastorale vocazionale potrà manifestare il suo volto veramente ecclesiale,
sviluppare un'azione concorde, servendosi anche di organismi specifici e di
adeguati strumenti di comunione e di corresponsabilità.
La prima responsabilità della pastorale
orientata alle vocazioni sacerdotali è del Vescovo,263 che è chiamato a
viverla in prima persona, anche se potrà e dovrà suscitare molteplici
collaborazioni. Egli è padre e amico nel suo presbiterio, ed è anzitutto sua la
sollecitudine di « dare continuità » al carisma e al ministero presbiterale,
associandovi nuove forze con l'imposizione delle mani. Egli sarà sollecito che
la dimensione vocazionale sia sempre presente in tutto l'ambito della pastorale
ordinaria, anzi sia pienamente integrata e quasi identificata con essa. A lui
spetta il compito di promuovere e di coordinare le varie iniziative
vocazionali.264
Il Vescovo sa di poter contare anzitutto
sulla collaborazione del suo presbiterio. Tutti i sacerdoti sono con lui
solidali e corresponsabili nella ricerca e nella promozione delle vocazioni
presbiterali. Infatti, come afferma il Concilio, « spetta ai sacerdoti, nella
loro qualità di educatori della fede, di curare che ciascuno dei fedeli sia
condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica ».265
È questa « una funzione che fa parte della stessa missione sacerdotale, in
virtù della quale il presbitero partecipa della sollecitudine per la Chiesa
intera, affinché nel Popolo di Dio qui sulla terra non manchino mai gli operai
».266 La vita stessa dei presbiteri, la loro dedizione incondizionata al gregge
di Dio, la loro testimonianza di amorevole servizio al Signore e alla sua
Chiesa — una testimonianza segnata dalla scelta della croce accolta nella
speranza e nella gioia pasquale —, la loro concordia fraterna e il loro zelo
per l'evangelizzazione del mondo sono il primo e il più persuasivo fattore di
fecondità vocazionale.267
Una responsabilità particolarissima è
affidata alla famiglia cristiana, che in virtù del Sacramento del
Matrimonio partecipa in modo proprio e originale alla missione educativa della
Chiesa maestra e madre. Come hanno scritto i Padri sinodali, « la famiglia
cristiana, che è veramente "come chiesa domestica",268 ha sempre
offerto e continua ad offrire le condizioni favorevoli per la nascita delle
vocazioni. Poiché oggi l'immagine della famiglia cristiana è in pericolo,
grande importanza dev'essere attribuita alla pastorale familiare, così che le
famiglie stesse, accogliendo generosamente il dono della vita umana,
costituiscano "come il primo seminario",269 nel quale i figli possano
acquisire dall'inizio il senso della pietà e della preghiera e l'amore verso la
Chiesa ».270 In continuità e in sintonia con l'opera dei genitori e della
famiglia deve porsi la scuola, la quale è chiamata a vivere la sua
identità di « comunità educante » anche con una proposta culturale capace di
far luce sulla dimensione vocazionale come valore nativo e fondamentale della
persona umana. In tal senso, se opportunamente arricchita di spirito cristiano
(sia attraverso significative presenze ecclesiali nella scuola statale, secondo
i vari ordinamenti nazionali, sia soprattutto nel caso della scuola cattolica),
può infondere « nell'animo dei ragazzi e dei giovani il desiderio di compiere
la volontà di Dio nello stato di vita più idoneo a ciascuno, senza mai
escludere la vocazione al ministero sacerdotale ».271
Anche i fedeli laici, in particolare
i catechisti, gli insegnanti, gli educatori, gli animatori della pastorale
giovanile, ciascuno con le risorse e modalità proprie, hanno una grande
importanza nella pastorale delle vocazioni sacerdotali: quanto più
approfondiranno il senso della loro vocazione e missione nella Chiesa, tanto più
potranno riconoscere il valore e l'insostituibilità della vocazione e della
missione sacerdotale.
Nell'ambito delle comunità diocesane e
parrocchiali sono da stimare e promuovere quei gruppi vocazionali, i cui
membri offrono il loro contributo di preghiera e di sofferenza per le vocazioni
sacerdotali e religiose, nonché di sostegno morale e materiale.
Sono qui da ricordare anche i numerosi gruppi,
movimenti e associazioni di fedeli laici che lo Spirito Santo fa sorgere e
crescere nella Chiesa in ordine ad una presenza cristiana più missionaria nel
mondo. Queste diverse aggregazioni di laici si stanno rivelando come un campo
particolarmente fertile alla manifestazione di vocazioni consacrate, veri e
propri luoghi di proposta e di crescita vocazionale. Non pochi giovani,
infatti, proprio nell'ambito e grazie a queste aggregazioni hanno avvertito la
chiamata del Signore a seguirlo sulla via del sacerdozio ministeriale 272 e
hanno risposto con confortante generosità. Sono, quindi, da valorizzare perché,
in comunione con tutta la Chiesa e per la sua crescita, diano il loro specifico
contributo allo sviluppo della pastorale vocazionale.
Le varie componenti e i diversi membri della
Chiesa impegnati nella pastorale vocazionale renderanno tanto più efficace la
loro opera quanto più stimole ranno la comunità ecclesiale come tale, a
cominciare dalla parrocchia, a sentire che il problema delle vocazioni
sacerdotali non può minimamente essere delegato ad alcuni
"incaricati" (i sacerdoti in genere, i sacerdoti del seminario in
specie) perché, essendo "un problema vitale che si colloca nel cuore
stesso della Chiesa", 273 deve stare al centro dell'amore di ogni
cristiano verso la Chiesa.
CAPITOLO
V
NE
COSTITUI' DODICI CHE STESSERO CON LUI
La formazione dei candidati al sacerdozio
Vivere al seguito di Cristo come gli
apostoli
42. « Salì sul monte, chiamò a sé quelli che
volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche
per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni ».274
« Che stessero con lui »: in queste parole non è difficile leggere «
l'accompagnamento vocazionale » degli apostoli da parte di Gesù. Dopo averli
chiamati e prima di mandarli, anzi per poterli mandare a predicare, Gesù chiede
loro un « tempo » di formazione destinato a sviluppare un rapporto di comunione
e di amicizia profonde con se stesso. Ad essi egli riserva una catechesi più
approfondita rispetto a quella della gente 275 e li vuole testimoni della sua
silenziosa preghiera al Padre.276
Nella sua sollecitudine nei riguardi delle
vocazioni sacerdotali la Chiesa di tutti i tempi si ispira all'esempio di
Cristo. Sono state, e in parte lo sono tuttora, molto diverse le forme
concrete secondo cui la Chiesa si è impegnata nella pastorale vocazionale, destinata
non solo a discernere ma anche ad « accompagnare » le vocazioni al sacerdozio.
Ma lo spirito, che le deve animare e sostenere, rimane identico:
quello di portare al sacerdozio solo coloro che sono stati chiamati e di
portarli adeguatamente formati, ossia con una risposta cosciente e libera di
adesione e di coinvolgimento di tutta la loro persona a Gesù Cristo che chiama
all'intimità di vita con lui e alla condivisione della sua missione di
salvezza. In questo senso il seminario nelle sue diverse forme e in modo
analogo la « casa » di formazione dei sacerdoti religiosi, prima che essere un
luogo, uno spazio materiale, rappresenta uno spazio spirituale, un itinerario
di vita, un'atmosfera che favorisce ed assicura un processo formativo così che
colui che è chiamato da Dio al sacerdozio possa divenire, con il sacramento
dell'Ordine, un'immagine vivente di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa.
Nel loro Messaggio finale i Padri sinodali hanno colto in modo immediato e
profondo il significato originale e qualificante della formazione dei candidati
al sacerdozio, dicendo che « vivere in seminario, scuola del Vangelo, significa
vivere al seguito di Cristo come gli apostoli; è lasciarsi iniziare da lui al
servizio del Padre e degli uomini, sotto la guida dello Spirito Santo; è
lasciarsi configurare al Cristo buon Pastore per un migliore servizio
sacerdotale nella Chiesa e nel mondo. Formarsi al sacerdozio significa
abituarsi a dare una risposta personale alla questione fondamentale di Cristo:
"Mi ami tu?". La risposta per il futuro sacerdote non può essere che
il dono totale della propria vita ».277
Si tratta di tradurre questo spirito, che
non potrà mai venir meno nella Chiesa, nelle condizioni sociali, psicologiche,
politiche e culturali del mondo attuale, peraltro così varie oltre che
complesse, come hanno testimoniato i Padri sinodali in rapporto alle diverse
Chiese particolari. Gli stessi Padri, con accenti carichi di pensosa
preoccupazione ma anche di grande speranza, hanno potuto conoscere e riflettere
a lungo sullo sforzo di ricerca e di aggiornamento dei metodi di formazione dei
candidati al sacerdozio in atto in tutte le loro Chiese.
Questa Esortazione intende raccogliere il
frutto dei lavori sinodali, stabilendo alcuni punti acquisiti, mostrando
alcune mete irrinunciabili, mettendo a disposizione di tutti la ricchezza
di esperienze e di itinerari formativi già positivamente sperimentati. In
questa Esortazione si considera distintamente la formazione « iniziale »
e la formazione « permanente », senza però mai dimenticare il profondo
legame che le unisce e che deve fare delle due un unico organico percorso di
vita cristiana e sacerdotale. L'Esortazione si sofferma sulle diverse
dimensioni della formazione, umana, spirituale, intellettuale e
pastorale, come pure sugli ambienti e sui soggetti responsabili
della formazione stessa dei candidati al sacerdozio.
I. Le dimensioni della formazione
sacerdotale
43. « Senza un'opportuna formazione umana
l'intera formazione sacerdotale sarebbe priva del suo necessario fondamento
».278 Quest'affermazione dei Padri sinodali esprime non soltanto un dato
quotidianamente suggerito dalla ragione e confermato dall'esperienza, ma
un'esigenza che trova la sua motivazione più profonda e specifica nella natura
stessa del presbitero e del suo ministero.
Il presbitero, chiamato ad essere immagine
viva di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa, deve cercare di riflettere in
sé, nella misura del possibile, quella perfezione umana che risplende nel
Figlio di Dio fatto uomo e che traspare con singolare efficacia nei suoi
atteggiamenti verso gli altri, così come gli evangelisti li presentano. Il
ministero poi del sacerdote è sì di annunciare la Parola, celebrare il
Sacramento, guidare nella carità la comunità cristiana « nel nome e nella
persona di Cristo », ma questo rivolgendosi sempre e solo a uomini concreti: «
Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli
uomini nelle cose che riguardano Dio ».279 Per questo la formazione umana del
sacerdote rivela la sua particolare importanza in rapporto ai destinatari della
sua missione: proprio perché il suo ministero sia umanamente il più credibile
ed accettabile, occorre che il sacerdote plasmi la sua personalità umana in
modo da renderla ponte e non ostacolo per gli altri nell'incontro con Gesù
Cristo Redentore dell'uomo; è necessario che, sull'esempio di Gesù che « sapeva
quello che c'è in ogni uomo »,280 il sacerdote sia capace di conoscere in
profondità l'animo umano, di intuire difficoltà e problemi, di facilitare
l'incontro e il dialogo, di ottenere fiducia e collaborazione, di esprimere
giudizi sereni e oggettivi.
Non solo, dunque, per una giusta e doverosa
maturazione e realizzazione di sé, ma anche in vista del ministero i futuri
presbiteri devono coltivare una serie di qualità umane necessarie alla
costruzione di personalità equilibrate, forti e libere, capaci di portare il
peso delle responsabilità pastorali. Occorre allora l'educazione all'amore per
la verità, alla lealtà, al rispetto per ogni persona, al senso della giustizia,
alla fedeltà alla parola data, alla vera compassione, alla coerenza e, in
particolare, all'equilibrio di giudizio e di comportamento.281 Un programma
semplice e impegnativo per questa formazione umana è proposto dall'apostolo Paolo
ai Filippesi: « Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile,
onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri
pensieri ».282 È interessante rilevare come Paolo, proprio in queste qualità
profondamente umane, presenti se stesso come modello ai suoi fedeli: « Ciò che
avete imparato — prosegue immediatamente —, ricevuto, ascoltato e veduto in me,
è quello che dovete fare ».283
Di particolare importanza è la capacità di
relazione con gli altri, elemento veramente essenziale per chi è chiamato ad
essere responsabile di una comunità e ad essere « uomo di comunione ». Questo
esige che il sacerdote non sia né arrogante né litigioso, ma sia affabile,
ospitale, sincero nelle parole e nel cuore,284 prudente e discreto, generoso e
disponibile al servizio, capace di offrire personalmente, e di suscitar in
tutti, rapporti schietti e fraterni, pronto a comprendere, perdonare e
consolare.285 L'umanità di oggi, spesso condannata a situazioni di
massificazione e di solitudine, soprattutto nelle grandi concentrazioni urbane,
si fa sempre più sensibile al valore della comunione: questo è oggi uno dei
segni più eloquenti ed una delle vie più efficaci del messaggio evangelico.
In questo contesto si inserisce, come
momento qualificante e decisivo, la formazione del candidato al sacerdozio alla
maturità affettiva, quale esito dell'educazione all'amore vero e responsabile.
44. La maturazione affettiva suppone
la consapevolezza della centralità dell'amore nell'esistenza umana. In realtà,
come ho scritto nell'enciclica « Redemptor Hominis », « l'uomo non può vivere
senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è
priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con
l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa
vivamente ».286
Si tratta di un amore che coinvolge l'intera
persona, nelle sue dimensioni e componenti fisiche, psichiche e spirituali, e che
si esprime nel « significato sponsale » del corpo umano, grazie al quale la
persona dona se stessa all'altra e la accoglie. Alla comprensione e alla
realizzazione di questa « verità » dell'amore umano tende l'educazione sessuale
rettamente intesa. Si deve, infatti, registrare una situazione sociale e
culturale diffusa « che "banalizza" in larga parte la sessualità
umana, perché la interpreta e la vive in modo riduttivo e impoverito,
collegandola unicamente al corpo e al piacere egoistico ».287 Spesso le stesse
situazioni familiari, dalle quali provengono le vocazioni sacerdotali,
presentano al riguardo non poche carenze e talvolta anche gravi squilibri.
In un simile contesto si fa più difficile,
ma diventa più urgente, un'educazione alla sessualità che sia veramente
e pienamente personale e che, pertanto, faccia posto alla stima e all'amore per
la castità, quale « virtù che sviluppa l'autentica maturità della persona e la
rende capace di rispettare e di promuovere il "significato sponsale"
del corpo ».288
Ora l'educazione all'amore responsabile e la
maturazione affettiva della persona risultano del tutto necessarie per chi,
come il presbitero, è chiamato al celibato, ossia ad offrire, con la
grazia dello Spirito e con la libera risposta della propria volontà, la
totalità del suo amore e della sua sollecitudine a Gesù Cristo e alla Chiesa.
In vista dell'impegno celibatario la maturità affettiva deve saper includere,
all'interno di rapporti umani di serena amicizia e di profonda fraternità, un
grande amore, vivo e personale, nei riguardi di Gesù Cristo. Come hanno scritto
i Padri sinodali, « è di massima importanza nel suscitare la maturità affettiva
l'amore di Cristo, prolungato in una dedizione universale. Così il candidato,
chiamato al celibato, troverà nella maturità affettiva un fermo fulcro per
vivere la castità nella fedeltà e nella gioia ».289
Poiché il carisma del celibato, anche quando
è autentico e provato, lascia intatte le inclinazioni dell'affettività e le
pulsioni dell'istinto, i candidati al sacerdozio hanno bisogno di una maturità
affettiva capace di prudenza, di rinuncia a tutto ciò che può insidiarla, di
vigilanza sul corpo e sullo spirito, di stima e di rispetto nelle relazioni
interpersonali con uomini e donne. Un aiuto prezioso può essere dato da
un'adeguata educazione alla vera amicizia, ad immagine dei vincoli di
fraterno affetto che Cristo stesso ha vissuto nella sua esistenza.290
La maturità umana, e quella affettiva in
particolare, esigono una formazione limpida e forte ad una libertà che
si configura come obbedienza convinta e cordiale alla « verità » del proprio
essere, al « significato » del proprio esistere, ossia al « dono sincero di sé
» quale via e fondamentale contenuto dell'autentica realizzazione di sé.291
Così intesa, la libertà esige che la persona sia veramente padrona di sé
stessa, decisa a combattere e a superare le diverse forme di egoismo e di
individualismo che insidiano la vita di ciascuno, pronta ad aprirsi agli altri,
generosa nella dedizione e nel servizio al prossimo. Ciò è importante per la
risposta da darsi alla vocazione, e a quella sacerdotale in specie, e per la
fedeltà ad essa e agli impegni che vi sono connessi, anche nei momenti
difficili. In questo itinerario educativo verso una matura libertà responsabile
un aiuto può venire dalla vita comunitaria del Seminario.292
Intimamente congiunta con la formazione alla
libertà responsabile è l'educazione della coscienza morale: questa,
mentre sollecita dall'intimo del proprio « io » l'obbedienza alle obbligazioni
morali, rivela il significato profondo di tale obbedienza, quello di essere una
risposta cosciente e libera, e dunque per amore, alle richieste di Dio e del
suo amore. « La maturità umana del sacerdote — scrivono i Padri sinodali — deve
includere specialmente la formazione della sua coscienza. Il candidato infatti,
perché possa fedelmente assolvere alle sue obbligazioni verso Dio e la Chiesa e
perché possa sapientemente guidare le coscienze dei fedeli, deve abituarsi ad
ascoltare la voce di Dio, che gli parla nel cuore, e ad aderire con amore e
fermezza alla sua volontà ».293
45. La stessa formazione umana, se
sviluppata nel contesto di un'antropologia che accoglie l'intera verità
dell'uomo, si apre e si completa nella formazione spirituale. Ogni uomo, creato
da Dio e redento dal sangue di Cristo, è chiamato ad essere rigenerato «
dall'acqua e dallo Spirito »294 e a divenire « figlio nel Figlio ». Sta in
questo disegno efficace di Dio il fondamento della dimensione costitutivamente
religiosa dell'essere umano, peraltro intuita e riconosciuta dalla semplice
ragione: l'uomo è aperto al trascendente, all'assoluto; possiede un cuore che è
inquieto sino a che non riposa nel Signore.295
È da questa fondamentale e insopprimibile
esigenza religiosa che parte e si snoda il processo educativo di una vita
spirituale intesa come rapporto e comunione con Dio. Secondo la rivelazione e
l'esperienza cristiana, la formazione spirituale possiede l'inconfondibile
originalità che proviene dalla « novità » evangelica. Infatti, « essa è opera
dello Spirito e impegna la persona nella sua totalità; introduce nella
comunione profonda con Gesù Cristo, buon Pastore; conduce a una sottomissione
di tutta la vita allo Spirito, in un atteggiamento filiale nei confronti del
Padre e in un attaccamento fiducioso alla Chiesa. Essa si radica
nell'esperienza della croce per poter introdurre, in una comunione profonda,
alla totalità del mistero pasquale ».296
Come si vede, si tratta di una formazione
spirituale che è comune a tutti i fedeli, ma che chiede di strutturarsi secondo
quei significati e quelle connotazioni che derivano dall'identità del
presbitero e del suo ministero. E come per ogni fedele la formazione spirituale
deve dirsi centrale e unificante in rapporto al suo essere e al suo vivere da cristiano,
ossia da creatura nuova in Cristo che cammina nello Spirito, così per ogni
presbitero la formazione spirituale costituisce il cuore che unifica e
vivifica il suo essere prete e il suo fare il prete. In tal
senso, i Padri del Sinodo affermano che « senza la formazione spirituale la
formazione pastorale procederebbe senza fondamento »297 e che la formazione
spirituale costituisce « come l'elemento di massima importanza nell'educazione
sacerdotale ».298
Il contenuto essenziale della formazione
spirituale in un preciso itinerario verso il sacerdozio è bene espresso dal
decreto conciliare « Optatam Totius »: « La formazione spirituale ... sia
impartita in modo tale che gli alunni imparino a vivere in intima comunione e
familiarità col Padre per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo.
Destinati a configurarsi a Cristo sacerdote per mezzo della sacra ordinazione,
si abituino anche a vivere intimamente uniti a lui, come amici, in tutta la
loro vita. Vivano il mistero pasquale di Cristo in modo da sapervi iniziare un
giorno il Popolo che sarà loro affidato. Si insegni loro a cercare Cristo nella
fedele meditazione della Parola di Dio; nell'attiva partecipazione ai misteri
sacrosanti della Chiesa, soprattutto nell'Eucaristia e nell'ufficio divino; nel
Vescovo che li manda e negli uomini ai quali sono inviati, specialmente nei
poveri, nei piccoli, negli infermi, nei peccatori e negli increduli. Con
fiducia filiale amino e venerino la Beatissima Vergine Maria che fu data come
madre da Gesù morente in croce al suo discepolo ».299
46. Il testo conciliare merita un'accurata e
amorosa meditazione, dalla quale si possono facilmente enucleare alcuni
fondamentali valori ed esigenze del cammino spirituale del candidato al
sacerdozio.
S'impone, innanzitutto, il valore e
l'esigenza di « vivere intimamente uniti » a Gesù Cristo. L'unione al
Signore Gesù, fondata sul Battesimo e alimentata con l'Eucaristia, domanda di
esprimersi, rinnovandola radicalmente, nella vita di ogni giorno. L'intima
comunione con la Santissima Trinità, ossia la vita nuova della grazia che rende
figli di Dio, costituisce la « novità » del credente: una novità che coinvolge
l'essere e l'operare. Costituisce il « mistero » dell'esistenza cristiana che
sta sotto l'influsso dello Spirito: deve costituire, di conseguenza, l'« ethos
» della vita del cristiano. Gesù ci ha insegnato questo meraviglioso contenuto
della vita cristiana, che è anche il cuore della vita spirituale, con
l'allegoria della vite e dei tralci: « Io sono la vera vite e il Padre mio è il
vignaiolo... Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da
se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io
sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto,
perché senza di me non potete far nulla ».300
Nella cultura attuale non mancano, certo,
dei valori spirituali e religiosi e l'uomo, nonostante ogni apparenza
contraria, rimane instancabilmente un affamato e un assetato di Dio. Ma spesso
la religione cristiana rischia di essere considerata una religione fra le tante
o di essere ridotta ad una pura etica sociale a servizio dell'uomo. Così non
sempre emerge la sua sconvolgente novità nella storia: essa è « mistero », è
l'evento del Figlio di Dio che si fa uomo e dà a quanti l'accolgono il « potere
di diventare figli di Dio »,301 è l'annuncio, anzi il dono di un'alleanza
personale di amore e di vita di Dio con l'uomo. Solo se i futuri sacerdoti,
attraverso un'adeguata formazione spirituale, avranno fatto conoscenza profonda
ed esperienza crescente di questo « mistero », potranno comunicare agli altri
tale sorprendente e beatificante annuncio.302
Il testo conciliare, pur consapevole
dell'assoluta trascendenza del mistero cristiano, connota l'intima comunione
dei futuri presbiteri con Gesù con la sfumatura dell'amicizia. Non è,
questa, un'assurda pretesa dell'uomo. È semplicemente il dono inestimabile di
Cristo, che ai suoi apostoli ha detto: « Non vi chiamo più servi, perché il
servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché
tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi ».303
Il testo conciliare prosegue indicando un
secondo grande valore spirituale: la ricerca di Gesù. « Si insegni loro
a cercare Cristo ». È questo, insieme al quaerere Deum, un tema classico della
spiritualità cristiana, che trova una sua specifica applicazione proprio
nell'ambito della vocazione degli apostoli. Giovanni, nel raccontare la sequela
di Gesù da parte dei primi due discepoli, mette in luce il posto occupato da
questa « ricerca ». È Gesù stesso che pone la domanda: « Che cercate? ». E i
due rispondono: « Rabbì, dove abiti? ». L'evangelista prosegue: « Disse loro:
"Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel
giorno si fermarono presso di lui ».304 In un certo senso la vita spirituale di
chi si prepara al sacerdozio è dominata da questa ricerca: da questa e dal «
trovare » il Maestro, per seguirlo, per stare in comunione con lui. Anche nel
ministero e nella vita sacerdotale questa « ricerca » dovrà continuare, tanto è
inesauribile il mistero dell'imitazione e della partecipazione alla vita di
Cristo. Così come dovrà continuare questo « trovare » il Maestro, in ordine ad
additarlo agli altri, meglio ancora in ordine a suscitare negli altri il desiderio
di cercare il Maestro. Ma ciò è veramente possibile se agli altri viene
proposta una « esperienza » di vita, un'esperienza che meriti di essere
condivisa. È stata questa la strada seguita da Andrea per condurre il fratello
Simone da Gesù: Andrea, scrive l'evangelista Giovanni, « incontrò per primo suo
fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il
Cristo)" e lo condusse da Gesù ».305 E così anche Simone sarà chiamato,
come apostolo, alla sequela del Messia: « Gesù, fissando lo sguardo su di lui,
disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol
dire Pietro)" ».306
Ma che significa, nella vita spirituale,
cercare Cristo? e dove trovarlo? « Rabbì, dove abiti? ». Il decreto conciliare
« Optatam Totius » sembra indicare una triplice strada da percorrere: la fedele
meditazione della Parola di Dio, l'attiva partecipazione ai misteri sacrosanti
della Chiesa, il servizio della carità ai « piccoli ». Sono tre grandi valori
ed esigenze che definiscono ulteriormente il contenuto della formazione
spirituale del candidato al sacerdozio.
47. Elemento essenziale della formazione
spirituale è la lettura meditata e orante della Parola di Dio (lectio
divina), è l'ascolto umile e pieno d'amore di Colui che parla. È, infatti,
nella luce e nella forza della Parola di Dio che può essere scoperta, compresa,
amata e seguita la propria vocazione e compiuta la propria missione, al punto
che l'intera esistenza trova il suo significato unitario e radicale nell'essere
il termine della Parola di Dio che chiama l'uomo e il principio della parola
dell'uomo che risponde a Dio. La familiarità con la Parola di Dio faciliterà
l'itinerario della conversione, non solo nel senso di distaccarsi dal male per
aderire al bene, ma anche nel senso di alimentare nel cuore i pensieri di Dio,
così che la fede, quale risposta alla Parola, diventi il nuovo criterio di
giudizio e di valutazione degli uomini e delle cose, degli avvenimenti e dei
problemi.
Purché la Parola di Dio sia accostata e
accolta nella sua vera natura: essa, infatti, fa incontrare Dio stesso, Dio che
parla all'uomo; fa incontrare Cristo, il Verbo di Dio, la Verità che insieme è
anche Via e Vita.307 Si tratta di leggere le « scritture » ascoltando le «
parole », la « Parola » di Dio, come ci ricorda il Concilio: « Le Sacre
Scritture contengono la Parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente Parola
di Dio ».308
E ancora lo stesso Concilio: « Con questa
rivelazione infatti Dio invisibile309 nel suo immenso amore parla agli uomini
come ad amici310 e si intrattiene con essi,311 per invitarli e ammetterli alla
comunione con sé ».312
La conoscenza amorosa e la familiarità
orante con la Parola di Dio rivestono un significato specifico per il ministero
profetico del sacerdote, per il cui adeguato svolgimento diventano una
condizione imprescindibile soprattutto nel contesto della « nuova
evangelizzazione », alla quale la Chiesa oggi è chiamata. Il Concilio
ammonisce: « È necessario che tutti i chierici, in primo luogo i sacerdoti di
Cristo e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al
ministero della Parola, conservino un contatto continuo con le Scritture,
mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché non diventi
"vano predicatore della Parola di Dio all'esterno colui che non l'ascolta
di dentro"313 ».314
La prima e fondamentale forma di risposta
alla Parola è la preghiera, che costituisce senz'alcun dubbio un valore ed
un'esigenza primari della formazione spirituale. Questa deve condurre i
candidati al sacerdozio a conoscere e a sperimentare il senso autentico
della preghiera cristiana, quello di essere un incontro vivo e personale
col Padre per mezzo del Figlio unigenito sotto l'azione dello Spirito, un
dialogo che si fa partecipazione del colloquio filiale che Gesù ha col Padre.
Un aspetto non certo secondario della missione del sacerdote è quello di essere
« educatore di preghiera ». Ma solo se il sacerdote è stato formato e continua
a formarsi alla scuola di Gesù orante, potrà formare gli altri a questa stessa
scuola. Questo chiedono al sacerdote gli uomini: « Il sacerdote è l'uomo di
Dio, colui che appartiene a Dio e fa pensare a Dio. Quando la Lettera
agli Ebrei parla di Cristo, lo presenta come un "sommo sacerdote
misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio" 315... I cristiani
sperano di trovare nel sacerdote non solo un uomo che li accoglie, che li
ascolta volentieri e testimonia loro una sincera simpatia, ma anche e
soprattutto un uomo che li aiuta a guardare Dio, a salire verso di lui.
Occorre dunque che il sacerdote sia formato a una profonda intimità con Dio.
Coloro che si preparano al sacerdozio devono comprendere che tutto il valore
della loro vita sacerdotale dipenderà dal dono che essi sapranno fare di se
stessi a Cristo e, per mezzo di Cristo, al Padre ».316
In un contesto di agitazione e di rumore,
come quello della nostra società, una necessaria pedagogia alla preghiera è
l'educazione al senso umano profondo e al valore religioso del silenzio,
quale atmosfera spirituale indispensabile per percepire la presenza di Dio e
per lasciarsene conquistare.317
48. Il vertice della preghiera cristiana è
l'Eucaristia, che a sua volta si pone come « culmine e fonte » dei
Sacramenti e della Liturgia delle Ore. E per la formazione spirituale di ogni
cristiano, e in specie di ogni sacerdote, è del tutto necessaria l'educazione
liturgica, nel senso pieno di un inserimento vitale nel mistero pasquale di
Gesù Cristo morto e risorto, presente e operante nei sacramenti della Chiesa.
La comunione con Dio, fulcro dell'intera vita spirituale, è dono e frutto dei
sacramenti; e nello stesso tempo è compito e responsabilità che i sacramenti
affidano alla libertà del credente, affinché viva questa stessa comunione nelle
decisioni, scelte, atteggiamenti e azioni della sua quotidiana esistenza. In
tal senso, la « grazia » che fa « nuova » la vita cristiana è la grazia di Gesù
Cristo morto e risorto, che continua ad effondere il suo Spirito santo e
santificatore nei sacramenti; così come la « legge nuova » che deve guidare e
normare l'esistenza del cristiano è scritta dai sacramenti nel « cuore nuovo ».
Ed è legge di carità verso Dio e i fratelli, quale risposta e prolungamento
della carità di Dio verso l'uomo significata e comunicata dai sacramenti. Si
può immediatamente comprendere il valore di una partecipazione « piena,
consapevole e attiva »318 alle celebrazioni sacramentali per il dono e il
compito di quella « carità pastorale » che costituisce l'anima del ministero
sacerdotale.
Ciò vale soprattutto nella partecipazione
all'Eucaristia, memoriale della morte sacrificale di Cristo e della sua
gloriosa risurrezione, « sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità
»,319 convito pasquale nel quale « ci nutriamo di Cristo, ... l'anima è ricolma
di grazia, ci è donato il pegno della gloria ».320 Ora i sacerdoti, nella loro
qualità di ministri delle cose sacre, sono soprattutto i ministri del
Sacrificio della Messa:321 il loro ruolo è del tutto insostituibile, perché
senza sacerdote non vi può essere offerta eucaristica.
Questo spiega l'importanza essenziale
dell'Eucaristia per la vita e per il ministero sacerdotale e, conseguentemente,
nella formazione spirituale dei candidati al sacerdozio. Con grande semplicità
e all'insegna della massima concretezza ripeto: « Converrà pertanto che i
seminaristi partecipino ogni giorno alla celebrazione eucaristica, di
modo che, in seguito, assumano come regola della loro vita sacerdotale questa
celebrazione quotidiana. Essi saranno inoltre educati a considerare la
celebrazione eucaristica come il momento essenziale della loro giornata,
al quale parteciperanno attivamente, mai accontentandosi di una assistenza
soltanto abitudinaria. Infine, i candidati al sacerdozio saranno formati alle intime
disposizioni che l'Eucaristia promuove: la riconoscenza per i
benefici ricevuti dall'alto, poiché Eucaristia è azione di grazie; l'atteggiamento
oblativo che li spinge a unire all'offerta eucaristica di Cristo la propria
offerta personale; la carità nutrita da un sacramento che è segno di unità
e di condivisione; il desiderio di contemplazione e di adorazione davanti
a Cristo realmente presente sotto le specie eucaristiche ».322
Doveroso e quanto mai urgente è il richiamo
a riscoprire, all'interno della formazione spirituale, la bellezza e la
gioia del Sacramento della Penitenza. In una cultura che, con rinnovate e
più sottili forme di auto-giustificazione, rischia di perdere fatalmente il «
senso del peccato » e, di conseguenza, la gioia consolante della richiesta di
perdono323 e dell'incontro con Dio « ricco di misericordia »,324 urge educare i
futuri presbiteri alla virtù della penitenza, che è sapientemente alimentata
dalla Chiesa nelle sue celebrazioni e nei tempi dell'anno liturgico e che trova
la sua pienezza nel Sacramento della Riconciliazione. Di qui scaturiscono il
senso dell'ascesi e della disciplina interiore, lo spirito di sacrificio e di
rinuncia, l'accettazione della fatica e della croce. Si tratta di elementi
della vita spirituale, che spesso si rivelano particolarmente ardui per molti
candidati al sacerdozio cresciuti in condizioni relativamente comode e agiate e
resi meno inclini e sensibili a questi stessi elementi dai modelli di
comportamento e dagli ideali veicolati dai mezzi di comunicazione sociale,
anche nei paesi dove più povere sono le condizioni di vita e più austera la
situazione giovanile. Per questo, ma soprattutto per realizzare sull'esempio di
Cristo buon Pastore la « radicale donazione di sé » propria del sacerdote, i
Padri sinodali hanno scritto: « È necessario inculcare il senso della croce,
che sta al cuore del mistero pasquale. Grazie a questa identificazione con
Cristo crocifisso, in quanto servo, il mondo può ritrovare il valore
dell'austerità, del dolore ed anche del martirio, dentro l'attuale cultura imbevuta
di secolarismo, di avidità e di edonismo ».325
49. La formazione spirituale comporta anche
di cercare Cristo negli uomini. La vita spirituale, infatti, è sì vita
interiore, vita d'intimità con Dio, vita di preghiera e di contemplazione. Ma
proprio l'incontro con Dio, e con il suo amore di Padre di tutti, pone
l'esigenza indeclinabile dell'incontro con il prossimo, del dono di sé agli
altri, nel servizio umile e disinteressato che Gesù ha proposto a tutti come
programma di vita con la lavanda dei piedi agli apostoli: « Vi ho dato infatti
l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi ».326
La formazione al dono generoso e gratuito di
sé, favorito anche dalla forma comunitaria normalmente assunta dalla
preparazione al sacerdozio, rappresenta una condizione irrinunciabile per chi è
chiamato a farsi epifania e trasparenza del buon Pastore che dà la vita.327
Sotto questo aspetto la formazione spirituale possiede e deve sviluppare la sua
intrinseca dimensione pastorale o caritativa, e può utilmente servirsi anche di
una giusta, ossia forte e tenera, devozione al Cuore di Cristo, come hanno
sottolineato i Padri del Sinodo: « Formare i futuri sacerdoti nella
spiritualità del Cuore del Signore implica condurre una vita che corrisponde
all'amore e all'affetto di Cristo Sacerdote e buon Pastore: al suo amore verso
il Padre nello Spirito Santo, al suo amore verso gli uomini sino a donare
nell'immolazione la sua vita ».328
Il sacerdote è, dunque, l'uomo della
carità, ed è chiamato ad educare gli altri all'imitazione di Cristo e al
comandamento nuovo dell'amore fraterno.329 Ma ciò esige che lui stesso si lasci
continuamente educare dallo Spirito alla carità di Cristo. In tal senso la
preparazione al sacerdozio non può non implicare una seria formazione alla carità,
in particolare all'amore preferenziale per i « poveri » nei quali la fede
scopre la presenza di Gesù 330 e all'amore misericordioso per i peccatori.
Nella prospettiva della carità, che consiste
nel dono di sé per amore, trova il suo posto nella formazione spirituale del
futuro sacerdote l'educazione all'obbedienza, al celibato e alla povertà.331
In questo senso sta l'invito del Concilio: « In modo ben chiaro gli alunni sappiano
di non essere destinati né al dominio né agli onori, ma di dover mettersi al
completo servizio di Dio e del ministero pastorale. Con particolare
sollecitudine vengano educati all'obbedienza sacerdotale, a un tenore di vita
povera, allo spirito di abnegazione di sé, in modo da abituarsi a rinunziare
prontamente anche alle cose per sé lecite ma non convenienti e a vivere in
conformità con Cristo crocifisso ».332
50. La formazione spirituale di chi è
chiamato a vivere il celibato deve riservare un'attenzione particolare a
preparare il futuro sacerdote a conoscere, stimare, amare e vivere il
celibato nella sua vera natura e nelle sue vere finalità, quindi nelle sue
motivazioni evangeliche, spirituali e pastorali. Presupposto e contenuto di
questa preparazione è la virtù della castità, che qualifica tutte le relazioni
umane e che conduce « a sperimentare e a manifestare... un amore sincero,
umano, fraterno, personale e capace di sacrifici, sull'esempio di Cristo, verso
tutti e verso ciascuno ».333
Il celibato dei sacerdoti connota la castità
di alcune caratteristiche, grazie alle quali essi « rinunziando alla vita
coniugale per il regno dei cieli,334 possono aderire a Dio con un amore
indivisibile rispondente intimamente alla nuova legge, danno testimonianza
della futura risurrezione 335 e ricevono un aiuto grandissimo per l'esercizio
continuo di quella perfetta carità che li renderà capaci nel ministero
sacerdotale di farsi tutto a tutti ».336 In tal senso il celibato sacerdotale
non è da considerarsi come semplice norma giuridica, né come una condizione del
tutto esteriore per essere ammessi all'ordinazione, bensì come un valore
profondamente connesso con l'ordinazione sacra, che configura a Gesù Cristo
buon Pastore e Sposo della Chiesa, e quindi come la scelta di un amore più
grande e senza divisioni per Cristo e per la sua Chiesa nella disponibilità
piena e gioiosa del cuore per il ministero pastorale. Il celibato è da
considerare come una grazia speciale, come un dono: « Non tutti possono
capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso ».337 Certamente una grazia
che non dispensa, ma esige con singolare forza la risposta cosciente e libera
da parte di chi la riceve. Questo carisma dello Spirito racchiude anche la
grazia perché colui che lo riceve rimanga fedele per tutta la vita e compia con
generosità e con gioia gli impegni che vi sono connessi. Nella formazione al
celibato sacerdotale dovrà essere assicurata la coscienza del « prezioso dono
di Dio »,338 che condurrà alla preghiera e alla vigilanza perché il dono sia
custodito da tutto ciò che lo può minacciare.
Vivendo il suo celibato il sacerdote potrà
meglio compiere il suo ministero nel Popolo di Dio. In particolare, mentre
testimonierà il valore evangelico della verginità, potrà sostenere gli sposi
cristiani a vivere in pienezza il « grande sacramento » dell'amore di Cristo
Sposo per la Chiesa sua sposa, così come la sua fedeltà nel celibato sarà di
aiuto per la fedeltà degli sposi.339
L'importanza e la delicatezza della
preparazione al celibato sacerdotale, specialmente nelle attuali situazioni
sociali e culturali, hanno portato i Padri sinodali ad una serie di richieste,
la cui validità permanente è peraltro confermata dalla saggezza della Chiesa
madre. Le ripropongo autorevolmente come criteri da seguirsi nella formazione
alla castità nel celibato: « I Vescovi insieme ai rettori e ai direttori
spirituali dei seminari stabiliscano principii, offrano criteri e diano aiuti
per il discernimento in questa materia. Di massima importanza per la formazione
alla castità nel celibato sono la sollecitudine del Vescovo e la vita fraterna
tra i sacerdoti. In seminario, durante il periodo di formazione, il celibato
deve essere presentato con chiarezza, senza alcuna ambiguità e in modo
positivo. Il seminarista deve avere un adeguato grado di maturità psichica e
sessuale, nonché una vita assidua ed autentica di preghiera, e deve porsi sotto
la direzione di un padre spirituale. Il direttore spirituale deve aiutare il
seminarista perché egli stesso giunga ad una decisione matura e libera, che sia
fondata nella stima dell'amicizia sacerdotale e dell'autodisciplina, come pure
nell'accettazione della solitudine e in un retto stato personale fisico e
psicologico. Per questo i seminaristi conoscano bene la dottrina del Concilio
Vaticano II, l'enciclica « Sacerdotalis Caelibatus » e l'Istruzione per la
formazione al celibato sacerdotale edita dalla Congregazione per l'Educazione
Cattolica nel 1974. Perché il seminarista possa abbracciare con decisione
libera il celibato sacerdotale per il Regno dei cieli è necessario che conosca
la natura cristiana e veramente umana nonché il fine della sessualità nel
matrimonio e nel celibato. È necessario anche istruire ed educare i fedeli
laici circa le motivazioni evangeliche, spirituali e pastorali proprie del
celibato sacerdotale così che aiutino i presbiteri con l'amicizia, la
comprensione e la collaborazione ».340
51. La formazione intellettuale, pur avendo
una sua specificità, si connette profondamente, sino a costituirne
un'espressione necessaria, con la formazione umana e quella spirituale: si
configura, infatti, come un'esigenza insopprimibile dell'intelligenza con
la quale l'uomo « partecipa della luce della mente di Dio » 341 e cerca di
acquisire una sapienza, che a sua volta, si apre e punta sulla conoscenza e
sull'adesione a Dio.
La formazione intellettuale dei candidati al
sacerdozio trova la sua specifica giustificazione nella natura stessa del
ministero ordinato e manifesta la sua urgenza attuale di fronte alla sfida
della « nuova evangelizzazione » alla quale il Signore chiama la Chiesa alle
soglie del terzo millennio. « Se già ogni cristiano — scrivono i Padri sinodali
— deve essere pronto a difendere la fede e a rendere ragione della speranza che
vive in noi,342 molto di più i candidati al sacerdozio e i presbiteri devono
avere diligente cura del valore della formazione intellettuale nell'educazione
e nell'attività pastorale, dal momento che per la salvezza dei fratelli e delle
sorelle devono cercare una più profonda conoscenza dei misteri divini ».343 La
situazione attuale poi, pesantemente segnata dall'indifferenza religiosa e
insieme da una sfiducia diffusa nei riguardi della reale capacità della ragione
di raggiungere la verità oggettiva e universale, e da problemi e interrogativi
inediti provocati dalle scoperte scientifiche e tecnologiche, esige con forza
un livello eccellente di formazione intellettuale, tale cioè da rendere i
sacerdoti capaci di annunciare, proprio in un simile contesto, l'immutabile
Vangelo di Cristo e di renderlo credibile di fronte alle legittime esigenze
della ragione umana. Si aggiunga, inoltre, che l'attuale fenomeno del
pluralismo quanto mai accentuato, nell'ambito non solo della società umana ma
anche della stessa comunità ecclesiale, chiede una particolare attitudine al
discernimento critico: è un ulteriore motivo che dimostra la necessità di una
formazione intellettuale quanto mai seria.
Questa motivazione « pastorale » della
formazione intellettuale riconferma quanto già detto sull'unità del processo
educativo nelle sue diverse dimensioni. L'impegno di studio, che occupa non
poca parte della vita di chi si prepara al sacerdozio, non è affatto una
componente esteriore e secondaria della sua crescita umana, cristiana,
spirituale e vocazionale: in realtà attraverso lo studio, soprattutto della
teologia, il futuro sacerdote aderisce alla Parola di Dio, cresce nella sua
vita spirituale e si dispone a compiere il suo ministero pastorale. È questo il
molteplice e unitario scopo dello studio teologico indicato dal Concilio 344 e
riproposto dall'Instrumentum laboris del Sinodo: « Affinché possa essere
pastoralmente efficace, la formazione intellettuale va integrata in un cammino
spirituale segnato dall'esperienza personale di Dio, in modo tale da superare una
pura scienza nozionistica e pervenire a quella intelligenza del cuore che sa
"vedere" prima ed è in grado poi di comunicare il mistero di Dio ai
fratelli ».345
52. Un momento essenziale della formazione
intellettuale è lo studio della filosofia, che conduce ad una più
profonda comprensione e interpretazione della persona, della sua libertà, delle
sue relazioni con il mondo e con Dio. Essa si rivela di grande urgenza, non
solo per il legame che esiste tra gli argomenti filosofici e i misteri della
salvezza studiati in teologia alla luce superiore della fede 346 ma anche di
fronte ad una situazione culturale quanto mai diffusa che esalta il
soggettivismo come criterio e misura della verità: solo una sana filosofia può
aiutare i candidati al sacerdozio a sviluppare una coscienza riflessa del
rapporto costitutivo che esiste tra lo spirito umano e la verità, quella verità
che si rivela a noi pienamente in Gesù Cristo. Né è da sottovalutare
l'importanza della filosofia per garantire quella « certezza di verità » che,
sola, può stare alla base della donazione personale totale a Gesù e alla
Chiesa. Non è difficile capire come alcune questioni molto concrete, quali
l'identità del sacerdote e il suo impegno apostolico e missionario, sono
profondamente legate alla questione, tutt'altro che astratta, della verità: se
non si è certi della verità, come è possibile mettere in gioco l'intera propria
vita ed avere la forza per interpellare sul serio la vita degli altri?
La filosofia aiuta non poco il candidato ad
arricchire la sua formazione intellettuale del « culto della verità », cioè di
una specie di venerazione amorosa della verità, la quale conduce a
riconoscere che la verità stessa non è creata e misurata dall'uomo ma all'uomo
è data in dono dalla Verità suprema, Dio; che, sia pure con limiti e a volte
con difficoltà, la ragione umana può raggiungere la verità oggettiva e
universale, anche quella riguardante Dio e il senso radicale dell'esistenza;
che la fede stessa non può prescindere dalla ragione e dalla fatica di « pensare
» i suoi contenuti, come testimoniava la grande mente di Agostino: « Ho
desiderato vedere con l'intelletto ciò che ho creduto, e ho molto disputato e
faticato ».347
Per una più profonda comprensione dell'uomo
e dei fenomeni e delle linee evolutive della società, in ordine all'esercizio
il più possibile « incarnato » del ministero pastorale, di non poca utilità
possono essere le cosiddette « scienze dell'uomo », come la sociologia,
la psicologia, la pedagogia, la scienza dell'economia e della politica, la
scienza della comunicazione sociale. Sia pure nell'ambito ben preciso delle
scienze positive o descrittive, queste aiutano il futuro sacerdote a prolungare
la « contemporaneità » vissuta da Cristo. « Cristo, diceva Paolo VI, si è fatto
contemporaneo ad alcuni uomini e ha parlato nel loro linguaggio. La fedeltà a
lui chiede che questa contemporaneità continui ».348
53. La formazione intellettuale del futuro
sacerdote si basa e si costruisce soprattutto sullo studio della sacra
doctrina, della teologia. Il valore e l'autenticità della formazione
teologica dipendono dal rispetto scrupoloso della natura propria della
teologia, che i Padri sinodali hanno così compendiato: « La vera teologia
proviene dalla fede e intende condurre alla fede ».349 È questa la concezione
che la Chiesa cattolica, e il suo Magistero in specie, hanno costantemente
proposto. È questa la linea seguita dai grandi teologi, che hanno arricchito il
pensiero della Chiesa cattolica lungo i secoli. San Tommaso è oltremodo
esplicito, quando afferma che la fede è come l'habitus della teologia,
ossia il suo principio operativo permanente,350 e che tutta la teologia è
ordinata a nutrire la fede.351
Il teologo è, dunque, anzitutto un credente,
un uomo di fede.
Ma è un credente che s'interroga sulla
propria fede (fides quaerens intellectum), che s'interroga al fine di
raggiungere una comprensione più profonda della fede stessa. I due aspetti, la
fede e la riflessione matura, sono profondamente connessi, intrecciati: proprio
la loro intima coordinazione e compenetrazione decide della vera natura della
teologia, e conseguentemente decide dei contenuti, delle modalità e dello
spirito secondo cui la sacra doctrina va elaborata e studiata.
Poiché poi la fede, punto di partenza e di
arrivo della teologia, opera un rapporto personale del credente con Gesù Cristo
nella Chiesa, anche la teologia possiede delle intrinseche connotazioni
cristologiche ed ecclesiali, che il candidato al sacerdozio deve
consapevolmente assumere, non solo per le implicazioni che riguardano la sua
vita personale ma anche per quelle che toccano il suo ministero pastorale. Se è
accoglienza della Parola di Dio, la fede si risolve in un « sì » radicale del
credente a Gesù Cristo, Parola piena e definitiva di Dio al mondo.352 Di
conseguenza, la riflessione teologica trova il suo centro nell'adesione a Gesù
Cristo, Sapienza di Dio: la stessa riflessione matura deve dirsi una
partecipazione al « pensiero » di Cristo 353 nella forma umana di una scienza (scientia
fidei). Nello stesso tempo, la fede inserisce il credente nella Chiesa e lo
rende partecipe della vita della Chiesa, quale comunità di fede. Di
conseguenza, la teologia possiede una dimensione ecclesiale, perché è una
riflessione matura sulla fede della Chiesa e da parte del teologo che è membro
della Chiesa.354
Queste prospettive cristologiche ed
ecclesiali, che sono connaturali alla teologia, aiutano a sviluppare nei
candidati al sacerdozio, insieme al rigore scientifico, un grande e vivo amore
a Gesù Cristo e alla sua Chiesa: quest'amore, mentre nutre la loro vita
spirituale, li orienta al generoso compimento del loro ministero. Proprio
questo era, in definitiva, l'intento del Concilio Vaticano II che sollecitava
il riordinamento degli studi ecclesiastici disponendo meglio le varie discipline
filosofiche e teologiche e facendole « convergere concordemente alla
progressiva apertura delle menti degli alunni verso il mistero di Cristo, il
quale compenetra tutta la storia del genere umano, agisce continuamente nella
Chiesa e opera principalmente attraverso il ministero sacerdotale ».355
Formazione intellettuale teologica e vita
spirituale, in particolare vita di preghiera, s'incontrano e si rafforzano a
vicenda, senza nulla togliere né alla serietà della ricerca né al sapore
spirituale della preghiera. San Bonaventura ci avverte: « Nessuno creda che gli
basti la lettura senza l'unzione, la speculazione senza la devozione, la
ricerca senza lo stupore, l'osservazione senza l'esultanza, l'attività senza la
pietà, la scienza senza la carità, l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio
senza la grazia divina, l'indagine senza la sapienza dell'ispirazione divina
».356
54. La formazione teologica è opera quanto
mai complessa e impegnativa. Essa deve condurre il candidato al sacerdozio a
possedere una visione delle verità rivelate da Dio in Gesù Cristo e
dell'esperienza di fede della Chiesa che sia completa e unitaria: di qui
la duplice esigenza di conoscere « tutte » le verità cristiane, senza operare
delle scelte arbitrarie, e di conoscerle in modo organico. Ciò esige che
l'alunno sia aiutato ad operare una sintesi che sia il frutto degli apporti
delle diverse discipline teologiche, la cui specificità acquista autentico
valore solo nella loro profonda coordinazione.
Nella sua riflessione matura sulla fede, la
teologia si muove in due direzioni. La prima è quella dello studio della
Parola di Dio: la parola scritta nel Libro sacro, celebrata e vissuta nella
Tradizione viva della Chiesa, autorevolmente interpretata dal Magistero della
Chiesa. Di qui lo studio della Sacra Scrittura, « che deve essere come l'anima
di tutta la teologia »,357 dei Padri della Chiesa e della liturgia, come pure
della storia della Chiesa e dei pronunciamenti del Magistero. La seconda
direzione è quella dell'uomo, interlocutore di Dio: l'uomo chiamato a «
credere », a « vivere », a « comunicare » agli altri la fides e l'ethos
cristiani. Di qui lo studio della dommatica, della teologia morale, della
teologia spirituale, del diritto canonico e della teologia pastorale.
Il riferimento all'uomo credente conduce la
teologia ad avere una particolare attenzione, da un lato, all'istanza
fondamentale e permanente del rapporto fede-ragione, dall'altro, ad alcune
esigenze più collegate con la situazione sociale e culturale d'oggi. Dal primo
punto di vista, si ha lo studio della teologia fondamentale, che ha per oggetto
il fatto della rivelazione cristiana e la sua trasmissione nella Chiesa.
Dall'altro punto di vista, si impongono discipline che hanno conosciuto e
conoscono un più deciso sviluppo come risposte a problemi oggi fortemente
sentiti. Così lo studio della dottrina sociale della Chiesa, che «
appartiene... al campo della teologia e, specialmente, della teologia morale »
358 e che è da annoverarsi tra le « componenti essenziali » della « nuova
evangelizzazione », di cui costituisce uno strumento.359 Così lo studio della
missione, dell'ecumenismo, del giudaismo, dell'Islam e delle altre religioni
non cristiane.
55. La formazione teologica attuale deve
prestare attenzione ad alcuni problemi che non poche volte sollevano
difficoltà, tensioni, confusioni all'interno della vita della Chiesa. Si pensi
al rapporto tra i pronunciamenti del Magistero e le discussioni teologiche, un
rapporto che non sempre si configura come dovrebbe essere, all'insegna cioè
della collaborazione. Certamente « il Magistero vivo della Chiesa e la
teologia, pur avendo doni e funzioni diverse, hanno ultimamente il medesimo
fine: conservare il Popolo di Dio nella verità che libera e farne così la
"luce delle nazioni". Questo servizio alla comunità ecclesiale mette
in relazione reciproca il teologo con il Magistero. Quest'ultimo insegna
autenticamente la dottrina degli Apostoli e, traendo vantaggio dal lavoro
teologico, respinge le obiezioni e le deformazioni della fede, proponendo
inoltre con l'autorità ricevuta da Gesù Cristo nuovi approfondimenti,
esplicitazioni e applicazioni della dottrina rivelata. La teologia invece
acquisisce, in modo riflesso, un'intelligenza sempre più profonda della Parola
di Dio, contenuta nella Scrittura e trasmessa fedelmente dalla Tradizione viva
della Chiesa sotto la guida del Magistero, cerca di chiarire l'insegnamento
della Rivelazione di fronte all'istanza della ragione, ed infine gli dà una
forma organica e sistematica ».360 Quando però, per una serie di motivi, questa
collaborazione viene meno, occorre non prestarsi a equivoci e a confusioni,
sapendo distinguere accuratamente « la dottrina comune della Chiesa dalle
opinioni dei teologi e dalle tendenze che presto passano (le cosiddette "mode")
».361 Non si dà un magistero « parallelo », perché l'unico magistero è quello
di Pietro e degli apostoli, del Papa e dei vescovi.362
Un altro problema, avvertito soprattutto là
dove gli studi seminaristici sono affidati ad istituzioni accademiche, riguarda
il rapporto tra il rigore scientifico della teologia e la sua destinazione
pastorale, e pertanto la natura pastorale della teologia. Si tratta, in
realtà, di due caratteristiche della teologia e del suo insegnamento che non
solo non si oppongono tra loro, ma che concorrono, sia pure sotto profili
diversi, alla più completa intelligenza della fede. Infatti la pastoralità
della teologia non significa una teologia meno dottrinale o addirittura
destituita della sua scientificità; significa, invece, che essa abilita i
futuri sacerdoti ad annunciare il messaggio evangelico attraverso i modi
culturali del loro tempo e a impostare l'azione pastorale secondo un'autentica
visione teologica. E così, da un lato, uno studio rispettoso della
scientificità rigorosa delle singole discipline teologiche contribuirà alla più
completa e profonda formazione del pastore d'anime come maestro della fede;
dall'altro lato, l'adeguata sensibilità alla destinazione pastorale renderà
veramente formativo per i futuri presbiteri lo studio serio e scientifico della
teologia.
Un ulteriore problema è dato dall'esigenza,
oggi fortemente sentita, dell'evangelizzazione delle culture e
dell'inculturazione del messaggio della fede. È questo un problema
eminentemente pastorale, che deve entrare con maggiore ampiezza e sensibilità
nella formazione dei candidati al sacerdozio: « Nelle attuali circostanze nelle
quali, in varie regioni del mondo, la religione cristiana è considerata come
qualcosa di estraneo alle culture sia antiche sia moderne, è di grande
importanza che in tutta la formazione intellettuale e umana si ritenga come
necessaria ed essenziale la dimensione dell'inculturazione ».363 Ma ciò
preesige una teologia autentica, ispirata ai principii cattolici circa
l'inculturazione. Questi principii si collegano con il mistero
dell'incarnazione del Verbo di Dio e con l'antropologia cristiana e illuminano
il senso autentico dell'inculturazione: questa, di fronte alle più diverse e
talvolta contrapposte culture, presenti nelle varie parti del mondo, vuole
essere un'obbedienza al comando di Cristo di predicare il Vangelo a tutte le
genti sino agli estremi confini della terra. Una simile obbedienza non
significa né sincretismo né semplice adattamento dell'annuncio evangelico, ma
che il Vangelo penetra vitalmente nelle culture, si incarna in esse,
superandone gli elementi culturali incompatibili con la fede e con la vita
cristiana ed elevandone i valori al mistero della salvezza che proviene da
Cristo.364 Il problema dell'inculturazione può avere un interesse specifico
quando i candidati al sacerdozio provengono essi stessi da antiche culture:
avranno bisogno, allora, di vie adeguate di formazione, sia per superare il
pericolo di essere meno esigenti e di sviluppare un'educazione più debole ai
valori umani, cristiani e sacerdotali, sia per valorizzare gli elementi buoni e
autentici delle loro culture e tradizioni.365
56. Seguendo l'insegnamento e gli
orientamenti del Concilio Vaticano II e le indicazioni applicative della Ratio
fundamentalis institutionis sacerdotalis, si è determinato nella Chiesa un
vasto aggiornamento dell'insegnamento delle discipline filosofiche e
soprattutto teologiche nei seminari. Pur bisognoso in alcuni casi di ulteriori
emendamenti e sviluppi, questo aggiornamento ha contribuito nel suo insieme a
qualificare sempre più la proposta educativa nell'ambito della formazione
intellettuale. Al riguardo « i Padri sinodali hanno nuovamente affermato, con
frequenza e con chiarezza, la necessità, anzi l'urgenza che venga applicato nei
seminari e nelle case di formazione il piano fondamentale degli studi, sia
universale che delle singole nazioni o Conferenze episcopali ».366
È necessario contrastare con decisione la
tendenza a ridurre la serietà e l'impegno degli studi, che si manifesta in alcuni
contesti ecclesiali, come conseguenza anche di una preparazione di base
insufficiente e lacunosa degli alunni che iniziano il curricolo filosofico e
teologico. È la stessa situazione contemporanea ad esigere sempre più dei
maestri che siano veramente all'altezza della complessità dei tempi e siano in
grado di affrontare, con competenza e con chiarezza e profondità di
argomentazioni, le domande di senso degli uomini d'oggi, alle quali solo il
Vangelo di Gesù Cristo dà la piena e definitiva risposta.
57. L'intera formazione dei candidati al
sacerdozio è destinata a disporli in un modo più particolare a comunicare alla
carità di Cristo, buon Pastore. Questa formazione, dunque, nei suoi diversi
aspetti, deve avere un carattere essenzialmente pastorale. Lo affermava
chiaramente il decreto conciliare « Optatam Totius » in rapporto ai seminari
maggiori: « L'educazione degli alunni deve tendere allo scopo di formare
veri pastori d'anime sull'esempio di nostro Signore Gesù Cristo maestro,
sacerdote e pastore. Gli alunni perciò vengano preparati: al ministero
della parola, in modo da penetrare sempre meglio la Parola di Dio rivelata,
rendersela propria con la meditazione e saperla esprimere con la parola e con
la vita; al ministero del culto e della santificazione, in modo che pregando e
celebrando le azioni liturgiche sappiano esercitare l'opera della salvezza per
mezzo del Sacrificio eucaristico e dei Sacramenti; al servizio di pastore, per
essere in grado di rappresentare agli uomini Cristo, il quale "non venne per
essere servito, ma per servire e dare la sua vita a redenzione di molti"
367 e di guadagnare molti, facendosi servi di tutti 368 ».369
Il testo conciliare insiste sulla profonda
coordinazione che esiste tra i diversi aspetti della formazione umana, spirituale,
intellettuale e, nello stesso tempo, sulla loro specifica finalizzazione
pastorale. In tal senso il fine pastorale assicura alla formazione umana,
spirituale e intellettuale determinati contenuti e precise caratteristiche,
così come unifica e specifica l'intera formazione dei futuri sacerdoti.
Come ogni altra formazione, anche quella
pastorale si sviluppa attraverso la riflessione matura e l'applicazione
operativa, e affonda le sue radici vive in uno spirito, che di tutto
costituisce il fulcro e la forza di impulso e di sviluppo.
Si esige, dunque, lo studio di una vera e
propria disciplina teologica: la teologia pastorale o pratica, che è una
riflessione scientifica sulla Chiesa nel suo edificarsi quotidiano, con la
forza dello Spirito, dentro la storia; sulla Chiesa, quindi, come « sacramento
universale di salvezza »,370 come segno e strumento vivo della salvezza di Gesù
Cristo nella Parola, nei Sacramenti e nel servizio della Carità. La pastorale
non è soltanto un'arte né un complesso di esortazioni, di esperienze, di
metodi; possiede una sua piena dignità teologica, perché riceve dalla fede i
principii e i criteri dell'azione pastorale della Chiesa nella storia, di una
Chiesa che « genera » ogni giorno la Chiesa stessa, secondo la felice espressione
di S. Beda il Venerabile: « Nam et Ecclesia quotidie gignit Ecclesiam
».371 Tra questi principii e criteri si dà quello particolarmente importante
del discernimento evangelico della situazione socio-culturale ed ecclesiale
entro cui si sviluppa l'azione pastorale.
Lo studio della teologia pastorale deve
illuminare l'applicazione operativa mediante la dedizione ad alcuni
servizi pastorali che i candidati al sacerdozio, con necessaria gradualità e sempre
in armonia con gli altri impegni formativi, devono assolvere: si tratta di «
esperienze » pastorali, che possono confluire in un vero e proprio « tirocinio
pastorale », che può durare anche per diverso tempo e che chiede di essere
verificato in maniera metodica.
Ma lo studio e l'attività pastorali
rimandano ad una sorgente interiore, che la formazione avrà cura di custodire e
di valorizzare: è la comunione sempre più profonda con la carità pastorale
di Gesù, la quale, come ha costituito il principio e la forza del suo agire
salvifico, così, grazie all'effusione dello Spirito Santo nel sacramento
dell'Ordine, deve costituire il principio e la forza del ministero del
presbitero. Si tratta di una formazione destinata non soltanto ad assicurare
una competenza pastorale scientifica e un'abilità operativa, ma anche e
soprattutto a garantire la crescita di un modo di essere in comunione
con i medesimi sentimenti e comportamenti di Cristo, buon Pastore: « Abbiate in
voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù ».372
58. Così intesa, la formazione pastorale non
può certo ridursi ad un semplice apprendistato, rivolto a familiarizzarsi con
qualche tecnica pastorale. La proposta educativa del seminario si fa carico di
una vera e propria iniziazione alla sensibilità del pastore, all'assunzione
consapevole e matura delle sue responsabilità, all'abitudine interiore di
valutare i problemi e di stabilire le priorità e i mezzi di soluzione, sempre
in base a limpide motivazioni di fede e secondo le esigenze teologiche della
pastorale stessa.
Attraverso l'iniziale e graduale
sperimentazione nel ministero, i futuri sacerdoti potranno essere inseriti
nella viva tradizione pastorale della loro Chiesa particolare, impareranno ad
aprire l'orizzonte della loro mente e del loro cuore alla dimensione
missionaria della vita ecclesiale, si eserciteranno in alcune prime forme di
collaborazione tra loro e con i presbiteri accanto ai quali saranno mandati. A
questi ultimi compete, in collegamento con la proposta del seminario, una responsabilità
educativa pastorale di non poca importanza.
Nella scelta dei luoghi e dei servizi adatti
all'esercizio pastorale si dovrà avere particolare riguardo per la
parrocchia,373 cellula vitale delle esperienze pastorali settoriali e
specializzate, nella quale essi verranno a trovarsi di fronte ai problemi
particolari del loro futuro ministero. I Padri sinodali hanno offerto una serie
di esempi concreti, come la visita ai malati; la cura degli emigrati, degli
esiliati e dei nomadi; lo zelo della carità che si traduce in diverse opere
sociali. In particolare essi scrivono: « È necessario che il presbitero sia
testimone della carità di Cristo stesso che è passato facendo del bene;374 il
presbitero deve anche essere il segno visibile della sollecitudine della Chiesa
che è Madre e Maestra. E poiché l'uomo oggi è colpito da tante disgrazie,
specialmente l'uomo che è travolto da una povertà disumana, dalla cieca
violenza e dall'ingiusto potere, è necessario che l'uomo di Dio ben preparato
ad ogni opera buona 375 rivendichi i diritti e la dignità dell'uomo. Si guardi
però dall'aderire a false ideologie e dal dimenticare, mentre intende
promuoverne la perfezione, che il mondo è redento dalla sola croce di Cristo
».376
L'insieme di queste ed altre attività pastorali
educa il futuro sacerdote a vivere come « servizio » la propria missione di
autorità nella comunità, allontanandosi da ogni atteggiamento di superiorità o
di esercizio di un potere che non sia sempre e solo giustificato dalla carità
pastorale.
Per un'adeguata formazione è necessario che
le diverse esperienze dei candidati al sacerdozio assumano un chiaro carattere
ministeriale, restando intimamente collegate con tutte le esigenze che sono
proprie della preparazione al presbiterato e (non, certo, a scapito dello
studio) in riferimento ai servizi dell'annuncio della Parola, del culto e della
presidenza. Questi servizi possono diventare la traduzione concreta dei
ministeri del Lettorato, dell'Accolitato e del Diaconato.
59. Poiché l'azione pastorale è destinata
per sua natura ad animare la Chiesa, che è essenzialmente « mistero », «
comunione », « missione », la formazione pastorale dovrà conoscere e vivere
queste dimensioni ecclesiali nell'esercizio del ministero.
Fondamentale risulta essere la coscienza che
la Chiesa è « mistero », opera divina, frutto dello Spirito di Cristo,
segno efficace della grazia, presenza della Trinità nella comunità cristiana:
una simile coscienza, mentre non attenuerà il senso di responsabilità proprio
del pastore, lo renderà convinto che la crescita della Chiesa è opera gratuita
dello Spirito e che il suo servizio — dalla stessa grazia divina affidato alla
libera responsabilità umana — è quello evangelico del servo inutile.377
La coscienza poi della Chiesa quale «
comunione » preparerà il candidato al sacerdozio a realizzare una pastorale
comunitaria, in cordiale collaborazione con i diversi soggetti ecclesiali:
sacerdoti e Vescovo, sacerdoti diocesani e religiosi, sacerdoti e laici. Ma una
simile collaborazione presuppone la conoscenza e la stima dei diversi doni e
carismi, delle varie vocazioni e responsabilità che lo Spirito offre ed affida
ai membri del Corpo di Cristo; esige un senso vivo e preciso della propria e
dell'altrui identità nella Chiesa; chiede mutua fiducia, pazienza, dolcezza,
capacità di comprensione e di attesa; si radica soprattutto su di un amore alla
Chiesa più grande dell'amore a se stessi e alle aggregazioni alle quali si
appartiene. Di particolare importanza è preparare i futuri sacerdoti alla collaborazione
con i laici. « Siano pronti — dice il Concilio — ad ascoltare il parere dei
laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi
della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell'attività umana, in
modo da poter assieme a loro riconoscere i segni dei tempi ».378 Anche il
recente Sinodo ha insistito sulla sollecitudine pastorale verso i laici: «
Occorre che l'alunno diventi capace di proporre e di introdurre i fedeli laici,
soprattutto i giovani, alle diverse vocazioni (al matrimonio, ai servizi
sociali, all'apostolato, ai ministeri e alle responsabilità nell'assumere
l'attività pastorale, alla vita consacrata, a guidare la vita politica e
sociale, alla ricerca scientifica, all'insegnamento). Soprattutto è necessario
insegnare e sostenere i laici e la loro vocazione a permeare e a trasformare il
mondo con la luce del Vangelo, riconoscendo il loro compito e rispettandolo
».379
Infine, la coscienza della Chiesa quale comunione
« missionaria », aiuterà il candidato al sacerdozio ad amare e a vivere
l'essenziale dimensione missionaria della Chiesa e delle diverse attività
pastorali; ad essere aperto e disponibile a tutte le possibilità oggi offerte
all'annuncio del Vangelo, senza dimenticare il prezioso servizio che al
riguardo può e deve essere dato dai mezzi della comunicazione sociale;380 a
prepararsi ad un ministero che gli potrà chiedere la concreta disponibilità
allo Spirito Santo e al Vescovo per essere mandato a predicare il Vangelo oltre
i confini del suo paese.381
II. Gli ambienti della formazione
sacerdotale
60. La necessità del Seminario
Maggiore — e dell'analoga Casa religiosa — per la formazione dei candidati al
sacerdozio, autorevolmente affermata dal Concilio Vaticano II,382 è stata riaffermata
dal Sinodo con queste parole: « L'istituzione del Seminario Maggiore, come
luogo ottimo di formazione, è certamente da riaffermarsi quale normale spazio,
anche materiale, di una vita comunitaria e gerarchica, anzi quale casa propria
per la formazione dei candidati al sacerdozio, con superiori veramente
consacrati a questo ufficio. Questa istituzione ha dato moltissimi frutti lungo
i secoli e continua a darli in tutto il mondo ».383
Il seminario si presenta sì come un tempo e
uno spazio; ma si presenta soprattutto come una comunità educativa in
cammino: è la comunità promossa dal Vescovo per offrire a chi è chiamato
dal Signore a servire come gli apostoli la possibilità di rivivere l'esperienza
formativa che il Signore ha riservato ai Dodici. In realtà, una prolungata e
intima consuetudine di vita con Gesù viene presentata nei Vangeli come
necessaria premessa al ministero apostolico. Essa richiede ai Dodici di
realizzare in modo particolarmente chiaro e specifico il distacco, in qualche
misura proposto a tutti i discepoli, dall'ambiente di origine, dal lavoro
consueto, dagli affetti anche più cari.384 Più volte abbiamo riportato la
tradizione di Marco che sottolinea il legame profondo che unisce gli apostoli
con Cristo e tra di loro: prima di essere mandati a predicare e a guarire, sono
chiamati a « stare con lui ».385
L'identità profonda del seminario è di
essere, a suo modo, una continuazione nella Chiesa della comunità apostolica
stretta intorno a Gesù, in ascolto della sua Parola, in cammino verso
l'esperienza della Pasqua, in attesa del dono dello Spirito per la missione.
Una simile identità costituisce l'ideale normativo che stimola il seminario,
nelle più diverse forme e nelle molteplici vicissitudini, che in quanto istituzione
umana registra nella storia, a trovare una concreta realizzazione, fedele
ai valori evangelici ai quali si ispira e capace di rispondere alle situazioni
e necessità dei tempi.
Il seminario è, in se stesso, un'esperienza
originale della vita della Chiesa: in esso il Vescovo si rende presente
attraverso il ministero del rettore e il servizio di corresponsabilità e di
comunione da lui animato con gli altri educatori, per la crescita pastorale e
apostolica degli alunni. I vari membri della comunità del seminario, riuniti
dallo Spirito in un'unica fraternità, collaborano, ciascuno secondo il proprio
dono, alla crescita di tutti nella fede e nella carità, perché si preparino
adeguatamente al sacerdozio e quindi a prolungare nella Chiesa e nella storia
la presenza salvifica di Gesù Cristo, il buon Pastore.
Già sotto un profilo umano, il Seminario
Maggiore deve tendere a diventare « una comunità compaginata da una profonda
amicizia e carità, così da poter essere considerata una vera famiglia che vive
nella gioia ».386 Sotto il profilo cristiano, il seminario si deve configurare,
continuano i Padri sinodali, come « comunità ecclesiale », come « comunità dei
discepoli del Signore nella quale si celebra la stessa Liturgia (che permea la
vita di spirito di preghiera), formata ogni giorno nella lettura e nella
meditazione della Parola di Dio e con il sacramento dell'Eucaristia e
nell'esercizio della carità fraterna e della giustizia, una comunità nella
quale, nel progresso della vita comunitaria e nella vita di ciascun suo membro,
risplendono lo Spirito di Cristo e l'amore verso la Chiesa ».387 A conferma e a
sviluppo concreto dell'essenziale dimensione ecclesiale del seminario, i Padri
sinodali continuano: « Come comunità ecclesiale, sia diocesana che
interdiocesana, sia anche religiosa, il seminario alimenti il senso della
comunione dei candidati con il loro Vescovo e con il loro presbiterio, così che
partecipino alla loro speranza e alle loro angosce e sappiano estendere questa
apertura alle necessità della Chiesa universale ».388 È essenziale per la
formazione dei candidati al sacerdozio e al ministero pastorale, che per sua
natura è ecclesiale, che il seminario sia sentito non in un modo esteriore e
superficiale, ossia come un semplice luogo di abitazione e di studio, ma in un
modo interiore e profondo: come una comunità, una comunità specificamente
ecclesiale, una comunità che rivive l'esperienza del gruppo dei Dodici uniti a
Gesù.389
61. Il seminario è, dunque, una comunità
ecclesiale educativa, anzi una particolare comunità educante. Ed è il fine
specifico a determinarne la fisionomia, ossia l'accompagnamento vocazionale dei
futuri sacerdoti, e pertanto il discernimento della vocazione, l'aiuto a
corrispondervi e la preparazione a ricevere il sacramento dell'Ordine con le
grazie e le responsabilità proprie, per le quali il sacerdote è configurato a
Gesù Cristo Capo e Pastore ed è abilitato e impegnato a condividerne la
missione di salvezza nella Chiesa e nel mondo.
In quanto comunità educante, l'intera vita
del seminario, nelle sue più diverse espressioni, è impegnata nella
formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale dei futuri
presbiteri: è una formazione che, pur avendo tanti aspetti comuni con la
formazione umana e cristiana di tutti i membri della Chiesa, presenta
contenuti, modalità e caratteristiche che discendono in modo specifico dal fine
perseguito di preparare al sacerdozio.
Ora i contenuti e le forme dell'opera
educativa esigono che il seminario abbia una sua precisa programmazione, un
programma di vita cioè che si caratterizzi, sia per la sua organicità-unità,
sia per la sua sintonia o corrispondenza con l'unico fine che giustifica
l'esistenza del seminario: la preparazione dei futuri presbiteri.
In questo senso i Padri sinodali scrivono: «
In quanto comunità educativa, (il seminario) deve servire ad un programma
chiaramente definito che, come nota caratteristica, abbia l'unità della
direzione manifestata nella figura del Rettore e dei collaboratori, nella
coerenza dell'ordinamento di vita, dell'attività formativa e delle esigenze
fondamentali della vita comunitaria, la quale comporta anche gli aspetti
essenziali del compito formativo. Questo programma deve essere al servizio,
senza esitazione e indeterminazione, della finalità specifica che sola
giustifica l'esistenza del seminario, la formazione cioè dei futuri presbiteri,
pastori della Chiesa ».390 E perché la programmazione sia veramente adatta ed
efficace occorre che le grandi linee programmatiche si traducano più
concretamente in dettaglio, mediante alcune norme particolari destinate ad
ordinare la vita comunitaria, stabilendo alcuni strumenti e alcuni ritmi
temporali precisi.
Un altro aspetto è qui da sottolineare:
l'opera educativa, per sua natura, è l'accompagnamento delle persone storiche
concrete che camminano verso la scelta e l'adesione a determinati ideali di
vita. Proprio per questo l'opera educativa deve saper armonicamente conciliare
la proposta chiara della meta da raggiungere, la richiesta di camminare con
serietà verso la meta stessa, l'attenzione al « viandante », ossia al soggetto
concreto impegnato in questa avventura, e dunque ad una serie di situazioni, di
problemi, di difficoltà, di ritmi diversificati di cammino e di crescita. Ciò
esige una sapiente elasticità, che non significa affatto compromesso né sui
valori né sull'impegno cosciente e libero, ma amore vero e rispetto sincero per
chi, nelle sue condizioni personali, sta camminando verso il sacerdozio. Questo
vale non solo in rapporto alla singola persona, ma anche in rapporto ai diversi
contesti sociali e culturali entro cui vivono i seminari e alla diversa storia
che essi hanno. In questo senso l'opera educativa esige un continuo
rinnovamento. I Padri l'hanno rilevato con forza anche in rapporto alla
configurazione dei seminari: « Salva la validità delle forme classiche del seminario,
il Sinodo desidera che il lavoro di consultazione delle Conferenze episcopali
sulle necessità attuali della formazione prosegua come si è stabilito nel
decreto "Optatam Totius" 391 e nel Sinodo del 1967. Si rivedano
opportunamente le Rationes delle singole nazioni o riti, sia in
occasione delle richieste fatte dalle Conferenze episcopali, sia nelle visite
apostoliche nei seminari delle diverse nazioni, per integrare in esse diverse
forme di formazione collaudate che devono rispondere alle necessità dei popoli
di cultura cosiddetta indigena, delle vocazioni di uomini adulti, delle
vocazioni per le missioni, ecc. ».392
62. La finalità e la configurazione
educativa specifica del Seminario Maggiore esigono che i candidati al
sacerdozio vi entrino con una qualche preparazione previa. Una simile
preparazione non poneva problemi particolari, almeno sino a qualche decennio
fa, allorquando i candidati al sacerdozio provenivano abitualmente dai seminari
minori e la vita cristiana delle comunità ecclesiali offriva facilmente a
tutti, indistintamente, una discreta istruzione ed educazione cristiana.
La situazione è in molte parti cambiata. Si
dà una forte discrepanza tra lo stile di vita e la preparazione di base dei
ragazzi, degli adolescenti e dei giovani, anche se cristiani e talvolta
impegnati nella vita della Chiesa, da un lato, e dall'altro lo stile di vita
del seminario e le sue esigenze formative. In questo contesto, in comunione con
i Padri sinodali, chiedo che vi sia un periodo adeguato di preparazione che
preceda la formazione del seminario: « È utile che ci sia un periodo di
preparazione umana, cristiana, intellettuale e spirituale per i candidati al
Seminario Maggiore. Questi candidati devono però presentare determinate
qualità: la retta intenzione, un grado sufficiente di maturità umana, una
conoscenza abbastanza ampia della dottrina della fede, una qualche introduzione
ai metodi di preghiera e costumi conformi alla tradizione cristiana. Abbiano
anche attitudini proprie delle loro regioni, mediante le quali viene espresso
lo sforzo di trovare Dio e la fede ».393
« Una conoscenza abbastanza ampia della
dottrina della fede », di cui parlano i Padri sinodali, è richiesta prima della
teologia: non si può sviluppare una « intellegentia fidei », se non si conosce
la « fides » nel suo contenuto. Una simile lacuna potrà essere più
facilmente colmata dal prossimo Catechismo universale.
Mentre si fa comune la convinzione della
necessità di una simile preparazione previa al Seminario Maggiore, si dà una
diversa valutazione dei suoi contenuti e delle sue caratteristiche, ossia dello
scopo prevalente, se di formazione spirituale per il discernimento vocazionale
o di formazione intellettuale e culturale. D'altra parte, non si possono
dimenticare le molte e profonde diversità che esistono, non solo in rapporto ai
singoli candidati, ma anche in rapporto alle varie regioni e paesi. Ciò
suggerisce una fase ancora di studio e di sperimentazione, perché si possano
definire in modo più opportuno e significativo i diversi elementi di questa
preparazione previa o « periodo propedeutico »: il tempo, il luogo, la
forma, i temi di questo periodo, che peraltro è da coordinarsi con gli anni
successivi della formazione nel seminario.
In questo senso assumo e ripropongo alla
Congregazione per l'Educazione Cattolica la richiesta formulata dai Padri
sinodali: « Il Sinodo chiede che la Congregazione per l'Educazione Cattolica
raccolga tutte le informazioni sulle esperienze iniziali fatte o che si stanno
facendo. A tempo opportuno, la Congregazione comunichi alle Conferenze
episcopali le informazioni su questo argomento ».394
63. Come attesta una larga esperienza, la
vocazione sacerdotale ha un suo primo momento di manifestazione spesso negli
anni della preadolescenza o nei primissimi anni della gioventù. Ed anche in
soggetti che arrivano a decidere l'ingresso in seminario più avanti nel tempo
non è raro costatare la presenza della chiamata di Dio in periodi molto
precedenti. La storia della Chiesa è una testimonianza continua di chiamate che
il Signore rivolge anche in tenera età. San Tommaso, ad esempio, spiega la
predilezione di Gesù verso l'apostolo Giovanni « per la sua tenera età » e ne
trae la seguente conclusione: « Questo ci fa capire come Dio ami in modo
speciale coloro che si danno al suo servizio fin dalla prima giovinezza ».395
La Chiesa si prende cura di questi germi di
vocazione seminati nei cuori dei fanciulli, curandone, attraverso l'istituzione
dei Seminari Minori, un premuroso, benché iniziale, discernimento e
accompagnamento. In varie parti del mondo, questi seminari continuano a
svolgere una preziosa opera educativa, finalizzata a custodire e a far
sviluppare i germi della vocazione sacerdotale, affinché gli alunni la possano
più facilmente riconoscere e siano resi più capaci di corrispondervi. La loro
proposta educativa tende a favorire in modo tempestivo e graduale quella
formazione umana, culturale e spirituale che condurrà il giovane a
intraprendere il cammino nel Seminario Maggiore con una base adeguata e solida.
« Prepararsi a seguire Cristo Redentore
con animo generoso e cuore puro »: questo
è lo scopo del Seminario Minore indicato dal Concilio nel decreto « Optatam
Totius », che così ne delinea il volto educativo: gli alunni « sotto la guida
paterna dei superiori, coadiuvati opportunamente dai genitori, conducano un
tenore di vita conveniente all'età, allo spirito e allo sviluppo degli
adolescenti e in piena armonia con le norme della sana psicologia, senza
trascurare una conveniente esperienza delle cose umane e i rapporti con la
propria famiglia ».396
Il Seminario Minore potrà essere nella
Diocesi anche un punto di riferimento della pastorale vocazionale, con
opportune forme di accoglienza e offerta di occasioni informative per quegli
adolescenti che sono alla ricerca della vocazione o che, già determinati a
seguirla, sono costretti a procrastinare l'ingresso in seminario per diverse
circostanze, familiari o scolastiche.
64. Dove il Seminario Minore — che in molte
regioni sembra necessario e molto utile — non trova possibilità di attuazione,
occorre provvedere a costituire altre « istituzioni »,397 come potrebbero
essere i gruppi vocazionali per adolescenti e per giovani. Pur non
essendo permanenti, questi gruppi potranno offrire, in un contesto comunitario,
una guida sistematica per la verifica e la crescita vocazionale. Pur vivendo in
famiglia e frequentando la comunità cristiana che li aiuta nel loro cammino
formativo, questi ragazzi e questi giovani non devono essere lasciati soli.
Essi hanno bisogno di un gruppo particolare o di una comunità di riferimento
cui appoggiarsi per compiere quello specifico itinerario vocazionale che il
dono dello Spirito Santo ha iniziato in loro.
Come è sempre avvenuto nella storia della
Chiesa, e con qualche caratteristica di confortante novità e frequenza nelle
attuali circostanze, va registrato il fenomeno di vocazioni sacerdotali che
si verificano in età adulta, dopo una più o meno lunga esperienza di
vita laicale e di impegno professionale. Non è sempre possibile, e spesso non è
neppure conveniente, invitare gli adulti a seguire l'itinerario educativo del
Seminario Maggiore. Si deve piuttosto provvedere, dopo un accurato
discernimento dell'autenticità di queste vocazioni, a programmare una qualche
forma specifica di accompagnamento formativo così da assicurare, mediante
opportuni adattamenti, la necessaria formazione spirituale e intellettuale.398
Un giusto rapporto con gli altri candidati al sacerdozio e periodi di presenza
nella comunità del Seminario maggiore potranno garantire il pieno inserimento
di queste vocazioni nell'unico presbiterio e la loro intima e cordiale
comunione con esso.
III. I protagonisti della formazione
sacerdotale
65. Poiché la formazione dei candidati al
sacerdozio appartiene alla pastorale vocazionale della Chiesa, si deve dire che
è la Chiesa come tale il soggetto comunitario che ha la grazia e la
responsabilità di accompagnare quanti il Signore chiama a divenire suoi
ministri nel sacerdozio.
In tal senso proprio la lettura del mistero
della Chiesa ci aiuta a precisare meglio il posto e il compito che i suoi
diversi membri, sia come singoli sia come membri di un corpo, hanno nella
formazione dei candidati al presbiterato.
Ora la Chiesa è per sua intima natura la «
memoria », il « sacramento » della presenza e dell'azione di Gesù Cristo in
mezzo a noi e per noi. È alla sua presenza salvifica che si deve la chiamata al
sacerdozio: non solo la chiamata, ma anche l'accompagnamento perché il chiamato
possa riconoscere la grazia del Signore e possa darle risposta con libertà e
con amore. È lo Spirito di Gesù che fa luce e dona forza nel discernimento e
nel cammino vocazionale. Non si dà, allora, autentica opera formativa
al sacerdozio senza l'influsso dello Spirito di Cristo. Ogni formatore
umano deve esserne pienamente cosciente. Come non vedere una « risorsa »
totalmente gratuita e radicalmente efficace, che ha il suo « peso » decisivo
nell'impegno formativo verso il sacerdozio? E come non gioire di fronte alla
dignità di ogni formatore umano, che si configura, in un certo senso, quale
visibile rappresentante di Cristo per il candidato al sacerdozio? Se la
formazione al sacerdozio è essenzialmente la preparazione del futuro « pastore
» ad immagine di Gesù Cristo buon Pastore, chi meglio di Gesù stesso, mediante
l'effusione del suo Spirito, può donare e portare a maturità quella carità
pastorale che egli ha vissuto sino al dono totale di sé 399 e che vuole sia
rivissuta da tutti i presbiteri?
Primo rappresentante di Cristo nella
formazione sacerdotale è il Vescovo. Si
potrebbe dire del Vescovo, di ogni Vescovo, quanto l'evangelista Marco ci dice
nel testo più volte citato: « Chiamò a sé quelli che volle ed essi andarono
da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per
mandarli... ».400 In realtà la chiamata interiore dello Spirito ha bisogno di
essere riconosciuta come autentica chiamata dal Vescovo. Se tutti possono «
andare » dal Vescovo perché Pastore e Padre di tutti, lo possono in una
maniera particolare i suoi presbiteri per la comune partecipazione al medesimo
sacerdozio e ministero: il Vescovo, dice il Concilio, deve considerarli e
trattarli come « fratelli e amici ».401 E questo, in modo analogico, si può
dire di quanti si preparano al sacerdozio. A proposito dello stare con lui, con
il Vescovo, risulta già quanto mai significativo della sua responsabilità
formativa nei riguardi dei candidati al sacerdozio che il Vescovo li visiti
spesso e in qualche modo « stia » con loro.
La presenza del Vescovo ha un valore
particolare, non solo perché aiuta la comunità del seminario a vivere il suo
inserimento nella Chiesa particolare e la sua comunione con il Pastore che la
guida, ma anche perché autentica e stimola quella finalità pastorale che
costituisce lo specifico dell'intera formazione dei candidati al sacerdozio.
Soprattutto, con la sua presenza e con la condivisione con i candidati al
sacerdozio di tutto ciò che riguarda il cammino pastorale della Chiesa
particolare, il Vescovo offre un apporto fondamentale alla formazione del «
senso della Chiesa », quale valore spirituale e pastorale centrale
nell'esercizio del ministero sacerdotale.
66. La comunità educativa del seminario si
articola attorno a diversi formatori: il rettore, il direttore o padre
spirituale, i superiori e i professori. Questi devono sentirsi
profondamente uniti al Vescovo, che a diverso titolo e in vario modo lo
rappresentano, e devono essere tra loro in convinta e cordiale comunione e
collaborazione: questa unità degli educatori non solo rende possibile
un'adeguata realizzazione del programma educativo, ma anche e soprattutto offre
ai candidati al sacerdozio l'esempio significativo e la concreta introduzione a
quella comunione ecclesiale che costituisce un valore fondamentale della vita
cristiana e del ministero pastorale.
È evidente che gran parte dell'efficacia
formativa dipende dalla personalità matura e forte dei formatori sotto il
profilo umano ed evangelico. Per questo diventano particolarmente importanti,
da un lato, la scelta accurata dei formatori e, dall'altro, lo stimolo
ai formatori perché si rendano costantemente sempre più idonei al compito loro
affidato. Consapevoli che proprio nella scelta e nella formazione dei
formatori risiede l'avvenire della preparazione dei candidati al sacerdozio, i
Padri sinodali si sono soffermati a lungo nel precisare l'identità degli
educatori. In particolare hanno scritto: « Il compito della formazione dei
candidati al sacerdozio certamente esige non solo una qualche preparazione
speciale dei formatori, che sia veramente tecnica, pedagogica, spirituale,
umana e teologica, ma anche lo spirito di comunione e di collaborazione
nell'unità per sviluppare il programma, così che sempre sia salvata l'unità
nell'azione pastorale del seminario sotto la guida del rettore. Il gruppo dei
formatori dia testimonianza di una vita veramente evangelica e di totale
dedizione al Signore. È opportuno che goda di una qualche stabilità ed abbia
residenza abituale nella comunità del seminario. Sia intimamente congiunto con
il Vescovo, quale primo responsabile della formazione dei sacerdoti ».402
I Vescovi per primi devono sentire la loro
grave responsabilità circa la formazione di coloro che saranno incaricati
dell'educazione dei futuri presbiteri. Per questo ministero devono essere
scelti sacerdoti di vita esemplare, in possesso di diverse qualità: « la
maturità umana e spirituale, l'esperienza pastorale, la competenza
professionale, la stabilità nella propria vocazione, la capacità alla
collaborazione, la preparazione dottrinale nelle scienze umane (specialmente la
psicologia) corrispondente all'ufficio, la conoscenza dei modi per lavorare in
gruppo ».403
Fatte salve la distinzione tra foro interno
e foro esterno, l'opportuna libertà di scelta dei confessori e la prudenza e
discrezione che convengono al ministero del direttore spirituale, la comunità
presbiterale degli educatori si senta solidale nella responsabilità di educare
i candidati al sacerdozio. Ad essa, sempre in riferimento all'autorevole
valutazione sintetica del Vescovo e del rettore, spetta in primo luogo il compito
di promuovere e verificare l'idoneità dei candidati quanto alle doti
spirituali, umane e intellettuali, soprattutto in riferimento allo spirito di
preghiera, all'assimilazione profonda della dottrina della fede, alla capacità
di autentica fraternità e al carisma del celibato.404
Tenendo presenti — come i Padri sinodali
hanno pure ricordato — le indicazioni dell'Esortazione « Christifideles Laici »
e della Lettera Apostolica « Mulieris Dignitatem »,405 che rilevano l'utilità
di un sano influsso della spiritualità laicale e del carisma della femminilità
su ogni itinerario educativo, è opportuno coinvolgere, in forme prudenti e
adattate ai vari contesti culturali, la collaborazione anche dei fedeli
laici, uomini e donne, nell'opera formativa dei futuri sacerdoti. Sono da
scegliersi con cura, nel quadro delle leggi della Chiesa e secondo i loro
particolari carismi e le loro provate competenze. Dalla loro collaborazione,
opportunamente coordinata e integrata alle responsabilità educative primarie
dei formatori dei futuri presbiteri, è lecito attendersi benefici frutti per
una crescita equilibrata del senso della Chiesa e per una percezione più
precisa della propria identità sacerdotale da parte dei candidati al
presbiterato.406
67. Quanti introducono e accompagnono i
futuri sacerdoti nella sacra doctrina con l'insegnamento teologico hanno
una particolare responsabilità educativa, che l'esperienza dice essere spesso
più decisiva, nello sviluppo della personalità presbiterale, di quella degli
altri educatori.
La responsabilità degli insegnanti di
teologia, prima che riguardare il rapporto di docenza che devono instaurare
con i candidati al sacerdozio, riguarda la concezione che essi stessi devono
avere della natura della teologia e del ministero sacerdotale, come pure lo
spirito e lo stile secondo cui devono sviluppare l'insegnamento teologico. In
questo senso i Padri sinodali hanno giustamente affermato che « il teologo deve
rimanere consapevole che con il suo insegnamento non si autorizza da sé, ma
deve aprire e comunicare l'intelligenza della fede ultimamente nel nome del
Signore e della Chiesa. In questo modo, il teologo, pur utilizzando tutte le
possibilità scientifiche, esercita il suo compito su mandato della Chiesa e
collabora con il Vescovo nel compito di insegnare. Poiché i teologi e i Vescovi
sono al servizio della stessa Chiesa nel promuovere la fede, devono sviluppare
e coltivare una reciproca fiducia e in questo spirito superare anche le
tensioni e i conflitti 407 ».408
L'insegnante di teologia, come ogni altro
educatore, deve rimanere in comunione e collaborare cordialmente con tutte le
altre persone impegnate nella formazione dei futuri sacerdoti e presentare con
rigore scientifico, generosità, umiltà e passione il suo contributo originale e
qualificato, che non è solo la semplice comunicazione di una dottrina — sia
pure la sacra doctrina —, ma è soprattutto l'offerta della prospettiva
che unifica nel disegno di Dio tutti i diversi saperi umani e le varie
espressioni di vita.
In particolare, la specificità e
l'incisività formativa degli insegnanti di teologia si misura sul loro essere,
anzitutto, « uomini di fede e pieni di amore per la Chiesa, convinti che il
soggetto adeguato della conoscenza del mistero cristiano resta la Chiesa come
tale, persuasi pertanto che il loro compito d'insegnare è un autenico ministero
ecclesiale, ricchi di senso pastorale per discernere non solo i contenuti ma
anche le forme adatte nell'esercizio di questo ministero. In particolare, dagli
insegnanti è richiesta la fedeltà piena al Magistero. Insegnano, infatti, a
nome della Chiesa e per questo sono testimoni della fede ».409
68. Le comunità da cui proviene il candidato
al sacerdozio, pur con il necessario distacco che la scelta vocazionale
comporta, continuano ad esercitare un influsso non indifferente sulla
formazione del futuro sacerdote. Devono allora essere coscienti della loro
specifica parte di responsabilità.
È da ricordare, anzitutto, la famiglia: i
genitori cristiani, come anche i fratelli e le sorelle e gli altri membri del
nucleo familiare, non dovranno mai cercare di ricondurre il futuro presbitero
negli angusti limiti di una logica troppo umana, se non mondana, pur sostenuta
da sincero affetto.410 Animati essi stessi dal medesimo proposito di « compiere
la volontà di Dio » sapranno, invece, accompagnare il cammino formativo con la
preghiera, il rispetto, il buon esempio delle virtù domestiche e l'aiuto
spirituale e materiale, soprattutto nei momenti difficili. L'esperienza insegna
che, in tanti casi, questo aiuto molteplice si è rivelato decisivo per il
candidato al sacerdozio. Anche nel caso di genitori e familiari indifferenti o
contrari alla scelta vocazionale, il confronto chiaro e sereno con la loro
posizione e gli stimoli che ne derivano possono essere di grande aiuto, perché
la vocazione sacerdotale maturi in modo più consapevole e determinato.
In profondo collegamento con le famiglie sta
la comunità parrocchiale, e le une e l'altra si integrano sul piano
dell'educazione alla fede; spesso poi la parrocchia, con una specifica
pastorale giovanile e vocazionale, esercita un ruolo di supplenza nei riguardi
della famiglia. Soprattutto, in quanto realizzazione locale più immediata del
mistero della Chiesa, la parrocchia offre un contributo originale e
particolarmente prezioso alla formazione del futuro sacerdote. La comunità
parrocchiale deve continuare a sentire come parte viva di sé il giovane in
cammino verso il sacerdozio, lo deve accompagnare con la preghiera, accogliere
cordialmente nei periodi di vacanza, rispettare e favorire nel formarsi della
sua identità presbiterale, offrendogli occasioni opportune e stimoli forti per
provare la sua vocazione alla missione sacerdotale.
Anche le associazioni e i movimenti
giovanili, segno e conferma della vitalità che lo Spirito assicura alla
Chiesa, possono e devono contribuire alla formazione dei candidati al
sacerdozio, in particolare di quelli che escono dall'esperienza cristiana,
spirituale e apostolica di queste realtà aggregative. I giovani che hanno
ricevuto la loro formazione di base in tali aggregazioni e che si riferiscono
ad esse per la loro esperienza di Chiesa, non dovranno sentirsi invitati a
sradicarsi dal loro passato ed a interrompere le relazioni con l'ambiente che
ha contribuito al determinarsi della loro vocazione, né dovranno cancellare i
tratti caratteristici della spiritualità che là hanno imparato e vissuto, in
tutto ciò che di buono, edificante ed arricchente essi contengono.411 Anche per
loro, questo ambiente d'origine continua ad essere fonte di aiuto e di sostegno
nel cammino formativo verso il sacerdozio.
Le occasioni di educazione alla fede e di
crescita cristiana ed ecclesiale, che lo Spirito offre a tanti giovani,
attraverso molteplici forme di gruppi, movimenti e associazioni di varia
ispirazione evangelica, devono essere sentite e vissute come il dono di
un'anima alimentatrice dentro l'istituzione e al suo servizio. Un movimento o
una spiritualità particolare, infatti, « non è una struttura alternativa
all'istituzione. È invece sorgente di una presenza che continuamente ne
rigenera l'autenticità esistenziale e storica. Il sacerdote deve perciò trovare
in un movimento la luce e il calore che lo rende capace di fedeltà al suo
Vescovo, che lo rende pronto alle incombenze dell'istituzione e attento alla
disciplina ecclesiastica, così che più fertile sia la vibrazione della sua fede
ed il gusto della sua fedeltà ».412
È quindi necessario che, nella nuova
comunità del Seminario nella quale sono riuniti dal Vescovo, i giovani
provenienti da associazioni e da movimenti ecclesiali imparino « il rispetto
delle altre vie spirituali e lo spirito di dialogo e di cooperazione », si
riferiscano con coerenza e cordialità alle indicazioni formative del Vescovo e
agli educatori del Seminario, affidandosi con schietta fiducia alla loro guida
e alle loro valutazioni.413 Questo atteggiamento, infatti, prepara e in qualche
modo anticipa la genuina scelta presbiterale di servizio all'intero Popolo di
Dio, nella comunione fraterna del presbiterio e in obbedienza al Vescovo.
La partecipazione del seminarista e del
presbitero diocesano a particolari spiritualità o aggregazioni ecclesiali è
certamente, in se stessa, un fattore benefico di crescita e di fraternità
sacerdotale. Ma questa partecipazione non deve ostacolare, bensì aiutare
l'esercizio del ministero e la vita spirituale che sono propri del sacerdote
diocesano, il quale « resta sempre il pastore dell'insieme. Non solo è il
"permanente", disponibile a tutti, ma presiede all'incontro di tutti
— in particolare è a capo delle parrocchie — affinché tutti trovino
l'accoglienza che sono in diritto di attendere nella comunità e nell'Eucaristia
che li riunisce, qualunque sia la loro sensibilità religiosa e il loro impegno
pastorale ».414
69. Non si può dimenticare, infine, che lo
stesso candidato al sacerdozio deve dirsi protagonista necessario e
insostituibile della sua formazione: ogni formazione, anche quella sacerdotale,
è ultimamente un'autoformazione. Nessuno, infatti, può sostituirci nella
libertà responsabile che abbiamo come singole persone.
Certamente anche il futuro sacerdote, lui
per primo, deve crescere nella consapevolezza che il protagonista per
antonomasia della sua formazione è lo Spirito Santo che, con il dono del cuore
nuovo, configura e assimila a Gesù Cristo buon Pastore: in tal senso il
candidato affermerà nella forma più radicale la sua libertà nell'accogliere
l'azione formativa dello Spirito. Ma accogliere questa azione significa anche,
da parte del candidato al sacerdozio, accogliere le mediazioni umane di cui lo
Spirito si serve. Per questo l'azione dei vari educatori risulta veramente e
pienamente efficace solo se il futuro sacerdote offre ad essa la sua personale
convinta e cordiale collaborazione.
CAPITOLO
VI
TI
RICORDO DI RAVVIVARE IL DONO DI DIO CHE E' IN TE
La formazione permanente dei sacerdoti
70. « Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio
che è in te ».415
Le parole dell'Apostolo al vescovo Timoteo
si possono legittimamente applicare a quella formazione permanente alla quale
sono chiamati tutti i sacerdoti in forza del « dono di Dio » che hanno ricevuto
con l'ordinazione sacra. Esse ci introducono a cogliere la verità intera e
l'originalità inconfondibile della formazione permanente dei presbiteri. In
questo siamo aiutati anche da un altro testo di Paolo, che allo stesso Timoteo
scrive: « Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato
conferito, per indicazioni di profeti, con l'imposizione delle mani da parte
del collegio dei presbiteri. Abbi premura di queste cose, dedicati ad esse
interamente perché tutti vedano il tuo progresso. Vigila su te stesso e sul tuo
insegnamento e sii perseverante: così facendo salverai te stesso e coloro che
ti ascoltano ».416
L'Apostolo chiede a Timoteo di « ravvivare
», ossia di riaccendere come si fa per il fuoco sotto la cenere, il dono
divino, nel senso di accoglierlo e di viverlo senza mai perdere o dimenticare
quella « novità permanente » che è propria di ogni dono di Dio, di Colui che fa
nuove tutte le cose,417 e dunque di viverlo nella sua intramontabile freschezza
e bellezza originaria.
Ma quel « ravvivare » non è solo l'esito di
un compito affidato alla responsabilità personale di Timoteo, non è solo il
risultato di un impegno della sua memoria e della sua volontà. È l'effetto di
un dinamismo di grazia intrinseco al dono di Dio: è Dio stesso, dunque, a
ravvivare il suo stesso dono, meglio, a sprigionare tutta la straordinaria
ricchezza di grazia e di responsabilità che in esso è racchiusa.
Con l'effusione sacramentale dello Spirito
Santo che consacra e manda, il presbitero viene configurato a Gesù Cristo Capo
e Pastore della Chiesa e viene mandato a compiere il ministero pastorale. In
tal modo, il sacerdote è segnato per sempre e in modo indelebile nel suo essere
come ministro di Gesù e della Chiesa ed è inserito in una condizione permanente
e irreversibile di vita ed è incaricato di un ministero pastorale che, radicato
nell'essere, coinvolge tutta la sua esistenza, ed è esso pure permanente. Il
sacramento dell'Ordine conferisce al sacerdote la grazia sacramentale, che lo
rende partecipe non solo del « potere » e del « ministero » salvifici di Gesù,
ma anche del suo « amore » pastorale; nello stesso tempo assicura al sacerdote
tutte quelle grazie attuali che gli verranno date ogniqualvolta saranno
necessarie e utili per il degno e perfetto compimento del ministero ricevuto.
La formazione permanente trova così il suo
fondamento proprio e la sua motivazione originale nel dinamismo del sacramento
dell'Ordine.
Certo non mancano ragioni anche
semplicemente umane che sollecitano il sacerdote a realizzare una
formazione permanente. Questa è un'esigenza della sua progressiva
realizzazione: ogni vita è un cammino incessante verso la maturità, e questa
passa attraverso la continua formazione. È esigenza, inoltre, del ministero
sacerdotale, sia pure colto nella sua natura generica e comune alle altre
professioni, e quindi come servizio rivolto agli altri: ora non c'è professione
o impegno o lavoro che non esiga un continuo aggiornamento, se vuole essere
attuale ed efficace. L'esigenza di « tenere il passo » con il cammino della
storia è un'altra ragione umana che giustifica la formazione permanente.
Ma queste ed altre ragioni vengono assunte e
specificate dalle ragioni teologiche ora ricordate e che si possono
ulteriormente approfondire.
Il sacramento dell'Ordine, per la
natura di « segno », che è propria di tutti i sacramenti, può considerarsi,
come realmente è, Parola di Dio: è Parola di Dio che chiama e manda, è
l'espressione più forte della vocazione e della missione del sacerdote.
Mediante il sacramento dell'Ordine Dio chiama coram Ecclesia il candidato «
al » sacerdozio. Il « vieni e seguimi » di Gesù trova la sua proclamazione
piena e definitiva nella celebrazione del sacramento della sua Chiesa: si
manifesta e si comunica attraverso la voce della Chiesa, che risuona sulle
labbra del Vescovo che prega e impone le mani. E il sacerdote dà risposta,
nella fede, alla chiamata di Gesù: « vengo e ti seguo ». Da questo momento ha
inizio quella risposta che, come scelta fondamentale, deve riesprimersi e
riaffermarsi lungo gli anni del sacerdozio in numerosissime altre risposte,
tutte radicate e vivificate dal « sì » dell'Ordine sacro.
In questo senso si può parlare di una vocazione
« nel » sacerdozio. In realtà Dio continua a chiamare e a mandare,
rivelando il suo disegno salvifico nello sviluppo storico della vita del
sacerdote e nelle vicende della Chiesa e della società. E proprio in questa
prospettiva emerge il significato della formazione permanente: essa è
necessaria in ordine a discernere e a seguire questa continua chiamata o
volontà di Dio. Così l'apostolo Pietro è chiamato a seguire Gesù anche dopo che
il Risorto gli ha affidato il suo gregge: « Gli rispose Gesù: "Pasci le
mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi
la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le
mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi".
Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E
detto questo aggiunse: "Seguimi" ».418 C'è, dunque, un « seguimi »
che accompagna la vita e la missione dell'apostolo. È un « seguimi » che
attesta l'appello e l'esigenza della fedeltà sino alla morte,419 un « seguimi »
che può significare una sequela Christi con il dono totale di sé nel
martirio.420
I Padri sinodali hanno espresso la ragione
che giustifica la necessità della formazione permanente e che nello stesso
tempo ne rivela la natura profonda, qualificandola come « fedeltà » al ministero
sacerdotale e come « processo di continua conversione ».421 È lo
Spirito Santo, effuso con il sacramento, che sostiene il presbitero in questa
fedeltà e che lo accompagna e lo stimola in questo cammino di incessante conversione.
Il dono dello Spirito non dispensa, ma sollecita la libertà del sacerdote,
perché cooperi responsabilmente e assuma la formazione permanente come compito
che gli è affidato. In tal modo la formazione permanente è espressione ed
esigenza della fedeltà del sacerdote al suo ministero, anzi al suo stesso
essere. È dunque amore a Gesù Cristo e coerenza con se stessi. Ma è anche atto
di amore verso il Popolo di Dio, al cui servizio il sacerdote è posto.
Anzi, atto di vera e propria giustizia: egli è debitore verso il Popolo
di Dio, essendo chiamato a riconoscerne e a promuoverne il « diritto », quello
fondamentale, di essere destinatario della Parola di Dio, dei Sacramenti e del
servizio della Carità, che sono il contenuto originale e irrinunciabile del
ministero pastorale del sacerdote. La formazione permanente è necessaria perché
il sacerdote sia in grado di rispondere, nel modo dovuto, a tale diritto del
Popolo di Dio.
Anima e forma della formazione permanente
del sacerdote è la carità pastorale: lo
Spirito Santo, che infonde la carità pastorale, introduce e accompagna il
sacerdote a conoscere sempre più profondamente il mistero di Cristo che è
insondabile nella sua ricchezza 422 e, di riflesso, a conoscere il mistero del
sacerdozio cristiano. La stessa carità pastorale spinge il sacerdote a
conoscere sempre più le attese, i bisogni, i problemi, le sensibilità dei
destinatari del suo ministero: destinatari colti nelle loro concrete situazioni
personali, familiari, sociali.
A tutto questo tende la formazione
permanente intesa come cosciente e libera proposta al dinamismo della carità
pastorale e dello Spirito Santo, che ne è la sorgente prima e l'alimento
continuo. In questo senso la formazione permanente è un'esigenza intrinseca al
dono e al ministero sacramentale ricevuto e si rivela necessaria in ogni tempo.
Oggi però risulta essere particolarmente urgente, non solo per il rapido
mutarsi delle condizioni sociali e culturali degli uomini e dei popoli entro
cui si svolge il ministero presbiterale, ma anche per quella « nuova
evangelizzazione » che costituisce il compito essenziale e indilazionabile
della Chiesa alla fine del secondo millennio.
71. La formazione permanente dei sacerdoti,
sia diocesani sia religiosi, è la continuazione naturale e assolutamente
necessaria di quel processo di strutturazione della personalità presbiterale
che si è iniziato e sviluppato in Seminario o nella Casa religiosa con il
cammino formativo in vista dell'Ordinazione.
È di particolare importanza avvertire e
rispettare l'intrinseco legame che esiste tra la formazione precedente
l'ordinazione e quella successiva. Se, infatti, ci fosse una discontinuità
o perfino una difformità tra queste due fasi formative, deriverebbero
immediatamente gravi conseguenze sull'attività pastorale e sulla comunione
fraterna tra i presbiteri, in particolare tra quelli di differente età. La
formazione permanente non è una ripetizione di quella acquisita in Seminario,
semplicemente riveduta o ampliata con nuovi suggerimenti applicativi. Essa si
sviluppa con contenuti e soprattutto attraverso metodi relativamente nuovi,
come un fatto vitale unitario che, nel suo progresso — affondando le radici
nella formazione seminaristica — richiede adattamenti, aggiornamenti e
modifiche, senza però subire rotture o soluzioni di continuità.
E viceversa, fin dal Seminario Maggiore
occorre preparare la futura formazione permanente, e aprire ad essa l'animo e
il desiderio dei futuri presbiteri, dimostrandone la necessità, i vantaggi e lo
spirito, e assicurando le condizioni del suo realizzarsi.
Proprio perché la formazione permanente è
una continuazione di quella del Seminario, il suo fine non può essere un puro
atteggiamento per così dire professionale, ottenuto con l'apprendimento di
alcune tecniche pastorali nuove. Deve essere piuttosto il mantenere vivo un
generale e integrale processo di continua maturazione, mediante
l'approfondimento sia di ciascuna delle dimensioni della formazione — umana,
spirituale, intellettuale e pastorale —, sia del loro intimo e vivo
collegamento specifico, a partire dalla carità pastorale e in riferimento ad
essa.
72. Un primo approfondimento riguarda la dimensione
umana della formazione sacerdotale. Nel contatto quotidiano con gli uomini,
nella condivisione della loro vita di ogni giorno, il sacerdote deve crescere e
approfondire quella sensibilità umana che gli permette di comprendere i bisogni
ed accogliere le richieste, di intuire le domande inespresse, di spartire le
speranze e le attese, le gioie e la fatiche del vivere comune; di essere capace
di incontrare tutti e di dialogare con tutti. Soprattutto conoscendo e
condividendo, cioè facendo propria, l'esperienza umana del dolore nella
molteplicità del suo manifestarsi, dall'indigenza alla malattia,
dall'emarginazione all'ignoranza, alla solitudine, alle povertà materiali e
morali, il sacerdote arricchisce la propria umanità e la rende più autentica e
trasparente in un crescente e appassionato amore all'uomo.
Nel portare a maturità la sua formazione
umana, il sacerdote riceve un particolare aiuto dalla grazia di Gesù Cristo: la
carità del buon Pastore, infatti, si è espressa non solo con il dono della
salvezza agli uomini, ma anche con la condivisione della loro vita, della quale
il Verbo, che si è fatto « carne »,423 ha voluto conoscere la gioia e la
sofferenza, sperimentare la fatica, spartire le emozioni, consolare la pena.
Vivendo da uomo fra gli uomini e con gli uomini, Gesù Cristo offre la più
assoluta, genuina e perfetta espressione di umanità: lo vediamo far festa alle
nozze di Cana, frequentare una famiglia di amici, commuoversi per la folla
affamata che lo segue, restituire figli malati o morti ai genitori, piangere la
perdita di Lazzaro...
Del sacerdote, maturato sempre più nella sua
sensibilità umana, il Popolo di Dio deve poter dire qualcosa di analogo a
quanto di Gesù dice la Lettera agli Ebrei: « Non abbiamo un sommo sacerdote che
non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in
ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato ».424
La formazione del presbitero nella sua dimensione
spirituale è un'esigenza della vita nuova ed evangelica alla quale egli è
chiamato in modo specifico dallo Spirito Santo effuso nel sacramento
dell'Ordine. Lo Spirito, consacrando il sacerdote e configurandolo a Gesù
Cristo Capo e Pastore, crea un legame che, situato nell'essere stesso del
sacerdote, chiede di essere assimilato e vissuto in maniera personale, cioè
cosciente e libera, mediante una comunione di vita e di amore sempre più ricca
e una condivisione sempre più ampia e radicale dei sentimenti e degli
atteggiamenti di Gesù Cristo. In questo legame tra il Signore Gesù e il
sacerdote, legame ontologico e psicologico, sacramentale e morale, sta il
fondamento e nello stesso tempo la forza per quella « vita secondo lo Spirito »
e per quel « radicalismo evangelico » al quale è chiamato ogni sacerdote e che
viene favorito dalla formazione permanente nel suo aspetto spirituale. Questa
formazione risulta necessaria anche in ordine al ministero sacerdotale, alla sua
autenticità e fecondità spirituale. « Eserciti la cura d'anime? », si chiedeva
san Carlo Borromeo. E così rispondeva nel discorso rivolto ai sacerdoti: « Non
trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al
punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il
ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso.
Comprendete, fratelli, che niente è così necessario a tutte le persone
ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le
nostre azioni: Canterò, dice il profeta, e mediterò.425 Se amministri i
sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che
offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di che cosa parli. Se guidi le
anime, medita da quale sangue siano state lavate; e "tutto si faccia tra
voi nella carità".426 Così potremo superare le difficoltà che incontriamo,
e sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal compito
affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare Cristo in noi e negli
altri ».427
In particolare la vita di preghiera
dev'essere continuamente « riformata » nel sacerdote. L'esperienza, infatti,
insegna che nell'orazione non si vive di rendita: ogni giorno occorre, non solo
riconquistare la fedeltà esteriore ai momenti di preghiera, soprattutto a
quelli destinati alla celebrazione della « Liturgia delle Ore » e a quelli
lasciati alla scelta personale e non sostenuti da scadenze e orari del servizio
liturgico, ma anche e specialmente rieducare la continua ricerca di un vero
incontro personale con Gesù, di un fiducioso colloquio con il Padre, di una
profonda esperienza dello Spirito.
Quanto l'apostolo Paolo dice di tutti i
credenti, che devono giungere « a formare l'uomo maturo, al livello di statura
che attua la pienezza del Cristo »,428 può essere applicato in modo specifico
ai sacerdoti chiamati alla perfezione della carità e quindi alla santità, anche
perché il loro stesso ministero pastorale li vuole modelli viventi per tutti i
fedeli.
Anche la dimensione intellettuale della
formazione chiede di essere continuata e approfondita durante tutta la vita del
sacerdote, in particolare mediante lo studio e l'aggiornamento culturale serio
ed impegnato. Partecipe della missione profetica di Gesù e inserito nel mistero
della Chiesa Maestra di verità, il sacerdote è chiamato a rivelare in Gesù
Cristo agli uomini il volto di Dio, e con ciò il vero volto dell'uomo.429 Ma
questo esige che il sacerdote stesso ricerchi tale volto e lo contempli con
venerazione e amore:430 solo così lo può far conoscere agli altri. In
particolare la continuazione dello studio teologico risulta anche necessaria
perché il sacerdote possa adempiere con fedeltà il ministero della Parola,
annunciandola senza confusioni e ambiguità, distinguendola dalle semplici
opinioni umane, anche se rinomate e diffuse. Così potrà porsi veramente al
servizio del Popolo di Dio, aiutandolo a rendere ragione, a quanti lo chiedono,
della speranza cristiana.431 Inoltre, « il sacerdote, nell'applicarsi con
coscienza e costanza allo studio teologico, è in grado di assimilare in forma
sicura e personale la genuina ricchezza ecclesiale. Può quindi compiere la
missione, che lo impegna nel rispondere alle difficoltà circa l'autentica
dottrina cattolica, e superare l'inclinazione, propria e altrui, al dissenso e
all'atteggiamento negativo riguardo al Magistero e alla Tradizione ».432
L'aspetto pastorale della formazione permanente è bene espresso dalle
parole dell'apostolo Pietro: « Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta,
mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme
grazia di Dio ».433 Per vivere ogni giorno secondo la grazia ricevuta occorre
che il sacerdote sia sempre più aperto ad accogliere la carità pastorale di
Gesù Cristo, donatagli dal suo Spirito con il sacramento ricevuto. Come tutta
l'attività del Signore è stata il frutto e il segno della carità pastorale,
così deve essere anche per l'operosità ministeriale del sacerdote. La carità
pastorale è un dono e, insieme, un compito, una grazia e una responsabilità
alla quale occorre essere fedeli: occorre cioè accoglierla e viverne il
dinamismo sino alle esigenze più radicali. Questa stessa carità pastorale, come
si è detto, spinge e stimola il sacerdote a conoscere sempre meglio la
condizione reale degli uomini ai quali è mandato, a discernere nelle
circostanze storiche nelle quali è inserito gli appelli dello Spirito, a
ricercare i metodi più adatti e le forme più utili per esercitare oggi il suo
ministero. Così la carità pastorale anima e sostiene gli sforzi umani del
sacerdote per un'operosità pastorale che sia attuale, credibile ed efficace. Ma
ciò esige una permanente formazione pastorale.
Il cammino verso la maturità non richiede
solo che il sacerdote continui ad approfondire le diverse dimensioni della sua
formazione, ma anche e soprattutto che sappia integrare sempre più
armonicamente tra loro queste stesse dimensioni, raggiungendone
progressivamente l'unità interiore: ciò sarà reso possibile dalla carità
pastorale. Questa, infatti, non solo coordina e unifica i diversi aspetti, ma
li specifica connotandoli come aspetti della formazione del sacerdote in quanto
tale, ossia del sacerdote come trasparenza, immagine viva, ministro di Gesù
buon Pastore.
La formazione permanente aiuta il sacerdote
a superare la tentazione di ricondurre il suo ministero ad un attivismo fine a
se stesso, ad una impersonale prestazione di cose, sia pure spirituali o sacre,
ad una funzione impiegatizia al servizio dell'organizzazione ecclesiastica.
Solo la formazione permanente aiuta il prete a custodire con vigile amore il
« mistero » che porta in sé per il bene della Chiesa e dell'umanità.
73. Le diverse e complementari dimensioni della
formanzione permanente ci aiutano a coglierne il significato profondo: essa
tende ad aiutare il prete ad essere e a fare il prete nello
spirito e secondo lo stile di Gesù buon Pastore.
La verità è da farsi! Così ci ammonisce san
Giacomo: « Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto
ascoltatori, illudendo voi stessi ».434 I sacerdoti sono chiamati a « fare la
verità » del loro essere, ossia a vivere « nella carità » 435 la loro identità
e il loro ministero nella Chiesa e per la Chiesa. Sono chiamati a prendere
coscienza sempre più viva del dono di Dio, a farne continua memoria. È questo
l'invito di Paolo a Timoteo: « Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello
Spirito Santo che abita in noi ».436
Nel contesto ecclesiologico più volte
ricordato si può considerare il significato profondo della formazione
permanente del sacerdote in ordine alla sua presenza e azione nella Chiesa mysterium,
communio et missio.
Entro la Chiesa « mistero » il sacerdote è
chiamato, mediante la formazione permanente, a conservare e sviluppare nella
fede la coscienza della verità intera e sorprendente del suo essere: egli è
ministro di Cristo e amministratore dei misteri di Dio.437 Paolo chiede
espressamente ai cristiani che lo considerino secondo questa identità; ma lui
stesso, per primo, vive nella consapevolezza del dono sublime ricevuto dal
Signore. Così dev'essere di ogni sacerdote, se vuole rimanere nella verità del
suo essere. Ma ciò è possibile solo nella fede, solo con lo sguardo e con gli
occhi di Cristo.
In questo senso si può dire che la
formazione permanente tende a far sì che il prete sia un credente e lo
diventi sempre più: che si veda sempre nella sua verità, con gli occhi di
Cristo. Egli deve custodire questa verità con amore grato e gioioso. Deve
rinnovare la sua fede quando esercita il ministero sacerdotale: sentirsi
ministro di Gesù Cristo, sacramento dell'amore di Dio per l'uomo, ogniqualvolta
è tramite e strumento vivo del conferimento della grazia di Dio agli uomini.
Deve riconoscere questa stessa verità nei confratelli: è il principio della
stima e dell'amore verso gli altri sacerdoti.
74. La formazione permanente aiuta il
sacerdote, entro la Chiesa « comunione », a maturare la coscienza che il
suo ministero è ultimamente ordinato a riunire la famiglia di Dio come
fraternità animata dalla carità e a condurla al Padre per mezzo di Cristo nello
Spirito Santo.438
Il sacerdote deve crescere nella consapevolezza
della profonda comunione che lo lega al Popolo di Dio: non è soltanto «
davanti » alla Chiesa, ma anzitutto « nella » Chiesa. È fratello tra fratelli.
Con il Battesimo, insignito della dignità e della libertà dei figli di Dio nel
Figlio unigenito, il sacerdote è membro dello stesso e unico Corpo di
Cristo.439 La coscienza di questa comunione sfocia nel bisogno di suscitare e
sviluppare la corresponsabilità nella comune e unica missione di
salvezza, con la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i
compiti che lo Spirito offre ai credenti per l'edificazione della Chiesa. È soprattutto
nel compimento del ministero pastorale, per sua natura ordinato al bene del
Popolo di Dio, che il sacerdote deve vivere e testimoniare la sua profonda
comunione con tutti, come scriveva Paolo VI: « Bisogna farsi fratelli degli
uomini nell'atto stesso che vogliamo essere loro pastori, padri e maestri. Il
clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il servizio ».440
In modo più specifico il sacerdote è
chiamato a maturare la coscienza dell'essere membro della Chiesa particolare
nella quale è incardinato, ossia inserito con un legame insieme giuridico,
spirituale e pastorale. Una simile coscienza suppone e sviluppa l'amore
particolare alla propria Chiesa. Questa, in realtà, è il termine vivo e
permanente della carità pastorale che deve accompagnare la vita del prete e che
lo conduce a condividere di questa stessa Chiesa particolare la storia o
esperienza di vita nelle sue ricchezze e fragilità, nelle sue difficoltà e
speranze, a lavorare in essa per la sua crescita. Sentirsi, dunque, insieme
arricchiti dalla Chiesa particolare e impegnati attivamente alla sua
edificazione, prolungando, ciascun sacerdote e con gli altri, quell'operosità
pastorale che ha contraddistinto i confratelli che li hanno preceduti.
Un'esigenza insopprimibile della carità pastorale verso la propria Chiesa
particolare e il suo domani ministeriale è la sollecitudine che il sacerdote
deve avere di trovare, per così dire, qualcuno che lo sostituisca nel
sacerdozio.
Il sacerdote deve maturare nella coscienza
della comunione che sussiste tra le diverse Chiese particolari, una
comunione radicata nel loro stesso essere di Chiese che vivono in loco la
Chiesa unica e universale di Cristo. Una simile coscienza di comunione
interecclesiale favorirà lo « scambio dei doni », a cominciare dai doni
vivi e personali, quali sono gli stessi sacerdoti. Di qui la disponibilità,
anzi l'impegno generoso per il realizzarsi di una equa distribuzione del
clero.441 Tra queste Chiese particolari sono da ricordarsi quelle che « prive
di libertà, non possono avere vocazioni proprie », come pure le « Chiese
recentemente uscite dalla persecuzione e quelle povere alle quali sono stati
dati già per lungo tempo e da parte di molti degli aiuti con animo grande e
fraterno, e tuttora vengono dati ».442
All'interno della comunione ecclesiale, il
sacerdote è chiamato in particolare a crescere, nella sua formazione
permanente, nel e con il proprio presbiterio unito al Vescovo. Il
presbiterio nella sua verità piena è un mysterium: infatti è una realtà
soprannaturale perché si radica nel sacramento dell'Ordine. Questo è la sua
fonte, la sua origine. È il « luogo » della sua nascita e della sua crescita.
Infatti, « i presbiteri mediante il sacramento dell'Ordine sono collegati con
un vincolo personale e indissolubile con Cristo unico sacerdote. L'Ordine viene
conferito ad essi come singoli, ma sono inseriti nella comunione del
presbiterio congiunto con il Vescovo 443 ».444
Questa origine sacramentale si riflette e si
prolunga nell'ambito dell'esercizio del ministero presbiterale: dal mysterium
al ministerium. « L'unità dei presbiteri con il Vescovo e tra di
loro non si aggiunge dall'esterno alla natura propria del loro servizio, ma ne
esprime l'essenza in quanto è la cura di Cristo sacerdote nei riguardi del
Popolo adunato dall'unità della Santissima Trinità ».445 Questa unità
presbiterale, vissuta nello spirito della carità pastorale, rende i sacerdoti
testimoni di Gesù Cristo, che ha pregato il Padre « perché tutti siano una cosa
sola ».446
La fisionomia del presbiterio è, dunque,
quella di una vera famiglia, di una fraternità, i cui legami non
sono dalla carne e dal sangue, ma sono dalla grazia dell'Ordine: una grazia che
assume ed eleva i rapporti umani, psicologici, affettivi, amicali e spirituali
tra i sacerdoti; una grazia che si espande, penetra e si rivela e si
concretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle
spirituali ma anche quelle materiali. La fraternità presbiterale non esclude
nessuno, ma può e deve avere le sue preferenze: sono quelle evangeliche, riservate
a chi ha più grande bisogno di aiuto o di incoraggiamento. Tale fraternità « ha
una cura speciale per i giovani presbiteri, tiene un cordiale e fraterno
dialogo con quelli di media e maggior età e con quelli che per ragioni diverse
sperimentano difficoltà; anche i sacerdoti che hanno abbandonato questa forma
di vita o che non la seguono, non solo non li abbandona ma li segue ancor più
con fraterna sollecitudine ».447
Dell'unico presbiterio fanno parte, a titolo
diverso, anche i presbiteri religiosi residenti e operanti in una Chiesa
particolare. La loro presenza costituisce un arricchimento per tutti i
sacerdoti e i vari carismi particolari da essi vissuti, mentre sono un richiamo
perché i presbiteri crescano nella comprensione del sacerdozio stesso, contribuiscono
a stimolare e ad accompagnare la formazione permanente dei sacerdoti. Il dono
della vita religiosa, nella compagine diocesana, quando è accompagnato da
sincera stima e da giusto rispetto delle particolarità di ogni istituto e di
ogni tradizione spirituale, allarga l'orizzonte della testimonianza cristiana e
contribuisce in vario modo ad arricchire la spiritualità sacerdotale,
soprattutto in riferimento al corretto rapporto e al reciproco influsso tra i
valori della Chiesa particolare e quelli dell'universalità del Popolo di Dio.
Da parte loro, i religiosi saranno attenti a garantire uno spirito di vera
comunione ecclesiale, una partecipazione cordiale al cammino della Diocesi e
alle scelte pastorali del Vescovo, mettendo volentieri a disposizione il
proprio carisma per l'edificazione di tutti nella carità.448
Infine, nel contesto della Chiesa comunione
e del presbiterio si può meglio affrontare il problema della solitudine del
sacerdote, sulla quale si sono fermati i Padri sinodali. Si dà una solitudine
che fa parte dell'esperienza di tutti e che è qualcosa di assolutamente
normale. Ma si dà anche una solitudine che nasce da difficoltà varie e che a
sua volta provoca ulteriori difficoltà. In questo senso, « l'attiva
partecipazione al presbiterio diocesano, i contatti regolari con il Vescovo e
con gli altri sacerdoti, la mutua collaborazione, la vita comune o fraterna tra
sacerdoti, come anche l'amicizia e la cordialità con i fedeli laici che sono
attivi nelle parrocchie, sono mezzi molto utili per superare gli effetti
negativi della solitudine che alcune volte il sacerdote può sperimentare ».449
La solitudine non crea però solo difficoltà,
offre anche opportunità positive per la vita del sacerdote: « Accettata in
spirito di offerta e ricercata nell'intimità con Gesù Cristo Signore, la
solitudine può essere un'opportunità per l'orazione e lo studio, come pure un
aiuto per la santificazione e la crescita umana ».450
Senza dire che una certa forma di solitudine
è elemento necessario per la formazione permanente. Gesù sapeva ritirarsi,
spesso, da solo a pregare.451 La capacità di reggere una buona solitudine è
condizione indispensabile alla cura della vita interiore. Si tratta di una
solitudine abitata dalla presenza del Signore, che ci mette in contatto, nella
luce dello Spirito, con il Padre. In questo senso, la cura del silenzio e la
ricerca di spazi e tempi di « deserto » sono necessari alla formazione
permanente sia in campo intellettuale, sia in campo spirituale e pastorale. In
questo senso ancora, si può affermare che non è capace di vera e fraterna
comunione chi non sa vivere bene la propria solitudine.
75. La formazione permanente è destinata a far
crescere nel sacerdote la coscienza della sua partecipazione alla missione
salvifica della Chiesa. Nella Chiesa « missione » la formazione permanente
del sacerdote entra non solo come necessaria condizione, ma anche come mezzo
indispensabile per rimettere costantemente a fuoco il senso della
missione e per garantirne una realizzazione fedele e generosa. Con tale
formazione il sacerdote è aiutato ad avvertire tutta la gravità, ma nello
stesso tempo la splendida grazia, da un lato, di un'obbligazione che non lo può
lasciare tranquillo — come Paolo deve poter dire: « Per me evangelizzare non è
un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se non predicassi il Vangelo! »
452 — e, dall'altro lato, di una richiesta, esplicita o implicita, che
prepotente viene dagli uomini, che Dio instancabilmente chiama alla salvezza.
Solo un'adeguata formazione permanente
riesce a sostenere il sacerdote in ciò che è essenziale e decisivo per il suo
ministero, ossia la fedeltà, come scrive l'apostolo Paolo: « Ora, quanto si
richiede negli amministratori (dei misteri di Dio) è che ognuno risulti fedele
».453 Il sacerdote dev'essere fedele, nonostante le più diverse difficoltà
incontrate, anche nelle condizioni più disagiate o di comprensibile stanchezza,
con tutte le energie di cui dispone, e sino alla fine della vita. La
testimonianza di Paolo dev'essere di esempio e di stimolo per ogni sacerdote: «
Da parte nostra — scrive ai cristiani di Corinto — non diamo motivo di scandalo
a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci
presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle
necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle
fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, sapienza, benevolenza, spirito
di santità, amore sincero; con parole di verità, con la potenza di Dio; con le
armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella
cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri;
sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti ma non
messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti;
gente che non ha nulla e invece possediamo tutto ».454
76. La formazione permanente, proprio perché
« permanente », deve accompagnare i sacerdoti sempre, quindi in ogni
periodo e condizione della loro vita, come pure ad ogni livello di
responsabilità ecclesiale: evidentemente con quelle possibilità e
caratteristiche che si collegano al variare dell'età, della condizione di vita
e dei compiti affidati.
La formazione permanente è dovere,
anzitutto, per i giovani sacerdoti: deve avere quella frequenza e quella
sistematicità di incontri che, mentre prolungano la serietà e la solidità della
formazione ricevuta in seminario, introducono progressivamente i giovani a
comprendere e a vivere la singolare ricchezza del « dono » di Dio — il
sacerdozio — e ad esprimere le loro potenzialità e attitudini ministeriali,
anche mediante un inserimento sempre più convinto e responsabile nel
presbiterio, e quindi nella comunione e nella corresponsabilità con tutti i
confratelli.
Se si può comprendere un certo senso di «
sazietà » che può prendere il giovane prete appena uscito dal seminario di
fronte a nuovi momenti di studio e di incontro, si deve respingere come
assolutamente falsa e pericolosa l'idea che la formazione presbiterale si
concluda con il terminare della presenza in seminario.
Partecipando agli incontri della formazione
permanente i giovani sacerdoti potranno offrirsi un reciproco aiuto con lo
scambio di esperienze e di riflessioni sulla traduzione concreta di
quell'ideale presbiterale e ministeriale che hanno assimilato negli anni del
seminario. Nello stesso tempo la loro attiva partecipazione agli incontri
formativi del presbiterio potrà essere di esempio e di stimolo agli altri
sacerdoti che sono più avanti negli anni, testimoniando così il proprio amore
all'intero presbiterio e la propria passione per la Chiesa particolare
bisognosa di sacerdoti ben formati.
Per accompagnare i sacerdoti giovani in
questa prima delicata fase della loro vita e del loro ministero, è quanto mai
opportuno, se non addirittura necessario oggi, creare un'apposita struttura
di sostegno, con guide e maestri appropriati, nella quale essi possano
trovare, in modo organico e continuativo, gli aiuti necessari ad iniziare bene
il loro servizio sacerdotale. In occasione di incontri periodici,
sufficientemente lunghi e frequenti, possibilmente condotti in un ambiente
comunitario, in modo residenziale, saranno loro garantiti momenti preziosi di
riposo, di preghiera, di riflessione e di scambio fraterno. Sarà così per loro
più facile dare, fin dall'inizio, un'impostazione evangelicamente equilibrata
alla loro vita presbiterale. E se le singole Chiese particolari non potessero
offrire questo servizio ai propri giovani sacerdoti, sarà opportuno che si
uniscano tra loro le Chiese vicine e insieme investano risorse ed elaborino
programmi adatti.
77. La formazione permanente costituisce un
dovere anche per i presbiteri di mezza età. In realtà, sono molteplici i
rischi che possono correre, proprio in ragione dell'età, come ad esempio un
attivismo esagerato e una certa routine nell'esercizio del ministero.
Così il sacerdote è tentato di presumere di sé, come se la propria personale
esperienza, ormai collaudata, non dovesse più confrontarsi con nulla e con
nessuno. Non di rado, il sacerdote adulto soffre di una specie di stanchezza
interiore pericolosa, segno di una delusione rassegnata di fronte alle
difficoltà e agli insuccessi. La risposta a questa situazione è data dalla
formazione permanente, da una continua ed equilibrata revisione di sé e del
proprio agire, dalla ricerca costante di motivazioni e di strumenti per la
propria missione: così il sacerdote manterrà lo spirito vigile e pronto alle
perenni e pure sempre nuove istanze di salvezza che ciascuno pone al prete, «
uomo di Dio ».
La formazione permanente deve interessare
anche quei presbiteri che per l'età avanzata sono indicati come anziani
e che in alcune Chiese sono la parte più numerosa del presbiterio. Questo
deve riservare loro gratitudine per il fedele servizio che hanno riservato a
Cristo e alla Chiesa e concreta solidarietà per la loro condizione. Per questi
presbiteri la formazione permanente non comporterà tanto impegni di studio, di
aggiornamento e di dibattito culturale, quanto la conferma serena e rassicurante
del ruolo che ancora sono chiamati a svolgere nel presbiterio: non solo per il
proseguimento, sia pure in forme diverse, del ministero pastorale, ma anche per
la possibilità che essi hanno, grazie alla loro esperienza di vita e di
apostolato, di diventare loro stessi validi maestri e formatori di altri
sacerdoti.
Anche i sacerdoti, che per le fatiche o le
malattie si trovano in una condizione di debilitazione fisica o di
stanchezza morale, possono essere aiutati da una formazione permanente che
li stimoli a proseguire in modo sereno e forte il loro servizio alla Chiesa, a
non isolarsi né dalla comunità né dal presbiterio, a ridurre l'attività esterna
per dedicarsi a quegli atti di relazione pastorale e di personale spiritualità
capaci di sostenere le motivazioni e la gioia del loro sacerdozio. La
formazione permanente li aiuterà, in particolare, a mantenere viva quella
convinzione che essi stessi hanno inculcato nei fedeli, la convinzione cioè di
continuare ad essere membri attivi nell'edificazione della Chiesa anche e
specialmente in forza della loro unione a Gesù Cristo sofferente e a tanti
altri fratelli e sorelle che nella Chiesa prendono parte alla Passione del
Signore, rivivendo l'esperienza spirituale di Paolo che diceva: « Sono lieto
delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che
manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa ».455
78. Le condizioni in cui spesso e in più
parti si svolge attualmente il ministero dei presbiteri non rendono facile un
impegno serio di formazione: il moltiplicarsi dei compiti e dei servizi, la
complessità della vita umana in genere e di quella delle comunità cristiane in
particolare, l'attivismo e l'affanno tipico di tante aree della nostra società
privano spesso i sacerdoti del tempo e delle energie indispensabili a «
vigilare su se stessi ».456
Questo deve far crescere in tutti la
responsabilità, cosicché le difficoltà siano superate, anzi diventino una sfida
per elaborare e realizzare una formazione permanente che risponda in modo
adeguato alla grandezza del dono di Dio e alla gravità delle richieste ed
esigenze del nostro tempo.
I responsabili della formazione permanente
dei sacerdoti sono da ricercare nella Chiesa « comunione ». In tal senso, è l'intera
Chiesa particolare che, sotto la guida del Vescovo, viene investita della
responsabilità di stimolare e di curare in vari modi la formazione permanente
dei sacerdoti. Questi non sono per se stessi, ma per il Popolo di Dio: per
questo, la formazione permanente, mentre assicura la maturità umana,
spirituale, intellettuale e pastorale dei sacerdoti, si risolve in un bene di
cui è destinatario lo stesso Popolo di Dio. Del resto, lo stesso esercizio del
ministero pastorale conduce ad un continuo e fecondo scambio reciproco tra la
vita di fede dei presbiteri e quella dei fedeli. Proprio la condivisione di
vita tra il presbitero e la comunità, se sapientemente condotta e
utilizzata, costituisce un fondamentale contributo alla formazione
permanente, peraltro non riconducibile a qualche episodio o iniziativa isolata,
ma estesa e attraversante tutto il ministero e la vita del presbitero.
Infatti, l'esperienza cristiana delle
persone semplici e umili, gli slanci spirituali delle persone innamorate di Dio,
le applicazioni coraggiose della fede alla vita da parte dei cristiani
impegnati nelle varie responsabilità sociali e civili, vengono accolti dal
presbitero che, mentre li illumina con il suo servizio sacerdotale, ne ricava
un prezioso alimento spirituale. Anche i dubbi, le crisi e i ritardi di fronte
alle più svariate condizioni personali e sociali, le tentazioni di rifiuto o di
disperazione nel momento del dolore, della malattia, della morte: insomma,
tutte le circostanze difficili che gli uomini incontrano sul cammino della
fede, vengono fraternamente vissute e sinceramente sofferte nel cuore del
presbitero che, nel cercare le risposte per gli altri, è continuamente
stimolato a trovarle innanzitutto per sé.
Così l'intero Popolo di Dio, in tutti i suoi
membri, può e deve offrire un prezioso aiuto alla formazione permanente dei
suoi sacerdoti. In questo senso deve lasciare ai sacerdoti spazi di tempo per
lo studio e per la preghiera, chiedere loro ciò per cui sono stati mandati da
Cristo e non altro, offrire collaborazione nei vari ambiti della missione
pastorale, specialmente in quelli attinenti la promozione umana e il servizio
della carità, assicurare rapporti cordiali e fraterni con loro, agevolare nei
sacerdoti la coscienza di non essere « padroni della fede » ma « collaboratori
della gioia » di tutti i fedeli.457
La responsabilità formativa della Chiesa
particolare nei riguardi dei sacerdoti si concretizza e si specifica in
rapporto ai diversi membri che la compongono, a cominciare dal sacerdote stesso.
79. In un certo senso, è proprio lui, il
singolo sacerdote, il primo responsabile nella Chiesa della formazione
permanente: in realtà su ciascun sacerdote incombe il dovere, radicato nel
sacramento dell'Ordine, di essere fedele al dono di Dio e al dinamismo di
conversione quotidiana che viene dal dono stesso. I regolamenti o le norme
dell'autorità ecclesiastica al riguardo, come pure lo stesso esempio degli
altri sacerdoti, non bastano a rendere appetibile la formazione permanente, se
il singolo non è personalmente convinto della sua necessità e non è determinato
a valorizzarne le occasioni, i tempi, le forme. La formazione permanente
mantiene la « giovinezza » dello spirito, che nessuno può imporre dall'esterno,
ma che ciascuno deve ritrovare continuamente dentro se stesso. Solo chi
conserva sempre vivo il desiderio di imparare e di crescere possiede questa «
giovinezza ».
Fondamentale è la responsabilità del Vescovo,
e con lui del presbiterio. Quella del Vescovo si fonda sul fatto che
i presbiteri ricevono attraverso di lui il loro sacerdozio e condividono con
lui la sollecitudine pastorale verso il Popolo di Dio. Egli è responsabile di
quella formazione permanente che è destinata a far sì che tutti i suoi
presbiteri siano generosamente fedeli al dono e al ministero ricevuto, così
come il Popolo di Dio li vuole e ha « diritto » di averli. Questa
responsabilità conduce il Vescovo, in comunione con il presbiterio, a delineare
un progetto e a stabilire una programmazione capaci di configurare la formazione
permanente non come qualcosa di episodico, ma come una proposta sistematica di
contenuti, che si snoda per tappe e si riveste di modalità precise. Il Vescovo
vivrà la sua responsabilità, non soltanto assicurando al suo presbiterio luoghi
e momenti di formazione permanente, ma rendendosi presente personalmente e
partecipandovi in modo convinto e cordiale. Spesso sarà opportuno, o anche
necessario, che i Vescovi di più diocesi confinanti o di una regione
ecclesiastica si accordino tra loro ed uniscano le loro forze per poter offrire
iniziative più qualificate e veramente stimolanti per la formazione permanente,
come sono i corsi di aggiornamento biblico, teologico e pastorale, le settimane
residenziali, i cicli di conferenze, i momenti di riflessione e di verifica sul
cammino pastorale del presbiterio e della comunità ecclesiale.
Il Vescovo assolverà la sua responsabilità
sollecitando anche l'apporto che può venire dalle facoltà e dagli istituti
teologici e pastorali, dai seminari, dagli organismi o federazioni che
riuniscono persone — sacerdoti, religiosi e fedeli laici — impegnate nella
formazione presbiterale.
Nell'ambito della Chiesa particolare un
posto significativo è riservato alle famiglie: ad esse, infatti, nella
loro dimensione di « chiese domestiche », fa riferimento concreto la vita delle
comunità ecclesiali animate e guidate dai sacerdoti. In particolare è da
rilevarsi il ruolo della famiglia d'origine. Questa, in unione e in comunione
di intenti, può offrire alla missione del figlio un proprio specifico
importante contributo. Portando a compimento il piano provvidenziale che l'ha
voluta culla del germe vocazionale, indispensabile aiuto per la sua crescita e
il suo sviluppo, la famiglia del sacerdote, nel più assoluto rispetto di questo
figlio che ha scelto di donarsi a Dio e al prossimo, deve rimanere sempre come
fedele, incoraggiante testimone della sua missione, affiancandola e
condividendola con dedizione e rispetto.
80. Se ogni momento può essere un « tempo
favorevole » 458 nel quale lo Spirito Santo conduce il sacerdote ad una diretta
crescita nella preghiera, nello studio e nella coscienza delle proprie
responsabilità pastorali, ci sono però momenti « privilegiati », anche se più
comuni e prestabiliti.
Sono qui da ricordarsi, anzitutto, gli incontri
del Vescovo con il suo presbiterio, siano essi liturgici (in particolare la
concelebrazione della Messa Crismale del Giovedì Santo), siano essi pastorali e
culturali, in ordine cioè al confronto sull'attività pastorale o allo studio su
determinati problemi teologici.
Ci sono poi gli incontri di spiritualità
sacerdotale, come gli esercizi spirituali, le giornate di ritiro e di
spiritualità, ecc. Sono un'occasione per una crescita spirituale e pastorale,
per una preghiera più prolungata e calma, per un ritorno alle radici
dell'essere prete, per ritrovare freschezza di motivazioni per la fedeltà e lo
slancio pastorale.
Importanti sono anche gli incontri di
studio e di riflessione comune: impediscono l'impoverimento culturale e
l'arroccamento su posizioni di comodo anche in campo pastorale, frutto di
pigrizia mentale; assicurano una sintesi più matura tra i diversi elementi
della vita spirituale, culturale e apostolica; aprono la mente e il cuore alle
nuove sfide della storia e ai nuovi appelli che lo Spirito rivolge alla Chiesa.
81. Molteplici sono gli aiuti e i mezzi di
cui ci si può servire perché la formazione permanente diventi sempre più una
preziosa esperienza vitale per i sacerdoti. Tra questi ricordiamo le diverse forme
di vita comune tra i sacerdoti, sempre presenti, anche se in modalità e
intensità differenti, nella storia della Chiesa: « Oggi non si può non
raccomandarle, soprattutto tra coloro che vivono o sono impegnati pastoralmente
nello stesso luogo. Oltre che a giovare alla vita e all'azione apostolica,
questa vita comune del clero offre a tutti, compresbiteri e laici, un esempio
luminoso di carità e di unità ».459
Altro aiuto può essere dato dalle associazioni
sacerdotali, in particolare dagli istituti secolari sacerdotali, che
presentano come nota specifica la diocesanità, in forza della quale i sacerdoti
si uniscono più strettamente al Vescovo e costituiscono « uno stato di
consacrazione nel quale i sacerdoti mediante voti o altri legami sacri sono
consacrati ad incarnare nella vita i consigli evangelici ».460 Tutte le forme
di « fraternità sacerdotale » approvate dalla Chiesa sono utili non solo per la
vita spirituale, ma anche per la vita apostolica e pastorale.
Anche la pratica della direzione
spirituale contribuisce non poco a favorire la formazione permanente dei
sacerdoti. È un mezzo classico, che nulla ha perso di preziosità non solo per
assicurare la formazione spirituale, ma anche per promuovere e sostenere una
continua fedeltà e generosità nell'esercizio del ministero sacerdotale. Come
scriveva il futuro Paolo VI, « la direzione spirituale ha una funzione
bellissima e si può dire indispensabile per l'educazione morale e spirituale
della gioventù, che voglia interpretare e seguire con assoluta lealtà la
vocazione, qualunque essa sia, della propria vita; e conserva sempre importanza
benefica per ogni età della vita, quando al lume e alla carità d'un consiglio
pio e prudente si chieda la verifica della propria rettitudine ed il conforto
al compimento generoso dei propri doveri. È mezzo pedagogico molto delicato, ma
di grandissimo valore; è arte pedagogica e psicologica di grave responsabilità
in chi la esercita; è esercizio spirituale di umiltà e di fiducia in chi la
riceve ».461
CONCLUSIONE
82. « Vi darò pastori secondo il mio cuore
».462
Ancora oggi, questa promessa di Dio è viva e
operante nella Chiesa: essa si sente, in ogni tempo, fortunata destinataria di
queste parole profetiche; vede il loro realizzarsi quotidiano in tante parti
della terra, meglio, in tanti cuori umani, soprattutto di giovani. E desidera,
di fronte alle gravi e urgenti necessità proprie e del mondo, che sulle soglie
del terzo millennio questa divina promessa si compia in un modo nuovo, più
ampio, intenso, efficace: quasi una straordinaria effusione dello Spirito della
Pentecoste.
La promessa del Signore suscita nel cuore
della Chiesa la preghiera, l'implorazione fiduciosa e ardente nell'amore del
Padre che, come ha mandato Gesù il buon Pastore, gli apostoli, i loro
successori, una schiera senza numero di presbiteri, così continui a manifestare
agli uomini d'oggi la sua fedeltà e la sua bontà.
E la Chiesa è pronta a rispondere a questa
grazia. Sente che il dono di Dio esige una risposta corale e generosa: tutto il
Popolo di Dio deve instancabilmente pregare e lavorare per le vocazioni
sacerdotali; i candidati al sacerdozio devono prepararsi con grande serietà ad
accogliere e a vivere il dono di Dio, consapevoli che la Chiesa e il mondo
hanno assoluto bisogno di loro; devono innamorarsi di Cristo buon Pastore,
modellare sul suo il loro cuore, essere pronti ad uscire per le strade del
mondo come sua immagine per proclamare a tutti Cristo Via, Verità e Vita.
Un appello particolare rivolgo alle
famiglie: che i genitori, e specialmente le mamme, siano generosi nel donare al
Signore, che li chiama al sacerdozio, i loro figli, e collaborino con gioia al
loro itinerario vocazionale, consapevoli che in questo modo rendono più grande
e profonda la loro fecondità cristiana ed ecclesiale e che possono
sperimentare, in un certo senso, la beatitudine della Vergine Madre Maria: «
Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo ».463
E ai giovani d'oggi dico: siate più docili
alla voce dello Spirito, lasciate risuonare nel profondo del cuore le grandi
attese della Chiesa e dell'umanità, non temete di aprire il vostro spirito alla
chiamata di Cristo Signore, sentite su di voi lo sguardo d'amore di Gesù e
rispondete con entusiasmo alla proposta di una sequela radicale.
La Chiesa risponde alla grazia mediante l'impegno
che i sacerdoti assumono per realizzare quella formazione permanente che è
richiesta dalla dignità e dalla responsabilità loro conferite dal sacramento
dell'Ordine. Tutti i sacerdoti sono chiamati ad avvertire la singolare urgenza
della loro formazione nell'ora presente: la nuova evangelizzazione ha bisogno
di nuovi evangelizzatori, e questi sono i sacerdoti che si impegnano a vivere
il loro sacerdozio come cammino specifico verso la santità.
La promessa di Dio è di assicurare alla
Chiesa non pastori qualunque, ma pastori « secondo il suo cuore ». Il « cuore »
di Dio si è rivelato a noi pienamente nel cuore di Cristo buon Pastore. E il
cuore di Cristo continua oggi ad avere compassione delle folle e a donare loro
il pane della verità e il pane dell'amore e della vita,464 e chiede di
palpitare in altri cuori — quelli dei sacer- doti —: « Voi stessi date loro da
mangiare ».465 La gente ha bisogno di uscire dall'anonimato e dalla paura, ha
bisogno di essere conosciuta e chiamata per nome, di camminare sicura sui
sentieri della vita, di essere ritrovata se perduta, di essere amata, di
ricevere la salvezza come supremo dono dell'amore di Dio: proprio questo fa
Gesù, il buon Pastore; Lui e i presbiteri con lui.
Ed ora, al termine di questa Esortazione,
volgo lo sguardo alla moltitudine di aspiranti al sacerdozio, di seminaristi e
di sacerdoti che, in tutte le parti del mondo, nelle condizioni anche più
difficili e qualche volta drammatiche, e sempre nella gioiosa fatica della
fedeltà al Signore e dell'instancabile servizio al suo gregge, offrono
quotidianamente la propria vita per la crescita della fede, della speranza e
della carità nei cuori e nella storia degli uomini e delle donne del nostro
tempo.
Voi, carissimi sacerdoti, lo fate perché il
Signore stesso, con la forza del suo Spirito, vi ha chiamati a ripresentare nei
vasi di creta della vostra semplice vita il tesoro inestimabile del suo amore
di Pastore buono.
In comunione con i Padri sinodali e a nome
di tutti i Vescovi del mondo e dell'intera comunità ecclesiale esprimo tutta la
riconoscenza che la vostra fedeltà e il vostro servizio si meritano.466
E mentre auguro a tutti voi la grazia di
rinnovare ogni giorno il dono di Dio ricevuto con l'imposizione delle mani,467
di sentire il conforto della profonda amicizia che vi lega a Gesù e vi unisce
tra voi, di sperimentare la gioia della crescita del gregge di Dio verso un
amore sempre più grande a Lui e a ogni uomo, di coltivare la rasserenante
persuasione che colui che ha iniziato in voi questa opera buona la porterà a
compimento fino al giorno di Cristo Gesù,468 con tutti e con ciascuno di voi mi
rivolgo in preghiera a Maria, madre ed educatrice del nostro sacerdozio.
Ogni aspetto della formazione sacerdotale
può essere riferito a Maria come alla persona umana che più di ogni altra ha
corrisposto alla vocazione di Dio, che si è fatta serva e discepola della
Parola sino a concepire nel suo cuore e nella sua carne il Verbo fatto uomo per
donarlo all'umanità, che è stata chiamata all'educazione dell'unico ed eterno
sacerdote fattosi docile e sottomesso alla sua autorità materna. Con il suo
esempio e la sua intercessione, la Vergine Santissima continua a vigilare sullo
sviluppo delle vocazioni e della vita sacerdotale nella Chiesa.
Per questo noi sacerdoti siamo chiamati a
crescere in una solida e tenera devozione alla Vergine Maria, testimoniandola
con l'imitazione delle sue virtù e con la preghiera frequente.
Madre di Gesù Cristo e Madre dei sacerdoti,
ricevi questo titolo che noi tributiamo a te
per celebrare la tua maternità
e contemplare presso di te il Sacerdozio
del tuo Figlio e dei tuoi figli,
Santa Genitrice di Dio.
Madre di Cristo,
al Messia Sacerdote hai dato il corpo di carne
per l'unzione del Santo Spirito
a salvezza dei poveri e contriti di cuore,
custodisci nel tuo cuore e nella Chiesa i sacerdoti,
Madre del Salvatore.
Madre della fede,
hai accompagnato al tempio il Figlio dell'uomo,
compimento delle promesse date ai Padri,
consegna al Padre per la sua gloria
i sacerdoti del Figlio tuo,
Arca dell'Alleanza.
Madre della Chiesa,
tra i discepoli nel Cenacolo pregavi lo Spirito
per il Popolo nuovo ed i suoi Pastori,
ottieni all'ordine dei presbiteri
la pienezza dei doni,
Regina degli Apostoli.
Madre di Gesù Cristo,
eri con Lui agli inizi della sua vita
e della sua missione,
lo hai cercato Maestro tra la folla,
lo hai assistito innalzato da terra,
consumato per il sacrificio unico eterno,
e avevi Giovanni vicino, tuo figlio,
accogli fin dall'inizio i chiamati,
proteggi la loro crescita,
accompagna nella vita e nel ministero
i tuoi figli,
Madre dei sacerdoti.
Amen!
Dato a Roma, presso San Pietro, il 25
marzo, solennità dell'Annunciazione del Signore, dell'anno 1992, decimoquarto
del mio Pontificato.