Dal mondo della fede - Il fatto Serve creatività per salvare | |||||
«Crisi» e «abbandono»: indagini sociologiche e valutazioni pastorali dicono che il sacramento della confessione non gode di buona salute. Lo aveva affermato già due anni fa una ricerca dell’Università Cattolica: in Italia un praticante su quattro ritiene «non necessaria» la presenza del sacerdote per parlare con Dio dei propri peccati. Si è ritornati sull’argomento il 13 giugno, in occasione della presentazione del volume che raccoglie i messaggi indirizzati dal Papa alla Penitenzieria apostolica. Per il Giubileo, infatti, ai responsabili del Tribunale che ha competenza su tutto ciò che riguarda il "foro interno", compresa la concessione delle indulgenze, è parso opportuno sottolineare, tra l’altro, come alla «progressiva situazione di crisi» del sacramento risponda un’altrettanta «decisa esortazione da parte del Magistero pontificio a celebrarlo e a farlo frequentemente».
Ma quali sono i motivi per cui sempre meno cattolici si avvicinano al confessionale? Abbiamo girato la domanda a don Carlo Molari, teologo dogmatico, e a padre Rinaldo Falsini, liturgista. «La pratica della confessione, così come si svolge, non risponde più alle esigenze per cui è nato il sacramento», dice don Molari. «Si usa ancora una terminologia di tipo giuridico, "trasgressione della legge" o "offesa di Dio", lontana dall’esperienza del peccato e della redenzione di cui parla il Concilio Vaticano II. Nella Gaudium et spes si dice che il peccato è una diminuzione dell’uomo stesso, che gli impedisce di conseguire la pienezza nel suo divenire umano. Il processo di riconciliazione, allora, non è più il momento delle leggi trasgredite, bensì il raccogliere quel frammento di vita che in una determinata situazione abbiamo rifiutato». Secondo Molari, dalla crisi si esce dando spazio alla creatività: «Molti piccoli gruppi vivono la riconciliazione in modo diverso, nell’ascolto reciproco del riconoscimento del male compiuto». Non teme, il teologo, che le sperimentazioni possano portare lontano da quella che la Penitenzieria definisce «la forma normale di accostarsi al sacramento, la confessione individuale auricolare»? «La pratica della riconciliazione», risponde Molari, «ha avuto modalità molto diverse. Per esempio, nel VI secolo si è passati dall’accusa pubblica dei peccati alla confessione personale al sacerdote. I vescovi hanno reagito, ma di fatto è prevalsa questa pratica. Anche oggi siamo in una fase di transizione: chi riesce a essere creativo deve farlo per il bene di tutta la comunità. La novità fa sorgere sempre la reazione dell’istituzione, ma l’importante è continuare il cammino, certi che dove soffia lo Spirito lì fiorisce la vita». Più che cercare altrove, secondo padre Rinaldo Falsini, basterebbe applicare quanto già stabilito dal nuovo ordinamento rituale. «Questo è l’unico sacramento che nella prassi ordinaria non ha cambiato nulla. I mutamenti proposti nel nuovo Ordo paenitentiae del ’74 sono rimasti lettera morta». Secondo il liturgista, il vero nodo è nel fatto che dei tre riti previsti dal Vaticano II si continui a privilegiare il primo, «senza portarvi le innovazioni suggerite. Il sacerdote, con la sua mentalità, gestisce tutto dall’inizio alla fine. Non c’è nessuno sforzo di adeguamento per la formazione dei ministri. Molti confessori mantengono addirittura la formula latina».
La presenza e la proclamazione della Parola di Dio, la preghiera e il canto, la dimensione ecclesiale comunitaria, il superamento della visione privatistica e giuridica, il richiamo costante alla conversione e alla misericordia di Dio sono alcune delle acquisizioni maturate nel Concilio, che, afferma Falsini, vengono per lo più ignorate: «Il principio della conversione del cuore giustifica e regola tutti gli atti del penitente. Il fatto che tutto si svolga in pochi minuti, in un colloquio fatto solo di parole umane, limita questa possibilità. Manca il respiro del dialogo con Dio, ma anche la visione ecclesiale, perché il rapporto con la comunità è totalmente assente». Come cambiare? «Attuare e accogliere quanto già previsto per le tre forme», risponde padre Falsini. «E poi più tempo, maggiore formazione e più coraggio: molte confessioni sono in realtà delle direzioni spirituali. Invece di concentrare tutto nella figura del prete, bisognerebbe dare più spazio al ministero del dialogo, che può essere fatto anche dai laici. Il sacramento, che è un’altra cosa, sarebbe alleggerito e valorizzato in quanto tale». vi.pri.
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