LA CHIESA ESISTE PER EVANGELIZZARE

Lidia Stefani
Responsabile Ministero dell'Evangelizzazione del RnS

Il significato di Evangelii nuntiandi, nella sintesi della relazione di p. Rinaldo Paganellí, tenuta in occasione della settimana di formazione di Caserta. Un appello agli animatori per meglio comprendere come l'evangelizzazione sia il compito che Dio ha affidato a tutti i cristiani.


Ogni evangelizzato sia evangelizzatore

Quando il Vaticano Il afferma che la Chiesa è missionaria per sua natura, che la Chiesa non può non essere missionaria, che la missione è la ragion d'essere della Chiesa, è in questione l'essere o il non essere della Chiesa (Lumen gentium n. 1; cf Evangelii nuntiandi n. 13).

La missione non è un'operazione che la Chiesa può fare o non fare in sovrappiù ad altre attività. Non è un compito che riguarda prima di tutto i missionari. La missione tocca il cuore dei problema, è la pietra di paragone della nostra fede. Di conseguenza sappiamo che ogni evangelizzato deve essere un evangelizzatore, ma sappiamo anche che soltanto coloro che sono evangelizzati possono evangelizzare in modo autentico.

Ora sarebbe meglio non classificare i cattolici in praticanti e non, ma in evangelizzatori e non evangelizzatori.

Colui che si accontenta di salvare la propria anima e non è disposto a prendere parte all'evangelizzazione del mondo, a essere un punto interrogativo evangelico per gli altri, non ha capito il significato dei cristianesimo.

L'evangelizzazione non è opera di navigatori solitari. Non è fatta per avventure individuali. L'evangelizzazione si svolge nella barca di Pietro, in comunione di vita e di azione con tutti i fratelli, ciascuno secondo il dono ricevuto.

Certo, la convinzione che la Chiesa e la missione hanno comunque un futuro può anche diventare pericolosa. Si potrebbe essere troppo rassicurati e lasciare che il mondo evolva per conto suo. Nella Chiesa vi sono alcuni che pensano: «La Chiesa vecchia e sapiente non può perire; ha già superato tante tempeste, si può continuare a dormire sonni tranquilli».

Ma l'avvenire della Chiesa, contro la quale le forze degli inferi non prevarranno, è una promessa di Cristo alla Chiesa, non tanto per la Chiesa stessa quanto piuttosto come segno di salvezza per il trionfo, poiché il mondo ha bisogno della Chiesa.

L'annunciatore portavoce della tradizione viva

La proposta che la Chiesa sente di poter fare al mondo di oggi è ben interpretata da san Paolo che, scrivendo ai cristiani di Corinto, così dice: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto» (1Cor 15, 3a)_

San Paolo espone qui un carattere essenziale dei suo ministero apostolico che è anche regola del fondamento, non solo dell'attività ministeriale, ma della stessa essenza e vita della Chiesa, che, in ogni epoca della sua vita, si è, sempre ispirata a questo assoluto rispetto della tradizione. Fra missione e tradizione esiste, dunque, uno stretto legame, che però non bisogna dare per scontato, occorre realizzarlo fra due realtà dinamiche in continua tensione, un deposito della fede che è immutabile ma che bisogna far vivere in ogni epoca, in ogni uomo.

Questo deposito della fede parte dal Padre, che ci dona il Figlio, uomo-Dio, e dall'uomo-Dio, mediante lo Spirito, passa agli apostoli, alla comunità primitiva e da questa alle contemporanee e successive chiese. Ora, se è importante rimanere fedeli alla tradizione, è anche vero che l'esperienza viva della realtà di fede si può fare solo all'interno della Chiesa; è questa la condizione perché. essa sia in grado di trasmetterla. Questa esperienza ha tre momenti essenziali: la vocazione, la convocazione e la missione.

Il momento personale: la vocazione

Lo Spirito Santo che, vivifica la Chiesa, vive e opera in ciascun battezzato, benché sia certamente difficile mettere insieme unità e varietà, persone e gruppo. Lo sperimentò anche sari Paolo, soprattutto nella chiesa di Corinto.

Vi era una varietà di carismi che rendeva difficile la vita della comunità, fino a crearvi divisioni e fazioni. Ebbene cosa pensa di fare Paolo in questa comunità malata? In casi simili, a noi, verrebbe la tentazione di perdere la fiducia nei carismi e nei carismatici, e di mettere tutto in ordine limitando la varietà dei carismi.

San Paolo, al contrario, inizia la sua lettura dei fatto in modo inaspettato: « Ringrazio continuamente il mio Dio per voi [...] perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni» (1Cor 1, 4-5a). Come vediamo, mantiene fiducia piena nei suoi cristiani di Corinto. Una fiducia nello Spirito che spira come vuole e, a volte, in maniera imbarazzante (cf 1 Cor 12, 13 -14; Rm 12, 4).

E' un discorso difficile quello di Paolo, e a volte disatteso oggi. Si insiste più frequentemente sulla convocazione e sulla missione. Ed è anche più facile farlo: c'è in queste due componenti dell'esperienza ecclesiale anche qualche elemento di carattere psicologico, sociologico ed esperienziale. E' più facile parlarne ed è più facile venire capiti quando se ne parla.

Mentre, quando si parla di vocazione, si sperimenta la difficoltà di annunciare un mistero, senza possibilità di sussidi psicologici. Eppure è necessario metterla alla base di ogni ecclesiologia, altrimenti, sia l'appartenenza alla Chiesa come la conseguente missione, possono ricevere le più varie motivazioni (cf Rinnovamento della catechesi n. 185). Infatti, se provate a domandare a un cristiano perché si sente un cristiano impegnato, forse verranno risposte marginali, ma con fatica arriva quella giusta. I più preparati, riferendosi a Lumen gentium n. 33, ricorderanno che per mezzo dei battesimo e della confermazione sono deputati alla missione salvifica della Chiesa.

Ci sono poi quelli che leggono le Scritture e si sentono interpellati.

In ambedue i casi, comunque, la vocazione è incompleta perché l' hanno ricevuta mediante strumenti e se, attraverso tali strumenti, non si arriva all'incontro con Gesù morto e risorto, la vocazione non sarà autentica. C'è anche chi si sente chiamato a seguito di un invito del parroco o chi si sente interpellato a un servizio per tenere presenti i mali dei mondo, Tutti casi da non trascurare. Ma un'autentica vocazione ecclesiale deve essere sempre un incontro personale.

Il momento comunitario: la convocazione

Lo Spirito vive e opera in ciascun battezzato «per formare un sol corpo» (1 Cor 12, 13).
Cosi al rapporto verticale della vocazione si aggiunge ora questo rapporto orizzontale, manifestato dalla comunità. Lo Spirito offre doni diversi ma complementari perché si formi un'organica comunità ecclesiale. Paolo stabilisce due criteri normativi:

- Gesù è il Signore (cf 1 Cor 12, 3);

- l'edificazione della comunità (cf 1 Cor 12, 7).

Pertanto chi esercita un ministero nella Chiesa, deve tenerlo sempre presente: è un servo di Cristo e per questo, sul suo esempio, si mette a servizio dei fratelli.

L'edificazione non è semplice "buon esempio" ma ha il senso forte di «costruire pietra su pietra» (cf 1 Pt 2, 4-5), di edificare il corpo di Cristo che è la Chiesa (cf Ef 4,12).

La ministerialità non è per reintrodurre nella Chiesa una distinzione di classi, ma per recuperare quella sorta di primato ontologico del l'intero popolo di Dio, che porta a stimare la pari dignità di ogni persona, ciascuna con il suo dono, perché non sarà senza l'apporto di ciascuno che il Vangelo si fa vita.

Il momento dell'azione: la missione

Ci può guidare opportunamente, in questa riflessione sul momento dell'azione, il comando del Signore: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15b).
Nel comando missionario tre elementi sono da tenere presenti:

- andate;
- evangelizzate;
- ogni creatura.

Alcuni assolutizzano il primo elemento e si sentono investiti da una chiamata di Dio a compiere un servizio. Ma si fermano l'i. Non hanno un solido contenuto dottrinale da esporre.

Altri si fermano alla missione: cioè al contenuto da annunciare. Essi costituiscono una specie di Chiesa ripetitiva. Amano la dottrina più che il Cristo salvatore e il fratello da salvare.

Ci sono poi quelli che si sentono inviati al popolo, tengono presenti i destinatari senza far riferimento né a Cristo né alla sua Chiesa. Si lasciano sollecitare solo dai destinatari e accettano condizionamenti solo da loro.

Per evitare questi fraintendimenti vediamo allora di approfondire meglio i tre elementi proposti da Cristo Gesù.

- Andate. «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20, 21 b). Questa equivalenza tra la missione di Gesù e la missione del cristiano, tende a costruire, fra il cristiani e Gesù, quella stessa identità che esisteva fra Gesù e il Padre.

La missione ecclesiale deve ancorarsi a questa fede nella presenza nascosta e misteriosa dei Cristo. Occorre allora essere avvertiti del fatto che la testimonianza dei singolo non esaurisce la vocazione ecclesiale alla missione. La Chiesa non ha bisogno di protagonisti individuali, ma ha bisogno di una presa di coscienza globale dei battezzati, in cui ciascuno abbia il diritto di parola e senta le decisioni da prendere come decisioni vitali per la sua vita.

- Predicate il Vangelo: la missione di predicare il Vangelo ha come soggetto primario e radicale la comunità ecclesiale. in essa nasce e da essa emana ogni forma autentica di annuncio e di ministero della Parola.

Inviata ed evangelizzata, a sua volta invia gli evangelizzatori, mette in bocca la parola dei Salvatore, spiega loro il messaggio di cui lei è depositaria, dà loro il mandato che essa stessa ha ricevuto e li manda a predicare, ma non per predicare le proprie persone e le loro idee, ma i I vangelo di cui né gli uni né l'altra sono padroni e proprietari assoluti, ma ministri per trasmetterlo con fedeltà (Evangelii nuntiandi n. 15).

Il Vangelo che la Chiesa annuncia è una persona, è il Cristo. E' lui il soggetto che opera nello Spirito di chi evangelizza. E allora ne consegue, per la Chiesa, l'esigenza di non appartenere che a lui, di esserne la serva, di lasciarsi praticamente evangelizzare e rigenerare dalla Parola.

La verità che annunciamo non è qualcosa che si possiede ma è qualcuno che ci possiede. Il catechista è sempre e soltanto il servo della verità.

- Ad ogni creatura: la predicazione dei Vangelo non ha limiti perché non è fatto per la sagrestia. Ha il diritto-dovere di arrivare ovunque ci sia un uomo da salvare, è per l'uomo nella sua fatica di vivere e nel suo coraggio di essere veramente uomo. Possiamo dire che con la Pentecoste ha avuto diritto di cittadinanza universale. A nessuno è lecito restringere la cerchia dei destinatari, né i nostri limiti né l'indifferenza o l'eventuale rifiuto dei destinatari.

Già sant'Agostino si poneva questo problema. Prendendo lo spunto dalla paraboia del seminatore, egli così la commenta in un suo discorso: «Coloro che accettano l'insegnamento sono cristiani, riguardo a coloro che ascoltano, ma non l'accettano non sta al seminatore giudicare. Né la strada, né le pietre, né le spine possono trattenere la mano dei seminatore: egli getta ciò che ha. Colui che teme che cada in terra cattiva, non arriva alla terra buona. Noi parliamo, gettiamo il seme, spargiamo il seme. Ci sono quelli che disprezzano, quelli che rimproverano, quelli che irridono. Se noi temiamo costoro, non abbiamo più nulla da seminare, e il giorno della mietitura resteremo senza raccolto. Perciò venga il seme sulla terra buona» (Agostino, Discorso sulla disciplina cristiana, PL 40, 677-678).

Che l'annuncio comporti fatica, incomprensione, insuccesso c'è da aspettarselo. Un giusto annuncio è comunque importante. Accade oggi che, per i nostri interlocutori, ci siano troppe domande senza risposta e troppe risposte senza domande e così si fa un annuncio fra sordi.

Ministerialità per la missione

Tutto questo, per diventare vita nella Chiesa, esige uno stile di comunione e una Chiesa tutta ministeriale. Il concilio Vaticano II ha pensato la Chiesa come popolo di Dio tutto intero ministeriale e al vecchio binomio gerarchia-laicato ha sostituito il binomio comunità tutta intera vivificata dal dono dello Spirito, al cui interno si pone la varietà dei carismi e dei ministeri.

Prima si pensava che il carisma fosse qualcosa di straordinario dato a qualcuno. Il Concilio ha fatto riscoprire che la fantasia dello Spirito è inesauribile. Tutti nella Chiesa, in forza del battesimo, hanno ricevuto doni diversi e meravigliosi da mettere a disposizione degli altri e, nel momento in cui viene messo al servizio in forma stabile e riconosciuto dalla Chiesa, ecco che si ha il ministero nella Chiesa.

Per "promuovere" il laicato non occorre chiedergli di superare esami per passare di grado: i sacramenti e i doni carismatici lo "attrezzano" prima ancora che il riconoscimento ufficiale della Chiesa venga a ordinare e disciplinare il suo apporto. L'impegno evangelizzante non è dunque un di più da assumere volontaristicamente: è un dover essere da coscientizzare e da rivalutare (Evangelii nuntiandi n. 24).

Non manca una certa pressione per riconoscere all'evangelizzatore il grado di ministro. Pressione non incoraggiata dal sinodo sulla catechesi e non ripresa dalla prassi ecclesiale. Si preferisce, ancora e sempre, considerare il catechista non un ministro stabile, ma un volontario. Dargli l'investitura, sarebbe molto più che attribuirgli il normale mandato. E poi, non si è ancora trovato lo spazio per la definizione di un ministero distinto del catechista fra i genitori, il prete, gli educatori, il gruppo, l'associazione e la comunità.

Sicuramente la riscoperta dei carismi e dei ministeri è decisiva per il futuro di una chiesa meno clericale e più partecipe.

Ma occorre anche evitare di tendere, con questo, sempre più a una chiesa elitaria e promuovere un'ecclesiologia che si incarna nella comunità e genera il popolo di Dio. E' da valorizzare il sensus fidei che c'è in ogni cristiano, un sensus fidei che è il traguardo ideale del cammino. Di fatto il vero primo cammino della Chiesa dovrebbe essere quello di una comunità non solo orante, ma che, mentre celebra la preghiera, veramente esprime il consenso della fede attraverso il quale passa lo Spirito Santo.

Ogni gruppo, ogni comunità, ogni parrocchia deve essere teologale. Se manca un pensare nello Spirito Santo, le azioni migliori che si fanno sono sprecate. L'ideale è che in ogni diocesi, in ogni parrocchia, ci sia anche il momento della riflessione e non solo il momento della preghiera e della predica, per scoprire come, attraverso ogni uomo, passa l'azione dello Spirito Santo.

In tal senso è vero catechista colui che attinge. la sapienza non solo da concetti o da libri, ma interroga tutti coloro che sono stati protagonisti di sapienza lungo i secoli. Per questo la catechesi tende a diventare narrativa. Il catechista deve far sua e rendere presente all'oggi tutta la sapienza che Dio ha seminato nell'umanità.

E' importante narrare il più possibile grandi figure, ma anche figure minori, per recuperare tutta la ricchezza dei segni attraverso i quali Dio ha parlato e, soprattutto, per dare valore ai protagonismo degli uomini. Non si può far catechesi amando i concetti. Si fa catechesi amando le persone.

I portatori di verità non sono i concetti ne le parole, ma chi annuncia, anzi esperimenta la fede. Molle volte anche la catechesi è stata dai teologi orientata a diventare sapere, conoscenza di una dottrina. Ora, invece, nella Chiesa tutti sono chiamati a offrire se stessi come portatori della Parola. Non parole che passarlo, anche attraverso le labbra, ma parole che si incarnano. Bisogna quindi che la pastorale diventi più teologale nel senso di dare maggior affidamento a tutti i fronti dai quali può emergere la Parola. Concretamente tutti nella Chiesa sono in qualche maniera sotto e tutti sono sopra, tutti in qualche maniera sono contemporaneamente discepoli e maestri. E' importante maturare questo stile di condivisione perché, avendo ognuno un piccolo dono di sapienza da dare, diventa più facile far crescere una matura ministerialità.

Si aiuta a crescere crescendo insieme

Una caratteristica della nostra vita, limitata dalla civilizzazione tecnica, è la funzionalizzazione della comunicazione interpersonale. Il dialogo, fin dentro la realtà familiare, è dominato dalle necessità quotidiane. I rari spazi di libertà sono spesso occupati, a volte fino alla dipendenza malata, dai media.

Lo scambio di esperienze vitali importanti, a volte anche determinanti, è diventato tabù. Per quanto riguarda la religione l'incapacità di dire e di dirsi si è diffusa e ha portato a una sorta di solitudine metafisica dell'individuo.

Colui che scopre, di nuovo la religione in generale o la fede cristiana, o colui per il quale questa fede deve rimanere vivente, ha bisogno soprattutto di un testimone, un partner competente in esperienza religiosa.

Non si può trasmettere la fede se non con la voce di una generazione spirituale in un dialogo vivente, verbale e non verbale. La paternità e la maternità spirituale fondano l'annuncio dell'evangelo.

La miglior "traduzione" della fede è realizzata da persone cambiate dalla fede e intrise dalle sue speranze, perché la fede è altra cosa dal voler persuadere.

Questo implica anche in catechesi una rinuncia alla posizione di superiorità di colui che possiede e dei gesto unilaterale dei dono verso colui che non ha nulla.

L'immagine deve generare, così come l'essenza dei dialogo non può essere compresa che dentro un confronto tra i partner. Non c'è né unicamente un donatore e un recettore né un parlatore e un uditore. Il catechista e i catecumeni sono rinviati l'uno all'altro e sono quasi dentro lo stesso "mezzo divino" dello Spirito e si tengono sotto la stessa parola di Dio.

La catechesi è dialogica, è scambio. Anche quando il catechista possiede un di più nell'ordine dei sapere egli non è per questo superiore ai catecumeni, al più si instaura tra loro una certa paternità/maternità (cf Mt 23, 37), ma soprattutto una fraternità.

La catechesi è mal compresa secondo il modello gerarchico-autoritario, essa non trasmetterà che difficilmente una semplice istruzione dall'alto in basso.
In un rapporto di fraternità il catechista rimane sempre uno che impara, non soltanto in riferimento alla Parola che ascolta, ma anche dentro la stessa catechesi insieme con i catecumeni.

Se la catechesi è effettivamente dialogo, i protagonisti vi apporteranno tutta la loro esperienza di vita: è là che risiede la competenza indispensabile a questo atto dialogale.

Ogni esperienza espressa, sia quella dei ragazzo che si apre al nuovo, come quella banale e quotidiana, rende il catechista cosciente delle molteplici realtà della vita umana, ma anche delle sue povertà. In tal senso la catechesi aiuta il dialogo vitale dell'uomo con Dio e accompagna i credenti ad attingere al depositum fidei, costituito da Scrittura, liturgia e tradizione, stadi e forme diverse dei grande dialogo tra Dio e l'uomo.

Il RnS, realtà ecclesiale suscitata dallo Spirito Santo come corrente di grazia, per la riscoperta dei doni battesimali e dell'incontro con Gesù vivo, per realizzare in pienezza l'evento di Pentecoste, è chiamato ad assumere la stessa missione della Chiesa. Le proposte che emergono dalle settimane di formazione per l'evangelizzazione ad intra e ad extra, nel gruppo e nella vita sociale.

Il RnS esiste per evangelizzare

Se l'Evangelii nuntiandi, al n. 14, ci dice che la Chiesa «esiste per evangelizzare», anche il Rinnovamento, come movimento ecclesiale è chiamato ad annunciare il Cristo e testimoniarlo secondo l'insegnamento della prima lettera di san Giovanni: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita [...] quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è coi Padre e coi Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1 Gv 1, 1A).

Non possiamo restare indifferenti, allora, di fronte agli appelli dei Santo Padre che ci invita ad assumere il compito di evangelizzare con ardore, metodi ed espressioni nuove (cf Discorso di Giovanni Paolo Il ad Haiti, 1983).

Come Rinnovamento, nell'ambito dei corsi di formazione all'evangelizzazione, abbiamo cercato di rispondere pienamente sia alla chiamata evangelica (cf Mc 16,15-20; Mt 28,18-20), sia alle esortazioni del magistero (cf Evangelii nuntiandi; Christifideles laici).

Affinché si realizzi l'auspicio di Giovanni Paolo II che «ogni uomo incontri personalmente il Cristo» (cf Discorso di Giovanni Paolo II a Parigi, 1997), riteniamo necessario che ciascun gruppo, a partire dalla sensibilizzazione specifica degli animatori e dei responsabili, prenda coscienza della missione evangelizzatrice di ciascuno e della comunità intera.

Presentiamo di seguito alcune linee guida emerse nell'ambito dei corsi di formazione. e relative alle due principali direttrici dell'evangelizzazione: all'interno dei gruppi (ad intra) e all'esterno (ad extra).

Evangelizzazione nel gruppo

Secondo le diversità dei carismi e dei ministeri, il gruppo dovrà farsi carico dell'annuncio e dell'evangelizzazione di tutti i nuovi arrivati.

Sarà necessario promuovere l'accoglienza per i nuovi, creando un clima che li sostenga e li sappia accompagnare fino alla preghiera di effusione avvalendosi, comunque, in questo cammino, del diverso contributo che possono offrire lutti i fratelli del gruppo, capaci di collaborare per raggiungere uno stesso fine.

A questo scopo, come, sintesi dei corsi di formazione e frutto di una approfondita riflessione svolta a livello regionale e nazionale, va sottolineata l'importanza di alcuni criteri da seguire per una efficace evangelizzazione. all'interno dei gruppo, rivolta principalmente ai nuovi fratelli, quali:

- prestare la massima attenzione e cura per far sentire il fratello nuovo ben accolto;

- ascoltare, seguire, accompagnare, guidare i fratelli nella conoscenza dei RnS (sue caratteristiche specifiche), della Chiesa (elementi fondamentali) e dei sacramenti (elementi pastorali e liturgici);

- favorire la formazione di piccoli gruppi di crescita, limitati a poche persone, costituiti sia da fratelli nuovi che anziani dei gruppo, dove la preghiera, l'ascolto, la comunicazione, la comunione, il sostegno e, la crescita sono sicuramente favoriti;

- promuovere iniziative di formazione per i fratelli che, più di altri, dovranno accogliere e accompagnare i nuovi, mirate a una formazione umana, cristiana e di annuncio;

- promuovere incontri per i nuovi e la preparazione di seminari per la preghiera di effusione che siano maggiormente improntati sulla preghiera, l'annuncio e la testimonianza, piuttosto che sulla catechesi.

Evangelizzare all'esterno

Sarà altresì necessario che il RnS si adoperi per un'evangelizzazione all'esterno, ossia ad extra, nei più svariati settori della vita sociale

Per poter valorizzare l'abbondanza di carismi e capacità dei fratelli che frequentano il RnS, si dovrà creare una rete. che, dai gruppi fino a livello regionale e nazionale, permetta di portarli in luce, favorendo una capillare diffusione delle iniziative. A questo scopo, potrebbero risultare particolarmente idonee le seguenti proposte:

- evangelizzazione tramite i canali dello spettacolo (concerti, teatro, mimo, danza); dell'arte (mostre, murales, bricolage, abbigliamento); della letteratura (romanzi, favole, racconti per bambini e adulti, poesie); della stampa (raccolte di vignette, giochi);

- evangelizzazione tramite i mass inedia (televisione, radio, stampa, internet);

- evangelizzazione negli ambienti di vita e di lavoro (scuole, carceri, ospedali, case di riposo, caserme; luoghi di ritrovo come bar, sale giochi, discoteche, ecc.);

- nel periodo estivo attuare iniziative di evangelizzazione nei campeggi, nei villaggi turistici, sulle spiagge e nei luoghi di turismo;

- interventi e collaborazione con le parrocchie e le diocesi, nell'animazione di celebrazioni eucaristiche, negli oratori, nelle feste patronali, missioni popolari, incontri con gli adulti;

- preparazione di corsi esperienziali per bambini, da offrire sia alle parrocchie che ai fratelli del RriS.

- raccolta e archiviazione di tutte le esperienze realizzate nei gruppi, con possibilità di pubblicazione in fascicoli tematici, che permettano di riproporre e diffondere le iniziative più efficaci.

Proposte di formazione

Le iniziative di formazione per chi si prepara a evangelizzare non dovranno essere sostitutive di quelle già presenti nelle diverse aree del Progetto unitario di formazione del RnS, ma mirare a una formazione specifica in questo settore, cori alcune iniziative:

- mantenere il corso base, di formazione all'evangelizzazione che permetta di dare ai partecipanti una forte motivazione alla missione e far conoscere il contenuto del primo annuncio. La partecipazione a questo corso dovrà poi spingere i fratelli a impegnarsi in diversi campi dell'evangelizzazione, secondo i diversi carismi di ciascuno, e approfondirli con corsi mirati ed esperienze;

- predisporre iniziative o corsi mirati a una maggiore preparazione per l'evangelizzazione ad intra, fondata sull'accoglienza, annuncio, testimonianza, accompagnamento dei nuovi e sulla catechesi esperienziale;

- offrire iniziative a livello nazionale, destinate ai responsabili, da riproporre nelle rispettive regioni agli animatori, per diffondere contenuti e metodi utili per l'evangelizzazione;

- formulare nuovi corsi atti a formare i fratelli evangelizzatori secondo specifici settori di intervento, senza trascurare gli aspetti spirituali, umanitari e della comunicazione;

- promuovere giornate di ritiro per gruppi, diocesi o regioni, dove motivare i fratelli del RnS all'evangelizzazione, suscitare, raccogliere e diffondere nuove iniziative a livello locale.

Per garantire la continuità dell'impegno sia ad intra che ad extra, sarebbe oltremodo auspicabile la costituzione di una scuola permanente di formazione, sostenendo alcuni fratelli che possano dedicarsi, a tempo pieno, alla formazione degli evangelizzatori e dei loro formatori.

  

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