"FERMATEVI NELLA STRADA E GUARDATE..."

di Sebastiano Fascetta

"Fermatevi nella strada e guardate informatevi circa i sentieri del passato dove stà la strada buona e prendetela, così troverete pace per la anima vostra…"( Ger 6,16)

 

Le parole del profeta Geremia, ci aiutano a comprendere quale dev’essere  l’atteggiamento spirituale adatto, per poter rileggere profeticamente il cammino  svolto sino adesso: guardare al passato per capire il  presente ed essere bene disposti ad accogliere  ciò che di nuovo il Signore prepara .

Iniziare il nuovo triennio senza considerare cosa abbiamo fatto, nel triennio ormai passato, quali itinerari, nel discernimento, abbiamo individuato  e cercato di realizzare, significherebbe paralizzare il cammino,  non tenere in debita  considerazione il livello di crescita maturato sino a questo momento, con il rischio di proporre un nuovo cammino non corrispondente al reale bisogno del RnS di Sicilia, con un consequenziale  spreco di energie.

Prima di riprendere il cammino, bisogna fermarsi per poter  “guardare”  e “informarsi circa i sentieri del passato” così da  discernere la strada da prendere per trovare e sperimentare la pace e la salvezza. 

Questo è il tempo in cui responsabilmente prendiamo coscienza del cammino che abbiamo fatto nel triennio 98-2000,  per ritrovare nuovo vigore e ripartire da ciò che riteniamo essenziale per la crescita dei nostri gruppi.

Il presente è il tempo in cui intravediamo ciò che di nuovo il Signore prepara per la nostra regione. Far memoria del passato non alimenta la nostalgia per un tempo che fu, ma risveglia il senso di responsabilità, di fedeltà alla vocazione ricevuta, per crescere ancor di più nella conoscenza di Dio e  nella conoscenza della realtà del RnS.

Il presente non è il tempo in cui viviamo l’esperienza nel ricordo nostalgico del passato, ne tanto meno come ripetizione uniforme, partecipando alla vita del RnS per abitudine e con stanchezza; ma è il tempo in cui facciamo esperienza delle cose sempre nuove che il Signore compie nella nostra vita. La lode che tanto ci caratterizza, non è altro che il riconoscimento e la risposta gioiosa alle opere meravigliose che il Signore compie: “grandi cose ha fatto in me l’onnipotente e Santo è il suo nome”.

Non sempre, viene accettato il fatto che  nonostante anni e anni di esperienza, la grazia del RnS rimane comunque qualcosa da approfondire e sperimentare in maniera sempre nuova, di conoscenza in conoscenza.

Circa la ministerialità, la pastoralità, il cammino formativo, l’esperienza carismatica, siamo ancora agli inizi, abbiamo ancora tante cose da comprendere e sperimentare, per una maggiore corrispondenza alla volontà di Dio. Siamo in permanente  stato di apprendistato.

 

1)         LA SANTITA’

 

La meta che ci sta davanti è la salvezza, è la Santità, l’essere conformi a Cristo attraverso un processo di continua trasformazione per opera dello Spirito Santo ( 2° Cor 3,18). Questa è la “Terra Promessa” che siamo chiamati a raggiungere, mediante  la chiamata nel RnS. Ogni sforzo “pastorale”, le scelte formative, l’articolazione della vita di gruppo, devono essere orientate da questo obiettivo fondamentale: essere Santi come Dio è Santo ( cfr I Pt 1,16; Lv 19,2).

La via per la Santità c’è sta tracciata in maniera definitiva da Gesù, che è venuto, come dirà l’Apostolo Paolo nella lettera a TITo, ad “insegnarci a vivere” (cfr Tito2,14)  o come afferma l’evangelista Giovanni, a darci ”la vita e la vita in abbondanza” (cfr Gv10,10).

Vita nuova nello Spirito vuol dire vivere come ha vissuto Gesù, imparare da Gesù ad essere pienamente uomini e donne  nella storia, nel mondo.  Imparare a vivere come ha vissuto Gesù vuol dire, realizzare una vita “buona, bella e felice”, ma secondo una logica completamente opposta alla felicità e bellezza che propone il mondo. 

La bontà, bellezza e felicità della vita in Cristo deriva semplicemente dalla logica del donarsi per amore e nella libertà, per amore di Dio e dei fratelli; la logica del mondo invece è fondata sul possedere “tutto e subito”, amando se stessi, contro Dio e contro gli altri.

La pastoralità, la ministerialità, ogni servizio nella comunità, non sono fondati soltanto su un carisma, su doni particolari, ma sulla mentalità “cristologica” del donarsi per amore e nella libertà.

L’evangelizzazione  che il RnS è chiamato a riprendere come uno degli elementi qualificanti della sua identità, che riguarda tutti, prima ancora che un ministero specifico, consiste nel testimoniare un nuovo stile di vita, la cui fonte e culmine è Cristo, che risponde al desiderio di felicità che è inscritto in ogni uomo.

Il Card. Ratizinger durante il convegno dei catechisti e docenti di religione in occasione del Giubileo dei catechisti ebbe a dire:

“La domanda fondamentale di ogni uomo è: come si realizza questo diventare uomo? Come si impara l’arte del vivere? Quale è la strada alla felicità?

Evangelizzare vuol dire: mostrare questa strada, insegnare l’arte del vivere… Gesù dice sin dall’inizio sono venuto ad Evangelizzare i poveri .(…) La povertà più profonda è l’incapacità di gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria…L’incapacità di gioia suppone e produce l’incapacità di amare, produce l’invidia, l’avarizia , tutti i vizi che devastano la vita dei singoli e del mondo….Perciò abbiamo bisogno di una nuova evangelizzazione, se l’arte del vivere rimane sconosciuta, tutto il resto non funziona più. Ma questa arte non è oggetto della scienza, questa arte la può comunicare solo chi ha la vita , colui che è il Vangelo in persona”

               

2)         LA GIOIA

 

 La gioia che è una tra le caratteristiche  del RnS è autentica ed è motivo di effusione di Spirito Santo, come l’incontro tra Maria ed Elisabetta, se scaturisce da una vita radicata nella vita di Cristo, se Dio è realmente Colui che svela il vero significato del nostro esistere ed orienta e determina il nostro essere con e per  gli altri. 

Lo Spirito Santo ci fa dono della  gioia di Maria va in fretta da Elisabetta, per amore e nella libertà, sapendo che da quell’incontro scaturisce una nuova conoscenza di Dio, una nuova comprensione dell’amore di Dio.

     

3)         UN NUOVO MODO DI ESSERE ANIMATORI

 

Siamo chiamati a testimoniare una pastoralità e ministerialità fondata semplicemente sulla logica del donarsi per amore e nella libertà, senza altri interessi. (cfr I Pt 5,1 non per avidità, né spadroneggiando).

Animatori  sempre più consapevoli che la loro principale vocazione consiste nell’amare i fratelli e le sorelle loro affidate.  Non a caso Gesù chiede a Pietro quale unica e fondamentale condizione per “pascere il popolo di Dio”, l’amore sino a morire, proprio perché non c’è amore se non donando la propria vita.

Se guardiamo con attenzione la vita di Gesù, cercando di capire come si è presentato in mezzo agli uomini, come ha portato avanti la sua missione, come si è comportato nei momenti difficili, come ci amati sino a morire per noi, ci rendiamo conto che la pastoralità e la ministerialità se non è fondata sull’umiltà, la povertà, la semplicità , lo zelo per il bene degli altri e non è sostenuta da un intensa vita di preghiera, rimane un operazione “sterile” che non edifica e nella peggiore delle ipotesi, diventa occasione di arrivismo, affermazione di sé,possibilità di esercitare un potere sugli altri.   

Per un’autentica pastoralità bisogna assumere  come primaria preoccupazione , non tanto le cose da  fare, organizzare e programmare, anche se queste sono  pur necessarie, ma l’accoglienza delle persone che il Signore ci ha affidato,  per amarle,  comprenderle, promovendo in loro un processo di vera conversione e di assunzione dell’identità del RNS.  In definitiva gli animatori devono prendere coscienza dell’importanza ai fini di una proficua pastoralità, dell’accompagnamento spirituale.

 

ITINERARIO PASTORALE

             

L’INTINERARIO che abbiamo cercato di tracciare nel corso di questo triennio, relativamente alla pastoralità,  è stato mosso da questa esigenza primaria , crescere nella Santità:

 

I TAPPA: La Santita  ( 13-15 Marzo  1998)

 

Il Papa, nella lettera apostolica già citata, ha definito la Santità “misura alta” della vita cristiana ordinaria (n 30), condizione imprenscindibile per ogni autentico servizio pastorale.

 

II TAPPA: La comunione  ( 31 Luglio 2 Agosto  98)

 

     Il Santo Padre nella sua recente lettera apostolica, a chiusura dell’anno giubilare, “Novo Millennio Ineunte” invita a promuovere una spiritualità della comunione (n.43). Prima di ogni iniziativa concreta, afferma il Papa,  bisogna promuovere tale spiritualità, che consiste nel contemplare l’amore Trinitario di Dio e nel sentire il fratello come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, ed intuire i suoi desideri, prendersi cura dei suoi bisogni e offrigli la vera amicizia .

     La comunione è un cammino determinato dal passaggio dalla conoscenza superficiale degli altri alla fraternità, e dalla fraternità all’amicizia.

 

III TAPPA  La funzione pastorale  (12-14 Marzo 99)

 

     L’itinerario pastorale che abbiamo vissuto può essere sintetizzato così: dalla Santità alla funzione, oppure dall’unzione alla funzione.  La Santità personale, come impegno a lasciarci conformare a Cristo, non può che concretizzarsi nella volontà di  vivere in comunione mettendosi a servizio degli altri.

     Nel corso dell’ anno 2000 abbiamo sottoposto a verifica la funzione degli organi pastorali con particolare attenzione ai comitati diocesani. Realtà ormai acquisita da 10 anni a questa parte, ma non per questo pienamente compresa, anzi qualche volta falsata rispetto alla sua vocazione originaria. In questo caso ritornare al “passato” per comprendere la motivazione per cui si decise di attuare una “struttura pastorale” diocesana, risulta necessario, per capire oggi, la funzione di tali organismi, tenendo conto dei bisogni attuali, diversi da quelli di 10 anni fà.

     In un tratto sistematico di ecclesiologia un teologo afferma:  

“Essa (La Chiesa) non può mia aggrapparsi con una sicurezza quasi automatica alle sue azioni ministeriali, sacramentali e anche carismatiche, ma deve sempre di nuovo invocare lo Spirito e accoglierlo come dono sempre più grande che supera il suo orizzonte istituzionale-sacramentale e carismatico.

 

           

 

 

ITINERARIO FORMATIVO MINISTERIALE

 

Il bisogno di sperimentare nell’oggi le nostre radici, riprendendo alcuni momenti fondamentali del nostro cammino lo abbiamo sperimentato, anche attraverso il week-end di vita carismatica (Marzo 2000), rivivendo una nuova effusione di Spirito Santo.

     Lo stesso dicasi per la ministerialità. Abbiamo più volte approfondito questo argomento sino a giungere ad una nuova comprensione (visione), che non sminuisce l’essenza e il valore della ministerialità ma che segna una tappa nuova di nuova maturità.

     Dato che siamo sull’argomento, circa la ministerialità, dobbiamo dire con una certa onestà che  nel tempo ci siamo accorti che  da “strumento“ di servizio è degenerato, nella prassi e quindi nella comprensione, in strumento di successo, affermazione, potere, di privilegi e prestigio, tanto da isolarsi dal contesto del gruppo e diventare un gruppetto nel gruppo, sganciato da ogni forma di discernimento e verifica da parte degli organi  pastorali.

   Riprecisare la funzione ministeriale, come vedremo in seguito, in riferimento alla dimensione comunitaria è un modo per non annullare la ministeriale ma per valorizzarla ancor di più per l’edificazione comune.

     Comprendere il valore del passato, nel senso di memoria viva e profetica degli inizi e delle tappe che di anno in anno il RnS sperimenta, significa rivalutare il ruolo degli anziani, come dono per la comunità. Non a caso per la prima volta a livello nazionale nel prossimo triennio verrà istituito il collegio degli anziani a supporto del cammino nazionale, così come in Sicilia .

             

 

I TAPPA : IL PRIMATO DEL SERVIZIO ( 6-8 Febbraio 1998)

II TAPPA.: IL PRIMATO DELLA VITA NUOVA (IDENTITA’) (29-31 Gennaio 1999)

III TAPPA : IL PRIMATO DELLA VITA COMUNITARIA. (2-4 Giugno 2000)

 

 

     Se facciamo un confronto con il cammino formativo pastorale nel caso della ministerialità abbiamo un rovesciamento di prospettiva:  nel primo caso siamo partiti dalla Santità, potremmo dire dall’unzione, per arrivare alla funzione; nel secondo caso dalla funzione alla comunione.  Scopo della ministerialità, dell’esercizio carismatico è l’utilità comune, quindi il consolidamento della comunione e non lo sfaldamento, unitamente alla trasmissione dell’identità carismatica. Se la pastoralità concorre all’armonizzazione di tutte le diversità per un’autentica vita comunitaria, la ministerialità  concorre a comunicare l’esperienza carismatica.  In origine la ministerialità nasceva in Sicilia in vista di un nuovo risveglio della vita carismatica. Allo stato attuale l’obiettivo è lo stesso. I ministeri non sono finalizzati alla realizzazione di piccoli gruppetti separati o sganciati dalla vita comunitaria e in contrapposizione al pastorale, ma hanno lo scopo di favorire in ciascuno la disponibilità ad accogliere con umiltà e gratitudine i carismi che lo Spirito distribuisce per l’utilità comune.

     L’ultima tappa: la vita comunitaria, non solo richiama al principio dell’utilità comune, ma impone una nuova visione circa la funzione ministeriale nel gruppo, come conseguenza del cammino ormai decennale realizzato nella nostra regione.

      Oltre a verificare ed approfondire il livello pastorale e ministeriale, abbiamo posto attenzione a tutta l’articolazione della vita di gruppo, cercando di favorire la comprensione e quindi l’impostazione di una vita di gruppo che rispecchi in qualche modo quella delle prime comunità cristiani descritte nei primi capitoli degli Atti degli Apostoli.

     Uno stile di vita comunitaria, ove in particolare modo gli effusionati, si impegnano a vivere un cammino assiduo di conversione fondato sull’esperienza carismatica, il discepolato (l’assiduità alla formazione) e la disponibilità alla missione, al servizio ai fratelli.

     A tal proposito, ritengo opportuno citare una breve riflessione da parte di un teologo siciliano, circa il senso di appartenenza in generale, ma che ritorna utile anche per il nostro cammino:  


“Il venire a contatto con una comunità ecclesiale autentica pone sempre il problema che l’entrarvi esige un processo serio di conversione a Dio. Quando invece ci si imbatte in una comunità ecclesiale più simile a un club, l’adesione, e quindi l’appartenenza, diventa facile e insieme fragile, superficiale e , perciò, non autenticamente motivata. Potrà forse apparire paradossale; ma in realtà l’appartenenza è fragile e inconsistente quando la comunità ecclesiale è esistenzialmente non significativa e non esigente” ( Antonio Giliberto “ Comunione e comunità” Ed. Centro Studi Cammarata). 

 

     Se riteniamo buono questo principio , possiamo asserire una delle cause principali della non–appartenenza dipende dallo  stile di vita che il gruppo propone. Se tutta la realtà del RnS è  ridotta al solo incontro di preghiera e se questa, non viene vissuta come dialogo con Dio in vista di un cambiamento personale ma soltanto come evento consolatorio, senza un vita comunitaria impostata in una conoscenza graduale dell’esperienza carismatica e di tutto il mistero cristiano, l’appartenenza risulterà debole non autenticamente motivata. Se la ministerialità o la pastoralità è la meta immediatamente successiva all’effusione, senza un tempo proficuo di discepolato, l’appartenza risulterà fragile.

     Il senso di appartenenza si recupera se si  intervenire alla radice del problema : la vita comunitaria. Il CRS nel corso di questo triennio e in particolare nel corso della tre giorni ministeriale del 2000, ha dato chiare indicazioni pastorali circa l’articolazione della vita comunitaria che fra poco riprenderemo.

     Recuperando il senso di appartenenza si recupera anche l’identità. Entra a far parte del RnS, vuol dire capire  che non siamo noi a dare un identità al RnS, altrimenti dovremmo avere tanti RnS quante sono le persone, ma riceviamo da altri l’identità del RNS, da assumere in maniera consapevole e personale. Possiamo dire che vi è un identità oggettiva che riceviamo dalla testimonianza di chi ci precede.

     Gli organi pastorali in definitiva hanno il compito di garantire l’oggettività del RnS, in modo tale che la radice, gli elementi fondamentali del RnS non sia snaturati. Tutto questo avviene in un processo di accompagnamento in modo tale che ognuno sia aiutato a comprendere la specificità del RnS e possa decidere di aderirvi consapevolmente e liberamente.

     In questa fase bisogna avere il coraggio di discernere quelle forme o richieste da parte di chi si accosta al RnS che tendono a modificarne l’identità.  Ci si può accostare nel RnS per ottenere una guarigione o persone che sono protese a privilegiare un aspetto della preghiera o dell’esperienza carismatica, ma cammin facendo queste persone devono essere aiutate dal pastorale, dagli anziani, dagli animatori a scoprire  ciò che realmente il RnS è e propone,  per essere  messe nelle condizioni di poter decidere di  aderire attraverso un concreto coinvolgimento alla vita del RnS, in vista di un serio cammino di santità.

     Ma tutto questo attraverso la pedagogia della gradualità, attraverso un cammino per tappe, che non può essere soltanto comunitario ma che richiede anche un’attenzione personale, un vero e proprio accompagnamento spirituale.

     Tengo a precisare il principio della “ LEGGE DELLA GRADUALITA’” e non la “gradualità della legge”. Nel primo caso avendo chiaro gli obiettivi e l’identità, gradualmente ciascuno, attraverso l’impegno personale e l’accompagnamento dei fratelli maturi nel cammino, acquisisce la specificità del RnS; nel secondo caso invece ognuno adatta il RnS alle proprie esigenza; cosicchè se la maggior parte delle persone non vuole seguire alcuna formazione , oppure dà priorità al fatto miracolistico ecc… il pastorale si adegua a tale situazione, determinando così una perdita di identità e appartenenza.

     Le varianti o le variabili sono molte e spesso imprevedibili nel nostro cammino ma i criteri generali d’identità e appartenenza devono esser bene chiari.

 

LA FRATERNITA’

 

     L’altro elemento fondamentale per il prossimo triennio, riguarda l’impostazione della vita comunitaria. Ritengo che sia necessario per il futuro del RnS una nuova presa di coscienza del termine comunione e in particolare di vita fraterna. Oggi è quanto mai necessario che all’interno dei gruppi vi sia un nucleo, un cuore, di fratelli e sorelle, che in maniera nuova, radicale, consapevole e libera, decidano di assumere i principi evangelici della fraternità, amicizia, sottomissione reciproca, perdono fraterno, del sostegno reciproco, impegnandosi nella custodia reciproca fondata sulla gioia di stare insieme.

     Non penso a nessuna  forma  di consacrazione o di comunità, ma semplicmente alla naturale  forma di vita fraterna che si ispira ai principi evangelici. Il cammino del gruppo, l’accompagnamento dei nuovi come degli effusionati, garantire e promuovere l’identità del RnS,  dovrebbe essere affidato a  persone che hanno deciso di donarsi per “la causa del RnS” con un impegno di vita serio, sancito da  una forma di reciproca sottomissione. Questa forma di fraternità con un impegno di vita spirituale più intensa rispetto ai simpatizzanti o nuovi effusionati,  con momenti particolari d’incontro, con un impegno serio alla reciproca sottomissione, dovrebbe coinvolgere il pastorale, i responsabili di ministeri, gli anziani, gli animatori.

     La fraternità, nella reciproca sottomissione, dovrebbe essere la modalità ordinaria con cui il pastorale vive la collegialità; con  cui pastoralità e ministeri vivono nella reciproca collaborazione e si preoccupano di esercitare un vero e proprio accompagnamento spirituale nei confronti di tutti coloro che si accostano al gruppo specialmente dei più bisognosi.

     Non dimentichiamoci che la comunione, il passaggio da gruppo da un punto di vista sociologico a comunità secondo Atti 2,42 è possibile solo se vi è un nucleo di persone, come lo furono i 12, che testimonia la possibilità di vivere la comunione secondo i principi evangelici. Gesù prima costituisce una piccola comunità i 12 e poi coloro che si convertono si uniscono alla comunità dei 12.  Solo  a partire dalla formazione di questa piccola fraternità sarà possibile dar vita a una nuova forma di pastorale e ministeriale, che non sia affidata al solo criterio elettivo, che non dipenda dai soli 2 anni d’effusione, ma che sia preceduto da un apprendistato alla vita spirituale, da una seria crescita nell’identità ed appartenenza.

     Se il richiamo alla comunità, al servizio, a tutti i principi che da anni enunciamo circa il vero volto della pastoralità, ministerialità, vita carismatica, non si incarna in un “nucleo-campione” che dimostri la loro validità e fattibilità attraverso una vita comune,  questi argomenti, pur se affascinanti rimangono, infecondi, infruttuosi.

 

ANIMATORI UMILI E DOCILI.

             

     Abbiamo più volte affermato la necessità di essere docili allo Spirito Santo, tanto che l’espressione del Papa: “Lascaitevi veramente guidare dallo Spirito” è rimasta impressa a tutto il RnS italiano. Ma la docilità è l’attitudine ad imparare, a lasciarsi istruire dallo Spirito, dalla Parola di Dio, dagli eventi quotidiani, dai fratelli.

     La docilità richiede l’umiltà. E’ docile chi è umile, chi si mette alla scuola di Gesù, chi assume la responsabilità pastorale, ministeriale come chi è alla ricerca di Dio ed è consapevole di essere conquistato da Dio e di  dover continuamente conquistare Dio:

 

“ Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anchi’io sono stato conquistato da Gesù Cristo” ( Fil 3,12).

 

     La gioia e lo stupore appartengono agli umili a coloro che confidano nel Signore.

     Non è un caso che la Litrugia di oggi propone il Vangelo delle nozze di Cana e che Rimini Nazionale avrà come tema proprio le parole di Maria : Fate tutto  quello che lui vi dirà.

    Parola rivolta  a una categoria ben specifica: gli inservienti, i servitori, coloro che sono preposti a servire a tavola, affinchè gli invitati possano partecipare con gioia alle nozze.

     Con le parole di Maria ritorniamo alle parole del Papa: Lasciatevi veramente guidare dallo Spirito. 

     In definitiva il futuro si gioca sulla disponibilità di ciascuno di noi a fare tutto quello che il Signore ci chiede, obbedendo a Lui, al punto da rinnegare noi stessi, cioè da staccarci dal nostro egoismo, o come dicevano i Padri dalla filautia: l’amore proprio, che è l’esatto contrario della carità.

     Non ci deve sfuggire che per gli apostoli la conseguenza immediata dell’esperienza di Pentecoste fu una nuova e radicale disponibilità a fare la volontà di Dio , ad obbedire a Dio sino alla morte. Infatti davanti all’opposizione del Sinedrio gli apostoli ribadiscono il primato dell’obbedienza a Dio ( cfr Atti 4,18), tanto da affermare che lo “Spirito Santo viene dato da Dio a coloro che si sottomettono(obbediscono) a lui” ( Atti 4,32).

L’obbedienza è il vero culto spirituale:

 

“ Il Signore forse gradisce gli olocausti e i sacrifici

come obbedire alla voce del Signore?

Ecco, obbedire è meglio del sacrificio

Essere docili è più del grasso degli arieti” ( I Sam 15,22)

             

     E’ questa nuova disponibilità ad obbedire a Dio che sin dagli inizi ci permetteva di fare scelte forti, radicali che segnavano un vero e proprio cambiamento o che ci consentiva di partecipare assiduamente alla vita del RnS , nonostante le difficoltà.

    Nella prassi l’obbedienza si traduce nella capacità di ascoltare Dio e i fratelli.

Affermava Bonhoeffer, “che il primo servizio che si deve agli altri nella comunione, consiste nel prestar loro ascolto.  L’amore per Dio comincia con l’ascolto della sua Parola, e analogamente  l’amore per il fratello comincia con l’imparare ad ascoltarlo. L’amore di Dio agisce in noi , non limitandosi a darci la sua Parola, ma prestandoci anche ascolto. Allo stesso modo l’opera di Dio si riproduce nel nostro imparare a prestare ascolto al nostro fratello.  Chi non sa più ascoltare il fratello , prima o poi non sarà più nemmeno capace di ascoltare Dio, anche al cospetto di Dio non farà che parlare.  Chi pensa  che il proprio tempo sia troppo prezioso perché sia speso nell’ascolto degli altri, non avrà mai veramente tempo per Dio e per il fratello , ma lo riserverà solo a se stesso, per le proprie parole e i propri progetti” ( Vita comune, pag.75)

 

Desidero concludere con un racconto rabbinico  a proposito della conoscenza dell’altro e dell’amore per gli altri:  

Un rabbino diceva: Come bisogna amare gli uomini, l’ ho imparato da un contadino. Questi sedeva con altri contadini e beveva. Tacque a lungo con tutti gli altri, ma quando il suo cuore fu mosso dal vino, si rivolse al suo vicino dicendo: Dimmi tu, mi ami o non mi ami? Quello rispose: Io ti amo molto. Ma egli ancora disse: Tu dici: Io ti amo, e non sai che cosa mi fa soffrire. Se tu mi amassi lo sapresti. L’altro non seppe rispondere, e anche il contadino che aveva fatto la domanda tacque come prima. Ma io compresi: questo è l’amore per gli uomini sentire di che cosa hanno bisogno e portare la loro pena.


 FORMAZIONE MINISTERIALE - ANNO 1998

I° TAPPA:    IL PRIMATO DEL SERVIZIO.

LA FUNZIONE.

       All'inizio del triennio 98-2000, il CRS ha proposto un itinerario formativo ministeriale, a partire dalla chiamata a servire quale atteggiamento fondamentale e imprescindibile per ogni esercizio carismatico nel RnS.

     I carismi, sono infatti, per l'utilità comune (cfr I Cor 12,7), per l'edificazione della comunità; "sono grazie speciali " con le quali lo Spirito Santo  ci rende "adatti e pronti" ad assumere "vari incarichi ed uffici" atti al rinnovamento della Chiesa (cfr L.G, n12) e all'edificazione del gruppo d'appartenenza.

     L'egoismo, l'egocentrismo, l'affermazione di sé, la strumentalizzazione dei carismi per la propria gloria, snaturano ogni esercizio carismatico e disgregano la comunità.

L'uomo"carismatico" ,infatti, non è un super-uomo, ma semplicemente un Servo del Signore e dei fratelli,  continuamente sollecitato dallo Spirito a condividere i doni ricevuti per il bene comune ( cfr Atti 4,33).        

     Consapevoli del fatto che l'esercizio carismatico non può prescindere dalla natura umana, ed esige un continuo e vigilante  discernimento, personale e comunitario, abbiamo ritenuto necessario richiamare l'attenzione, oltre al riconoscimento dei carismi specifici,  ad alcune qualità basilari, sia dal punto di vista umano che spirituale, per poter accedere alla ministerialità.

     Nelle sessioni di approfondimento sono stati affrontate alcuni argomenti pratici inerenti la costituzione dell'equipe ministeriale.

     Attraverso questa prima tappa si è cercato  di promuovere una ministerialità "ordinata e decorosa", a partire dal riconoscimento dei  bisogni  e dei carismi realmente presenti nel gruppo.  

FORMAZIONE MINISTERIALE ANNO 1999

II° TAPPA: PRIMATO DELLA  VITA NUOVA

L'IDENTITA'

     Il secondo anno ,del triennio 98-2000, dopo aver precisato il primato del servizio per una comprensione evangelica dell'esercizio carismatico, abbiamo cercato di riprecisare la nostra identità carismatica e in particolare  il primato dell'essere rispetto al fare, il pirmato della spiritualità sulla tentazione dell'efficentismo.

     Assumere una responsabilità ministeriale non significa, anzitutto, darsi da "fare" per gli altri  al punto  da non aver tempo per se stessi e da non  crescere nella conoscenza della Signoria di Dio. Alla domanda: " Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio", Gesù risponde: " Questa è l'opera di Dio. Credere in colui che egli ha mandato" ( Gv 6,29).

     Una ministerialità che si riduce a sola attività, senza una proporzionale crescita spirituale, senza una vita autenticamente  fondata sul primato della fede in Dio, da  rinnovare continuamente attraverso un autentico cammino di conversione,  non può reggere il peso di servire la comunità.

     Chi è preposto a servire la comunità, non deve dimenticare che la fonte e la forza di  ogni disponibilità per gli altri  è la relazione personale con il Signore (cfr Fil 3,8), che alimenta continuamente la tensione alla conversione.

      La comunità è edificata non solo tramite  i carismi, ma, anzitutto, tramite i frutti di conversione di ciascuno e in particolare di coloro che sono chiamati ad assumere, in maniera visibile e stabile, alcune funzioni all'interno della comunità.

     Se, infatti,  la nostra vita è costruita sulla "sabbia", ogni occasione è buona                      

per litigare, criticare, perdere la stima nei confronti degli altri, abbandonare il gruppo, ritenersi autosufficienti tanto da disprezzare la presenza e l'aiuto degli altri. Sentimenti questi,  che appartengono all'uomo carnale e che mortificano l'azione dello Spirito in noi,  nella comunità e in  ogni funzione  ministeriale. Ma , se la nostra vita è costruita sulla "roccia", ed è in "stato permanente" di conversione,  nulla potrà "separarci dall'amore di Cristo" e dall'amore per i fratelli.

     Nel corso della suddetta tre giorni  abbiamo avuto modo di  abbozzare, tracciando alcune linee di riferimento, riprese ed approfondite nell'anno successivo, la dimensione comunitaria  per favorire una maggiore crescita nel senso di appartenenza,in vista di  un'autentica esperienza di fraternità all'interno della vita di gruppo.

     La tre giorni dell'anno 1999, si concludeva con una riflessione tratta dal brano del Vangelo di Luca 17,10, che richiamava la nostra attenzione all'umiltà e alla semplicità come condizioni essenziale per crescere nella vita nuova e per mettere a disposizione degli altri i carismi ricevuti ( cfr I Pt 4,10), sull'esempio di Cristo nostro Signore. 

     L'umiltà, la semplicità, il ritenersi servi "senza pretese", fa sì che la ministerialità sia vissuta come possibilità di comunicazione e condivisione fraterna, dove ognuno ha bisogno dell'altro, ogni carisma necessità del carisma dell'altro ( cfr I Cor 12,16).

     Di conseguenza non è sufficiente costituire i ministeri ma, bisogna collocarli all'interno di un progetto comunitario, dove ognuno impara a scoprire la propria vocazione a partire dalla relazione con Dio e con gli altri, nel reciproco riconoscimento della medesima dignità umana e battesimale, nel rispetto dei doni e carismi diversi.

 FORMAZIONE MINISTERIALE ANNO 2000

III TAPPA:  PRIMATO  DELLA VITA COMUNITARIA

                         

     Nell'anno 2000, in continuità con il cammino svolto negli anni precedenti, abbiamo ritenuto necessario  approfondire la dimensione comunitaria della vita  di gruppo , per una nuova comprensione dell'unione fraterna (Koinonia), quale dono fondamentale dell'esperienza di  Pentecoste (cfr Atti 2,42), ma soprattutto per dare un nuovo "volto" alla ministerialità.

     Con il passare degli anni , infatti, ci siamo accorti che se, da una parte la ministerialità ha favorito un vero e proprio risveglio dell'esperienza carismatica,  dall'altra parte, consapevolmente o inconsapevolmente, si è sempre più "istituzionalizzata", “specializzata", tanto da creare dei veri e propri "compartimenti stagno" nel gruppo e nella diocesi.

     Ministeri sempre più sganciati da una vera e propria visione comunitaria, spesso in contrapposizione con la funzione pastorale, protesi all'autonomia, all'autosufficienza . Pur se  consapevoli che  le cause di tale "parcellizzazione" della vita comunitaria, non è da imputare semplicemente alle "strutture", ma certamente alla tensione  di voler dominare e primeggiare sugli altri propria dell' uomo vecchio che è in noi, abbiamo compreso che un maggior approfondimento sul rapporto comunità e ministeri poteva in qualche modo aiutarci a verificare le modalità di attuazione dell'esperienza carismatica nei nostri gruppi.

     A partire da tale  riflessione, siamo approdati ad una nuova tappa : dalla formazione da realizzare all'interno dei ministeri, alla formazione ministeriale di tutta la comunità.

     Infatti, la preghiera comunitaria carismatica, l'evangelizzazione, la profezia, la musica e canto, l'intercessione, ecc.. non riguardano soltanto  coloro che hanno ricevuto i carismi corrispondenti, ma tutta la comunità, tutti coloro che desiderano condividere la "spiritualità" del RnS.

     L'esperienza carismatica non è esclusiva o patrimonio di alcuni, ma  "a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito " ( Cfr I Cor 12,7). Questo non vuol dire che tutti sono chiamati a fare tutto, ma ognuno attraverso l'esempio di chi esercita "stabilmente" un carisma nella comunità, viene incoraggiato e stimolato a prendere coscienza del carisma particolare per l'edificazione comune (cfr I Pt 2,4).

     La formazione comunitaria carismatica, in sintesi,  ha lo scopo di "contagiare" quanti ancora non si sono aperti all'azione carismatica " particolare" ( prendere coscienza del carisma particolare) e far sì che tutta la comunità cresca nell'identità carismatica, partecipando responsabilmente alla preghiera comunitaria, prendendo coscienza della comune vocazione all'evangelizzazione, all'intercessione, al servizio reciproco, ecc.

     Per rendere operativa questa nuova tappa del cammino regionale ministeriale, abbiamo, in qualche modo, ripensato la vita di gruppo, mettendo in evidenza 3 condizioni fondamentali per un autentico cammino carismatico:

1.          L'esperienza (l'incontro personale con la Signoria di Gesù),

2.          la formazione comunitaria ( il discepolato),

3.          la ministerialità (la missione)            .

     Come si può notare, la formazione comunitaria è la tappa intermedia a sostegno  dell'esperienza e della ministeriale.  Non può esserci ministeriale se l'esperienza non è consolidata dalla formazione alla vita cristiana e carismatica. Non si può, infatti,  passare immediatamente dopo l'effusione alla ministerialità, ma è necessaria  il DISCEPOLATO per una crescita e  approfondimento del cammino cristiano ed ecclesiale.

     Ai fini della realizzazione di  un'adeguata formazione carismatica, la proposta del CRS è quella di "unificare"  i ministeri  presenti nel gruppo, previo  discernimento da parte  del pastorale,  in modo tale da costituire  un equipe di formatori che si preoccupa di trasferire la propria esperienza carismatica, ripensata , purificata e consolidata alla luce della Parola di Dio e della formazione ricevuta a livello diocesano, regionale e nazionale, per realizzare l'iter formativo comunitario.

     Le conseguenza pratiche di questa tappa sono le seguenti:

1.          Il Pastorale è l'organismo preposto al coordinamento di tutta la vita comunitaria  favorendo, in modo particolare,  l'armonizzazione tra i vari ministeri all'interno della vita  comunitaria;

2.          La ministerialità non dev'essere intesa come  struttura rigida, autonoma che segue un proprio progetto formativo, ma dev'essere a servizio dell'unico progetto formativo comunitario individuato dal pastorale. Questo non preclude una formazione particolare per ministeri, purchè non sia sostitutiva o  quella comunitaria;

3.          Più che continuare a costituire i ministeri con  durata triennale nei gruppi,  il pastorale deve prioritariamente  costituire un equipe di formatori, tenendo conto dei doni e carismi particolari , in vista di obiettivi formativi precisi. L' Equipe che non è legata a nessuna durata triennale , ma la sua durata  dipende dalla realizzazione del particolare progetto formativo. Nella fase successiva, una volta che il pastorale individua una nuova tappa, l'equipe di formatori sarà costituita da tutte quelle persone idonee a tale finalità. L'equipe dei formatori, così concepita, favorisce un nuovo modo d'intendere la ministerialità, non più  legata al prestigio ma al  reale carisma .

     Affermare l'importanza della formazione comunitaria, vuol dire, anche, riscoprire il primato della dimensione comunitaria fondata sulla valorizzazione delle differenza, ma soprattutto su una qualità di vita di gruppo protesa a realizzare la Koinonia delle prime comunità cristiane ( cfr. Atti 2,42, 4,33 ecc..).

     Tutti coloro che si accostano ai nostri gruppi vogliono" vedere Gesù", tra noi,  all'interno del vissuto comunitario.

     Senza una vita di gruppo fondata sul messaggio evangelico, la stessa preghiera d'effusione rimane un'esperienza che non trova l'ambiente adatto per potersi sviluppare.La comunione, la fraternità, il primato dell'amore, contro ogni tensione alla divisione, all'autosufficienza; l'amicizia, la reciproca accoglienza, sono le condizioni fondamentali per favorire un'adeguata crescita umana, spirituale e carismatica. La fondazione di nuovi gruppi dipende molto dalla presenza dei cosiddetti gruppi "madre",cioè gruppi che non solo si preoccupano di promuovere la crescita di nuovi gruppi, ma che testimoniano con il proprio stile di vita l'identità del RnS, testimoniando  come i carismi  doni di Dio per annunciare il vangelo dell'amore che salva, libera, consola, guarisce, ricostruisce l'esistenza umana.

     Il Santo Padre nella sua recente lettera apostolica, a chiusura dell'anno giubilare, "Novo Millennio Ineunte" invita a promuovere una spiritualità della comunione (n.43).               Prima di ogni iniziativa concreta, afferma il Papa,  bisogna promuovere tale spiritualità, che consiste contemplare l'amore Trinitario di Dio e nel sentire il fratello come "uno che mi appartiene", per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, ed intuire i suoi desideri, prendersi cura dei suoi bisogni e offrigli la vera amicizia .

     Nel corso dell'anno duemila, in armonia con le indicazioni nazionali, abbiamo vissuto un tempo di forte esperienza carismatica nel corso di un Wee Kend appositamente organizzato: gli obiettivi dell'incontro erano i seguenti:

ARTICOLAZIONE DELLA VITA COMUNITARIA

VITA NUOVA : L' ESPERIENZA

  PREGHIERA CARISMATICA COMUNITARIA

PRE-SEMINARIO: Tempo di accoglienza, annuncio Kerigmatico e di accompagnamento spirituale, aperto ai nuovi

SEMINARIO DI VITA NUOVA

Aperto a coloro che partecipano da almeno 1 anno al gruppo

PREGHIERA D'EFFUSIONE

 FORMAZIONE COMUNITARIA: DISCEPOLATO

      Formazione comunitaria al discepolato e alla vita carismatica, aperta a coloro che, dopo la preghiera d'effusione, desiderano intraprendere un cammino permanente di vita nuova nello Spirito e di appartenenza all'identità del RNS.

     Per poter rendere operativa la suddetta proposta, il consiglio pastorale in ascolto dello Spirito, degli anziani e dei resp. dei ministeri, provvede:

 N.B. Previo discernimento del consiglio pastorale, possono far parte dell'equipe dei formatori:

     che, per carisma e preparazione umana e spirituale, sono idonei ai fini della realizzazione dell'iter formativo alla vita carismatica comunitaria.

     Si ricorda che, ai fini della formazione alla vita carismatica, uno dei requisiti imprescindibili è quello dell'acquisizione dell'identità da parte del formatore e della sua reale appartenenza al RnS, oltre che, naturalmente, l'appartenenza alla vita ecclesiale.

 PASTORALITA'

 Il Consiglio pastorale ha il compito di :

pregare, obbedire alla Parola di Dio,discernere su tutto ciò che concerne la vita del gruppo,stabilire rapporti di vera  fraternità al suo interno e nel gruppo, servire umilmente la comunità, garantire e promuovere l'identità del RnS, esercitare l'accompagnamento spirituale, dare testimonianza di vita nuova, portare i pesi della comunità, partecipare agli incontri formativi diocesani, regionali, nazionali, essere presente a tutte le dinamiche della vita comunitaria.

Tale servizio dev'essere svolto senza arroganza, presunzione, ambizione,superbia, autoritarismo, spirito di contesa, arrivismo, egoismo, gelosia, ma con umiltà e nella reciproca sottomissione.

MINISTERIALITA'

Il consiglio pastorale, previo discernimento, riconosce i carismi, individua i ministeri  in risposta ai bisogni reali del gruppo.Gli ambiti operativi e gli obiettivi che la ministerialità si prefigge di raggiungere, per l'edificazione della comunità, devono essere individuati dal consiglio pastorale, avvalendosi della collaborazione degli anziani e dei resp. dei ministeri.

      I ministeri non possono svolgere alcuna funzione nel gruppo senza:

La ministerialità non può contrapporsi o sovrapporsi al consiglio pastorale, ma deve  servire la comunità con spirito di umiltà e nella reciproca collaborazione.

 

FORMAZIONE PASTORALE ANNO 1998

 I° TAPPA: LA SANTITA'

L'itinerario pastorale del triennnio 98-2000, rispetto a quello ministeriale, ha  avuto un indirizzo diverso anche se convergente e su certi aspetti complementare. Siamo infatti, partiti dal primato battesimale  della comune vocazione alla Santità per poi passare, nel 2000, ad approfondire  lo specifico della funzione pastorale.

Mentre, la dimensione comunionale, il primato della carità pastorale, dell'amore  fraterno, sono stati tra gli argomenti principali della II tappa formativa dell'anno 99.

Con la prima tappa, abbiamo cercato di capire l'opera santificatrice dello Spirito Santo nella nostra vita,  in vista della  conformazione  a Cristo( cfr I Tess 4,3; 2 Cor 3,18). La pastoralità, la chiamata a prendersi cura degli altri è un carisma di governo, di presidenza, che richiedere uno stile di vita fondato su Cristo Buon Pastore che dà la vita ( Gv 10,10) per noi.

Ricevere il dono e la responsabilità  di servire i fratelli vuol dire testimoniare un vita fondata su Gesù che è   il "Santo di Dio".

Il Papa, nella lettera apostolica già citata, ha definito la Santità "misura alta" della vita cristiana ordinaria (n 30), condizione imprenscindibile per ogni autentico servizio pastorale.

Ancora una volta, non si tratta di "fare" qualcosa, ma di "essere" qualcuno, di "essere" creature nuove. Se la pastoralità è soggetto alla logica "mondana", del potere, dell'avere e del possedere, dell'arrivismo, dell'orgoglio spirituale, non mostra alcuna differenza con le strutture di potere di questo mondo.

La Parola che Gesù rivolge ai suoi discepoli , preoccupati di occupare i primi posti, " fra voi non è così" ( Mc 10,43), rinvia ad un altrimenti, ad un modo diverso di essere, di agire, di parlare, di operare.  

Nelle sessioni di approfondimento sono stati tratti alcuni aspetti per una comprensione " giornaliera, quotidiana" della Santità, che siamo chiamati a vivere, non solo all'interno del gruppo ma nei vari ambiti sociali, come ad esempio la famiglia. Inoltre sono stati evidenziati gli strumenti primari per crescere nella Santità: preghiera, combattimento spirituale, Parola e Liturgia-vita sacramentale.     

  

FORMAZIONE PASTORALE ANNO 1998

 

II TAPPA : LA COMUNIONE

Con la seconda tappa del cammino formativo pastorale, abbiamo preso coscienza del primato della Koinonia all'interno degli organi pastorali.

Possiamo dire che il  maggiore ostacolo al buon svolgimento della funzione pastorale  è l'incapacità di vivere la comunione  sia al proprio interno che nel gruppo (cfr Ez 34, Lc 15).

Non sempre siamo consapevoli del fatto che scopo della pastoralità è quello di tenere unita la comunità che c'è stata affidata, in modo tale che nessuno si "perda" allontanandosi dalla comunione fraterna.

L'unità nel pastorale diventa  possibile  se l'atteggiamento di chi ne fa parte non è funzionale o esclusivamente subordinato alle cose da fare, ai progetti da realizzare,  ma è proteso ad istaurare rapporti autentici di fraternità.

Si tratta, infatti, di amare i fratelli e le sorelle insieme ai quali siamo chiamati a condividere il medesimo carisma "pastorale".

L'unico progetto e compito che Gesù ha affidato al primo Papa, Pietro, è stato quello dell'amore: " Mi ami tu…pasci le mie pecorelle" ( Gv 21,15).

Se prendiamo alla lettera l'espressione: prendersi cura degli altri, comprendiamo che l'unità, l'amore fraterno, ha un valore "curativo", terapeutico.

Le guarigioni riportate nei Vangeli, se le leggiamo  in profondità ,rimandano all'atteggiamento misericordioso di Gesù, che immette nella comunione con Dio e tra gli uomini: i peccatori, gli emarginati, gli ammalati da tutti i punti di vista. Tale azione terapeutica, compiuta da Gesù si realizza a partire dall'accoglienza.

Vivere la comunione all'interno della vita pastorale, significa riscoprire il primato dell'accoglienza, della stima reciproca, della fraternità, della reciproca collaborazione, correzione e perdono fraterno. Ma questo esige una nuova impostazione delle riunioni di pastorale che non possono essere episodiche, una volta ogni tanto, né strettamente connesse ai problemi più o meno gravi della comunità, cosicché, paradossalmente, se nel gruppo non ci sono "problemi", non è necessario riunire il pastorale.

Al di là della presenza o meno di situazioni particolari di gruppo, le riunioni di pastorale sono necessarie per crescere nella conoscenza umana, in mancanza della quale non è possibile crescere nella conoscenza spirituale dei fratelli. Chi pretende di amare un fratello o una sorella del pastorale, senza aver tempo per ascoltarla, conoscerla, pregare insieme, stare insieme, dialogare e condividere,  ama una sua proiezione, l'immagine che si è costruita del fratello o della sorella, quindi non ama una persona ma un idolo.

La funzione pastorale richiede una vera è propria conversione, un cambiamento di mentalità: dall'individualismo alla comunione, dal leaderismo alla collegialità.

Come l'anno precedente, si concludeva l'iter formativo con la giornata regionale per animatori.

FORMAZIONE PASTORALE ANNO 1999

 III° TAPPA : LA FUNZIONE PASTORALE

Stabilito il primato della Santità e della comunione, tenuto conto che il 99 era dedicato alla riscoperta del volto paterno di Dio, abbiamo cercato di approfondire la vocazione alla parternità spirituale propria del pastorale.

Il ruolo pastorale non consiste soltanto nell'organizzare la vita comunitaria,da un punto di vista tecnico, ma di costruire relazioni fraterne con ogni membro del gruppo. La peculiarità del pastore, secondo il cap. 10 del Vangelo di Giovanni, è quella di conoscere le "pecore" ad una ad una, di amarle sino a dare la vita per loro.

Senza conoscenza diretta delle persone affidate, senza accompagnamento spirituale non è possibile esercitare alcuna pastoralità.

Definire il pastorale “cuore del gruppo" significa affermare che se il "pastorale" non vive con senso di responsabilità il mandato ricevuto, influenza negativamente la vita di tutto il gruppo, disgregandolo.

Il pastorale, inoltre, è chiamato ad amare e accogliere i fratelli. Questo è il primo e fondamentale servizio. La qualità del pastore non può essere prioritariamente quella di essere intraprendente, capace di iniziative, ma di avere un cuore che sa amare ed accogliere, un cuore che è attento agli altri, che mette al primo posto la dignità delle persone,sopra qualunque altro interesse personale.

La  funzione del pastorale può essere paragonata al movimento del cuore umano, di contrazione e di dilatazione.

Il movimento di contrazione rimanda alla vita interna al pastorale, quella di dilatazione alla vita di relazione con i fratelli. Il riunirsi insieme dei membri del pastorale è finalizzata al rafforzamento dei vincoli fraterni in vista di una maggiore accoglienza di tutti i membri del gruppo.

Dalla relazione conclusiva triennio 1998-2000

                                   

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