LA PAROLA DI DIO: 
FONDAMENTO DELLA PREGHIERA COMUNITARIA CARISMATICA
 Corrado Di Gennaro

L'incontro di preghiera comunitaria carismatica è certamente uno dei luoghi privilegiati dove Dio convoca il suo popolo per parlare al cuore dei suoi figli. Accorgimenti e formazione adeguata evitano le eventuali distorsioni nell'uso della parola di Dio che si possono verificare all'inizio del cammino di gruppo.

Dio che parla, crea

In occasione della Conferenza Animatori dei 1998, mons. Giuseppe Agostino ha definito l'assemblea di preghiera come «accoglienza dei venire di Dio». Si manifesta quindi una sorta di irruzione dei divino nel temporale, che genera un senso di stupore e di sacro timore, per poi lasciare spazio a momenti di profonda adorazione della presenza del Dio "tre volte santo" (cf Is 6, 3).

E' in una tale situazione che Dio parla ai suoi figli, non solo con l'intento di rinvigorire gli animi e accrescere lo zelo, edificando, incoraggiando, consolando, illuminando, correggendo, ma anche per svelare i suoi disegni d'amore, per iniziare nuove opere, per mettere nei cuori nuovi progetti di santità e di carità. Una parola, quella di Dio, che quando trova accoglienza nel
cuore dell'uomo si rivela creatrice ben oltre la Creazione stessa.

All'origine di ogni creazione, di ogni opera di Dio, vi è sempre una parola uscita dalla bocca di Dio: «Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu » (G n 1, 3).

E ancora: «Dio disse: "Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque" E così avvenne» (Gn 1, 6-7).

Volendo scorrere l'intero racconto della creazione potremmo notare con molta chiarezza che a ogni parola uscita dalla bocca di Dio ne consegue una nuova creazione in un rapporto immediato di causa/effetto.

Tuttavia, quando definiamo "creatrice" la parola di Dio, ci riferiamo, in senso ampio, a tutte quelle innumerevoli opere, disegni, progetti di Dio nati grazie al "seme" della Parola sparso dal divino seminatore (cf Mt 13, 3-8), in quel terreno fertile che è il cuore di tutti coloro che, con animo grato lo accolgono e lo fanno fruttificare; in tutto questo liberi da ogni forma di condizionamento umano e con la piena consapevolezza che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29b).

Un esempio molto significativo ci viene, in tal senso, da un episodio citato da Luca nel libro degli Atti: «c'erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori [ ... ] Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: "Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati". Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono» (At 13, 1-3).

Qui vediamo un elemento comune a un nostro incontro di preghiera, come la proclamazione di una profezia attraverso una mozione dello Spirito Santo. Tuttavia, accanto a ciò notiamo anche, in maniera molto evidente, la docilità di Saulo e Barnaba nell'accogliere il progetto dei Signore.

Il fedele che ascolta, ubbidisce

La preghiera comunitaria carismatica, quindi, non deve essere solo il luogo in cui Dio parla, ma anche il luogo dove l'uomo ascolta la Parola per poi osservarla. Non basta, infatti, ascoltare solamente, ma anche mettere in pratica la Parola, affinché il progetto di Dio possa compiersi.

E' necessaria, quindi, un'azione teandrica (letteralmente: divino-umano, parola composta da due termini greci. Theòs = Dio e antropòs = uomo), cioè un'azione congiunta o sinergica, se vogliamo usare un termine moderno, da parte di Dio e dell'uomo.

Parafrasando sant'Agostino possiamo affermare che: quel Dio che ci ha creati senza di noi, non vuoi compiere progetti senza di noi. Ed è proprio per questo motivo che lui ci parla.

Perciò, dinanzi alla parola di Dio, l'uomo non può rimanere passivo. All'uditore della Parola viene intimato di prendere posizione e ciò impegna il suo destino.

Il Vangelo di Matteo ci mostra, nel personaggio dei giovane ricco, un ottimo osservante della legge, il quale, per non aver voluto accogliere la parola di Gesù che lo invitava a lasciare ogni cosa per essere "perfetto", con tristezza ritorna sui suoi passi (cf Mt 19, 16-22).

Di contro, lo stesso Gesù, non esita a definire beati coloro «che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (cf Lc 11, 28).

San Giacomo, poi, riguardo all'ascoltatore fedele, afferma che questi troverà felicità nel mettere in pratica la parola di Dio (cf Gc 1, 23-25).

Zaccheo, un altro personaggio che incontriamo nel Vangelo di Luca, etichettato dai suoi concittadini come ladro e pubblicano, grazie al fatto di aver accolto la parola di Dio «in fretta» e «pieno di gioia» (Lc 19, 6), ha potuto ottenere da Gesù l'eredità eterna: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 9).

Le due figure dei giovane ricco e del pubblicano Zaccheo ci insegnano, perciò, che la beatitudine e la gioia non nascono tanto dall'osservanza esteriore di precetti, ma dall'accogliere o meno la volontà di Dio e i suoi progetti. Il "si' di Zaccheo ha permesso che quest'ultimo diventasse non solo un salvato, ma anche un testimone generoso e perciò un servitore del Regno: «ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno restituisco quattro volte tanto» (Lc 19, 8b).

La parola di Dio, allora, nei nostri incontri di preghiera, accolta con l'apertura di cuore di questo straordinario personaggio, può veramente diventare un strumento per trasformare tanti peccatori e lontani - come sempre il Signore ne invia, attraverso infinite strade misteriose, presso i nostri gruppi e le nostre comunità - in salvati e in servitori dal cuore generoso, secondo quegli innumerevoli progetti di amore e di salvezza che egli stesso sussurra nell'animo di ogni uomo.

QUANDO IL SEME NON PORTA FRUTTO

Tuttavia capita che l'ascolto della parola di Dio non è seguito dall'accoglienza della stessa, per cui il seme caduto si perde senza portare alcun frutto, con conseguenze negative per il Regno di Dio, ma anche per colui che non accoglie la Parola stessa (cf Mt 13, 9), A tal riguardo, lo stesso sant'Agostino afferma:

"In verità, Gesù, nostro Signore, stabilì non una sottile linea divisoria ma una gran differenza non già tra gli uditori delle sue parole e coloro che non l'ascoltano, ma proprio tra coloro che l'ascoltano. Chi ascolta - dice - le mie parole e le mette in pratica, lo paragonerò ad un saggio, che edifícò la sua casa sulla roccia: cadde la pioggia, vennero addosso i fiumi, soffiarono i venti, si abbatterono contro quella casa, ma essa non si rovinò, poiché era fondata sulla roccia. Chi invece ascolta le mie parole ma non le mette in pratica, lo paragonerò ad uno stolto, che edificò la sua casa sull'arena: cadde la pioggia, vennero addosso i fiumi, soffiarono i venti, si abbatterono contro quella casa e cadde, e avvenne una grande rovina (Mt 7, 24-27). Ascoltare
quelle parole significa dunque edificare. In questo sono alla pari gli uni e gli altri, ma nel mettere o nel non mettere in pratica ciò che ascoltano sono tanto diversi, quanto un edificio basato sulla solidità della roccia è diverso da quello che, privo di fondamenta, è travolto dalla facile mobilità dell'arena. Ecco perché chi non ascolta non si procaccia un bene sicuro, poiché, non edificando nulla, resta senza alcun riparo e si espone molto più facilmente ad essere travolto, trascinato e sbattuto via dalle piogge, dai fiumi e dai venti». (Agostino, Le Lettere, II, 127, 7, Ad Argentarlo e Paolina).

Il falso profetismo da evitare

Diventa indispensabile, a questo punto, formare i nostri fratelli sul corretto atteggiamento da tenere nei riguardi della parola di Dio che in tante occasioni, anche giornaliere, accompagna la loro vita.

Talvolta la parola di Dio viene, purtroppo, "usata" e "abusata" proprio all'interno delle nostre riunioni di preghiera.

Dagli animatori della preghiera agli stessi membri dell'assemblea si nota, in talune occasioni, un uso superficiale e strumentale della stessa, per cui invece di "servire" la parola di Dio, la si "asserve" per vari fini che nulla hanno in comune con la volontà di Dio.

Sentimentalismo

Se la preghiera comunitaria carismatica non è il luogo dove si viene per incontrare Dio e accogliere con stupore e adorazione la sua parola di salvezza, ma diventa il luogo dove si ricerca il soddisfacimento dei propri bisogni psicologi, spesso di natura consolatoria, talvolta anche con la "complicità" degli animatori, allora si cade in quella deviazione che potremmo definire come: sentimentalismo profetico.

Giustizialismo

Se la stessa preghiera comunitaria carismatica diventa, invece, il luogo per usare la parola di Dio come strumento efficace e poco compromettente per rimproverare o, peggio, condannare qualche fratello dei gruppo, evitando magari in un contesto più opportuno una più scomoda condivisione o correzione fraterna, allora si cade in quell'altra deviazione che potremmo definire come: giustizialismo profetico.

Logorrea

Se, infine, la preghiera comunitaria carismatica diventa il luogo dove la parola di Dio viene usata per riempire gli spazi di silenzio derivanti dall'appiattimento della preghiera stessa, o ancora per assecondare qualche desiderio recondito di «protagonismo spirituale", allora si cade in quella deviazione che potremmo definire come: logorrea profetica.

In situazioni del genere questa potrebbe essere la malinconica considerazione di Dio: «Figlio dell'uomo, i figli dei tuo popolo parlano di te lungo le mura e sulle porte delle case e sì dicono l'un l'altro: Andiamo a sentire qual è la parola che viene dal Signore. in folla vengono da te e ascoltano le tue parole, ma poi non le mettono in pratica, perché si compiacciono di parole, mentre il loro cuore va dietro al guadagno. Ecco, tu sei per loro come una canzone d'amore: bella è la voce e piacevole l'accompagnamento musicale. Essi ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica» (Ez 33, 30-32).

Se la parola di Dio è davvero "di Dio", o meglio, se la parola di Dio è Dio stesso (dice, infatti, l'evangelista Giovanni nel prologo: «Il Verbo era Dio», Gv 1, 1), allora dobbiamo accostarci a essa con profondo senso di rispetto e adorazione, sia quando lo Spirito Santo ci chiama ad accoglierla, sia quando lo stesso Spirito ci invita ad annunciarla, sia quando essa è per noi, sia quando essa è destinata a nostri fratelli. Se la parola di Dio è veramente ispirata, cioè suscitata dallo Spirito, allora essa è l'inizio di una nuova creazione, di una nuova opera che Dio vuole compiere per noi e con noi.

Tuttavia essa si perderà senza aver portato alcun frutto se il cuore sarà rimasto attratto da desideri diversi da quello di compiere la volontà di Dio. Lungi da noi, allora, il pericolo, sempre in agguato nella vita dei nostri gruppi, di usare la parola di Dio come un pericoloso strumento di tentazione. E' necessario, in questo, non cedere alle tentazioni dei maligno che, pur di ingannare gli eletti di Dio, talvolta cerca di insinuare nei nostri cuori una maniera maldestra di accogliere la parola di Dio.

lo stesso Gesù dovette affrontare una tentazione dei genere al termine dei quaranta giorni di deserto. Leggiamo infatti nel Vangelo di Luca che il diavolo: «Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sui pinnacolo del tempio e gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano; e anche: essi ti sosterranno con le mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra" » (Lc 4, 9-11)

Decisa e senza tentennamenti, tuttavia, fu la risposta di Gesù: «E' stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo» (Lc 4, 12b).

Il seme porterà frutto

Permettiamo, allora, alla Parola di Dio di avere il primato su di noi, sulla nostra vita, sulla nostra volontà e non viceversa.
Sforziamoci di diventare, con l'aiuto della grazia, obbedienti alla Parola e servi della Parola. Arrendiamoci a essa con una resa senza condizioni, sapendo con certezza che il Verbo è «potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1, 24). Dice infatti l'autore della Lettera agli Ebrei: «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri dei cuore. Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto» (Eb 4, 12-13).

A questi fa eco il profeta Isaia quando afferma: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (is 55, 10-11).

La parola di Dio, perciò, nella nostra vita, nella vita nei nostri gruppi e delle nostre comunità, nella vita del Rinnovamento tutto, possa essere davvero «lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino» (cf Sal 119, 105) e possa, altresì, ricolmarci della stessa passione che per essa ha provato il profeta Geremia quando, rivolgendosi a Dio, ha potuto affermare con zelo divorante: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia dei mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti" (Ger 15, 16).

PROPOSTE PER UN'ANIMAZIONE EFFICACE

Dagli incontri nazionali sono emerse, nel corso delle settimane di formazione, alcune esigenze, rappresentate dalle varie regioni, che si possono sintetizzare in alcune proposte:

- esigenza di più stretta collaborazione tra il ministero di animazione della preghiera e quello della musica e del canto;

- maggiore collaborazione tra regioni vicine per supportare quelle in cui la ministerialità non è ancora adeguatamente sviluppata;

- verificare che il progetto di formazione abbia ricadute positive nel singoli gruppi e raggiunga tutti gli animatori;

- prevedere nelle varie regioni un cammino di formazione permanente, destinato ai ministeri di tutti i gruppi, cori più incontri brevi nel corso dell'anno, e week-end di approfondimento e condivisione spirituale;

- collegamento tra ministero di animazione della preghiera e della musica e canto, in maggiore coordinamento.

da "Alleluia" n° 2/2000



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