LETTERA
ENCICLICA
UT UNUM SINT
DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II
SULL'IMPEGNO ECUMENICO
INTRODUZIONE
1. Ut unum sint ! L'appello all'unità
dei cristiani, che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha riproposto con così
appassionato impegno, risuona con sempre maggiore vigore nel cuore dei
credenti, specie all'approssimarsi dell'Anno Duemila che sarà per loro un
Giubileo sacro, memoria dell'Incarnazione del Figlio di Dio, che si è fatto
uomo per salvare l'uomo.
La testimonianza coraggiosa di tanti martiri
del nostro secolo, appartenenti anche ad altre Chiese e Comunità ecclesiali non
in piena comunione con la Chiesa cattolica, infonde nuova forza all'appello
conciliare e ci richiama l'obbligo di accogliere e mettere in pratica la sua
esortazione. Questi nostri fratelli e sorelle, accomunati nell'offerta generosa
della loro vita per il Regno di Dio, sono la prova più significativa che ogni
elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla
causa del Vangelo.
Cristo chiama tutti i suoi discepoli
all'unità. L'ardente desiderio che
mi muove è di rinnovare oggi questo invito, di riproporlo con determinazione,
ricordando quanto ebbi a sottolineare al Colosseo romano il Venerdì Santo 1994,
concludendo la meditazione della Via Crucis, guidata dalle parole del
venerato fratello Bartolomeo, Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Ho
affermato in quella circostanza che, uniti nella sequela dei martiri, i
credenti in Cristo non possono restare divisi. Se vogliono veramente ed
efficacemente combattere la tendenza del mondo a rendere vano il Mistero della
Redenzione, essi debbono professare insieme la stessa verità sulla Croce.1
La Croce! La corrente anticristiana si propone di mortificarne il valore, di
svuotarla del suo significato, negando che l'uomo ha in essa le radici della
sua nuova vita; pretendendo che la Croce non sappia nutrire né prospettive né
speranze: l'uomo, si dice, è soltanto un essere terreno, che deve vivere come
se Dio non esistesse.
2. A nessuno sfugge la sfida che tutto ciò
pone ai credenti. Essi non possono non raccoglierla. Come potrebbero, infatti,
rifiutarsi di fare tutto il possibile, con l'aiuto di Dio, per abbattere muri
di divisione e di diffidenza, per superare ostacoli e pregiudizi, che
impediscono l'annuncio del Vangelo della salvezza mediante la Croce di Gesù,
unico Redentore dell'uomo, di ogni uomo?
Ringrazio il Signore perché ci ha indotto a
progredire lungo la via difficile, ma tanto ricca di gioia, dell'unità e della
comunione fra i cristiani. I dialoghi interconfessionali a livello teologico
hanno dato frutti positivi e tangibili: ciò incoraggia ad andare avanti.
Tuttavia, oltre alle divergenze dottrinali
da risolvere, i cristiani non possono sminuire il peso delle ataviche
incomprensioni che essi hanno ereditato dal passato, dei fraintendimenti
e dei pregiudizi degli uni nei confronti degli altri. Non di rado, poi, l'inerzia,
l'indifferenza ed una insufficiente conoscenza reciproca
aggravano tale situazione. Per questo motivo, l'impegno ecumenico deve fondarsi
sulla conversione dei cuori e sulla preghiera, le quali indurranno anche alla necessaria
purificazione della memoria storica. Con la grazia dello Spirito Santo, i
discepoli del Signore, animati dall'amore, dal coraggio della verità e dalla
volontà sincera di perdonarsi a vicenda e di riconciliarsi, sono chiamati ariconsiderare
insieme il loro doloroso passato e quelle ferite che esso continua
purtroppo a provocare anche oggi. Sono invitati dalla forza sempre giovane del
Vangelo a riconoscere insieme con sincera e totale obiettività gli errori
commessi e i fattori contingenti intervenuti all'origine delle loro deprecabili
separazioni. Occorre un pacato e limpido sguardo di verità, vivificato
dalla misericordia divina, capace di liberare gli spiriti e di suscitare in
ciascuno una rinnovata disponibilità, proprio in vista dell'annuncio del
Vangelo agli uomini di ogni popolo e nazione.
3. Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa
cattolica si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della
ricerca ecumenica, ponendosi così all'ascolto dello Spirito del Signore, che
insegna come leggere attentamente i « segni dei tempi ». Le esperienze, che
essa ha vissuto in questi anni e che continua a vivere, la illuminano ancor più
profondamente sulla sua identità e sulla sua missione nella storia. La Chiesa
cattolica riconosce e confessa le debolezze dei suoi figli, consapevole
che i loro peccati costituiscono altrettanti tradimenti ed ostacoli alla
realizzazione del disegno del Salvatore. Sentendosi costantemente chiamata al
rinnovamento evangelico, essa non cessa dunque di fare penitenza. Al tempo
stesso, però, riconosce ed esalta ancora di più la potenza del Signore
il quale, avendola colmata del dono della santità, l'attira e la conforma alla
Sua passione e alla Sua resurrezione.
Edotta dalle molteplici vicende della sua
storia, la Chiesa è impegnata a liberarsi da ogni sostegno puramente umano, per
vivere in profondità la legge evangelica delle Beatitudini. Consapevole che la
verità non si impone se non « in forza della stessa verità, la quale penetra
nelle menti soavemente ed insieme con vigore »,2 nulla ricerca per sé se non la
libertà d'annunciare il Vangelo. La sua autorità infatti si esercita nel
servizio della verità e della carità.
Io stesso intendo promuovere ogni utile
passo affinché la testimonianza dell'intera comunità cattolica possa essere
compresa nella sua integrale purezza e coerenza, soprattutto in vista di
quell'appuntamento che attende la Chiesa alle soglie del nuovo Millennio, ora
eccezionale per la quale essa domanda al Signore che l'unità di tutti i
cristiani cresca fino a raggiungere la piena comunione.3 A questo nobilissimo
scopo mira anche la presente Lettera enciclica, che nella sua indole
essenzialmente pastorale vuol contribuire a sostenere lo sforzo di quanti
lavorano per la causa dell'unità.
4. È questo un preciso impegno del Vescovo
di Roma in quanto successore dell'apostolo Pietro. Io lo svolgo con la
convinzione profonda di ubbidire al Signore e con la piena consapevolezza della
mia umana fragilità. Infatti, se Cristo stesso ha affidato a Pietro questa
speciale missione nella Chiesa e gli ha raccomandato di confermare i fratelli,
Egli gli ha fatto conoscere allo stesso tempo la sua debolezza umana ed il suo
particolare bisogno di conversione: « Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi
fratelli » (Lc 22, 32). Proprio nell'umana debolezza di Pietro si
manifesta pienamente come, per adempiere questo speciale ministero nella
Chiesa, il Papa dipenda totalmente dalla grazia e dalla preghiera del Signore:
« Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede » (Lc 22, 32). La
conversione di Pietro e dei suoi successori trova appoggio sulla preghiera
stessa del Redentore e la Chiesa costantemente partecipa a questa invocazione.
Nella nostra epoca ecumenica, segnata dal Concilio Vaticano II, la missione del
Vescovo di Roma si rivolge particolarmente a ricordare l'esigenza della piena
comunione dei discepoli di Cristo.
Il Vescovo di Roma in prima persona deve far
sua con fervore la preghiera di Cristo per la conversione, che è indispensabile
a « Pietro » per poter servire i fratelli. Di cuore chiedo che partecipino a
questa preghiera i fedeli della Chiesa cattolica e tutti i cristiani. Insieme a
me, tutti preghino per questa conversione.
Sappiamo che la Chiesa nel suo peregrinare
terreno ha sofferto e continuerà a soffrire di opposizioni e persecuzioni. La
speranza che la sostiene è tuttavia incrollabile, come è indistruttibile la
gioia che da tale speranza scaturisce. Infatti, la roccia salda e perenne, su
cui essa è fondata, è Gesù Cristo suo Signore.
I
L'IMPEGNO
ECUMENICO
DELLA CHIESA CATTOLICA
Il disegno di Dio e la comunione
5. Assieme a tutti i discepoli di Cristo, la
Chiesa cattolica fonda sul disegno di Dio il suo impegno ecumenico di radunare
tutti nell'unità. Infatti « la Chiesa non è una realtà ripiegata su se stessa
bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica, perché
inviata al mondo ad annunciare e testimoniare, attualizzare ed espandere il
mistero di comunione che la costituisce: raccogliere tutti e tutto in Cristo;
ad essere per tutti "sacramento inseparabile di unità" ».4
Già nell'Antico Testamento, riferendosi a
quella che era allora la situazione del popolo di Dio, il profeta Ezechiele,
ricorrendo al semplice simbolo di due legni prima distinti, poi accostati l'uno
all'altro, esprimeva la volontà divina di « radunare da ogni parte » i membri
del suo popolo lacerato: « Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.
Le genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele » (cfr 37,
16-28). Il Vangelo giovanneo, da parte sua, e di fronte alla situazione del
popolo di Dio a quel tempo, vede nella morte di Gesù la ragione dell'unità dei
figli di Dio: « Doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma
anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi » (11, 51-52).
Infatti, spiegherà la Lettera agli Efesini, « abbattendo il muro di
separazione, [...] per mezzo della croce, distruggendo in se stesso
l'inimicizia », di ciò che era diviso egli ha fatto una unità (cfr 2, 14-16).
6. L'unità di tutta l'umanità lacerata è
volontà di Dio. Per questo motivo Egli ha inviato il suo Figlio perché, morendo
e risorgendo per noi, ci donasse il suo Spirito d'amore. Alla vigilia del
sacrificio della Croce, Gesù stesso chiede al Padre per i suoi discepoli, e per
tutti i credenti in lui, che siano una cosa sola, una comunione vivente.
Da ciò deriva non soltanto il dovere, ma anche la responsabilità che incombe
davanti a Dio, di fronte al suo disegno, su quelli e quelle che per mezzo del
Battesimo diventano il Corpo di Cristo, Corpo nel quale debbono realizzarsi in
pienezza la riconciliazione e la comunione. Come è mai possibile restare
divisi, se con il Battesimo noi siamo stati « immersi » nella morte del
Signore, vale a dire nell'atto stesso in cui, per mezzo del Figlio, Dio ha
abbattuto i muri della divisione? La « divisione contraddice apertamente alla
volontà di Cristo, ed è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa
della predicazione del Vangelo a ogni creatura ».5
La via ecumenica: via della Chiesa
7. « Il Signore dei secoli, che con sapienza
e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di noi peccatori, in
questi ultimi tempi ha incominciato ad effondere con maggiore abbondanza nei
cristiani tra loro separati l'interiore ravvedimento ed il desiderio
dell'unione. Moltissimi uomini in ogni parte del mondo sono stati toccati da
questa grazia, e anche tra i nostri fratelli separati è sorto, per impulso
della grazia dello Spirito Santo, un movimento ogni giorno più ampio per il
ristabilimento dell'unità di tutti i cristiani. A questo movimento per
l'unità, chiamato ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e
professano la fede in Gesù Signore e Salvatore, e non solo singole persone
separatamente, ma anche riunite in gruppi, nei quali hanno ascoltato il Vangelo
e che i singoli dicono essere la Chiesa loro e di Dio. Quasi tutti però, anche
se in modo diverso, aspirano alla Chiesa di Dio una e visibile, che sia
veramente universale e mandata a tutto il mondo, perché il mondo si converta al
Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio ».6
8. Tale affermazione del Decreto Unitatis
redintegratio va letta nel contesto dell'intero magistero conciliare. Il
Concilio Vaticano II esprime la decisione della Chiesa di assumere il compito
ecumenico a favore dell'unità dei cristiani e di proporlo con convinzione e con
vigore: « Questo Santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché,
riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all'opera ecumenica ».7
Nell'indicare i principi cattolici
dell'ecumenismo, l'Unitatis redintegratio si ricollega prima di tutto
all'insegnamento sulla Chiesa della Costituzione Lumen gentium, nel suo
capitolo che tratta del popolo di Dio.8 Allo stesso tempo, esso ha presente
quanto affermato dalla Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae sulla
libertà religiosa.9
La Chiesa cattolica accoglie con speranza
l'impegno ecumenico come un imperativo della coscienza cristiana illuminata
dalla fede e guidata dalla carità. Anche qui si può applicare la parola di san
Paolo ai primi cristiani di Roma: « L'amore di Dio è stato riversato nei nostri
cuori per mezzo dello Spirito santo »; così la nostra « speranza non delude » (Rm
5, 5). Questa è la speranza dell'unità dei cristiani, che nell'unità Trinitaria
del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo trova la sua fonte divina.
9. Gesù stesso nell'ora della sua Passione
ha pregato « perché tutti siano una sola cosa » (Gv 17, 21). Questa
unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole
abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua
opera. Né essa equivale ad un attributo secondario della comunità dei suoi
discepoli. Appartiene invece all'essere stesso di questa comunità. Dio vuole la
Chiesa, perché egli vuole l'unità e nell'unità si esprime tutta la profondità
della sua agape.
Infatti, questa unità data dallo Spirito
Santo non consiste semplicemente nel confluire insieme di persone che si
sommano l'una all'altra. È una unità costituita dai vincoli della professione
di fede, dei sacramenti e della comunione gerarchica.10 I fedeli sono uno
perché, nello Spirito, essi sono nella comunione del Figlio e, in lui,
nella sua comunione col Padre: « La nostra comunione è col Padre
e col Figlio suo Gesù Cristo » (1 Gv 1, 3). Dunque, per la Chiesa
cattolica, la comunione dei cristiani non è altro che la manifestazione
in loro della grazia per mezzo della quale Dio li rende partecipi della sua
propria comunione, che è la sua vita eterna. Le parole di Cristo « che
tutti siano una cosa sola », sono dunque la preghiera rivolta al Padre perché
il suo disegno si compia pienamente, così che risplenda « agli occhi di tutti
qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio,
Creatore dell'universo » (Ef 3, 9). Credere in Cristo significa volere
l'unità; volere l'unità significa volere la Chiesa; volere la Chiesa significa
volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta
l'eternità. Ecco qual è il significato della preghiera di Cristo: « Ut unum
sint ».
10. Nell'attuale situazione di divisione fra
i cristiani e di fiduciosa ricerca della piena comunione, i fedeli cattolici si
sentono profondamente interpellati dal Signore della Chiesa. Il Concilio
Vaticano II ha rafforzato il loro impegno con una visione ecclesiologica lucida
e aperta a tutti i valori ecclesiali presenti tra gli altri cristiani. I fedeli
cattolici affrontano la problematica ecumenica in spirito di fede.
Il Concilio dice che « la Chiesa di Cristo
sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai
vescovi in comunione con lui » e nel contempo riconosce che « al di fuori del
suo organismo visibile si trovino parecchi elementi di santificazione e di
verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità
cattolica ».11
« Perciò le Chiese e Comunità separate,
quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non
sono affatto prive di significato e valore. Lo spirito di Cristo infatti non
ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, la cui efficacia
deriva dalla stessa pienezza di grazia e di verità che è stata affidata alla
Chiesa cattolica ».12
11. In questo modo la Chiesa cattolica
afferma che, durante i duemila anni della sua storia, è stata conservata
nell'unità con tutti i beni con i quali Dio vuole dotare la sua Chiesa, e ciò
malgrado le crisi spesso gravi che l'hanno scossa, le carenze di fedeltà di
alcuni suoi ministri e gli errori in cui quotidianamente si imbattono i suoi
membri. La Chiesa cattolica sa che, in nome del sostegno che le proviene dallo
Spirito, le debolezze, le mediocrità, i peccati, a volte i tradimenti di alcuni
dei suoi figli, non possono distruggere ciò che Dio ha infuso in essa in
funzione del suo disegno di grazia. Anche « le porte degli inferi non
prevarranno contro di essa » (Mt 16, 18). Tuttavia la Chiesa cattolica
non dimentica che molti nel suo seno opacizzano il disegno di Dio. Evocando la
divisione dei cristiani, il Decreto sull'ecumenismo non ignora la « colpa di
uomini di entrambe le parti »,13 riconoscendo che la responsabilità non può
essere attribuita unicamente agli « altri ». Per grazia di Dio, non è stato
però distrutto ciò che appartiene alla struttura della Chiesa di Cristo e
neppure quella comunione che permane con le altre Chiese e Comunità ecclesiali.
Infatti, gli elementi di santificazione e di
verità presenti nelle altre Comunità cristiane, in grado differenziato dall'una
all'altra, costituiscono la base oggettiva della pur imperfetta comunione
esistente tra loro e la Chiesa cattolica.
Nella misura in cui tali elementi si trovano
nelle altre Comunità cristiane, l'unica Chiesa di Cristo ha in esse una
presenza operante. Per questo motivo il Concilio Vaticano II parla di una certa
comunione, sebbene imperfetta. La Costituzione Lumen gentium sottolinea
che la Chiesa cattolica « sa di essere per più ragioni unita » 14 a queste
Comunità con una certa vera unione nello Spirito Santo.
12. La stessa Costituzione ha lungamente
esplicitato « gli elementi di santificazione e verità » che, in modo
diversificato, si trovano ed agiscono oltre le frontiere visibili della Chiesa
cattolica: « Ci sono infatti molti che hanno in onore la Sacra Scrittura come
norma della fede e della vita, mostrano un sincero zelo religioso, credono con
amore in Dio Padre onnipotente e in Cristo, Figlio di Dio e Salvatore, sono
segnati dal Battesimo, col quale vengono uniti con Cristo; anzi riconoscono e
accettano nelle proprie chiese e comunità ecclesiali anche altri sacramenti.
Molti fra loro hanno anche l'Episcopato, celebrano la sacra Eucaristia e
coltivano la devozione alla Vergine Madre di Dio. A questo si aggiunge la
comunione di preghiere e di altri benefici spirituali; anzi una certa vera
unione nello Spirito Santo, poiché anche in loro lo Spirito con la sua virtù
vivificante opera per mezzo di doni e grazie, e ha fortificati alcuni di loro
fino allo spargimento del sangue. Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli
di Cristo il desiderio e l'azione, affinché tutti, nel modo da Cristo
stabilito, pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo pastore
».15
Il Decreto conciliare sull'ecumenismo,
riferendosi alle Chiese ortodosse, è pervenuto in particolare a dichiarare che
« per mezzo della celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole
chiese la Chiesa di Dio è edificata e cresce ».16 Riconoscere tutto questo è
una esigenza di verità.
13. Di questa situazione, il medesimo
Documento enuclea con sobrietà le implicazioni dottrinali. A proposito dei
membri di tali Comunità, esso dichiara: « Giustificati nel Battesimo dalla
fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di
cristiani e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come
fratelli nel Signore ».17
Riferendosi ai molteplici beni presenti
nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali, il Decreto aggiunge: « Tutte queste
cose, che provengono da Cristo e a lui conducono, giustamente appartengono
all'unica Chiesa di Cristo. Anche non poche azioni sacre della religione
cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi,
secondo la diversa condizione di ciascuna chiesa o comunità, possono senza
dubbio produrre realmente la vita della grazia e si devono dire atte ad aprire
l'ingresso nella comunione della salvezza ».18
Si tratta di testi ecumenici della massima
importanza. Oltre i limiti della comunità cattolica non c'è il vuoto
ecclesiale. Parecchi elementi di grande valore (eximia) che, nella
Chiesa cattolica sono integrati alla pienezza dei mezzi di salvezza e dei doni
di grazia che fanno la Chiesa, si trovano anche nelle altre Comunità cristiane.
14. Tutti questi elementi portano in sé il
richiamo all'unità per trovare in essa la loro pienezza. Non si tratta di
sommare insieme tutte le ricchezze disseminate nelle Comunità cristiane, al
fine di pervenire ad una Chiesa a cui Dio mirerebbe per il futuro. Secondo la
grande Tradizione attestata dai Padri d'Oriente e d'Occidente, la Chiesa
cattolica crede che nell'evento di Pentecoste Dio ha già manifestato la
Chiesa nella sua realtà escatologica, che egli preparava « sin dal tempo di
Abele il Giusto ».19 Essa è già data. Per questo motivo noi siamo già nei tempi
ultimi. Gli elementi di questa Chiesa già data esistono, congiunti nella loro
pienezza, nella Chiesa cattolica e, senza tale pienezza, nelle altre
Comunità,20 dove certi aspetti del mistero cristiano sono stati a volte messi
più efficacemente in luce. L'ecumenismo intende precisamente far crescere la
comunione parziale esistente tra i cristiani verso la piena comunione nella
verità e nella carità.
Rinnovamento e conversione
15. Passando dai principi, dall'imperativo
della coscienza cristiana, alla realizzazione della via ecumenica verso
l'unità, il Concilio Vaticano II mette soprattutto in rilievo la necessità
della conversione del cuore. L'annuncio messianico « il tempo è compiuto e
il Regno di Dio è vicino » e l'appello conseguente « convertitevi e credete al
Vangelo » (Mc 1, 15) con cui Gesù inaugura la sua missione, indicano
l'elemento essenziale che deve caratterizzare ogni nuovo inizio: la
fondamentale esigenza dell'evangelizzazione in ogni tappa del cammino salvifico
della Chiesa. Ciò riguarda, in modo particolare, il processo al quale il
Concilio Vaticano II ha dato avvio, inscrivendo nel rinnovamento il compito
ecumenico di unire i cristiani tra loro divisi. «Ecumenismo vero non c'è
senza interiore conversione ».21
Il Concilio chiama sia alla conversione
personale che a quella comunitaria. L'aspirazione di ogni Comunità cristiana
all'unità va di pari passo con la sua fedeltà al Vangelo. Quando si tratta di
persone che vivono la loro vocazione cristiana, esso parla di conversione interiore,
di un rinnovamento della mente.22
Ciascuno deve dunque convertirsi più
radicalmente al Vangelo e, senza mai perdere di vista il disegno di Dio, deve
mutare il suo sguardo. Con l'ecumenismo la contemplazione delle « meraviglie di
Dio » (mirabilia Dei) si è arricchita di nuovi spazi nei quali il Dio
Trinitario suscita l'azione di grazie: la percezione che lo Spirito agisce
nelle altre Comunità cristiane, la scoperta di esempi di santità, l'esperienza
delle ricchezze illimitate della comunione dei santi, il contatto con aspetti
insospettabili dell'impegno cristiano. Per correlazione, il bisogno di
penitenza si è anch'esso esteso: la consapevolezza di certe esclusioni che
feriscono la carità fraterna, di certi rifiuti a perdonare, di un certo
orgoglio, di quel rinchiudersi non evangelico nella condanna degli « altri »,
di un disprezzo che deriva da una malsana presunzione. Così la vita intera dei
cristiani è contrassegnata dalla preoccupazione ecumenica ed essi sono chiamati
a farsi come plasmare da essa.
16. Nel magistero del Concilio vi è un
chiaro nesso tra rinnovamento, conversione e riforma. Esso afferma: « La Chiesa
peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui essa stessa,
in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno, in modo che se alcune
cose [...] sono state, secondo le circostanze di fatto e di tempo, osservate
meno accuratamente, siano in tempo opportuno rimesse nel giusto e debito ordine
».23 Nessuna Comunità cristiana può sottrarsi a tale appello.
Dialogando con franchezza, le Comunità si
aiutano a guardarsi insieme alla luce della Tradizione apostolica. Questo le
induce a chiedersi se veramente esse esprimano in modo adeguato tutto ciò che
lo Spirito ha trasmesso per mezzo degli Apostoli.24 Per quanto riguarda la
Chiesa cattolica, a più riprese, come ad esempio in occasione dell'anniversario
del Battesimo della Rus',25 o del ricordo, dopo undici secoli,
dell'opera evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio,26 ho richiamato tali
esigenze e prospettive. Più recentemente, il Direttorio per l'applicazione
dei principi e delle norme sull'ecumenismo, pubblicato con la mia
approvazione dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei
Cristiani, le ha applicate al campo pastorale.27
17. Per quanto riguarda gli altri cristiani,
i principali documenti della Commissione Fede e Costituzione 28 e le
dichiarazioni di numerosi dialoghi bilaterali hanno già fornito alle Comunità
cristiane utili strumenti per discernere ciò che è necessario al movimento
ecumenico e alla conversione che esso deve suscitare. Tali studi sono
importanti sotto una duplice angolatura: essi mostrano i notevoli progressi già
raggiunti ed infondono speranza perché costituiscono una base sicura per la
ricerca che va proseguita ed approfondita.
La crescente comunione in una continua
riforma, realizzata alla luce della Tradizione apostolica, è senza dubbio,
nell'attuale situazione del popolo cristiano, uno dei tratti distintivi e più
importanti dell'ecumenismo. D'altra parte, essa è anche una essenziale garanzia
per il suo avvenire. I fedeli della Chiesa cattolica non possono ignorare che
lo slancio ecumenico del Concilio Vaticano II è uno dei risultati di quanto la
Chiesa si era allora adoperata a fare per scrutarsi alla luce del Vangelo e
della grande Tradizione. Il mio Predecessore, Papa Giovanni XXIII, lo aveva ben
compreso, lui che, convocando il Concilio, rifiutò di separare aggiornamento e
apertura ecumenica.29 Al termine di quell'assise conciliare, Papa Paolo VI,
riannodando il dialogo della carità con le Chiese in comunione con il Patriarca
di Costantinopoli e compiendo con lui il gesto concreto e altamente
significativo che ha « relegato nell'oblio » — e ha fatto « sparire dalla
memoria e dal mezzo della Chiesa » — le scomuniche del passato, ha consacrato
la vocazione ecumenica del Concilio. Vale ricordare che la creazione di uno
speciale organismo per l'ecumenismo coincide con l'avvio stesso della
preparazione del Concilio Vaticano II 30 e che, per il tramite di tale
organismo, i pareri e le valutazioni delle altre Comunità cristiane hanno avuto
la loro parte nei grandi dibattiti sulla Rivelazione, sulla Chiesa, sulla
natura dell'ecumenismo e sulla libertà religiosa.
Importanza fondamentale della dottrina
18. Riprendendo un'idea che lo stesso Papa
Giovanni XXIII aveva espresso in apertura del Concilio,31 il Decreto
sull'ecumenismo menziona il modo di esporre la dottrina tra gli elementi della
continua riforma.32 Non si tratta in questo contesto di modificare il deposito
della fede, di cambiare il significato dei dogmi, di eliminare da essi delle
parole essenziali, di adattare la verità ai gusti di un'epoca, di cancellare
certi articoli del Credo con il falso pretesto che essi non sono più
compresi oggi. L'unità voluta da Dio può realizzarsi soltanto nella comune
adesione all'integrità del contenuto della fede rivelata. In materia di fede,
il compromesso è in contraddizione con Dio che è Verità. Nel Corpo di Cristo,
il quale è « via, verità e vita » (Gv 14, 6), chi potrebbe ritenere
legittima una riconciliazione attuata a prezzo della verità? La Dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae attribuisce alla
dignità umana la ricerca della verità, « specialmente in ciò che riguarda Dio e
la sua Chiesa » 33 e l'adesione alle sue esigenze. Uno « stare insieme » che
tradisse la verità sarebbe dunque in opposizione con la natura di Dio che offre
la sua comunione e con l'esigenza di verità che alberga nel più profondo di
ogni cuore umano.
19. Tuttavia, la dottrina deve essere
presentata in un modo che la renda comprensibile a coloro ai quali Dio stesso
la destina. Nell'Epistola enciclica Slavorum apostoli, ricordavo come
Cirillo e Metodio, per questo stesso motivo, si adoperassero a tradurre le
nozioni della Bibbia e i concetti della teologia greca in un contesto di
esperienze storiche e di pensiero molto diversi. Essi volevano che l'unica
parola di Dio fosse « resa così accessibile secondo le forme espressive,
proprie di ciascuna civiltà ».34 Compresero di non poter dunque « imporre ai popoli
assegnati alla loro predicazione neppure l'indiscutibile superiorità della
lingua greca e della cultura bizantina, o gli usi e i comportamenti della
società più progredita, in cui essi erano cresciuti ».35 Essi mettevano così in
atto quella « perfetta comunione nell'amore [che] preserva la Chiesa da
qualsiasi forma di particolarismo o di esclusivismo etnico o di pregiudizio
razziale, come da ogni alterigia nazionalistica ».36 Nello stesso spirito, non
ho esitato a dire agli aborigeni d'Australia: « Non dovete essere un popolo
diviso in due parti [...]. Gesù vi chiama ad accettare le sue parole e i suoi
valori all'interno della vostra propria cultura ».37 Poiché per sua natura il
dato di fede è destinato a tutta l'umanità, esso esige di essere tradotto in
tutte le culture. Infatti, l'elemento che decide della comunione nella verità è
il significato della verità. L'espressione della verità può essere
multiforme. E il rinnovamento delle forme di espressione si rende necessario
per trasmettere all'uomo di oggi il messaggio evangelico nel suo immutabile
significato.38
« Questo rinnovamento ha quindi
un'importanza ecumenica singolare ».39 E non soltanto rinnovamento nel modo di
esprimere la fede, ma della stessa vita di fede. Ci si potrebbe allora chiedere:
chi deve attuarlo? Il Concilio risponde chiaramente a questa domanda: esso «
riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i Pastori, e tocca ognuno secondo la
propria capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi
teologici e storici ».40
20. Tutto ciò è estremamente importante e di
fondamentale significato per l'attività ecumenica. Ne risulta
inequivocabilmente che l'ecumenismo, il movimento a favore dell'unità dei
cristiani, non è soltanto una qualche « appendice », che s'aggiunge
all'attività tradizionale della Chiesa. Al contrario, esso appartiene
organicamente alla sua vita e alla sua azione e deve, di conseguenza, pervadere
questo insieme ed essere come il frutto di un albero che, sano e rigoglioso,
cresce fino a raggiungere il suo pieno sviluppo.
Così credeva nell'unità della Chiesa Papa
Giovanni XXIII e così egli guardava all'unità di tutti i cristiani. Riferendosi
agli altri cristiani, alla grande famiglia cristiana, egli constatava: « È
molto più forte quanto ci unisce di quanto ci divide ». Ed il Concilio Vaticano
II, da parte sua, esorta: « Si ricordino tutti i fedeli che tanto meglio
promuoveranno, anzi vivranno in pratica l'unione dei cristiani, quanto più si
studieranno di condurre una vita conforme al Vangelo. Pertanto con quanta più
stretta comunione saranno uniti col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo,
con tanta più intima e facile azione potranno accrescere la mutua fraternità
».41
Primato della preghiera
21. « Questa conversione del cuore e
questa santità della vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per
l'unità dei cristiani, si devono ritenere come l'anima di tutto il
movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale
».42
Si avanza sulla via che conduce alla
conversione dei cuori al ritmo dell'amore che si rivolge a Dio e, allo stesso
tempo, ai fratelli: a tutti i fratelli, anche quelli che non sono in piena
comunione con noi. Dall'amore nasce il desiderio dell'unità anche in coloro che
ne hanno sempre ignorato l'esigenza. L'amore è artefice di comunione tra le
persone e tra le Comunità. Se ci amiamo, noi tendiamo ad approfondire la nostra
comunione, ad orientarla verso la perfezione. L'amore si rivolge a Dio
quale fonte perfetta di comunione — l'unità del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo —, per attingervi la forza di suscitare la comunione tra le
persone e le Comunità, o di ristabilirla tra i cristiani ancora divisi. L'amore
è la corrente profondissima che dà vita ed infonde vigore al processo verso
l'unità.
Tale amore trova la sua più compiuta
espressione nella preghiera comune. Quando i fratelli che non sono in
perfetta comunione tra loro si riuniscono insieme per pregare, il Concilio
Vaticano II definisce la loro preghiera anima dell'intero movimento
ecumenico. Essa è « un mezzo molto efficace per impetrare la grazia
dell'unità », « una genuina manifestazione dei vincoli, con i quali i
cattolici sono ancora uniti con i fratelli separati ».43 Anche quando non
si prega in senso formale per l'unità dei cristiani, ma per altri motivi, come,
ad esempio, per la pace, la preghiera diventa di per sé espressione e conferma
dell'unità. La preghiera comune dei cristiani invita Cristo stesso a visitare
la comunità di coloro che lo implorano: « Dove sono due o tre riuniti nel mio
nome, io sono in mezzo a loro » (Mt 18, 20).
22. Quando si prega insieme tra cristiani,
il traguardo dell'unità appare più vicino. La lunga storia dei cristiani
segnata da molteplici frammentazioni sembra ricomporsi, tendendo a quella Fonte
della sua unità che è Gesù Cristo. Egli « è lo stesso ieri, oggi e sempre! » (Eb
13, 8). Nella comunione di preghiera Cristo è realmente presente; prega « in
noi », « con noi » e « per noi ». È Lui che guida la nostra preghiera nello
Spirito Consolatore che ha promesso e ha dato alla sua Chiesa già nel Cenacolo
di Gerusalemme, quando Egli l'ha costituita nella sua originaria unità.
Sulla via ecumenica verso l'unità, il
primato spetta senz'altro alla preghiera comune, all'unione orante di
coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso. Se i cristiani,
nonostante le loro divisioni, sapranno sempre di più unirsi in preghiera comune
attorno a Cristo, crescerà la loro consapevolezza di quanto sia limitato ciò
che li divide a paragone di ciò li unisce. Se si incontreranno sempre più
spesso e più assiduamente davanti a Cristo nella preghiera, essi potranno
trarre coraggio per affrontare tutta la dolorosa ed umana realtà delle
divisioni, e si ritroveranno insieme in quella comunità della Chiesa che Cristo
forma incessantemente nello Spirito Santo, malgrado tutte le debolezze e gli
umani limiti.
23. Infine, la comunione di preghiera
induce a guardare con occhi nuovi la Chiesa e il cristianesimo. Non si deve
dimenticare, infatti, che il Signore ha implorato dal Padre l'unità dei suoi
discepoli, perché essa rendesse testimonianza alla sua missione ed il mondo
potesse credere che il Padre lo aveva inviato (cfr Gv 17, 21). Si può
dire che il movimento ecumenico abbia in un certo senso preso l'avvio
dall'esperienza negativa di quanti, annunciando l'unico Vangelo, si
richiamavano ciascuno alla propria Chiesa o Comunità ecclesiale; una
contraddizione che non poteva sfuggire a chi ascoltava il messaggio di salvezza
e che vi trovava un ostacolo all'accoglimento dell'annuncio evangelico.
Purtroppo questo grave impedimento non è superato. È vero: non siamo ancora in
piena comunione. Eppure, malgrado le nostre divisioni, noi stiamo percorrendo
la via verso la piena unità, quell'unità che caratterizzava la Chiesa
apostolica ai suoi esordi, e che noi cerchiamo sinceramente: guidata dalla
fede, la nostra comune preghiera ne è la prova. In essa, ci raduniamo nel nome
di Cristo che è Uno. Egli è la nostra unità.
La preghiera « ecumenica » è a servizio
della missione cristiana e della sua credibilità. Per questo essa deve essere particolarmente
presente nella vita della Chiesa ed in ogni attività che abbia lo scopo di
favorire l'unità dei cristiani. È come se noi dovessimo sempre ritornare a
radunarci nel Cenacolo del Giovedì Santo, sebbene la nostra presenza insieme,
in tale luogo, attenda ancora il suo perfetto compimento, fino a quando,
superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti i
cristiani si riuniranno nell'unica celebrazione dell'Eucaristia.44
24. È motivo di gioia il costatare come i
tanti incontri ecumenici comportino quasi sempre la preghiera ed anzi culminino
con essa. La Settimana di Preghiera per l'unità dei cristiani, che si
celebra nel mese di gennaio, o intorno a Pentecoste in alcuni Paesi, è
diventata una tradizione diffusa e consolidata. Ma anche al di fuori di essa,
molte sono le occasioni che, durante l'anno, inducono i cristiani a pregare
insieme. In questo contesto, desidero richiamarmi a quell'esperienza
particolare che è il peregrinare del Papa tra le Chiese, nei diversi
continenti e nei vari paesi dell'oikoumene contemporanea. È stato il
Concilio Vaticano II, ne sono ben consapevole, ad orientare il Papa verso
questo particolare esercizio del suo ministero apostolico. Si può dire di più.
Il Concilio ha fatto di questo peregrinare del Papa un preciso dovere, in
adempimento del ruolo del Vescovo di Roma a servizio della comunione.45 Queste
mie visite hanno quasi sempre comportato un incontro ecumenico e lapreghiera
comune di fratelli che cercano l'unità in Cristo e nella sua Chiesa.
Ricordo con una emozione tutta speciale la preghiera assieme al Primate della
Comunione anglicana nella cattedrale di Canterbury, il 29 maggio 1982, quando,
in quel mirabile edificio, riconoscevo una « dimostrazione eloquente dei
nostri lunghi anni di retaggio comune e dei tristi anni di separazione che ad
esso seguirono »; 46 né posso dimenticare quelle nei Paesi scandinavi e
nordici (1-10 giugno 1989), nelle Americhe o in Africa, o quella presso la sede
del Consiglio Ecumenico delle Chiese (12 giugno 1984), l'organismo che si
prefigge lo scopo di chiamare le Chiese e le Comunità ecclesiali che ne fanno
parte « alla mèta dell'unità visibile in un'unica fede ed in un'unica comunità
eucaristica, espressa nel culto e nella vita comune in Cristo ».47 E come
potrei mai dimenticare la mia partecipazione alla liturgia eucaristica nella
chiesa di san Giorgio, al Patriarcato ecumenico (30 novembre 1979), e la
celebrazione nella Basilica di San Pietro, durante la visita a Roma del mio
venerato Fratello, il Patriarca Dimitrios I (6 dicembre 1987)? In quella
circostanza, presso l'altare della Confessione, noi professammo insieme il
Simbolo niceno-costantinopolitano, secondo il testo originale greco. Poche
parole non bastano a descrivere i tratti specifici che hanno caratterizzato
ciascuno di questi incontri di preghiera. Per i condizionamenti del passato
che, in modo differenziato, gravavano su ciascuno di essi, tutti hanno una
propria e singolare eloquenza; tutti sono scolpiti nella memoria della Chiesa
che è orientata dal Paraclito alla ricerca dell'unità di tutti i credenti in
Cristo.
25. Non soltanto il Papa si è fatto
pellegrino. In questi anni, tanti degni rappresentanti di altre Chiese e
Comunità ecclesiali mi hanno fatto visita a Roma e con loro ho potuto pregare,
in circostanze pubbliche e private. Ho già accennato alla presenza del
Patriarca ecumenico Dimitrios I. Vorrei ora anche ricordare quell'incontro di
preghiera che mi ha unito, nella stessa Basilica di San Pietro, per la
celebrazione dei Vespri, con gli Arcivescovi luterani, primati di Svezia e di
Finlandia, in occasione del VI centenario della Canonizzazione di santa Brigida
(5 ottobre 1991). Si tratta di un esempio, perché la consapevolezza del dovere
di pregare per l'unità è diventata parte integrante della vita della Chiesa.
Non vi è evento importante, significativo, che non benefici della presenza
reciproca e della preghiera dei cristiani. Mi è impossibile elencare tutti
questi incontri, benché ciascuno meriti di essere nomi- nato. Veramente il
Signore ci ha preso per mano e ci guida. Questi scambi, queste preghiere hanno
già scritto pagine e pagine del nostro « Libro dell'unità », un « Libro » che
dobbiamo sempre sfogliare e rileggere per trarne ispirazione e speranza.
26. La preghiera, la comunità di preghiera,
ci permette sempre di ritrovare la verità evangelica delle parole « uno solo
è il Padre vostro » (Mt 23, 9), quel Padre, Abbà, che Cristo stesso
interpella, Lui che è Figlio unigenito e della sua stessa sostanza. E poi: « Uno
solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli » (Mt 23, 8). La
preghiera « ecumenica » svela questa fondamentale dimensione di fratellanza in
Cristo, che è morto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi,
perché noi, diventando figli nel Figlio (cfr Ef 1, 5), rispecchiassimo
più pienamente l'inscrutabile realtà della paternità di Dio e, al contempo, la
verità sull'umanità propria di ciascuno e di tutti.
La preghiera « ecumenica », la preghiera dei
fratelli e delle sorelle, esprime tutto questo. Essi, proprio perché separati
tra di loro, con tanta maggiore speranza si uniscono in Cristo, affidandogli
il futuro della loro unità e della loro comunione. A questo contesto si
potrebbe ancora una volta applicare felicemente l'insegnamento del Concilio: «
Il Signore Gesù quando prega il Padre, "perché tutti siano uno
[...] come noi siamo una cosa sola" (Gv 17, 21-22)
mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una
certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di
Dio nella verità e nella carità ».48
La stessa conversione del cuore, condizione
essenziale di ogni autentica ricerca dell'unità, scaturisce dalla preghiera e
da essa è orientata al suo compimento: « Il desiderio dell'unità nasce e matura
dal rinnovamento della mente, dall'abnegazione di se stesso e dalla liberissima
effusione della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino
la grazia della sincera abnegazione, dell'umiltà e mansuetudine nel servizio e
della fraterna generosità di animo verso gli altri ».49
27. Pregare per l'unità non è tuttavia
riservato a chi vive in un contesto di divisione tra i cristiani. In
quell'intimo e personale dialogo che ciascuno di noi deve intrattenere con il
Signore nella preghiera, la preoccupazione dell'unità non può essere esclusa.
Soltanto così, infatti, essa farà pienamente parte della realtà della nostra
vita e degli impegni che abbiamo assunto nella Chiesa. Per riaffermare questa
esigenza, ho voluto proporre ai fedeli della Chiesa cattolica un modello che mi
sembra esemplare, quello di una suora trappista, Maria Gabriella dell'Unità,
che ho proclamato beata il 25 gennaio 1983.50 Suor Maria Gabriella, chiamata
dalla sua vocazione ad essere fuori del mondo, ha dedicato la sua esistenza
alla meditazione e alla preghiera incentrate sul capitolo 17 del vangelo di san
Giovanni e l'ha offerta per l'unità dei cristiani. Ecco, questo è il fulcro di
ogni preghiera: l'offerta totale e senza riserve della propria vita al Padre,
per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. L'esempio di suor Maria Gabriella ci
istruisce, ci fa comprendere come non vi siano tempi, situazioni o luoghi
particolari per pregare per l'unità. La preghiera di Cristo al Padre è modello
per tutti, sempre e in ogni luogo.
Dialogo ecumenico
28. Se la preghiera è l'« anima » del
rinnovamento ecumenico e dell'aspirazione all'unità, su di essa si fonda e da
essa trae sostentamento tutto ciò che il Concilio definisce « dialogo ».
Tale definizione non è certo senza nesso con il pensiero personalistico
odierno. L'atteggiamento di « dialogo » si situa al livello della natura della
persona e della sua dignità. Dal punto di vista filosofico, una tale posizione
si ricollega alla verità cristiana sull'uomo espressa dal Concilio: egli
infatti « in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa »;
l'uomo non può pertanto « ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono
sincero di sé ».51 Il dialogo è passaggio obbligato del cammino da percorrere verso
l'autocompimento dell'uomo, del singolo individuo come anche di
ciascuna comunità umana. Sebbene dal concetto di « dialogo » sembri
emergere in primo piano il momento conoscitivo (dia-logos), ogni dialogo
ha in sé una dimensione globale, esistenziale. Esso coinvolge il soggetto umano
nella sua interezza; il dialogo tra le comunità impegna in modo particolare la
soggettività di ciascuna di esse.
Tale verità sul dialogo, tanto profondamente
espressa dal Papa Paolo VI nella sua Enciclica Ecclesiam suam,52 è stata
assunta anche dalla dottrina e dalla pratica ecumenica del Concilio. Il dialogo
non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno « scambio
di doni ».53
29. Per questo motivo, anche il Decreto
conciliare sull'ecumenismo pone in primo piano « tutti gli sforzi per eliminare
parole, giudizi e opere che non rispecchiano con equità e verità la condizione
dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con
essi ».54 Questo Documento affronta la questione dal punto di vista della
Chiesa cattolica e si riferisce al criterio che essa deve applicare nei
confronti degli altri cristiani. Vi è però in tutto questo una esigenza di
reciprocità. Attenersi a tale criterio è impegno di ciascuna delle parti che
vogliono fare dialogo ed è condizione previa per avviarlo. Occorre passare da
una posizione di antagonismo e di conflitto ad un livello nel quale l'uno e
l'altro si riconoscono reciprocamente partner. Quando si inizia a
dialogare, ciascuna delle parti deve presupporre una volontà di
riconciliazione nel suo interlocutore, di unità nella verità. Per
realizzare tutto questo, le manifestazioni del reciproco contrapporsi debbono
sparire. Soltanto così il dialogo aiuterà a superare la divisione e potrà
avvicinare all'unità.
30. Si può affermare, con viva gratitudine
verso lo Spirito di verità, che il Concilio Vaticano II è stato un tempo
benedetto, durante il quale si sono realizzate le condizioni basilari della
partecipazione della Chiesa cattolica al dialogo ecumenico. D'altra parte, la presenza
dei numerosi osservatori di varie Chiese e Comunità ecclesiali, il loro
profondo coinvolgimento nell'evento conciliare, i tanti incontri e le preghiere
comuni che il Concilio ha reso possibili, hanno contribuito a porre in atto le
condizioni per dialogare insieme. Durante il Concilio, i rappresentanti
delle altre Chiese e Comunità cristiane hanno sperimentato la disponibilità al
dialogo dell'episcopato cattolico del mondo intero e, in particolare, della
Sede Apostolica.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così
come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere
prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o
particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione
ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle
Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello
delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e
generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari
sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il
dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità
dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata
la « tecnica » per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito
di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo
tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato tra esponenti
debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della
propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche ».56 Tuttavia
giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione conciliare
sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca
libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e
del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca
della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che
ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire
fermamente con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una importanza
essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le
Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia collaborazione
in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune e,
nel modo come è permesso, si radunino per pregare insieme. Infine, tutti
esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e, com'è
dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il dialogo
ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare
sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a
favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei
cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo
parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è
possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla
funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le
parole della Prima Lettera di Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri
peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci
purificherà da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un
bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione tanto
radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori deve anche essere
una caratteristica dello spirito con il quale si affronta il dialogo ecumenico.
Se esso non diventasse un esame di coscienza, come un « dialogo delle coscienze
», potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci
trasmette? « Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se
qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per
i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2, 1-2). Tutti i peccati del
mondo sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo, e dunque anche
quelli commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei
pastori non meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno
contribuito alle storiche divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a
patto di essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti
della necessità della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali
debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le «
strutture » stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire
alla divisione e al suo consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II
ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso
dallo spirito di conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo
documento un carattere proprio; esso si trasforma in « dialogo della
conversione », e dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in
autentico « dialogo della salvezza ».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo
un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio
di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende
anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso
Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra
riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco
riconoscimento della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. È
proprio esso ad aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena
comunione fra di loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità
della Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le divergenze
36. Il dialogo è anche strumento naturale
per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle
divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro.
Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le
disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali:
« Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina
della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono
procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la dimensione più
profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza
quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche,
culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le
divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore,
umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di
affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio delle
divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con
chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in
un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà
realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito
Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata
ogni forma di riduzionismo o di facile « concordi- smo ». Le questioni serie
vanno risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi,
con identica configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis redintegratio
indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di
presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si ricordino che esiste un
ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via,
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti
verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle
insondabili ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è
espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più
di una conseguenza per il compito ecumenico.
In primo luogo, davanti a formulazioni
dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si
appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un
identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti
dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a
Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso
cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la
Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la
Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del
sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni. Ciò
premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della
Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che
restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ».64 A questo
riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad
interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le
polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare
la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la
formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere
letture parziali e di eliminare false interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile
ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito
opera negli « altri » può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in
un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una
grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli interlocutori
di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste
divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto
delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con
profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due
punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della
Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani non tendono
alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse
prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari
livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al
messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i cristiani
esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce
più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale cooperazione fondata sulla
fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di
Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica è una
vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione
conduce alla piena unità di fede: « Da questa cooperazione i credenti in Cristo
possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».68
Agli occhi del mondo la cooperazione tra i
cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa
strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così
come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere
prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o
particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione
ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle
Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello
delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e
generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari
sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il
dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità
dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata
la « tecnica » per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito
di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo
tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato tra esponenti
debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della
propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche ».56 Tuttavia
giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione conciliare
sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca
libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e
del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca
della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che
ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire
fermamente con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una importanza
essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le
Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia
collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana
per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare
insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa
la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e
di riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il dialogo
ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare
sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a
favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei
cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo parlare
di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è possibile
in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla funzione di un
esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le parole della
Prima Lettera di Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi
stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli (Dio)
che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa »
(1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là quando afferma: « Se diciamo che
non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi »
(1, 10). Unaesortazione tanto radicale a riconoscere la nostra condizione di
peccatori deve anche essere una caratteristica dello spirito con il quale
si affronta il dialogo ecumenico. Se esso non diventasse un esame di coscienza,
come un « dialogo delle coscienze », potremmo noi contare su quella certezza
che la medesima Lettera ci trasmette? « Figlioli miei, vi scrivo queste cose
perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso
il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i
nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il
mondo » (2, 1-2). Tutti i peccati del mondo sono stati compresi nel sacrificio
salvifico di Cristo, e dunque anche quelli commessi contro l'unità della
Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non meno che dei fedeli. Anche
dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche divisioni,l'unità
dei cristiani è possibile, a patto di essere umilmente consapevoli di aver
peccato contro l'unità e convinti della necessità della nostra conversione. Non
soltanto i peccati personali debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli
sociali, come a dire le « strutture » stesse del peccato, che hanno contribuito
e possono contribuire alla divisione e al suo consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II
ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso
dallo spirito di conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo
documento un carattere proprio; esso si trasforma in « dialogo della
conversione », e dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in
autentico « dialogo della salvezza ».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo
un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio
di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende
anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso
Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra
riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco
riconoscimento della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. È
proprio esso ad aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena
comunione fra di loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità
della Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le divergenze
36. Il dialogo è anche strumento naturale
per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle
divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro.
Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le
disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali:
« Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina
della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono
procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la dimensione più
profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza
quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche,
culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le
divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore,
umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di
affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio delle
divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con
chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in
un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà
realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito
Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata
ogni forma di riduzionismo o di facile « concordi- smo ». Le questioni serie
vanno risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi,
con identica configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis redintegratio
indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di
presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si ricordino che esiste un
ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via,
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti
verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle
insondabili ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è
espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più
di una conseguenza per il compito ecumenico.
In primo luogo, davanti a formulazioni
dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si
appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un
identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti
dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a
Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso
cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la
Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la
Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del
sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni.
Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della
Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che
restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ».64 A questo
riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad
interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le
polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare
la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la
formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere
letture parziali e di eliminare false interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile
ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito
opera negli « altri » può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in
un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una
grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli interlocutori
di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste
divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto
delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con
profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due
punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della
Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani non tendono
alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse
prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari
livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al
messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i cristiani
esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce
più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale cooperazione fondata sulla
fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di
Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica è una vera
scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione
conduce alla piena unità di fede: « Da questa cooperazione i credenti in Cristo
possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».68
Agli occhi del mondo la cooperazione tra i
cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa
strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così
come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere
prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o
particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione
ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle
Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello
delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e
generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari
sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il
dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità
dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata
la « tecnica » per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito
di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo
tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato tra esponenti
debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della
propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche ».56 Tuttavia
giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione conciliare
sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca
libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e
del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca
della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che
ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire
fermamente con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una importanza
essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le
Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia
collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana
per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare
insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa
la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e
di riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il dialogo
ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare
sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a
favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei
cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo
parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è
possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla
funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le
parole della Prima Lettera di Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri
peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci
purificherà da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un
bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione tanto
radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori deve anche essere
una caratteristica dello spirito con il quale si affronta il dialogo ecumenico.
Se esso non diventasse un esame di coscienza, come un « dialogo delle coscienze
», potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci
trasmette? « Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se
qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per
i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2, 1-2). Tutti i peccati del
mondo sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo, e dunque anche
quelli commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei
pastori non meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno
contribuito alle storiche divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a
patto di essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti
della necessità della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali
debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le «
strutture » stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire
alla divisione e al suo consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II
ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso
dallo spirito di conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo
documento un carattere proprio; esso si trasforma in « dialogo della
conversione », e dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in
autentico « dialogo della salvezza ».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo
un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio
di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende
anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso Colui
che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra riconciliazione.
La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco riconoscimento
della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad
aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della Chiesa, può
agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito Paraclito.
Dialogo per risolvere le divergenze
36. Il dialogo è anche strumento naturale
per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle
divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro.
Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le
disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali:
« Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina
della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono
procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la dimensione più
profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza
quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche,
culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le
divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore,
umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di
affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio delle
divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con
chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in
un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà
realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito
Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata
ogni forma di riduzionismo o di facile « concordi- smo ». Le questioni serie
vanno risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi,
con identica configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis redintegratio
indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di
presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si ricordino che esiste un
ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via,
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti
verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle
insondabili ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è
espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più
di una conseguenza per il compito ecumenico.
In primo luogo, davanti a formulazioni
dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si
appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un
identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti
dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a
Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso
cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la
Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la
Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del
sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni.
Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della
Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che
restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ».64 A questo
riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad
interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le
polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare
la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la
formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere
letture parziali e di eliminare false interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile
ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito
opera negli « altri » può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in
un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una
grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli interlocutori
di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste
divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto
delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con
profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due
punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione della
Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani non tendono
alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse prevedono
ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari livelli:
pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al messaggio del
Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i cristiani
esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce
più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale cooperazione fondata sulla
fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di
Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica è una
vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione
conduce alla piena unità di fede: « Da questa cooperazione i credenti in Cristo
possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».68
Agli occhi del mondo la cooperazione tra i
cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa
strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così
come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere
prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o
particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione
ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle
Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello
delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e
generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari
sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il
dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità
dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata
la « tecnica » per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito
di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo
tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato tra esponenti
debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della
propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche ».56 Tuttavia
giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione conciliare
sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca
libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e
del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca
della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che
ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire
fermamente con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una importanza
essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le
Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia
collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana
per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare
insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa
la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e
di riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il dialogo
ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare
sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a
favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei
cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo
parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è
possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla
funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le
parole della Prima Lettera di Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri
peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci
purificherà da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là quando
afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la
sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione tanto radicale a
riconoscere la nostra condizione di peccatori deve anche essere una
caratteristica dello spirito con il quale si affronta il dialogo ecumenico. Se
esso non diventasse un esame di coscienza, come un « dialogo delle coscienze »,
potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci trasmette? «
Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha
peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto.
Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri,
ma anche per quelli di tutto il mondo » (2, 1-2). Tutti i peccati del mondo
sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo, e dunque anche quelli
commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non
meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle
storiche divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di essere
umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti della necessità
della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali debbono essere
rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le « strutture »
stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire alla divisione
e al suo consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II
ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso
dallo spirito di conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo
documento un carattere proprio; esso si trasforma in « dialogo della
conversione », e dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in
autentico « dialogo della salvezza ».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo
un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio
di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende
anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso
Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra
riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco
riconoscimento della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. È
proprio esso ad aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena
comunione fra di loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità
della Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le divergenze
36. Il dialogo è anche strumento naturale
per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle
divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro.
Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le disposizioni
morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali: « Nel dialogo
ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina della Chiesa,
nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono procedere con
amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la dimensione più
profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza
quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche,
culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le
divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore,
umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di
affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio delle
divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con
chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in
un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà
realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito
Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata
ogni forma di riduzionismo o di facile « concordi- smo ». Le questioni serie
vanno risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi,
con identica configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis redintegratio
indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di
presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si ricordino che esiste un
ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via,
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti
verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle
insondabili ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è
espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più
di una conseguenza per il compito ecumenico.
In primo luogo, davanti a formulazioni
dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si
appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un
identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti
dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a
Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso
cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la
Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la
Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del
sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni.
Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della
Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che
restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ».64 A questo
riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad
interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le
polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare
la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la
formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere
letture parziali e di eliminare false interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile
ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito
opera negli « altri » può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in
un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una
grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli interlocutori
di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste
divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto
delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con
profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due
punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della
Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani non tendono
alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse
prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari
livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al
messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i cristiani
esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce
più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale cooperazione fondata sulla
fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di
Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica è una
vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione
conduce alla piena unità di fede: « Da questa cooperazione i credenti in Cristo
possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».68
Agli occhi del mondo la cooperazione tra i
cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa
strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così
come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere
prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o
particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione
ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle
Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello
delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e
generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari
sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il
dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità
dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata
la « tecnica » per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito
di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo
tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato tra esponenti
debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della
propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche ».56 Tuttavia
giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione conciliare
sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca
libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e
del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca
della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che
ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire
fermamente con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una importanza
essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le
Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia
collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana
per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare
insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa
la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e
di riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il dialogo
ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare
sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a
favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei
cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo
parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è
possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla
funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le
parole della Prima Lettera di Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri
peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci
purificherà da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un
bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione tanto
radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori deve anche essere
una caratteristica dello spirito con il quale si affronta il dialogo ecumenico.
Se esso non diventasse un esame di coscienza, come un « dialogo delle coscienze
», potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci
trasmette? « Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se
qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per
i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2, 1-2). Tutti i peccati del
mondo sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo, e dunque anche
quelli commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei
pastori non meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno
contribuito alle storiche divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a
patto di essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti
della necessità della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali
debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le «
strutture » stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire
alla divisione e al suo consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II
ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso
dallo spirito di conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo
documento un carattere proprio; esso si trasforma in « dialogo della
conversione », e dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in
autentico « dialogo della salvezza ».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo
un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio
di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende
anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso Colui
che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra riconciliazione.
La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco riconoscimento
della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad
aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della Chiesa, può
agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito Paraclito.
Dialogo per risolvere le divergenze
36. Il dialogo è anche strumento naturale
per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle
divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro.
Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le
disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali:
« Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina
della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono
procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la dimensione più
profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza
quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche,
culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le
divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore,
umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di
affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio delle
divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con
chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in
un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà
realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito
Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata
ogni forma di riduzionismo o di facile « concordi- smo ». Le questioni serie
vanno risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi,
con identica configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis redintegratio
indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di
presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si ricordino che esiste un
ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via,
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti
verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle
insondabili ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è
espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più
di una conseguenza per il compito ecumenico.
In primo luogo, davanti a formulazioni
dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si
appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un
identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti
dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a
Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso
cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la
Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la
Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del
sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni.
Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della
Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che
restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ».64 A questo
riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad
interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le
polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare
la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la
formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere
letture parziali e di eliminare false interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile
ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito
opera negli « altri » può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in
un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una
grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli interlocutori
di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste
divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto
delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con
profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due
punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione della
Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani non tendono
alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse
prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari
livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al
messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i cristiani
esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce
più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale cooperazione fondata sulla
fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di
Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica è una
vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione
conduce alla piena unità di fede: « Da questa cooperazione i credenti in Cristo
possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».68
Agli occhi del mondo la cooperazione tra i
cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa
strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così
come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere
prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o
particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione
ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle
Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello
delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e
generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari
sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il
dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità
dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata
la « tecnica » per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito
di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo
tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato tra esponenti debitamente
preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria
comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche ».56 Tuttavia giova ad
ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione conciliare
sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca
libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e
del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca
della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che
ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire
fermamente con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una importanza
essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le
Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia
collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana
per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare
insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa
la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e
di riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il dialogo
ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare
sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a
favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei
cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo
parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è
possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla
funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le
parole della Prima Lettera di Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri
peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci
purificherà da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un
bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione tanto
radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori deve anche essere
una caratteristica dello spirito con il quale si affronta il dialogo ecumenico.
Se esso non diventasse un esame di coscienza, come un « dialogo delle coscienze
», potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci
trasmette? « Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se
qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per
i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2, 1-2). Tutti i peccati del
mondo sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo, e dunque anche
quelli commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei
pastori non meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno
contribuito alle storiche divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a
patto di essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti
della necessità della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali
debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le «
strutture » stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire
alla divisione e al suo consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II
ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso
dallo spirito di conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo
documento un carattere proprio; esso si trasforma in « dialogo della
conversione », e dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in
autentico « dialogo della salvezza ».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo
un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio
di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende
anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso
Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra
riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco
riconoscimento della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. È
proprio esso ad aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena
comunione fra di loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità
della Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le divergenze
36. Il dialogo è anche strumento naturale per
mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle
divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro.
Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le
disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali:
« Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina
della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono
procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la dimensione più
profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza
quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche,
culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le
divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore,
umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di
affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio delle
divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con
chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in
un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà
realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito
Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata
ogni forma di riduzionismo o di facile « concordi- smo ». Le questioni serie
vanno risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi,
con identica configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis redintegratio
indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di
presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si ricordino che esiste un
ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via,
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti
verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle
insondabili ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è
espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più
di una conseguenza per il compito ecumenico.
In primo luogo, davanti a formulazioni
dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si
appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un
identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti
dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a
Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso
cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la
Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la
Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del
sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni.
Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della
Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che
restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ».64 A questo
riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad
interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le
polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare
la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la
formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere
letture parziali e di eliminare false interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile
ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito
opera negli « altri » può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in
un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una
grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli interlocutori
di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste
divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto
delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con
profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due
punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della
Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani non tendono
alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse
prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari
livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al
messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i cristiani
esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce
più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale cooperazione fondata sulla
fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di
Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica è una
vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione
conduce alla piena unità di fede: « Da questa cooperazione i credenti in Cristo
possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».68
Agli occhi del mondo la cooperazione tra i
cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa
strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così
come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere
prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o
particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione
ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle
Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello
delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e
generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari
sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il
dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità
dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata
la « tecnica » per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito
di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo
tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato tra esponenti
debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della
propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche ».56 Tuttavia
giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione conciliare
sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca
libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e
del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca
della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che
ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire
fermamente con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una importanza
essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le
Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia
collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana
per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare
insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa
la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e
di riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il dialogo
ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare
sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a
favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei
cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo
parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è
possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla
funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le
parole della Prima Lettera di Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri
peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci
purificherà da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un
bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione tanto
radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori deve anche essere
una caratteristica dello spirito con il quale si affronta il dialogo ecumenico.
Se esso non diventasse un esame di coscienza, come un « dialogo delle coscienze
», potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci
trasmette? « Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se
qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per
i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2, 1-2). Tutti i peccati del
mondo sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo, e dunque anche quelli
commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei pastori non
meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle
storiche divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a patto di essere
umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti della necessità
della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali debbono essere
rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le « strutture »
stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire alla divisione
e al suo consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II
ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso
dallo spirito di conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo documento
un carattere proprio; esso si trasforma in « dialogo della conversione », e
dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in autentico « dialogo della
salvezza ».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo un andamento esclusivamente
orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio di punti di vista, o
persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende anche e soprattutto ad
una dimensione verticale, la quale lo orienta verso Colui che, Redentore del
mondo e Signore della storia, è la nostra riconciliazione. La dimensione
verticale del dialogo sta nel comune e reciproco riconoscimento della nostra
condizione di uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad aprire nei
fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di loro, quello
spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della Chiesa, può agire
efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito Paraclito.
Dialogo per risolvere le divergenze
36. Il dialogo è anche strumento naturale
per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle
divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro.
Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le
disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali:
« Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina
della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono
procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la dimensione più
profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza
quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche,
culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le
divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore,
umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di
affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio delle
divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con
chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in
un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà
realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito
Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata
ogni forma di riduzionismo o di facile « concordi- smo ». Le questioni serie
vanno risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi,
con identica configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis redintegratio
indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di
presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si ricordino che esiste un
ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via,
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti
verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle
insondabili ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è espressa
la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più di una
conseguenza per il compito ecumenico.
In primo luogo, davanti a formulazioni
dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si
appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un
identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti
dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a
Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso
cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la
Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la
Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del
sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni.
Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della
Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che
restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ».64 A questo
riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad
interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le
polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare
la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la
formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere
letture parziali e di eliminare false interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile
ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito
opera negli « altri » può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in
un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una
grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli interlocutori
di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste
divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto
delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con
profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due
punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della
Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani non tendono
alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse
prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari
livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al
messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i cristiani
esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce
più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale cooperazione fondata sulla
fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di
Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica è una
vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione
conduce alla piena unità di fede: « Da questa cooperazione i credenti in Cristo
possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».68
Agli occhi del mondo la cooperazione tra i
cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa
strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così
come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere
prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o
particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione
ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle
Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello
delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e
generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari
sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il
dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità
dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata
la « tecnica » per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito
di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo
tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato tra esponenti
debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della
propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche ».56 Tuttavia
giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione conciliare
sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca
libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e
del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca
della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che
ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire
fermamente con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una importanza
essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le
Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia
collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana
per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare
insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa
la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e
di riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il dialogo
ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare
sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a
favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei
cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo
parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è
possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla
funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le
parole della Prima Lettera di Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri
peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci
purificherà da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un
bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione tanto
radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori deve anche essere
una caratteristica dello spirito con il quale si affronta il dialogo ecumenico.
Se esso non diventasse un esame di coscienza, come un « dialogo delle coscienze
», potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci
trasmette? « Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se
qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per
i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2, 1-2). Tutti i peccati del
mondo sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo, e dunque anche
quelli commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei
pastori non meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno
contribuito alle storiche divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a
patto di essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti
della necessità della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali
debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le «
strutture » stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire
alla divisione e al suo consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II
ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso
dallo spirito di conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo
documento un carattere proprio; esso si trasforma in « dialogo della
conversione », e dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in
autentico « dialogo della salvezza ».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo
un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio
di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende
anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso
Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra riconciliazione.
La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco riconoscimento
della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. È proprio esso ad
aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di
loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della Chiesa, può
agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito Paraclito.
Dialogo per risolvere le divergenze
36. Il dialogo è anche strumento naturale
per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle
divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro.
Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le
disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali:
« Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina
della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono
procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la dimensione più
profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza
quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche,
culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le
divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore,
umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di
affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio delle
divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con
chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in
un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà realizzarsi
nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito Santo
introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata ogni
forma di riduzionismo o di facile « concordi- smo ». Le questioni serie vanno
risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con
identica configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis redintegratio
indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di
presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si ricordino che esiste un
ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via,
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti
verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle
insondabili ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è
espressa la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più
di una conseguenza per il compito ecumenico.
In primo luogo, davanti a formulazioni
dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si
appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un
identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti
dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a
Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso
cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la
Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la
Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del
sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni.
Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della
Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che
restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ».64 A questo
riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad
interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le
polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni
incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare
la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la
formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere
letture parziali e di eliminare false interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile
ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito
opera negli « altri » può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in
un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una
grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli interlocutori
di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste
divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto
delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con
profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due
punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani non tendono
alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse
prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari
livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al
messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i cristiani
esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce più
piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale cooperazione fondata sulla fede
comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di Cristo
stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica è una
vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione
conduce alla piena unità di fede: « Da questa cooperazione i credenti in Cristo
possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».68
Agli occhi del mondo la cooperazione tra i
cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa
strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.
Strutture locali di dialogo
31. L'impegno per il dialogo ecumenico, così
come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere
prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o
particolari. Speciali commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione
ecumenica sono state istituite dalle Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle
Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune strutture operano a livello
delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e
generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari
sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico.55 Il
dialogo non soltanto è stato intrapreso; esso è diventato una necessità
dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di conseguenza affinata
la « tecnica » per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito
di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo
tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, « avviato tra esponenti
debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della
propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche ».56 Tuttavia
giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo.
32. Come afferma la Dichiarazione conciliare
sulla libertà religiosa, « la verità va cercata in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca
libera, con l'aiuto del Magistero o dell'insegnamento, della comunicazione e
del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca
della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che
ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire
fermamente con assenso personale ».57
Il dialogo ecumenico ha una importanza
essenziale. « Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una più giusta stima della dottrina e della vita di entrambe le
Comunioni, e inoltre quelle Comunioni conseguono una più ampia
collaborazione in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana
per il bene comune e, nel modo come è permesso, si radunino per pregare
insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa
la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e
di riforma ».58
Dialogo come esame di coscienza
33. Nell'intento del Concilio, il dialogo
ecumenico ha il carattere di una comune ricerca della verità, in particolare
sulla Chiesa. Infatti, la verità forma le coscienze ed orienta il loro agire a
favore dell'unità. Allo stesso tempo, essa esige che la coscienza dei
cristiani, fratelli fra loro divisi, e le loro opere siano sottomesse alla
preghiera di Cristo per l'unità. Vi è sinergia tra preghiera e dialogo. Una
preghiera più profonda e consapevole rende il dialogo più ricco di frutti. Se
da una parte, la preghiera è la condizione per il dialogo, dall'altra essa ne
diventa, in forma sempre più matura, il frutto.
34. Grazie al dialogo ecumenico possiamo
parlare di maggiore maturità della nostra reciproca preghiera comune. Ciò è
possibile in quanto il dialogo adempie anche e contemporaneamente alla
funzione di un esame di coscienza. Come non ricordare in questo contesto le
parole della Prima Lettera di Giovanni? « Se diciamo che siamo senza peccato,
inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri
peccati, egli (Dio) che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci
purificherà da ogni colpa » (1, 8-9). Giovanni si spinge ancora più in là
quando afferma: « Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un
bugiardo e la sua parola non è in noi » (1, 10). Unaesortazione tanto
radicale a riconoscere la nostra condizione di peccatori deve anche essere
una caratteristica dello spirito con il quale si affronta il dialogo ecumenico.
Se esso non diventasse un esame di coscienza, come un « dialogo delle coscienze
», potremmo noi contare su quella certezza che la medesima Lettera ci
trasmette? « Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se
qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo
giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per
i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo » (2, 1-2). Tutti i peccati del
mondo sono stati compresi nel sacrificio salvifico di Cristo, e dunque anche
quelli commessi contro l'unità della Chiesa: i peccati dei cristiani, dei
pastori non meno che dei fedeli. Anche dopo i tanti peccati che hanno
contribuito alle storiche divisioni,l'unità dei cristiani è possibile, a
patto di essere umilmente consapevoli di aver peccato contro l'unità e convinti
della necessità della nostra conversione. Non soltanto i peccati personali
debbono essere rimessi e superati, ma anche quelli sociali, come a dire le «
strutture » stesse del peccato, che hanno contribuito e possono contribuire
alla divisione e al suo consolidamento.
35. Ancora una volta il Concilio Vaticano II
ci viene in aiuto. Si può dire che l'intero Decreto sull'ecumenismo sia pervaso
dallo spirito di conversione.59 Il dialogo ecumenico acquista in questo
documento un carattere proprio; esso si trasforma in « dialogo della
conversione », e dunque, secondo l'espressione di Papa Paolo VI, in
autentico « dialogo della salvezza ».60 Il dialogo non può svolgersi seguendo
un andamento esclusivamente orizzontale, limitandosi all'incontro, allo scambio
di punti di vista, o persino di doni propri a ciascuna Comunità. Esso tende
anche e soprattutto ad una dimensione verticale, la quale lo orienta verso
Colui che, Redentore del mondo e Signore della storia, è la nostra
riconciliazione. La dimensione verticale del dialogo sta nel comune e reciproco
riconoscimento della nostra condizione di uomini e donne che hanno peccato. È
proprio esso ad aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione
fra di loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della
Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito
Paraclito.
Dialogo per risolvere le divergenze
36. Il dialogo è anche strumento naturale
per mettere a confronto i diversi punti di vista e soprattutto esaminare quelle
divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione dei cristiani tra di loro.
Il Decreto sull'ecumenismo si sofferma, in primo luogo, a descrivere le
disposizioni morali con le quali vanno affrontate le conversazioni dottrinali:
« Nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, restando fedeli alla dottrina
della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono
procedere con amore della verità, con carità e umiltà ».61
L'amore della verità è la dimensione più
profonda di una autentica ricerca della piena comunione tra i cristiani. Senza
quest'amore, sarebbe impossibile affrontare le obiettive difficoltà teologiche,
culturali, psicologiche e sociali che si incontrano nell'esaminare le
divergenze. A questa dimensione interiore e personale va inseparabilmente
associato lo spirito di carità e di umiltà. Carità verso l'interlocutore,
umiltà verso la verità che si scopre e che potrebbe richiedere revisioni di
affermazioni e di atteggiamenti.
Per quanto riguarda lo studio delle
divergenze, il Concilio richiede che tutta la dottrina sia esposta con
chiarezza. Nello stesso tempo, esso domanda che il modo ed il metodo di
enunciare la fede cattolica non sia di ostacolo al dialogo con i fratelli.62
Certamente è possibile testimoniare la propria fede e spiegarne la dottrina in
un modo che sia corretto, leale e comprensibile, e tenga contemporaneamente
presenti sia le categorie mentali che l'esperienza storica concreta dell'altro.
Ovviamente, la piena comunione dovrà
realizzarsi nell'accettazione della verità tutta intera, alla quale lo Spirito
Santo introduce i discepoli di Cristo. Va pertanto ed assolutamente evitata
ogni forma di riduzionismo o di facile « concordi- smo ». Le questioni serie
vanno risolte perché se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi,
con identica configurazione o sotto altre spoglie.
37. Il Decreto Unitatis redintegratio
indica anche un criterio da seguire quando si tratta per i cattolici di
presentare o mettere a confronto le dottrine: « Si ricordino che esiste un
ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso
il loro nesso con il fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via,
nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti
verso una più profonda conoscenza e una più chiara manifestazione delle
insondabili ricchezze di Cristo ».63
38. Nel dialogo ci si imbatte
inevitabilmente nel problema delle differenti formulazioni con le quali è espressa
la dottrina nelle varie Chiese e Comunità ecclesiali, ciò che ha più di una
conseguenza per il compito ecumenico.
In primo luogo, davanti a formulazioni
dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si
appartiene, conviene senz'altro appurare se le parole non sottintendano un
identico contenuto, come è stato, ad esempio, constatato in recenti
dichiarazioni comuni, firmate dai miei Predecessori e da me, assieme a
Patriarchi di Chiese con le quali esisteva da secoli un contenzioso
cristologico. Per quanto riguarda la formulazione delle verità rivelate, la
Dichiarazione Mysterium Ecclesiae afferma: « Sebbene le verità che la
Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si
distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere
espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del
sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni.
Ciò premesso, si deve dire che le formule dogmatiche del Magistero della
Chiesa fin dall'inizio furono adatte a comunicare la verità rivelata, e che
restano sempre adatte a comunicarla a chi le comprende rettamente ».64 A questo
riguardo, il dialogo ecumenico, che stimola le parti in esso coinvolte ad interrogarsi,
capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e
le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni incompatibili
ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare la stessa
realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la formula che,
cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere letture
parziali e di eliminare false interpretazioni.
Uno dei vantaggi dell'ecumenismo è che per
suo tramite le Comunità cristiane sono aiutate a scoprire l'insondabile
ricchezza della verità. Anche in questo contesto, tutto ciò che lo Spirito
opera negli « altri » può contribuire all'edificazione di ogni comunità 65 e in
un certo modo ad istruirla sul mistero di Cristo. L'ecumenismo autentico è una
grazia di verità.
39. Il dialogo infine pone gli interlocutori
di fronte a vere e proprie divergenze che toccano la fede. Soprattutto queste
divergenze vanno affrontate con sincero spirito di carità fraterna, di rispetto
delle esigenze della propria coscienza e della coscienza del prossimo, con
profonda umiltà e amore verso la verità. Il confronto in questa materia ha due
punti di riferimento essenziali: la Sacra Scrittura e la grande Tradizione
della Chiesa. Ai cattolici viene in aiuto il Magistero sempre vitale della
Chiesa.
La collaborazione pratica
40. Le relazioni tra i cristiani non tendono
alla sola conoscenza reciproca, alla preghiera comune ed al dialogo. Esse
prevedono ed esigono sin da ora ogni possibile collaborazione pratica ai vari
livelli: pastorale, culturale, sociale, e anche nella testimonianza al
messaggio del Vangelo.66
« La cooperazione di tutti i cristiani
esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro, e pone in una luce
più piena il volto di Cristo servo ».67 Una tale cooperazione fondata sulla
fede comune, non soltanto è densa di comunione fraterna, ma è una epifania di
Cristo stesso.
Inoltre, la cooperazione ecumenica è una
vera scuola di ecumenismo, è una via dinamica verso l'unità. L'unità di azione
conduce alla piena unità di fede: « Da questa cooperazione i credenti in Cristo
possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».68
Agli occhi del mondo la cooperazione tra i
cristiani assume le dimensioni della comune testimonianza cristiana e diventa
strumento di evangelizzazione a beneficio degli uni e degli altri.
II
I
FRUTTI DEL DIALOGO
La fraternità ritrovata
41. Quanto detto sopra a proposito del dialogo
ecumenico dalla conclusione del Concilio in poi induce a rendere grazie allo
Spirito di verità promesso da Cristo Signore agli Apostoli e alla Chiesa (cfr Gv
14, 26). È la prima volta nella storia che l'azione in favore dell'unità dei
cristiani ha assunto proporzioni così grandi e si è estesa ad un ambito tanto
vasto. Ciò è già un immenso dono che Dio ha concesso e che merita tutta la
nostra gratitudine. Dalla pienezza di Cristo riceviamo « grazia su grazia » (Gv
1, 16). Riconoscere quanto Dio ha già concesso è la condizione che ci
predispone a ricevere quei doni ancora indispensabili per condurre a compimento
l'opera ecumenica dell'unità.
Uno sguardo d'insieme sugli ultimi
trent'anni fa meglio comprendere molti dei frutti di questa comune conversione
al Vangelo di cui lo Spirito di Dio ha fatto strumento il movimento ecumenico.
42. Avviene ad esempio che — nello stesso
spirito del Discorso della montagna — i cristiani appartenenti ad una
confessione non considerino più gli altri cristiani come nemici o stranieri, ma
vedano in essi dei fratelli e delle sorelle. D'altro canto, persino
all'espressione fratelli separati, l'uso tende a sostituire oggi
vocaboli più attenti ad evocare la profondità della comunione — legata al
carattere battesimale — che lo Spirito alimenta malgrado le rotture storiche e
canoniche. Si parla degli « altri cristiani », degli « altri battezzati », dei
« cristiani delle altre Comunità ». Il Direttorio per l'applicazione dei
principi e delle norme sull'ecumenismo designa le Comunità alle quali
appartengono questi cristiani come « Chiese e Comunità ecclesiali che non sono
in piena comunione con la Chiesa cattolica ».69 Tale ampliamento del lessico
traduce una notevole evoluzione delle mentalità. La consapevolezza della comune
appartenenza a Cristo si approfondisce. L'ho potuto constatare molte volte di
persona, durante le celebrazioni ecumeniche che sono uno degli eventi
importanti dei miei viaggi apostolici nelle varie parti del mondo, o negli
incontri e nelle celebrazioni ecumeniche che hanno avuto luogo a Roma. La «
fraternità universale » dei cristiani è diventata una ferma convinzione
ecumenica. Relegando nell'oblio le scomuniche del passato, le Comunità un tempo
rivali oggi in molti casi si aiutano a vicenda; a volte gli edifici di culto
vengono prestati, si offrono borse di studio per la formazione dei ministri
delle Comunità più prive di mezzi, si interviene presso le autorità civili per
la difesa di altri cristiani ingiustamente incriminati, si dimostra
l'infondatezza delle calunnie di cui sono vittime certi gruppi.
In una parola, i cristiani si sono
convertiti ad una carità fraterna che abbraccia tutti i discepoli di Cristo. Se
accade che, a motivo di sommovimenti politici violenti, affiori in situazioni
concrete una certa aggressività, oppure uno spirito di rivalsa, le autorità
delle parti in causa si adoperano in genere per far prevalere la « Legge nuova
» dello spirito di carità. Purtroppo, un tale spirito non ha potuto trasformare
tutte le situazioni di conflitto cruento. L'impegno ecumenico in queste
circostanze richiede non di rado da chi lo esercita scelte di autentico
eroismo.
Bisogna ribadire a questo riguardo che il
riconoscimento della fraternità non è la conseguenza di un filantropismo
liberale o di un vago spirito di famiglia. Esso si radica nel riconoscimento
dell'unico Battesimo e nella conseguente esigenza che Dio sia glorificato nella
sua opera. Il Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme
sull'ecumenismo auspica un reciproco e ufficiale riconoscimento dei
Battesimi70. Ciò che va ben al di là di un atto di cortesia ecumenica e
costituisce una basilare affermazione ecclesiologica.
Va opportunamente ricordato che il carattere
fondamentale del Battesimo nell'opera di edificazione della Chiesa è stato chiaramente
evidenziato anche grazie al dialogo multilaterale.71
La solidarietà nel servizio all'umanità
43. Accade sempre più spesso che i
responsabili delle Comunità cristiane prendano insieme posizione, in nome di
Cristo, su problemi importanti che toccano la vocazione umana, la libertà, la
giustizia, la pace, il futuro del mondo. Così facendo essi « comunicano » in
uno degli elementi costitutivi della missione cristiana: ricordare alla
società, in un modo che sappia essere realista, la volontà di Dio, mettendo in
guardia le autorità e i cittadini perché non seguano la china che condurrebbe a
calpestare i diritti umani. È chiaro, e l'esperienza lo dimostra, che in alcune
circostanze la voce comune dei cristiani ha più impatto di una voce isolata.
I responsabili delle Comunità non sono
tuttavia i soli ad unirsi in questo impegno per l'unità. Numerosi cristiani di
tutte le Comunità, a motivo della loro fede, partecipano insieme a progetti
coraggiosi che si propongono di cambiare il mondo nel senso di far trionfare il
rispetto dei diritti e dei bisogni di tutti, specie dei poveri, degli umiliati
e degli indifesi. Nella Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis ho
constatato con gioia questa collaborazione, sottolineando che la Chiesa
cattolica non può sottrarvisi.72 Infatti i cristiani, che un tempo agivano in
modo indipendente, sono ora impegnati insieme a servizio di questa causa,
perché la benevolenza di Dio possa trionfare.
La logica è già quella del Vangelo. Per
questo motivo, ribadendo quanto avevo scritto nella mia prima Lettera
enciclica, la Redemptor hominis, ho avuto occasione « di insistere su
questo punto e di incoraggiare ogni sforzo compiuto in questa direzione, a
tutti i livelli in cui ci incontriamo con gli altri nostri fratelli cristiani »
73 ed ho ringraziato Dio « di ciò che egli ha già compiuto nelle altre Chiese e
Comunità ecclesiali e per mezzo loro », come anche per mezzo della Chiesa
cattolica.74 Oggi constato con soddisfazione che la già vasta rete di
collaborazione ecumenica si estende sempre di più. Anche per influsso del
Consiglio ecumenico delle Chiese, si compie un grande lavoro in questo campo.
Convergenze nella parola di Dio e nel
culto divino
44. I progressi della conversione ecumenica
sono significativi anche in un altro settore, quello relativo alla Parola di
Dio. Penso prima di tutto ad un evento così importante per svariati gruppi
linguistici come le traduzioni ecumeniche della Bibbia. Dopo la promulgazione,
da parte del Concilio Vaticano II, della Costituzione Dei Verbum, la Chiesa
cattolica non poteva non accogliere con gioia questa realizzazione.75 Tali
traduzioni, opera di specialisti, offrono generalmente una base sicura alla
preghiera e all'attività pastorale di tutti i discepoli di Cristo. Chi ricorda
quanto abbiano influito sulle divisioni, specie in Occidente, i dibattiti
attorno alla Scrittura, può comprendere quale notevole passo avanti
rappresentino tali traduzioni comuni.
45. Al rinnovamento liturgico compiuto dalla
Chiesa cattolica, ha corrisposto in diverse Comunità ecclesiali l'iniziativa di
rinnovare il loro culto. Alcune di esse, sulla base dell'auspicio espresso a
livello ecumenico,76 hanno abbandonato la consuetudine di celebrare la loro
liturgia della Cena soltanto in rare occasioni ed hanno optato per una celebrazione
domenicale. D'altra parte, paragonando i cicli delle letture liturgiche di
diverse Comunità cristiane occidentali, si constata che essi convergono per
l'essenziale. Sempre a livello ecumenico,77 si è dato un rilievo del tutto
speciale alla liturgia e ai segni liturgici (immagini, icone, paramenti, luce,
incenso, gestualità). Inoltre, negli istituti di teologia dove si formano i
futuri ministri, lo studio della storia e del significato della liturgia
comincia a far parte dei programmi, come un bisogno che si sta riscoprendo.
Si tratta di segni di convergenza che
riguardano vari aspetti della vita sacramentale. Certamente, a causa di
divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile concelebrare la stessa
liturgia eucaristica. Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare
insieme l'unica Eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode
comune, una stessa implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo
sempre di più « con un cuore solo ». A volte, il poter finalmente suggellare
questa comunione « reale sebbene non ancora piena » sembra essere più vicino.
Chi avrebbe potuto un secolo fa anche solo pensarlo?
46. In questo contesto, è motivo di gioia
ricordare che i ministri cattolici possano, in determinati casi particolari,
amministrare i sacramenti dell'Eucaristia, della Penitenza, dell'Unzione degli
infermi ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa
cattolica, ma che desiderano ardentemente riceverli, li domandano liberamente,
e manifestano la fede che la Chiesa cattolica confessa in questi sacramenti.
Reciprocamente, in determinati casi e per particolari circostanze, anche i
cattolici possono fare ricorso per gli stessi sacramenti ai ministri di quelle
Chiese in cui essi sono validi. Le condizioni per tale reciproca accoglienza
sono stabilite in norme e la loro osservanza si impone per la promozione
ecumenica.78
Apprezzare i beni presenti tra gli altri
cristiani
47. Il dialogo non si articola
esclusivamente attorno alla dottrina, ma coinvolge tutta la persona: esso è
anche un dialogo d'amore. Il Concilio ha affermato: « È necessario che i
cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani,
promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi
separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita
degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo, talora sino all'effusione
del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre stupendo e
sorprendente nelle sue opere ».79
48. Le relazioni che i membri della Chiesa
cattolica hanno stabilito con gli altri cristiani dal Concilio in poi, hanno
fatto scoprire ciò che Dio opera in coloro che appartengono alle altre Chiese e
Comunità ecclesiali. Questo contatto diretto, a vari livelli, tra i pastori e
tra i membri delle Comunità, ci ha fatto prendere coscienza della testimonianza
che gli altri cristiani rendono a Dio e a Cristo. Si è così aperto un
vastissimo spazio per tutta l'esperienza ecumenica, che è allo stesso tempo la
sfida che si pone a questa nostra epoca. Il XX secolo non è forse un tempo di
grande testimonianza, che va « fino all'effusione del sangue »? Ed essa non
riguarda forse anche le varie Chiese e Comunità ecclesiali, che traggono il
loro nome da Cristo, crocifisso e risorto?
Tale comune testimonianza della santità,
come fedeltà all'unico Signore, è un potenziale ecumenico straordinariamente
ricco di grazia. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato che i beni presenti
negli altri cristiani possono contribuire all'edificazione dei cattolici: « Né
si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene fatto nei
fratelli separati, può contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che è
veramente cristiano mai è contrario ai veri benefici della fede, anzi può sempre
far sì, che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più
perfettamente ».80 Il dialogo ecumenico, come vero dialogo di salvezza, non
mancherà di stimolare questo processo, già in se stesso ben avviato, a
progredire verso la vera e piena comunione.
Crescita della comunione
49. Frutto prezioso delle relazioni tra i
cristiani e del dialogo teologico che essi intrattengono è la crescita della
comunione. Le une e l'altro hanno reso consapevoli i cristiani degli elementi
di fede che essi hanno in comune. Ciò è servito a cementare ulteriormente il
loro impegno verso la piena unità. In tutto questo il Concilio Vaticano II
rimane potente centro di propulsione e di orientamento.
La Costituzione dogmatica Lumen gentium
collega la dottrina concernente la Chiesa cattolica al riconoscimento degli
elementi salvifici che si trovano nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali.81
Non si tratta di una presa di coscienza di elementi statici, passivamente
presenti in tali Chiese e Comunità. In quanto beni della Chiesa di Cristo, per
loro natura essi spingono verso il ristabilimento dell'unità. Ne consegue che
la ricerca dell'unità dei cristiani non è un atto facoltativo o di opportunità,
ma un'esigenza che scaturisce dall'essere stesso della comunità cristiana.
Similmente, i dialoghi teologici bilaterali
con le maggiori Comunità cristiane partono dal riconoscimento del grado di
comunione già in atto, per discutere poi in modo progressivo le divergenze
esistenti con ciascuna. Il Signore ha concesso ai cristiani del nostro tempo di
poter ridurre il contenzioso tradizionale.
Il dialogo con le Chiese d'Oriente
50. A questo riguardo, si deve innanzitutto
constatare, con particolare gratitudine alla Provvidenza divina, che il legame
con le Chiese d'Oriente, incrinato durante i secoli, si è rinsaldato con il
Concilio Vaticano II. Gli osservatori di queste Chiese presenti al Concilio,
assieme a rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali di Occidente, hanno
manifestato pubblicamente, in un momento così solenne per la Chiesa cattolica,
la comune volontà di ricercare la comunione.
Il Concilio, da parte sua, ha considerato
con oggettività e con profondo affetto le Chiese d'Oriente, mettendo in rilievo
la loro ecclesialità e gli oggettivi vincoli di comunione che le legano alla
Chiesa cattolica. Il Decreto sull'ecumenismo afferma: « Per mezzo della
celebrazione dell'Eucaristia del Signore in queste singole chiese la Chiesa di
Dio è edificata e cresce », aggiungendo, di conseguenza, che tali chiese «
quantunque separate, hanno veri sacramenti e soprattutto in forza della
successione apostolica, il Sacerdozio e l'Eucaristia, per mezzo dei quali
restano ancora unite con noi da strettissimi vincoli ».82
Delle Chiese d'Oriente è stata riconosciuta
la grande tradizione liturgica e spirituale, il carattere specifico del loro
sviluppo storico, le discipline da loro seguite sin dai primi tempi e sancite
dai santi Padri e dai Concili ecumenici, il modo che è loro proprio di
enunciare la dottrina. Tutto ciò nella convinzione che la legittima diversità
non si oppone affatto all'unità della Chiesa, anzi ne accresce il decoro e
contribuisce non poco al compimento della sua missione.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II vuole fondare
il dialogo sulla comunione esistente e richiama l'attenzione proprio sulla
ricca realtà delle Chiese d'Oriente: « Perciò il santo Concilio esorta tutti,
ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della
desiderata piena comunione tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica,
affinché tengano in debita considerazione questa speciale condizione della
nascita e della crescita delle Chiese d'Oriente, e la natura delle relazioni
vigenti fra esse e la sede di Roma prima della separazione, e si formino un
equo giudizio su tutte queste cose ».83
51. Questo orientamento conciliare è stato
fecondo sia per le relazioni di fraternità, che sono andate sviluppandosi per
mezzo del dialogo della carità, sia per la discussione dottrinale nell'ambito
della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la
Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Esso è stato
altrettanto ricco di frutti nelle relazioni con le antiche Chiese dell'Oriente.
Si è trattato di un processo lento e
laborioso, che è stato però fonte di molta gioia; ed è stato anche
entusiasmante, poiché ha permesso di ritrovare progressivamente la fraternità.
La ripresa dei contatti
52. Per quanto riguarda la Chiesa di Roma e
il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, il processo a cui abbiamo appena
fatto cenno ha preso avvio grazie alla reciproca apertura mostrata dai Papi
Giovanni XXIII e Paolo VI, da una parte, e dal Patriarca ecumenico Athenagoras
I e dai suoi successori, dall'altra. Il mutamento operato ha la sua espressione
storica nell'atto ecclesiale per il cui tramite « si è tolto dalla memoria e
dal mezzo delle Chiese » 84 il ricordo delle scomuniche che novecento anni
prima, nel 1054, erano diventate simbolo dello scisma tra Roma e
Costantinopoli. Quell'evento ecclesiale, tanto denso di impegno ecumenico,
avvenne negli ultimi giorni del Concilio, il 7 dicembre del 1965. L'assise
conciliare si concludeva così con un atto solenne che era al tempo stesso
purificazione della memoria storica, perdono reciproco e solidale impegno per
la ricerca della comunione.
Questo gesto era stato preceduto
dall'incontro di Paolo VI e del Patriarca Athenagoras I a Gerusalemme, nel
gennaio del 1964, durante il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa. In
quell'occasione egli poté anche incontrare il Patriarca ortodosso di
Gerusalemme, Benedictos. In seguito, Papa Paolo poteva far visita al Patriarca
Athenagoras al Fanar (Istanbul) il 25 luglio del 1967 e, nel mese di ottobre
dello stesso anno, il Patriarca era accolto solennemente a Roma. Questi
incontri nella preghiera additavano la via da seguire per il riavvicinamento
tra la Chiesa d'Oriente e la Chiesa d'Occidente ed il ristabilimento dell'unità
che esisteva tra loro nel primo millennio.
Dopo la morte di Papa Paolo VI ed il breve
pontificato di Papa Giovanni Paolo I, quando mi è stato affidato il ministero
di Vescovo di Roma, ho ritenuto che fosse uno dei primi doveri del mio servizio
pontificio rinnovare un personale contatto con il Patriarca ecumenico Dimitrios
I, il quale aveva nel frattempo assunto, nella sede di Costantinopoli, la
successione del Patriarca Athenagoras. Durante la mia visita al Fanar il 29
novembre del 1979, potemmo, il Patriarca ed io, decidere di inaugurare il
dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e tutte le Chiese ortodosse in
comunione canonica con la sede di Costantinopoli. Sembra importante aggiungere,
a questo proposito, che allora erano già in corso i preparativi per la
convocazione del futuro Concilio delle Chiese ortodosse. La ricerca della loro
armonia è un contributo alla vita e alla vitalità di quelle Chiese sorelle, e
ciò anche in considerazione della funzione che esse sono chiamate a svolgere
nel cammino verso l'unità. Il Patriarca ecumenico ha voluto restituirmi la
visita che gli avevo reso, e nel dicembre del 1987 ho avuto la gioia di
accoglierlo a Roma, con affetto sincero e con la solennità che gli era dovuta.
In questo contesto di fraternità ecclesiale, va ricordata la consuetudine,
ormai stabilita da vari anni, di accogliere a Roma, per la festa dei santi
apostoli Pietro e Paolo, una delegazione del Patriarcato ecumenico, così come
di inviare al Fanar una delegazione della Santa Sede per la solenne
celebrazione di sant'Andrea.
53. Questi regolari contatti permettono tra
l'altro uno scambio diretto di informazioni e di pareri per un fraterno
coordinamento. D'altra parte, la nostra reciproca partecipazione alla preghiera
ci riabitua a vivere fianco a fianco, ci induce ad accogliere insieme, e dunque
a mettere in pratica, la volontà del Signore per la sua Chiesa.
Lungo il cammino che abbiamo percorso dal
Concilio Vaticano II in poi, vanno menzionati almeno due eventi particolarmente
eloquenti e di grande rilevanza ecumenica nelle relazioni tra Oriente ed
Occidente: in primo luogo, il Giubileo del 1984, indetto per commemorare l'XI
centenario dell'opera evangelizzatrice di Cirillo e Metodio e che mi ha
permesso di proclamare compatroni d'Europa i due santi apostoli degli Slavi,
messaggeri di fede. Già Papa Paolo VI nel 1964, durante il Concilio, aveva
proclamato san Benedetto patrono d'Europa. Associare i due Fratelli di
Tessalonica al grande fondatore del monachesimo occidentale vale a mettere
indirettamente in risalto quella duplice tradizione ecclesiale e culturale
tanto significativa per i duemila anni di cristianesimo che hanno
caratterizzato la storia del continente europeo. Non è quindi superfluo
ricordare che Cirillo e Metodio provenivano dall'ambito della Chiesa bizantina
del loro tempo, epoca durante la quale essa era in comunione con Roma. Nel
proclamarli, assieme a san Benedetto, patroni d'Europa, desideravo non soltanto
confermare la verità storica sul cristianesimo nel continente europeo, ma anche
fornire un importante tema a quel dialogo tra Oriente ed Occidente, che tante
speranze ha suscitato nel dopo Concilio. Come in san Benedetto, nei santi
Cirillo e Metodio l'Europa ritrova le sue radici spirituali. Ora che volge al
termine il secondo millennio dalla nascita di Cristo, essi debbono essere
venerati insieme, come patroni del nostro passato e come santi ai quali
le Chiese e le nazioni del continente europeo affidano il loro avvenire.
54. L'altro evento che mi piace richiamare
alla mente è la celebrazione del Millennio del Battesimo della Rus' (988-1988).
La Chiesa cattolica, ed in modo particolare la Sede Apostolica, hanno voluto
prendere parte alle celebrazioni giubilari ed hanno cercato di sottolineare
come il Battesimo conferito a Kiev a san Vladimiro sia stato uno degli eventi
centrali per l'evangelizzazione del mondo. Ad esso debbono la loro fede non
soltanto le grandi nazioni slave dell'Est europeo, ma anche quei popoli che
vivono oltre i monti Urali e fino all'Alaska.
In questa prospettiva, un'espressione che ho
più volte adoperato trova il suo motivo più profondo: la Chiesa deve respirare
con i suoi due polmoni! Nel primo millennio della storia del cristianesimo essa
si riferisce soprattutto alla dualità Bisanzio-Roma; dal Battesimo della Rus'
in poi, tale espressione dilata i suoi confini: l'evangelizzazione si è estesa ad
un ambito ben più vasto, così che essa abbraccia ormai l'intera Chiesa. Se si
considera poi che tale evento salvifico, avvenuto lungo le sponde del Dniepr,
risale ad una epoca durante la quale la Chiesa in Oriente e quella in Occidente
non erano divise, si comprende chiaramente come la prospettiva secondo la quale
la piena comunione va ricercata sia quella dell'unità nella legittima
diversità. È quanto ho affermato con forza nell'Epistola enciclica Slavorum
apostoli 85 dedicata ai santi Cirillo e Metodio e nella Lettera apostolica Euntes
in mundum 86 diretta ai fedeli della Chiesa cattolica nella commemorazione
del Millennio del Battesimo della Rus' di Kiev.
Chiese sorelle
55. Il Decreto conciliare Unitatis
redintegratio nel suo orizzonte storico tiene presente l'unità che,
malgrado tutto, fu vissuta nel primo millennio. Essa assume in un certo senso
configurazione di modello. « È cosa gradita per il sacro Concilio [...]
richiamare alla mente di tutti, che in Oriente prosperano molte Chiese
particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le Chiese
patriarcali, e non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli
stessi Apostoli ».87 Il cammino della Chiesa è iniziato a Gerusalemme il giorno
di Pentecoste e tutto il suo originale sviluppo nell'oikoumene di allora
si concentrava attorno a Pietro e agli Undici (cfr At 2, 14). Le
strutture della Chiesa in Oriente e in Occidente si formavano dunque in
riferimento a quel patrimonio apostolico. La sua unità, entro i limiti del
primo millennio, si manteneva in quelle stesse strutture mediante i Vescovi,
successori degli Apostoli, in comunione con il Vescovo di Roma. Se oggi noi
cerchiamo, al termine del secondo millennio, di ristabilire la piena comunione,
è a questa unità così strutturata che dobbiamo riferirci.
Il Decreto sull'ecumenismo mette in rilievo
un ulteriore aspetto caratteristico, grazie al quale tutte le Chiese
particolari permanevano nell'unità, la « preoccupazione — cioè — e la cura di
conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne
relazioni che, come tra sorelle, ci devono essere tra le Chiese locali ».88
56. Dopo il Concilio Vaticano II e
ricollegandosi a quella tradizione, si è ristabilito l'uso di attribuire
l'appellativo di « Chiese sorelle » alle Chiese particolari o locali radunate
attorno al loro Vescovo. La soppressione poi delle reciproche scomuniche,
rimovendo un doloroso ostacolo di ordine canonico e psicologico, è stato un
passo molto significativo nel cammino verso la piena comunione.
Le strutture d'unità esistenti prima della
divisione sono un patrimonio d'esperienza che guida il nostro cammino verso il
ritrovamento della piena comunione. Ovviamente, durante il secondo millennio,
il Signore non ha cessato di dare alla sua Chiesa abbondanti frutti di grazia e
di crescita. Ma purtroppo il progressivo reciproco allontanamento tra le Chiese
d'Occidente e d'Oriente le ha private delle ricchezze di mutui doni ed aiuti.
Occorre compiere con la grazia di Dio un grande sforzo per ristabilire fra esse
la piena comunione, fonte di tanti beni per la Chiesa di Cristo. Tale sforzo
richiede tutta la nostra buona volontà, la preghiera umile e una collaborazione
perseverante che nulla deve scoraggiare. San Paolo ci sprona: « Portate i pesi
gli uni degli altri » (Gal 6, 2). Come si adatta a noi e come è attuale
l'esortazione dell'Apostolo! L'appellativo tradizionale di « Chiese sorelle »
dovrebbe incessantemente accompagnarci in questo cammino.
57. Come auspicava Papa Paolo VI, il nostro
scopo dichiarato è di ritrovare insieme la piena unità nella legittima
diversità: « Dio ci ha concesso di ricevere nella fede questa testimonianza
degli Apostoli. Per mezzo del Battesimo noi siamo uno in Cristo Gesù
(cfr Gal 3, 28). In virtù della successione apostolica, il sacerdozio e
l'Eucaristia ci uniscono più intimamente; partecipando ai doni di Dio alla sua
Chiesa, noi siamo in comunione con il Padre, per mezzo del Figlio, nello
Spirito Santo [...]. In ogni Chiesa locale si realizza questo mistero
dell'amore divino. Non è forse questa la ragione dell'espressione tradizionale
e tanto bella per cui le Chiese locali amavano designarsi quali Chiese sorelle?
(cfr Decr. Unitatis redintegratio, 14). Questa vita di Chiese sorelle,
noi l'abbiamo vissuta durante secoli, celebrando insieme i Concili ecumenici,
che hanno difeso il deposito della fede da ogni alterazione. Ora, dopo un lungo
periodo di divisione e incomprensione reciproca, il Signore ci concede di
riscoprirci come Chiese sorelle, nonostante gli ostacoli che nel passato si
sono frapposti tra di noi ».89 Se oggi, alle soglie del terzo millennio, noi
ricerchiamo il ristabilimento della piena comunione, è all'attuazione di questa
realtà che dobbiamo tendere ed è a questa realtà che dobbiamo fare riferimento.
Il contatto con questa gloriosa tradizione è
fecondo per la Chiesa. « Le Chiese d'Oriente — afferma il Concilio — hanno fin
dall'origine un tesoro, dal quale la Chiesa d'Occidente molte cose ha prese nel
campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell'ordine giuridico ».90
Sono parte di questo « tesoro » anche « le
ricchezze di quelle tradizioni spirituali, che sono state espresse specialmente
dal monachesimo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi Padri fiorì
quella spiritualità monastica, che si estese poi all'Occidente ».91 Come ho
avuto modo di rilevare nella recente Lettera apostolica Orientale lumen,
le Chiese d'Oriente hanno vissuto con grande generosità l'impegno testimoniato
dalla vita monastica, « a cominciare dalla evangelizzazione, che è il servizio
più alto che il cristiano possa offrire al fratello, per proseguire in molte
altre forme di servizio spirituale e materiale. Si può anzi dire che il
monachesimo sia stato nell'antichità — e, a varie riprese, anche in tempi
successivi — lo strumento privilegiato per l'evangelizzazione dei popoli ».92
Il Concilio non si limita a mettere in
rilievo tutto ciò che rende le Chiese in Oriente ed in Occidente simili tra
loro. In armonia con la verità storica, esso non esita ad affermare: « Non fa
meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in
modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché
si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si
completino, piuttosto che opporsi ».93 Lo scambio di doni fra le Chiese nella
loro complementarità rende feconda la comunione.
58. Dalla riaffermata comunione di fede già
esistente, il Concilio Vaticano II ha tratto delle conseguenze pastorali utili
alla vita concreta dei fedeli e alla promozione dello spirito d'unità. A
ragione degli strettissimi vincoli sacramentali esistenti tra la Chiesa
cattolica e le Chiese ortodosse, il Decreto Orientalium ecclesiarum ha
rilevato che « la prassi pastorale dimostra, per quanto riguarda i fratelli
orientali, che si possono e si devono considerare varie circostanze di singole
persone, nelle quali né si lede l'unità della Chiesa, né vi sono pericoli da
evitare, e invece urgono la necessità della salvezza e il bene spirituale delle
anime. Perciò la Chiesa cattolica, secondo le circostanze di tempi, di luoghi e
di persone, ha usato spesso e usa una più mite maniera di agire, offrendo a
tutti tra i cristiani i mezzi della salvezza e la testimonianza della carità,
per mezzo della partecipazione nei sacramenti e nelle altre funzioni e cose
sacre ».94
Tale orientamento teologico e pastorale, con
l'esperienza fatta negli anni del dopo Concilio, è stato assunto dai due Codici
di Diritto Canonico.95 Esso è stato esplicitato dal punto di vista pastorale
dal Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo.96
In questa materia tanto importante e
delicata, è necessario che i Pastori istruiscano con cura i fedeli affinché
essi conoscano con chiarezza le precise ragioni sia di tale condivisione per
quanto riguarda il culto liturgico che delle diverse discipline esistenti al
riguardo.
Non si deve mai perdere di vista la
dimensione ecclesiologica della partecipazione ai sacramenti, soprattutto della
santa Eucaristia.
Progressi del dialogo
59. Dalla sua creazione nel 1979, la Commissione
mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la
Chiesa ortodossa nel suo insieme ha lavorato intensamente, orientando
progressivamente la sua ricerca a quelle prospettive che, di comune accordo,
erano state determinate, con lo scopo di ristabilire la piena comunione tra le
due Chiese. Tale comunione fondata nell'unità di fede, in continuità con
l'esperienza e la tradizione della Chiesa antica, troverà la sua espressione
piena nella concelebrazione della santa Eucaristia. Con spirito positivo,
basandoci su quanto abbiamo in comune, la commissione mista ha potuto
progredire sostanzialmente e, come ho avuto modo di dichiarare insieme al
venerato Fratello, Sua Santità Dimitrios I, Patriarca ecumenico, essa è
pervenuta ad esprimere « ciò che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa
possono già professare insieme quale fede comune nel mistero della Chiesa ed il
vincolo tra la fede ed i sacramenti ».97 La commissione ha poi potuto
constatare ed affermare che « nelle nostre Chiese la successione apostolica è
fondamentale per la santificazione e l'unità del popolo di Dio ».98 Si tratta
di punti di riferimento importanti per la continuazione del dialogo. E c'è di
più: queste affermazioni fatte insieme costituiscono la base che abilita i
cattolici e gli ortodossi a rendere sin da ora, nel nostro tempo, una comune
testimonianza fedele e concorde perché il nome del Signore sia annunciato e
glorificato.
60. Più recentemente, la commissione mista
internazionale ha compiuto un significativo passo nella questione tanto
delicata del metodo da seguire nella ricerca della piena comunione tra la
Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, questione che ha spesso inasprito le
relazioni fra cattolici ed ortodossi. Essa ha posto le basi dottrinali per una
positiva soluzione del problema, che si fonda sulla dottrina delle Chiese
sorelle. Anche in questo contesto è apparso chiaramente che il metodo da
seguire verso la piena comunione è il dialogo della verità, nutrito e sostenuto
dal dialogo della carità. Il diritto riconosciuto alle Chiese orientali
cattoliche ad organizzarsi e svolgere il loro apostolato, così come l'effettivo
coinvolgimento di queste Chiese nel dialogo della carità e in quello teologico,
favoriranno non soltanto un reale e fraterno rispetto reciproco tra gli
ortodossi e i cattolici che vivono in uno stesso territorio, ma anche il loro
comune impegno nella ricerca dell'unità.99 Un passo avanti è stato compiuto.
L'impegno deve continuare. Sin da ora si può constatare, però, una pacificazione
degli spiriti, che rende la ricerca più feconda.
Per quanto riguarda le Chiese orientali in
comunione con la Chiesa cattolica, il Concilio aveva espresso il seguente
apprezzamento: « Questo Sacro Concilio, ringraziando Dio che molti Orientali
figli della Chiesa cattolica 1 vivano già in piena comunione con i fratelli che
seguono la tradizione occidentale, dichiara che tutto questo patrimonio
spirituale e liturgico, disciplinare e teologico, nelle diverse sue tradizioni,
appartiene alla piena cattolicità ed apostolicità della Chiesa ».100 Certamente
le Chiese orientali cattoliche, nello spirito del Decreto sull'ecumenismo,
sapranno partecipare positivamente al dialogo della carità e al dialogo
teologico, sia a livello locale che a livello universale, contribuendo così
alla reciproca comprensione e ad una dinamica ricerca della piena unità.101
61. In questa prospettiva, la Chiesa
cattolica null'altro vuole se non la piena comunione tra Oriente ed Occidente.
In ciò si ispira alla esperienza del primo millennio. In tale periodo, infatti,
« lo sviluppo di differenti esperienze di vita ecclesiale non impediva che,
mediante reciproche relazioni, i cristiani potessero continuare a provare la
certezza di essere a casa propria in qualsiasi Chiesa, perché da tutte si
levava, in mirabile varietà di lingue e modulazioni, la lode dell'unico Padre,
per Cristo nello Spirito Santo; tutte erano adunate per celebrare l'Eucaristia,
cuore e modello per la comunità non solo per quanto riguarda la spiritualità o
la vita morale, ma anche per la struttura stessa della Chiesa, nella varietà
dei ministeri e dei servizi sotto la presidenza del Vescovo successore degli
Apostoli. I primi Concili sono una testimonianza eloquente di questa perdurante
unità nella diversità ».102 In che modo ricomporre tale unità dopo quasi mille
anni? Ecco il grande compito che essa deve assolvere e che incombe anche alla
Chiesa ortodossa. Si comprende da qui tutta l'attualità del dialogo, sostenuto
dalla luce e dalla potenza dello Spirito Santo.
Relazioni con le antiche Chiese
dell'Oriente
62. Dal Concilio Vaticano II in poi, la
Chiesa cattolica, con modalità e ritmi diversi, ha riallacciato fraterne
relazioni anche con quelle antiche Chiese dell'Oriente che hanno contestato le
formule dogmatiche dei Concili di Efeso e di Calcedonia. Tutte queste Chiese
hanno inviato osservatori delegati al Concilio Vaticano II; i loro Patriarchi
ci hanno onorato della loro visita e con essi il Vescovo di Roma ha potuto
parlare come a dei fratelli che, dopo lungo tempo, si ritrovano nella gioia.
La ripresa delle relazioni fraterne con le
antiche Chiese dell'Oriente, testimoni della fede cristiana in situazioni
spesso ostili e tragiche, è un segno concreto di come Cristo ci unisca
nonostante le barriere storiche, politiche, sociali e culturali. E proprio per
quanto riguarda il tema cristologico, abbiamo potuto dichiarare insieme ai
Patriarchi di alcune di queste Chiese la nostra fede comune in Gesù Cristo,
vero Dio e vero uomo. Papa Paolo VI di venerata memoria aveva firmato delle
dichiarazioni in questo senso con Sua Santità Shenouda III, Papa e Patriarca
copto ortodosso; 103 e con il Patriarca siro ortodosso d'Antiochia, Sua Santità
Jacoub III.104 Io stesso ho potuto confermare tale accordo cristologico e
trarne delle conseguenze: per lo sviluppo del dialogo con il Papa Shenouda,105
e per la collaborazione pastorale con il Patriarca siro d'Antiochia Mar Ignazio
Zakka I Iwas.106
Con il venerato Patriarca della Chiesa
d'Etiopia, Abuna Paulos, che mi ha fatto visita a Roma l'11 giugno 1993,
abbiamo sottolineato la profonda comunione esistente tra le nostre due Chiese:
« Noi condividiamo la fede ricevuta dagli Apostoli, gli stessi sacramenti e lo
stesso ministero radicato nella successione apostolica[...]. Oggi infatti possiamo
affermare di avere la stessa fede in Cristo, allorché per lungo tempo essa è
stata causa di divisione tra di noi ».107
Più recentemente, il Signore mi ha dato la
grande gioia di sottoscrivere una dichiarazione comune cristologica con il
Patriarca assiro dell'Oriente, Sua Santità Mar Dinkha IV, che ha voluto per
questo motivo farmi visita a Roma nel mese di novembre 1994. Tenendo conto
delle formulazioni teologiche differenziate, abbiamo così potuto professare
insieme la vera fede in Cristo.108 Voglio dire la mia esultanza per tutto
questo con le parole della Vergine: « L'anima mia magnifica il Signore » (Lc
1, 46).
63. Per le tradizionali controversie sulla
cristologia, i contatti ecumenici hanno reso dunque possibili chiarimenti
essenziali, tanto da permetterci di confessare insieme quella fede che ci è
comune. Ancora una volta, si deve constatare che tale importante acquisizione è
sicuramente frutto della ricerca teologica e del dialogo fraterno. E non
soltanto questo. Essa ci è di incoraggiamento: ci mostra, infatti, che la via
percorsa è giusta e che si può ragionevolmente sperare di trovare insieme la
soluzione per le altre questioni controverse.
Dialogo con le altre Chiese e Comunità
ecclesiali in Occidente
64. Nell'ampio piano tracciato per il ristabilimento
dell'unità fra tutti i cristiani, il Decreto sull'ecumenismo prende ugualmente
in considerazione le relazioni con le Chiese e Comunità ecclesiali d'Occidente.
Con l'intento di instaurare un clima di fraternità cristiana e di dialogo, il
Concilio situa le sue indicazioni nell'ambito di due considerazioni di ordine
generale: l'una a carattere storico-psicologico e l'altra a carattere
teologico-dottrinale. Da una parte, il suddetto documento rileva: « Le Chiese e
le Comunità ecclesiali, che o in quel gravissimo sconvolgimento incominciato in
Occidente già alla fine del Medioevo o in tempi posteriori si sono separate
dalla sede apostolica romana, sono unite alla Chiesa cattolica da una speciale
affinità e stretta relazione, dato il lungo periodo di vita che il popolo
cristiano nei secoli passati trascorse nella comunione ecclesiastica ».109
D'altra parte, con altrettanto realismo si constata: « Bisogna però riconoscere
che tra queste Chiese e Comunità e la Chiesa cattolica vi sono importanti
divergenze, non solo d'indole storica, sociologica, psicologica e culturale, ma
soprattutto d'interpretazione della verità rivelata ».110
65. Sono comuni le radici e sono simili,
nonostante le differenze, gli orientamenti che hanno guidato in Occidente lo
sviluppo della Chiesa cattolica e delle Chiese e Comunità sorte dalla Riforma.
Di conseguenza esse possiedono una comune caratteristica occidentale. Le «
divergenze », pur importanti sopra accennate non escludono quindi reciproche
influenze e complementarietà.
Il movimento ecumenico ha preso avvio
proprio nell'ambito delle Chiese e Comunità della Riforma. Contemporaneamente,
e già nel gennaio del 1920, il Patriarcato ecumenico aveva espresso l'auspicio
che si organizzasse una collaborazione tra le Comunioni cristiane. Questo fatto
mostra che l'incidenza dello sfondo culturale non è decisiva. Essenziale è
invece la questione della fede. La preghiera di Cristo, nostro unico Signore,
Redentore e Maestro, parla a tutti nello stesso modo, all'Oriente come
all'Occidente. Essa diventa un imperativo che impone di abbandonare le
divisioni per ricercare e ritrovare l'unità, sospinti anche dalle stesse amare
esperienze della divisione.
66. Il Concilio Vaticano II non intende fare
la « descrizione » del cristianesimo del « dopo Riforma », poiché le Chiese e
le Comunità ecclesiali « differiscono non solo da noi, ma anche non poco tra di
loro » e questo « per la loro diversità di origine, di dottrina e di vita
spirituale ».111 Inoltre, lo stesso Decreto osserva che il movimento ecumenico
e il desiderio di pace con la Chiesa cattolica non è ancora invalso
dappertutto.112 Indipendentemente da queste circostanze, però, il Concilio
propone il dialogo.
Il Decreto conciliare cerca poi di « mettere
in risalto alcuni punti che possono 3 costituire il fondamento di questo
dialogo ed un incitamento ad esso ».113
« Il nostro pensiero si rivolge 4 a quei
cristiani che apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico
mediatore tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figlio e
Spirito Santo ».114
Questi fratelli coltivano amore e
venerazione per le Sacre Scritture: « Invocando lo Spirito Santo, essi cercano
nelle stesse Scritture Dio che parla ad essi in Cristo, preannunciato dai
Profeti, Verbo di Dio per noi incarnato. In esse contemplano la vita di Cristo
e quanto il Divino Maestro ha insegnato e compiuto per la salvezza degli
uomini, specialmente i misteri della sua morte e della sua resurrezione 5; essi
affermano la divina autorità dei libri sacri ».115
Allo stesso tempo, però, « pensano
diversamente da noi 6 circa il rapporto tra le Sacre Scritture e la Chiesa,
nella quale, secondo la fede cattolica, il Magistero autentico ha un posto
speciale nell'esporre e predicare la parola di Dio scritta ».116 Malgrado ciò, «
la Sacra Scrittura nello stesso dialogo 7 costituisce l'eccellente strumento
nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il
Salvatore offre a tutti gli uomini ».117
Inoltre, il sacramento del Battesimo che
abbiamo in comune rappresenta « il vincolo sacramentale dell'unità, che vige
tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati ».118 Le
implicazioni teologiche, pastorali ed ecumeniche del comune Battesimo sono
molte ed importanti. Sebbene di per sé costituisca « soltanto l'inizio e
l'esordio », questo sacramento « è ordinato all'integra professione della fede,
all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, come lo stesso
Cristo ha voluto e, infine, alla integra inserzione nella comunione eucaristica
».119
67. Divergenze dottrinali e storiche del
tempo della Riforma sono emerse a proposito della Chiesa, dei sacramenti e del
Ministero ordinato. Il Concilio richiede pertanto che « la dottrina circa la
Cena del Signore, gli altri sacramenti, il culto e i ministeri della Chiesa
costituiscano l'oggetto del dialogo ».120
Il Decreto Unitatis redintegratio,
rilevando come alle Comunità del dopo Riforma faccia difetto la « piena unità
con noi, derivante dal Battesimo », osserva che esse « specialmente per la
mancanza del sacramento dell'Ordine, non hanno conservata la genuina ed integra
sostanza del mistero eucaristico », anche se « nella Santa Cena fanno memoria
della morte e della risurrezione del Signore, professano che nella comunione di
Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa ».121
68. Il Decreto non dimentica la vita
spirituale e le conseguenze morali: « La vita cristiana di questi fratelli è
alimentata dalla fede in Cristo ed è aiutata dalla grazia del Battesimo e
dall'ascolto della parola di Dio. Si manifesta nella preghiera privata, nella
meditazione della Bibbia, nella vita della famiglia cristiana, nel culto della
comunità riunita a lodare Dio. Del resto il loro culto mostra talora importanti
elementi della comune liturgia antica ».122
Il documento conciliare, peraltro, non si
limita a questi aspetti spirituali, morali e culturali, ma estende il suo
apprezzamento al vivo sentimento della giustizia e alla sincera carità verso il
prossimo, che sono presenti in questi fratelli; esso inoltre non dimentica le
loro iniziative per rendere più umane le condizioni sociali della vita e per
ristabilire la pace. Tutto questo nella sincera volontà di aderire alla parola
di Cristo quale sorgente della vita cristiana.
In tal modo il testo rileva una problematica
che, in campo etico-morale, diventa sempre più urgente nel nostro tempo: «
Molti fra i cristiani non sempre 8 intendono il Vangelo alla stessa maniera dei
cattolici ».123 In questa vasta materia vi è un grande spazio di dialogo
attorno ai principi morali del Vangelo e alle loro applicazioni.
69. Gli auspici e l'invito del Concilio
Vaticano II sono stati attuati e si è progressivamente avviato il dialogo
teologico bilaterale con le varie Chiese e Comunità cristiane mondiali
d'Occidente.
D'altra parte, per il dialogo multilaterale,
già nel 1964 si iniziava il processo di costituzione di un « Gruppo Misto di
Lavoro » con il Consiglio Ecumenico delle Chiese e, dal 1968, dei teologi
cattolici entravano a far parte, come membri a pieno titolo, del Dipartimento
teologico di detto Consiglio, la Commissione « Fede e Costituzione ».
Il dialogo è stato ed è fecondo, ricco di
promesse. I temi suggeriti dal Decreto conciliare come materia di dialogo sono
stati già affrontati, o lo saranno a breve scadenza. La riflessione dei vari
dialoghi bilaterali, con una dedizione che merita l'elogio di tutta la comunità
ecumenica, si è concentrata su molte questioni controverse quali il Battesimo,
l'Eucaristia, il Ministero ordinato, la sacramentalità e l'autorità della Chiesa,
la successione apostolica. Si sono delineate così delle prospettive di
soluzione insperate e nel contempo si è compreso come fosse necessario
scandagliare più profondamente alcuni argomenti.
70. Tale ricerca difficile e delicata, che
implica problemi di fede e rispetto della propria coscienza e di quella
dell'altro, è stata accompagnata e sostenuta dalla preghiera della Chiesa
cattolica e delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. La preghiera per l'unità,
già così radicata e diffusa nel tessuto connettivo ecclesiale, mostra che ai
cristiani non sfugge l'importanza della questione ecumenica. Proprio perché la
ricerca della piena unità esige un confronto di fede fra credenti che si
riferiscono all'unico Signore, la preghiera è la fonte dell'illuminazione sulla
verità da accogliere tutta intera.
Inoltre, attraverso la preghiera, la ricerca
dell'unità, lungi dall'essere confinata nell'ambito di specialisti, si estende
ad ogni battezzato. Tutti, indipendentemente dal loro ruolo nella Chiesa e
dalla loro formazione culturale, possono dare un contributo attivo, in una
dimensione misteriosa e profonda.
Relazioni ecclesiali
71. Bisogna rendere grazie alla Divina
Provvidenza anche per tutti gli eventi che testimoniano il progresso sulla via
della ricerca dell'unità. Accanto al dialogo teologico vanno opportunamente
menzionate le altre forme d'incontro, la preghiera comune e la collaborazione
pratica. Papa Paolo VI ha dato un forte impulso a questo processo con la sua
visita alla sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, avvenuta il 10
giugno 1969, ed incontrando molte volte i rappresentanti di varie Chiese e
Comunità ecclesiali. Questi contatti contribuiscono efficacemente a far
migliorare la reciproca conoscenza e a far crescere la fraternità cristiana.
Papa Giovanni Paolo I, durante il suo tanto
breve pontificato, espresse la volontà di continuare il cammino.124 Il Signore
ha concesso a me di operare in questa direzione. Oltre agli importanti incontri
ecumenici a Roma, una parte significativa delle mie visite pastorali è
regolarmente dedicata alla testimonianza a favore dell'unità dei cristiani.
Alcuni dei miei viaggi mostrano perfino una « priorità » ecumenica, specie nei
paesi in cui le comunità cattoliche costituiscono una minoranza rispetto alle
Comunioni del dopo Riforma; o dove queste ultime rappresentano una
considerevole porzione dei credenti in Cristo di una data società.
72. Ciò vale soprattutto per i paesi
europei, dove hanno avuto inizio queste divisioni, e per l'America del Nord. In
questo contesto, e senza voler sminuire le altre visite, meritano speciale
attenzione quelle che, nel continente europeo, mi hanno condotto a due riprese
in Germania, nel novembre del 1980 e nell'aprile-maggio del 1987; la visita nel
Regno Unito (Inghilterra, Scozia e Galles), nel maggio-giugno del 1982; in
Svizzera nel giugno del 1984; e nei Paesi scandinavi e nordici (Finlandia,
Svezia, Norvegia, Danimarca e Islanda), dove mi sono recato nel giugno del
1989. Nella gioia, nel reciproco rispetto, nella solidarietà cristiana e nella
preghiera, ho incontrato tanti e tanti fratelli, tutti impegnati nella ricerca
della fedeltà al Vangelo. Constatare tutto questo è stato per me fonte di
grande incoraggiamento. Abbiamo sperimentato la presenza del Signore tra di noi.
Vorrei a questo riguardo richiamare un
atteggiamento dettato da fraterna carità ed improntato a profonda lucidità di
fede che ho vissuto con intensa partecipazione. Esso si riferisce alle
celebrazioni eucaristiche che ho presieduto in Finlandia ed in Svezia durante
il mio viaggio nei Paesi scandinavi e nordici. Al momento della comunione, i
Vescovi luterani si sono presentati al celebrante. Essi hanno voluto dimostrare
con un gesto concordato il desiderio di giungere al momento in cui noi,
cattolici e luterani, potremo condividere la stessa Eucaristia, e hanno voluto
ricevere la benedizione del celebrante. Con amore, io li ho benedetti. Lo
stesso gesto, tanto ricco di significato è stato ripetuto a Roma, durante la
messa che ho presieduto in Piazza Farnese in occasione del VI centenario della
canonizzazione di santa Brigida, il 6 ottobre 1991.
Ho incontrato analoghi sentimenti anche
oltre oceano, in Canada, nel settembre del 1984; e specie nel settembre del
1987 negli Stati Uniti dove si avverte una grande apertura ecumenica. È il
caso, per fare un esempio, dell'incontro ecumenico a Columbia, in South
Carolina l'11 settembre 1987. È per sé importante il fatto stesso che avvengono
con regolarità questi incontri tra i fratelli del « dopo Riforma » ed il Papa.
Sono profondamente grato perché essi mi hanno accettato di buon grado, sia i
responsabili delle varie Comunità, che le Comunità nel loro insieme. Da questo
punto di vista, ritengo significativa la celebrazione ecumenica della Parola,
svoltasi a Columbia, ed avente come tema la famiglia.
73. È motivo, poi, di grande gioia il
constatare come nel periodo postconciliare e nelle singole Chiese locali
abbondino le iniziative e le azioni a favore dell'unità dei cristiani, le quali
estendono le loro coinvolgenti incidenze a livello delle Conferenze episcopali,
delle singole diocesi e comunità parrocchiali, come pure dei diversi ambienti e
movimenti ecclesiali.
Collaborazioni realizzate
74. « Non chiunque mi dice: Signore,
Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio
che è nei cieli » (Mt 7, 21). La coerenza e l'onestà delle intenzioni e
delle affermazioni di principio si verificano applicandole alla vita concreta.
Il Decreto conciliare sull'ecumenismo nota che negli altri cristiani « la fede
con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del ringraziamento per
i benefici ricevuti da Dio; si aggiunge il vivo sentimento della giustizia e la
sincera carità verso il prossimo ».125
Quello appena delineato è un terreno fertile
non soltanto per il dialogo, ma anche per un'attiva collaborazione: la « fede
operosa ha pure creato non poche istituzioni per sollevare la miseria
spirituale e corporale, per coltivare l'educazione della gioventù, per render
più umane le condizioni sociali della vita, per ristabilire la pace universale
».126
La vita sociale e culturale offre ampi spazi
di collaborazione ecumenica. Sempre più spesso i cristiani si ritrovano insieme
per difendere la dignità umana, per promuovere il bene della pace, l'applicazione
sociale del Vangelo, per rendere presente lo spirito cristiano nelle scienze e
nelle arti. Essi si ritrovano sempre più insieme quando si tratta di venire
incontro ai bisogni e alle miserie del nostro tempo: la fame, le calamità,
l'ingiustizia sociale.
75. Questa cooperazione, che trae
ispirazione dallo stesso Vangelo, per i cristiani non è mai una mera azione
umanitaria. Essa ha la sua ragione d'essere nella parola del Signore: « Ho
avuto fame e mi avete dato da mangiare » (Mt 25, 35). Come ho già sottolineato,
la cooperazione di tutti i cristiani manifesta chiaramente quel grado di
comunione che già esiste tra di loro.127
Di fronte al mondo, l'azione congiunta dei
cristiani nella società riveste allora il trasparente valore di una
testimonianza resa insieme al nome del Signore. Essa assume anche le dimensioni
di un annuncio perché rivela il volto di Cristo.
Le divergenze dottrinali che permangono
esercitano un influsso negativo e pongono dei limiti anche alla collaborazione.
La comunione di fede già esistente tra i cristiani offre però una solida base
non soltanto alla loro azione congiunta in campo sociale, ma anche nell'ambito
religioso.
Questa cooperazione faciliterà la ricerca
dell'unità. Il Decreto sull'ecumenismo notava che da essa « i credenti in Cristo
possono facilmente imparare come gli uni possano meglio conoscere e
maggiormente stimare gli altri e come si appiani la via verso l'unità dei
cristiani ».128
76. Come non ricordare, in questo contesto,
l'interesse ecumenico per la pace che si esprime nella preghiera e nell'azione
con una crescente partecipazione dei cristiani ed una motivazione teologica a
mano a mano più profonda? Non potrebbe essere altrimenti. Non crediamo forse
noi in Gesù Cristo, Principe della pace? I cristiani sono sempre più compatti
nel rifiutare la violenza, ogni tipo di violenza, dalle guerre all'ingiustizia
sociale.
Siamo chiamati ad un impegno sempre più
attivo, perché appaia ancora più chiaramente che le motivazioni religiose non
sono la vera causa dei conflitti in corso, anche se, purtroppo, non è
scongiurato il rischio di strumentalizzazioni a fini politici e polemici.
Nel 1986, ad Assisi, durante la Giornata
Mondiale di preghiera per la pace, i cristiani delle varie Chiese e
Comunità ecclesiali hanno invocato con una sola voce il Signore della storia
per la pace nel mondo. In quel giorno, in modo distinto ma parallelo, hanno
pregato per la pace anche gli Ebrei e i Rappresentanti delle religioni non
cristiane, in una sintonia di sentimenti che hanno fatto vibrare le corde più
profonde dello spirito umano.
Né vorrei dimenticare la Giornata di
preghiera per la pace in Europa specialmente nei Balcani, che mi ha
ricondotto pellegrino nella città di san Francesco il 9 e 10 gennaio 1993 e la Messa
per la pace nei Balcani e in particolare nella Bosnia-Erzegovina, che ho
presieduto il 23 gennaio 1994 nella Basilica di San Pietro e nel contesto della
Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.
Quando il nostro sguardo percorre il mondo,
la gioia invade il nostro animo. Constatiamo infatti che i cristiani si sentono
sempre più interpellati dalla questione della pace. Essi la considerano
strettamente connessa con l'annuncio del Vangelo e con l'avvento del Regno di
Dio.
III
QUANTA
EST NOBIS VIA?
Continuare ed intensificare il dialogo
77. Ora possiamo chiederci quanta strada ci
separa ancora dal quel giorno benedetto in cui sarà raggiunta la piena unità
nella fede e potremo concelebrare nella concordia la santa Eucaristia del
Signore. La migliore conoscenza reciproca già realizzata tra di noi, le
convergenze dottrinali raggiunte, che hanno avuto come conseguenza una crescita
affettiva ed effettiva di comunione, non possono bastare alla coscienza dei
cristiani che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Il fine
ultimo del movimento ecumenico è il ristabilimento della piena unità visibile
di tutti i battezzati.
In vista di questa mèta, tutti i risultati
raggiunti sinora non sono che una tappa, anche se promettente e positiva.
78. Nel movimento ecumenico, non è soltanto
la Chiesa cattolica, insieme con le Chiese ortodosse, a possedere questa
esigente concezione dell'unità voluta da Dio. La tendenza verso una tale unità
è espressa anche da altri.129
L'ecumenismo implica che le Comunità
cristiane si aiutino a vicenda affinché in esse sia veramente presente tutto il
contenuto e tutte le esigenze dell'« eredità tramandata dagli Apostoli ».130
Senza di ciò, la piena comunione non sarà mai possibile. Questo vicendevole
aiuto nella ricerca della verità è una forma suprema della carità evangelica.
La ricerca dell'unità si è espressa nei vari
documenti delle numerose Commissioni miste internazionali di dialogo. In tali
testi si tratta del Battesimo, dell'Eucaristia, del Ministero e dell'autorità
partendo da una certa unità fondamentale di dottrina.
Da tale unità fondamentale, ma parziale, si
deve ora passare all'unità visibile necessaria e sufficiente, che si iscriva
nella realtà concreta, affinché le Chiese realizzino veramente il segno di
quella piena comunione nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica che si
esprimerà nella concelebrazione eucaristica.
Questo cammino verso l'unità visibile
necessaria e sufficiente, nella comunione dell'unica Chiesa voluta da Cristo,
esige ancora un lavoro paziente e coraggioso. Nel far ciò bisogna non imporre
altri obblighi all'infuori degli indispensabili (cfr At 15, 28).
79. Sin da ora è possibile individuare gli
argomenti da approfondire per raggiungere un vero consenso di fede: 1) le
relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede e la sacra
Tradizione, indispensabile interpretazione della parola di Dio; 2)
l'Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, offerta di lode al
Padre, memoriale sacrificale e presenza reale di Cristo, effusione
santificatrice dello Spirito Santo; 3) l'Ordinazione, come sacramento, al
triplice ministero dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato; 4) il
Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai Vescovi in comunione con lui,
inteso come responsabilità e autorità a nome di Cristo per l'insegnamento e la
salvaguardia della fede; 5) la Vergine Maria, Madre di Dio e icona della
Chiesa, Madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta
l'umanità.
In questo coraggioso cammino verso l'unità, la
lucidità e la prudenza della fede ci impongono di evitare il falso irenismo e
la noncuranza per le norme della Chiesa.131 Inversamente, la stessa lucidità e
la stessa prudenza ci raccomandano di sfuggire la tiepidezza nell'impegno per
l'unità ed ancor più l'opposizione preconcetta, o il disfattismo che tende a
vedere tutto al negativo.
Mantenere una visione dell'unità che tenga
conto di tutte le esigenze della verità rivelata non significa mettere un freno
al movimento ecumenico.132 Al contrario significa evitargli di accomodarsi in
soluzioni apparenti, che non perverrebbero a nulla di stabile e di solido.133
L'esigenza della verità deve andare fino in fondo. E non è forse questa la
legge del Vangelo?
Ricezione dei risultati raggiunti
80. Mentre prosegue il dialogo su nuove
tematiche o si sviluppa a livelli più profondi, abbiamo un compito nuovo da
assolvere: come recepire i risultati sino ad ora raggiunti. Essi non possono
rimanere affermazioni delle Commissioni bilaterali, ma debbono diventare
patrimonio comune. Perché ciò avvenga e si rafforzino così i legami di
comunione, occorre un serio esame che, in modi, forme e competenze diverse,
deve coinvolgere il popolo di Dio nel suo insieme. Si tratta infatti di
questioni che spesso riguardano la fede ed esse esigono l'universale consenso,
che si estende dai Vescovi ai fedeli laici, i quali hanno tutti ricevuto
l'unzione dello Spirito Santo.134 È lo stesso Spirito che assiste il Magistero
e suscita il sensus fidei.
Per recepire i risultati del dialogo occorre
pertanto un ampio ed accurato processo critico che li analizzi e ne verifichi
con rigore la coerenza con la Tradizione di fede ricevuta dagli Apostoli e
vissuta nella comunità dei credenti radunata attorno al Vescovo, suo legittimo
Pastore.
81. Questo processo, che si dovrà fare con
prudenza e in atteggiamento di fede, sarà assistito dallo Spirito Santo. Perché
esso dia esito favorevole, è necessario che i suoi risultati siano
opportunamente divulgati da persone competenti. Di grande rilievo, a tal fine, è
il contributo che i teologi e le facoltà di teologia sono chiamati ad offrire
in adempimento al loro carisma nella Chiesa. È chiaro, inoltre, che le
commissioni ecumeniche hanno, a questo riguardo, responsabilità e compiti del
tutto singolari.
L'intero processo è seguito ed aiutato dai
Vescovi e dalla Santa Sede. L'autorità docente ha la responsabilità di
esprimere il giudizio definitivo.
In tutto questo, sarà di grande aiuto
attenersi metodologicamente alla distinzione fra il deposito della fede e la
formulazione in cui esso è espresso, come raccomandava Papa Giovanni XXIII nel
discorso pronunciato in apertura del Concilio Vaticano II.135
Continuare l'ecumenismo spirituale e
testimoniare la santità
82. Si comprende come la gravità
dell'impegno ecumenico interpelli in profondità i fedeli cattolici. Lo Spirito
li invita ad un serio esame di coscienza. La Chiesa cattolica deve entrare in
quello che si potrebbe chiamare « dialogo della conversione », nel quale è
posto il fondamento interiore del dialogo ecumenico. In tale dialogo, che si
compie davanti a Dio, ciascuno deve ricercare i propri torti, confessare le sue
colpe, e rimettere se stesso nelle mani di Colui che è l'Intercessore presso il
Padre, Gesù Cristo.
Certamente, in questa relazione di
conversione alla volontà del Padre e, al tempo stesso, di penitenza e di
fiducia assoluta nella potenza riconciliatrice della verità che è Cristo, si
trova la forza per condurre a buon fine il lungo ed arduo pellegrinaggio
ecumenico. Il « dialogo della conversione » di ogni comunità con il Padre,
senza indulgenze per se stessa, è il fondamento di relazioni fraterne che siano
una cosa diversa da una cordiale intesa o da una convivialità tutta esteriore.
I legami della koinonia fraterna vanno intrecciati davanti a Dio e in
Cristo Gesù.
Soltanto il porsi davanti a Dio può offrire
una base solida a quella conversione dei singoli cristiani e a quella continua
riforma della Chiesa in quanto istituzione anche umana e terrena,136 che sono
le condizioni preliminari di ogni impegno ecumenico. Uno dei procedimenti
fondamentali del dialogo ecumenico è lo sforzo di coinvolgere le Comunità
cristiane in questo spazio spirituale, tutto interiore, in cui il Cristo, nella
potenza dello Spirito, le induce tutte, senza eccezioni, ad esaminarsi davanti
al Padre e a chiedersi se sono state fedeli al suo disegno sulla Chiesa.
83. Ho parlato della volontà del Padre,
dello spazio spirituale in cui ogni comunità ascolta l'appello ad un
superamento degli ostacoli all'unità. Ebbene, tutte le Comunità cristiane sanno
che una tale esigenza, un tale superamento, per mezzo della forza che dà lo
Spirito, non sono fuori della loro portata. Tutte, infatti, hanno dei martiri
della fede cristiana.137 Malgrado il dramma della divisione, questi fratelli
hanno conservato in se stessi un attaccamento a Cristo e al Padre suo tanto
radicale e assoluto da poter arrivare fino all'effusione del sangue. Ma non è
forse questo stesso attaccamento ad essere chiamato in causa in ciò che ho
qualificato come « dialogo della conversione »? Non è proprio questo dialogo a
sottolineare la necessità di andare fino in fondo all'esperienza di verità per
la piena comunione?
84. In una visione teocentrica, noi
cristiani già abbiamo unMartirologio comune. Esso comprende anche i
martiri del nostro secolo, più numerosi di quanto non si pensi, e mostra come,
ad un livello profondo, Dio mantenga fra i battezzati la comunione
nell'esigenza suprema della fede, manifestata col sacrificio della vita.138 Se
si può morire per la fede, ciò dimostra che si può raggiungere la mèta quando
si tratta di altre forme della stessa esigenza. Ho già constatato, e con gioia,
come la comunione, imperfetta ma reale, è mantenuta e cresce a molti livelli
della vita ecclesiale. Ritengo ora che essa sia già perfetta in ciò che tutti
noi consideriamo l'apice della vita di grazia, la martyria fino alla
morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e,
in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani
(cfr Ef 2, 13).
Se per tutte le Comunità cristiane i martiri
sono la prova della potenza della grazia, essi non sono tuttavia i soli a
testimoniare di tale potenza. Sebbene in modo invisibile, la comunione non
ancora piena delle nostre comunità è in verità cementata saldamente nella piena
comunione dei santi, cioè di coloro che, alla conclusione di una esistenza
fedele alla grazia, sono nella comunione di Cristo glorioso. Questi santi
vengono da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno aperto loro
l'ingresso nella comunione della salvezza. Quando si parla di un patrimonio
comune si devono iscrivere in esso non soltanto le istituzioni, i riti, i mezzi
di salvezza, le tradizioni che tutte le comunità hanno conservato e dalle quali
esse sono state plasmate, ma in primo luogo e innanzitutto questa realtà della
santità.139
Nell'irradiazione che emana dal « patrimonio
dei santi » appartenenti a tutte le Comunità, il « dialogo della conversione »
verso l'unità piena e visibile appare allora sotto una luce di speranza. Questa
presenza universale dei santi dà, infatti, la prova della trascendenza della
potenza dello Spirito. Essa è segno e prova della vittoria di Dio sulle forze
del male che dividono l'umanità. Come cantano le liturgie, « incoronando i
santi, Dio incorona i suoi propri doni ».140
Laddove esiste la sincera volontà di seguire
Cristo, spesso lo Spirito sa effondere la sua grazia in sentieri diversi da
quelli ordinari. L'esperienza ecumenica ci ha permesso di comprenderlo meglio.
Se, nello spazio spirituale interiore che ho descritto, le Comunità sapranno
veramente « convertirsi » alla ricerca della comunione piena e visibile, Dio
farà per esse ciò che ha fatto per i loro santi. Egli saprà superare gli
ostacoli ereditati dal passato e le condurrà sulle sue vie dove egli vuole:
alla koinonia visibile che è al tempo stesso lode della sua gloria e
servizio al suo disegno di salvezza.
85. Poiché nella sua infinita misericordia,
Dio può sempre trarre il bene anche dalle situazioni che recano offesa al suo disegno,
possiamo allora scoprire che lo Spirito ha fatto sì che le opposizioni
servissero in alcune circostanze ad esplicitare aspetti della vocazione
cristiana, come avviene nella vita dei santi. Malgrado la frammentazione, che è
un male da cui dobbiamo guarire, si è dunque realizzata come una comunicazione
della ricchezza della grazia che è destinata ad abbellire la koinonia.
La grazia di Dio sarà con tutti coloro che, seguendo l'esempio dei santi, si
impegnano ad assecondarne le esigenze. E noi, come possiamo esitare a
convertirci alle attese del Padre? Egli è con noi.
Contributo della Chiesa cattolica nella
ricerca dell'unità dei cristiani
86. La Costituzione Lumen gentium in
una sua affermazione fondamentale che il Decreto Unitatis redintegratio
riecheggia,141 scrive che l'unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa
cattolica.142 Il Decreto sull'ecumenismo sottolinea la presenza in essa della
pienezza (plenitudo) degli strumenti di salvezza.143 La piena unità si
realizzerà quando tutti parteciperanno alla pienezza dei mezzi di salvezza che
Cristo ha affidato alla sua Chiesa.
87. Lungo il cammino che conduce verso la
piena unità, il dialogo ecumenico si adopera a suscitare un fraterno aiuto
reciproco per mezzo del quale le Comunità si applicano a darsi scambievolmente
ciò di cui ciascuna ha bisogno per crescere secondo il disegno di Dio verso la
pienezza definitiva (cfr Ef 4, 11-13). Ho detto come siamo consapevoli,
in quanto Chiesa cattolica, di aver ricevuto molto dalla testimonianza, dalla
ricerca e finanche dalla maniera in cui sono stati sottolineati e vissuti dalle
altre Chiese e Comunità ecclesiali certi beni cristiani comuni. Tra i progressi
compiuti durante gli ultimi trent'anni, bisogna attribuire un posto di rilievo
a tale fraterno influsso reciproco. Nella tappa alla quale siamo pervenuti,144
tale dinamismo di mutuo arricchimento deve essere preso seriamente in
considerazione. Basato sulla comunione che già esiste grazie agli elementi
ecclesiali presenti nelle Comunità cristiane, esso non mancherà di spingere
verso la comunione piena e visibile, mèta sospirata del cammino che stiamo
compiendo. È la forma ecumenica della legge evangelica della condivisione.
Questo mi incita a ripetere: « Occorre dimostrare in ogni cosa la premura di
venire incontro a ciò che i nostri fratelli cristiani, legittimamente,
desiderano e si attendono da noi, conoscendo il loro modo di pensare e la loro
sensibilità [...]. Bisogna che i doni di ciascuno si sviluppino per l'utilità e
a vantaggio di tutti ».145
Il ministero d'unità del Vescovo di Roma
88. Tra tutte le Chiese e Comunità
ecclesiali, la Chiesa cattolica è consapevole di aver conservato il ministero
del Successore dell'apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, che Dio ha costituito
quale « perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità »,146 e che lo
Spirito sostiene perché di questo essenziale bene renda partecipi tutti gli
altri. Secondo la bella espressione di Papa Gregorio Magno, il mio ministero è
quello di servus servorum Dei. Tale definizione salvaguarda nel modo mi-
gliore dal rischio di separare la potestà (ed in particolare il primato) dal
ministero, ciò che sarebbe in contraddizione con il significato di potestà
secondo il Vangelo: « Io sto in mezzo a voi come colui che serve » (Lc
22, 27), dice il Signore nostro Gesù Cristo, Capo della Chiesa. D'altra parte,
come ho avuto modo di affermare nell'importante occasione dell'incontro al
Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, il 12 giugno 1984, la convinzione
della Chiesa cattolica di aver conservato, in fedeltà alla tradizione
apostolica e alla fede dei Padri, nel ministero del Vescovo di Roma, il segno
visibile e il garante dell'unità, costituisce una difficoltà per la maggior
parte degli altri cristiani, la cui memoria è segnata da certi ricordi dolorosi.
Per quello che ne siamo responsabili, con il mio Predecessore Paolo VI imploro
perdono.147
89. È tuttavia significativo ed
incoraggiante che la questione del primato del Vescovo di Roma sia attualmente
diventata oggetto di studio, immediato o in prospettiva, e significativo ed
incoraggiante è pure che tale questione sia presente quale tema essenziale non
soltanto nei dialoghi teologici che la Chiesa cattolica intrattiene con le
altre Chiese e Comunità ecclesiali, ma anche più generalmente nell'insieme del
movimento ecumenico. Recentemente, i partecipanti alla quinta assemblea
mondiale della Commissione « Fede e Costituzione » del Consiglio ecumenico
delle Chiese, tenutasi a Santiago de Compostela, hanno raccomandato che essa «
dia l'avvio ad un nuovo studio sulla questione di un ministero universale
dell'unità cristiana ».148 Dopo secoli di aspre polemiche, le altre Chiese e
Comunità ecclesiali sempre di più scrutano con uno sguardo nuovo tale ministero
di unità.149
90. Il Vescovo di Roma è il Vescovo della
Chiesa che conserva l'impronta del martirio di Pietro e di quello di Paolo: «
Per un misterioso disegno della Provvidenza, è a Roma che egli [Pietro]
conclude il suo cammino al seguito di Gesù ed è a Roma che dà questa massima
prova d'amore e di fedeltà. A Roma, Paolo, l'apostolo delle genti, dà anche lui
la testimonianza suprema. La Chiesa di Roma diventava così la Chiesa di Pietro
e di Paolo ».150
Nel Nuovo Testamento, la persona di Pietro
ha un posto eminente. Nella prima parte degli Atti degli Apostoli, egli appare
come il capo ed il portavoce del collegio apostolico designato come « Pietro
[...] con gli altri Undici » (2,14; cfr anche 2, 37; 5, 29). Il posto assegnato
a Pietro è fondato sulle parole stesse di Cristo, così come esse sono ricordate
nelle tradizioni evangeliche.
91. Il Vangelo di Matteo delinea e precisa
la missione pastorale di Pietro nella Chiesa: « Beato te, Simone figlio di
Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che
sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le
chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato
nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli »
(16, 17-19). Luca evidenzia che Cristo raccomanda a Pietro di confermare i
fratelli, ma che allo stesso tempo gli fa conoscere la sua debolezza umana ed
il suo bisogno di conversione (cfr Lc 22, 31-32). È proprio come se,
sullo sfondo dell'umana debolezza di Pietro, si manifestasse pienamente che il
suo particolare ministero nella Chiesa proviene totalmente dalla grazia; è come
se il Maestro si dedicasse in modo speciale alla sua conversione per prepararlo
al compito che si appresta ad affidargli nella sua Chiesa e fosse molto
esigente con lui. La stessa funzione di Pietro, sempre legata ad una realistica
affermazione della sua debolezza, si ritrova nel quarto Vangelo: « Simone di
Giovanni, mi ami tu più di costoro? [...] Pasci le mie pecorelle » (cfr Gv 21,
15-19). È inoltre significativo che
secondo la Prima Lettera di Paolo ai Corinzi, il Cristo risorto appaia a Cefa e
quindi ai Dodici (cfr 15, 5).
È importante rilevare come la debolezza di
Pietro e di Paolo manifesti che la Chiesa si fonda sulla infinita potenza della
grazia (cfr Mt 16, 17; 2 Cor 12, 7-10). Pietro, subito dopo la
sua investitura, è redarguito con rara severità da Cristo che gli dice: « Tu mi
sei di scandalo » (Mt 16, 23). Come non vedere nella misericordia di cui
Pietro ha bisogno una relazione con il ministero di quella misericordia che
egli sperimenta per primo? Ugualmente, tre volte egli rinnegherà Gesù. Anche il
Vangelo di Giovanni sottolinea che Pietro riceve l'incarico di pascere il
gregge in una triplice professione d'amore (cfr 21, 15-17) che corrisponde al
suo triplice tradimento (cfr 13, 38). Luca, da parte sua, nella parola di
Cristo già citata, alla quale aderirà la prima tradizione nell'intento di
delineare la missione di Pietro, insiste sul fatto che questi dovrà «
confermare i suoi fratelli una volta che si sarà ravveduto » (cfr Lc 22,
32).
92. Quanto a Paolo, egli può concludere la
descrizione del suo ministero con la sconvolgente affermazione che gli è dato
raccogliere dalle labbra del Signore: « Ti basta la mia grazia; la mia potenza
infatti si manifesta pienamente nella debolezza », e può esclamare quindi: «
Quando sono debole, è allora che sono forte » (2 Cor 12, 9-10). È questa
una caratteristica fondamentale dell'esperienza cristiana.
Erede della missione di Pietro, nella Chiesa
fecondata dal sangue dei corifei degli Apostoli, il Vescovo di Roma esercita un
ministero che ha la sua origine nella multiforme misericordia di Dio, la quale
converte i cuori e infonde la forza della grazia laddove il discepolo conosce
il gusto amaro della sua debolezza e della sua miseria. L'autorità propria di
questo ministero è tutta per il servizio del disegno misericordioso di Dio e va
sempre vista in questa prospettiva. Il suo potere si spiega con essa.
93. Ricollegandosi alla triplice professione
d'amore di Pietro che corrisponde al triplice tradimento, il suo successore sa
di dover essere segno di misericordia. Il suo è un ministero di misericordia
nato da un atto di misericordia di Cristo. Tutta questa lezione del Vangelo
deve essere costantemente riletta, affinché l'esercizio del ministero petrino
nulla perda della sua autenticità e trasparenza.
La Chiesa di Dio è chiamata da Cristo a
manifestare ad un mondo ripiegato nel groviglio delle sue colpevolezze e dei
suoi biechi propositi che, malgrado tutto, Dio può, nella sua misericordia,
convertire i cuori all'unità, facendoli accedere alla sua propria comunione.
94. Tale servizio dell'unità, radicato
nell'opera della misericordia divina, è affidato, all'interno stesso del
collegio dei Vescovi, ad uno di coloro che hanno ricevuto dallo Spirito
l'incarico, non di esercitare il potere sul popolo — come fanno i capi delle
nazioni e i grandi (cfr Mt 20, 25; Mc 10, 42) —, ma di guidarlo
perché possa dirigersi verso pascoli tranquilli. Questo incarico può esigere di
offrire la propria vita (cfr Gv 10, 11-18). Dopo aver mostrato come
Cristo sia « il solo Pastore, nell'unità del quale tutti sono uno »,
sant'Agostino esorta: « Che tutti i pastori siano dunque nel solo Pastore, che
essi facciano udire la voce unica del Pastore; che le pecore odano questa voce,
seguano il loro Pastore, cioè non questo o quello, ma il solo; che tutti in lui
facciano intendere una sola voce e non delle voci discordanti [...] la voce
sgombra da ogni divisione, purificata da ogni eresia, che le pecore ascoltano
».151 La missione del Vescovo di Roma nel gruppo di tutti i Pastori consiste
appunto nel « vegliare » (episkopein) come una sentinella, in modo che,
grazie ai Pastori, si oda in tutte le Chiese particolari la vera voce di
Cristo-Pastore. Così, in ciascuna delle Chiese particolari loro affidate si
realizza l'una, sancta, catholica et apostolica Ecclesia. Tutte le
Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i Pastori sono in comunione
con Pietro, e così nell'unità di Cristo.
Con il potere e l'autorità senza i quali
tale funzione sarebbe illusoria, il Vescovo di Roma deve assicurare la
comunione di tutte le Chiese. A questo titolo, egli è il primo tra i servitori
dell'unità. Tale primato si esercita a svariati livelli, che riguardano la
vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e
liturgica, sulla missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana. Spetta al
Successore di Pietro di ricordare le esigenze del bene comune della Chiesa, se
qualcuno fosse tentato di dimenticarlo in funzione dei propri interessi. Egli
ha il dovere di avvertire, mettere in guardia, dichiarare a volte
inconciliabile con l'unità di fede questa o quella opinione che si diffonde.
Quando le circostanze lo esigono, egli parla a nome di tutti i Pastori in
comunione con lui. Egli può anche — in condizioni ben precise, chiarite dal
Concilio Vaticano I — dichiarare ex cathedra che una dottrina appartiene
al deposito della fede.152 Testimoniando così della verità, egli serve l'unità.
95. Tutto questo si deve però compiere
sempre nella comunione. Quando la Chiesa cattolica afferma che la funzione del
Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa
funzione dalla missione affidata all'insieme dei Vescovi, anch'essi « vicari e
delegati di Cristo ».153 Il Vescovo di Roma appartiene al loro « collegio » ed
essi sono i suoi fratelli nel ministero.
Ciò che riguarda l'unità di tutte le
Comunità cristiane rientra ovviamente nell'ambito delle preoccupazioni del
primato. Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente
Lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le Comunità,
nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio
ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità
particolare, soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior
parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di
trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun
modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un
millennio i cristiani erano uniti « dalla fraterna comunione della fede e della
vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora
fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina ».154
In tal modo il primato esercitava la sua
funzione di unità. Rivolgendomi al Patriarca ecumenico, Sua Santità Dimitrios
I, ho detto di essere consapevole che « per delle ragioni molto diverse, e
contro la volontà degli uni e degli altri, ciò che doveva essere un servizio ha
potuto manifestarsi sotto una luce abbastanza diversa. Ma [...] è per il
desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco
chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero [...]. Lo Spirito
Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre
Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali
questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e
dagli altri ».155
96. Compito immane, che non possiamo
rifiutare e che non posso portare a termine da solo. La comunione reale,
sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non potrebbe indurre i
responsabili ecclesiali e i loro teologi ad instaurare con me e su questo
argomento un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là
di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua
Chiesa, lasciandoci trafiggere dal suo grido « siano anch'essi una cosa sola,
perché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17, 21)?
La comunione di tutte le Chiese
particolari con la Chiesa di Roma: condizione necessaria per l'unità 97. La Chiesa cattolica, sia nella sua praxis
che nei testi ufficiali, sostiene che la comunione delle Chiese particolari
con la Chiesa di Roma, e dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un
requisito essenziale — nel disegno di Dio — della comunione piena e visibile.
Bisogna, infatti, che la piena comunione, di cui l'Eucaristia è la suprema
manifestazione sacramentale, abbia la sua espressione visibile in un
ministero nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in Cristo e tutti i
fedeli trovino la conferma della propria fede. La prima parte degli Atti
degli Apostoli presenta Pietro come colui che parla a nome del gruppo
apostolico e serve l'unità della comunità — e ciò nel rispetto dell'autorità
di Giacomo, capo della Chiesa di Gerusalemme. Questa funzione di Pietro deve
restare nella Chiesa affinché, sotto il suo solo Capo, che è Cristo Gesù,
essa sia visibilmente nel mondo la comunione di tutti i suoi discepoli. Non è forse un ministero di questo tipo di
cui molti di coloro che sono impegnati nell'ecumenismo esprimono oggi il
bisogno? Presiedere nella verità e nell'amore affinché la barca — il bel
simbolo che il Consiglio ecumenico delle Chiese ha scelto come emblema — non
sia squassata dalle tempeste e possa un giorno approdare alla sua riva. Piena unità ed evangelizzazione 98. Il movimento ecumenico del nostro
secolo, più delle imprese ecumeniche dei secoli scorsi, di cui tuttavia non
va sottovalutata l'importanza, è stato contraddistinto da una prospettiva
missionaria. Nel versetto giovanneo che serve da ispirazione e da motivo
conduttore — « siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda
che tu mi hai mandato » (Gv 17, 21) — è stato sottolineato perché
il mondo creda con tanto vigore da correre il rischio di dimenticare a
volte che, nel pensiero dell'evangelista, l'unità è, soprattutto, per la
gloria del Padre. È evidente, comunque, che la divisione dei cristiani è in
contraddizione con la Verità che essi hanno la missione di diffondere, e
dunque essa ferisce gravemente la loro testimonianza. L'aveva ben compreso ed
affermato il mio Predecessore, Papa Paolo VI, nella sua Esortazione
apostolica Evangelii nuntiandi: « In quanto evangelizzatori, noi
dobbiamo offrire ai fedeli di Cristo l'immagine non di uomini divisi da
litigi che non edificano affatto, ma di persone mature nella fede, capaci di
ritrovarsi insieme al di sopra delle tensioni concrete, grazie alla ricerca
comune, sincera e disinteressata della verità. Sì, la sorte
dell'evangelizzazione è certamente legata alla testimonianza di unità della Chiesa
[...]. A questo punto vogliamo sottolineare il segno dell'unità tra tutti i
cristiani come via e strumento di evangelizzazione. La divisione dei
cristiani è un grave stato di fatto che perviene ad intaccare la stessa opera
di Cristo ».156 Come, infatti, annunciare il Vangelo della
riconciliazione, senza al contempo impegnarsi ad operare per la
riconciliazione dei cristiani? Se è vero che la Chiesa, per impulso dello
Spirito Santo e con la promessa dell'indefettibilità, ha predicato e predica
il Vangelo a tutte le nazioni, è anche vero che essa deve affrontare le
difficoltà derivanti dalle divisioni. Messi di fronte a missionari in
disaccordo fra loro, sebbene essi si richiamino tutti a Cristo, sapranno gli
increduli accogliere il vero messaggio? Non penseranno che il Vangelo sia
fattore di divisione, anche se esso è presentato come la legge fondamentale
della carità? 99. Quando affermo che per me, Vescovo di
Roma, l'impegno ecumenico è « una delle priorità pastorali » del mio
pontificato,157 il mio pensiero va al grave ostacolo che la divisione
costituisce per l'annuncio del Vangelo. Una Comunità cristiana che crede a
Cristo e desidera, con l'ardore del Vangelo, la salvezza dell'umanità, in
nessun modo può chiudersi all'appello dello Spirito che orienta tutti i
cristiani verso l'unità piena e visibile. Si tratta di uno degli imperativi
della carità che va accolto senza compromessi. L'ecumenismo non è soltanto
una questione interna delle Comunità cristiane. Esso riguarda l'amore che Dio
destina in Gesù Cristo all'insieme dell'umanità, e ostacolare questo amore è
una offesa a Lui e al suo disegno di radunare tutti in Cristo. Papa Paolo VI
scriveva al Patriarca ecumenico Athenagoras I: « Possa lo Spirito Santo
guidarci sulla via della riconciliazione, affinché l'unità delle nostre
Chiese diventi un segno sempre più luminoso di speranza e di conforto per
l'umanità tutta ».158
100. Rivolgendomi recentemente ai Vescovi,
al clero e ai fedeli della Chiesa cattolica per indicare la via da seguire
verso la celebrazione del Grande Giubileo dell'Anno Duemila, ho tra
l'altro affermato che « la migliore preparazione alla scadenza bimillenaria
non potrà che esprimersi nel rinnovato impegno di applicazione, per quanto
possibile fedele, dell'insegnamento del Vaticano II alla vita di ciascuno e
di tutta la Chiesa ».159 Il Concilio è il grande inizio — come l'Avvento
—, di quell'itinerario che ci conduce alle soglie del Terzo Millennio.
Considerando l'importanza che l'Assise conciliare ha attribuito all'opera di
ricomposizione dell'unità dei cristiani, in questa nostra epoca di grazia
ecumenica, mi è sembrato necessario ribadire le fondamentali convinzioni che
il Concilio ha scolpito nella coscienza della Chiesa cattolica, ricordandole
alla luce dei progressi nel frattempo compiuti verso la piena comunione di
tutti i battezzati. Non vi è dubbio che lo Spirito Santo
agisca in quest'opera e che stia conducendo la Chiesa verso la piena
realizzazione del disegno del Padre, in conformità alla volontà di Cristo, espressa
con tanto accorato vigore nella preghiera che, secondo il quarto Vangelo, le
sue labbra pronunciano nel momento in cui Egli s'avvia verso il dramma
salvifico della sua Pasqua. Così come allora, anche oggi Cristo chiede che
uno slancio nuovo ravvivi l'impegno di ciascuno per la comunione piena e
visibile. 101. Esorto, dunque, i miei Fratelli
nell'episcopato a porre ogni attenzione a tale impegno. I due Codici di
Diritto Canonico annoverano tra le responsabilità del Vescovo quella di
promuovere l'unità di tutti i cristiani, sostenendo ogni azione o iniziativa
intesa a promuoverla nella consapevolezza che la Chiesa è tenuta a ciò per
volontà stessa di Cristo.160 Ciò fa parte della missione episcopale ed è un
obbligo che deriva direttamente dalla fedeltà a Cristo, Pastore della Chiesa.
Tutti i fedeli, però, sono invitati dallo Spirito di Dio a fare il possibile,
perché si rinsaldino i legami di comunione tra tutti i cristiani e cresca la
collaborazione dei discepoli di Cristo: « La cura di ristabilire l'unione
riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo
la propria capacità ».161 102. La potenza dello Spirito di Dio fa
crescere ed edifica la Chiesa attraverso i secoli. Volgendo lo sguardo al
nuovo millennio, la Chiesa domanda allo Spirito la grazia di rafforzare la
sua propria unità e di farla crescere verso la piena comunione con gli altri
cristiani. Come ottenerlo? In primo luogo con la
preghiera. La preghiera dovrebbe sempre farsi carico di
quell'inquietudine che è anelito verso l'unità, e perciò una delle forme
necessarie dell'amore che nutriamo per Cristo e per il Padre ricco di
misericordia. La preghiera deve avere la priorità in questo cammino che
intraprendiamo con gli altri cristiani verso il nuovo millennio. Come ottenerlo?
Con l'azione di grazie, perché non ci presentiamo a mani vuote a
questo appuntamento: « Anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza
[...] e intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili » (Rm
8, 26), per disporci a chiedere a Dio quello di cui abbiamo bisogno. Come
ottenerlo? Conla speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli
spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa
concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in
modo che il nostro impegno sia sempre più autentico. E se volessimo chiederci se tutto ciò è
possibile, la risposta sarebbe sempre: sì. La stessa risposta udita da Maria
di Nazaret, perché nulla è impossibile a Dio. Mi tornano alla mente le alle parole con
le quali san Cipriano commenta il Padre Nostro, la preghiera di tutti
i cristiani: « Dio non accoglie il sacrificio di chi è in discordia, anzi
comanda di ritornare indietro dall'altare e di riconciliarsi prima col
fratello. Solo così le nostre preghiere saranno ispirate alla pace e Dio le
gradirà. Il sacrificio più grande da offrire a Dio è la nostra pace e la
fraterna concordia, è il popolo radunato dall'unità del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo ».162 All'alba del nuovo millennio, come non
sollecitare dal Signore, con rinnovato slancio e più matura consapevolezza,
la grazia di predisporci, tutti, a questo sacrificio dell'unità? 103. Io, Giovanni Paolo, umile servus
servorum Dei, mi permetto di fare mie le parole dell'apostolo Paolo, il
cui martirio, unito a quello dell'apostolo Pietro, ha conferito a questa sede
di Roma lo splendore della sua testimonianza, e dico a voi, fedeli della
Chiesa cattolica, e a voi, fratelli e sorelle delle altre Chiese e Comunità
ecclesiali, « tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate
gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà
con voi [...]. La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la
comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi » (2 Cor 13,
11.13). Dato a Roma, presso San Pietro, il 25
maggio, solennità dell'Ascensione del Signore, dell'anno 1995, decimosettimo
di Pontificato. |
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