VOGLIAMO SERVIRE IL SIGNORE
di
Salvatore Martinez
Coordinatore nazionale del
RnS
Prologo
Quanto a me e
alla mia casa, vogliamo servire il Signore! (Gs 24, 15 b).
Quando il Signore chiede di "costruire la sua casa" (cf, Ag 1),
interpella (a generosità dei nostro cuore; un cuore aperto, capace di vedere,
prima di ogni cosa, la gloria di Dio, perché la Sua promessa si realizzi; un
cuore che, ogni giorno, senta come inderogabile la necessità di dire:
"Signore fammi rinascere, sulla Tua Parola".
L'autore della lettera agli Ebrei afferma che l'opera di rinnovamento, quando
inizia nella vita di un credente, rappresenta "un'avventura senza
ritorno", una decisione inderogabile, cioè inizia una volta per tutte, non
ammette "una seconda volta". Coloro che non attestano l'opera di
rinnovamento compiuta dallo Spirito, nonostante si dicano rinnovati,
"tengono ancora Cristo inchiodato sulla croce" (cf. Eb 6, 4-6).
Dobbiamo chiederci, dopo molti anni di cammino, se è iniziata davvero, nella
nostra vita, l'opera di rinnovamento, che è, prima di ogni cosa, opera di
santificazione, un'opera che fa i conti con il nostro cuore, con l'amore dello
Spirito che ci rigenera e che genera vita nuova. Senza l'amore i carismi sono
come una chitarra senza corde: la puoi solo battere trasformandola in un
tamburo, peraltro, dal suono poco gradevole (cf. 1 Cor 13, 1).
Il Signore ci sta chiedendo: prima di assumere qualunque impegno, per me e per
la mia casa, mostrami la qualità dei tuo amore! Non la quantità, ma la qualità,
perché troppo spesso, nelle nostre assemblee, anche sotto l'azione dello
Spirito, diciamo di amare Dio, la Chiesa, i fratelli, ma il frutto delle nostre
opere non conferma sempre ciò che le nostre labbra professano.
"Ama e non avere timore" (cf i Gv 4, 18), dice S. Giovanni. Chi ama
non può temere, non ha noi(a da temere, perché è ancorato sulle promesse di
Dio, le sole capaci di farei crescere verso la perfezione dell'amore.
Ricordiamo, adesso, alcuni passaggi importanti, alcune linee d'approfondimento
emerse dai lavori della Conferenza.
La verità genera
comunione, l'amore la alimenta; il perdono la reintegra
Solo la verità genera comunione e noi abbiamo bisogno di verità: nel
Rinnovamento, nei nostri comportamenti, nella cura pastorale dei nostri
fratelli, nell'impegno ecclesiale. Senza verità non si genera comunione (cf. 1
Gv 1, 57). La verità ci inchioda, la verità
ci converte: è questa la prima opera dello Spirito Santo nel Rinnovamento. Lo
Spirito, infatti, incessantemente ci evangelizza, cioè configura il nostro
volto alla verità del Vangelo. Solo se siamo stati evangelizzati dallo Spirito
possiamo evangelizzare.
Molti gruppi, anche se d'impronta carismatica, non risultano ancora
evangelizzati dal potere dello Spirito e non trasmettono (evangelizzazione)
efficacemente le opere dello Spirito. Dobbiamo attuare con maggiore audacia il
cuore dei messaggio evangelico: praticare l'amore fraterno e il perdono
vicendevole. Quanti problemi potrebbero risolversi se "piegassimo le
ginocchia", anziché far sedimentare difficoltà che inquinano la comunione
fraterna e condizionano la crescita spirituale.
Le nostra realtà, più di altre nella Chiesa, hanno abbracciato integralmente
la spiritualità evangelica: ecco perché la nostra forza evangelizzatrice è
straordinaria nella Chiesa, se da una spiritualità evangelica sapremo far
scaturire delle comunità evangefìzzate ed evangelizzanti.
Personalmente, desidero chíedervi perdono se qualcosa non ha funzionato in
questa Conferenza, se la realizzazione dei programma ha tradito le vostre
attese. In ogni caso, abbiate la capacità di dire: "Comunque, benedico Dio
per coloro che si sono presi cura di me, che in questi giorni mi hanno servito,
per amore di Gesù'. Dopo tanti anni di cammino, lo Spirito si attende molto da
noi, dal nostro modo di comunicare! Una cosa mi sta tanto a cuore: che il nostro
parlare sia un benedire, un comunicare vita nuova.
Dallo scomunicare al
comunicare
Un altro aspetto importante, emerso dai lavori e dalle condivisioni, è il
bisogno di comunicazione. Comunichiamo poco fra noi: si comunica poco nel
gruppo, fra gruppi, fra diocesi, fra regioni.
Dobbiamo dire che il Signore, ci sta facendo crescere molto in questa direzione,
perché si moltiplicano le occasioni per stare insieme; eppure dobbiamo
sforzarci di comunicare di più e meglio, tutti e ai vari livelli.
Qual è il rischio se non si comunica? Che non si fa comunione, perché non si
mette in comune il bene comune. Quando questo accade è facile che anziché
comunicare, in comunità, ci si ritrovi piuttosto a scomunicare. li passaggio
obbligato è dallo scomunicare al comunicare; dalla mancanza di comunione a una
comunione sempre più profonda.
Questo aspetto, nello Statuto, è di rilevanza fondamentale: siamo una sola
grande comunità nazionale, articolata in vari livelli pastorali (strutture,
servizi, ministeri), in varie forme di vita associativa (gruppi e comunità),
che devono coesistere, a gloria di Dio, ed interagire.
La sfida del futuro è già nel presente: come pensiamo di poter contenere, in
un unico contenitore, tutte le novità dello Spirito, che lo Spirito stesso
accredita con segni e frutti, novità che richiamano il "diritto di
coesistenza" accanto a ciò che si tramanda e che abbiamo il dovere di non
far morire? Dobbiamo avere una grande libertà di cuore, una grande apertura
interiore, la capacità di desiderare, ogni giorno, le novità volute da Dio,
anche quando esse assumono "forme" che ci scomodano, ci inchiodano, ci
mandano in crisi, perché non sappiamo amministrarle, armonizzarle, sostenerle
insieme alle altre consolidate.
Il pensiero di Dio è una cosa ben più grande. Quante opere di Dio abbiamo
spento? Quante opere di Dio non siamo stati capaci di abbracciare? Se vogliamo
servire il Signore è fondamentale avere un cuore aperto e generoso.
Dalla maledizione alla
benedizione
Ci sono alcuni modi per benedire sempre. Intanto, quando ci avviciniamo ad un
fratello, cominciare sempre col chiedere perdono, anche se non individuiamo
offese, offesi e offensori di sorta. E' una straordinaria esperienza questa,
perché la parola "perdono" attesta un dono che hai, ma che non
possiedi; che ti attraversa, che passa da te, ma che non ti appartiene; che non
ti dà la possibilità di dire "posso perdonare", ma che ti fa
riconoscere che è Dio a volere che tu lo faccia per "stare in pace con
tutti e generare pace in tutti".
Poi bisogna dire grazie, sempre, anche se in apparenza o a ragion veduta non ne
sentiamo il bisogno. Avete detto, per esempio, nel vostro cuore e apertamente,
grazie per tutti i fratelli che vi hanno servito? Quanto lavoro richiede una
Conferenza di questo tipo! Anche se qualcosa non va per il meglio, molti
fratelli e sorelle hanno comunque dato tempo, lavoro, sacrifici per noi. Ciò
che conta, alla fine di tutto, è che esercitiamo la benedizione sui fratelli,
anche e soprattutto su quelli che possono aver sbagliato. Questo "esercizio
divino" preserva la comunione fraterna.
Dal sospetto al rispetto
Ricordiamo l'esperienza di Gesù: di chi sospettava? Solo dei farisei, perché
conoscevano la verità e non la sapevano applicare. Fra di noi, come membra dei
medesimo corpo, generati da una sola verità, Gesù, non possono esistere
sospetti: siamo al servizio gli uni degli altri.
L'unica cosa che mi qualifica davanti a Dio, è che quando guardo indietro, a
destra e a sinistra, vedo "un popolo" che segue il mio passo,
altrimenti è meglio che mi fermi. Verrà il momento in cui la promessa di Dio
si realizzerà e in quel giorno il Signore mi dirà: fermati! Sarà il momento
della verità della mia condotta pastorale, della mia capacità di avere
generato discepoli, il giorno in cui qualcun altro potrà proseguire il progetto
di Dio.
Noi non stiamo al servizio di Dio, nei fratelli, in una funzione di
responsabilità, per realizzare la nostra felicità! Se così fosse staremmo
perdendo tempo, Bisogna avere una grande considerazione per coloro che
generosamente e sinceramente danno la vita per il Rinnovamento.
Il Signore ci sta profondamente convertendo, umiliandoci se necessario, perché
abbiamo a vedere che il nostro tempo, le nostre energie, gli spazi, le risorse
economiche appaiono inadeguate e insufficienti per "dilatare il regno di
Dio" in mezzo a noi.
Dal dissentire al
sentire
E' tempo, ormai, che superiamo un certo "sentimentalismo profetico",
in forza del quale "diciamo, vediamo e sentiamo" di tutto. In genere,
questo profetismo, ("dice il Signore"... "sento che il
Signore") quando non è sottoposto al vaglio della Parola e al
discernimento comunitario, diviene il "sentire dei dissenso". Si
finisce, cioè, per non sentire insieme alla stessa maniera. Chiediamoci: ma
quante voci ha lo Spirito? E quante orecchie abbiamo noi?!
Dobbiamo praticare un nuovo tipo di ascolto. Ecco perché il Signore ci sta
impegnando, come Consiglio nazionale, a cercare di capire, insieme, la sua
volontà, affinché i fratelli, nelle regioni, possano portare avanti,
nell'unico sentire, il progetto di Dio.
Ma quanto è difficile praticare il discernimento comunitario, quanta pazienza e
quanta sottomissione esso richiede! E quanta fede occorre esercitare per
comprendere l'opera di Dio! Vale sempre una regola aurea: è meglio il
"sentire" che ci fa stare in comunione che il "dissentire"
che ci isola, specie se rinunciamo a comprendere le ragioni dei fratelli
Il Signore ci sta chiedendo un impegno maggiore di ascolto, una maggiore
profondità nelle nostre relazioni interpersonali.
Guardiamo le nostre realtà: abbiamo, ad esempio, un numero decrescente di
sacerdoti impegnati nel Rinnovamento. Che cosa significa questo? Rifuggiamo la
tentazione di rispondere: "Non ci capiscono", perché si potrebbe
anche affermare: "Forse non ci siamo fatti capire". A volte
sosteniamo: I sacerdoti non amano il RnS, ma potremmo anche considerare che
forse "non siamo stati capaci di farglielo amare", a partire dalla
nostra testimonianza d'amore.
Non saremo mai un movimento ecclesiale se le due parti dei popolo di Dio, laici
e chierici, non si integreranno a meraviglia, come nella visione conciliare
indicata dalla Lumen Gentium. Nonostante le nostre aspirazioni, faremmo, in un
certo modo, retrocedere il movimento in uno stato laicale che, seppure ebbe a
rappresentare il cuore generante dell'esperienza dei Rinnovamento, non può,
oggi, consentire allo stesso di essere "vitalmente e utilmente
ecclesiale", se non attraverso la stretta collaborazione con i sacerdoti e
i vescovi.
In questa direzione dobbiamo impegnarci di più, molto di più. In occasione dei
Convegno nazionale dei sacerdoti dei 1999, che ha riunito a Sassone (Roma)
centottanta sacerdoti, abbiamo visto copiosamente scendere la benedizione di Dio
su questa "avanguardia di santità" che, nella Chiesa e nel RnS, i
sacerdoti rappresentano.
Voglia il Signore realizzare il desiderio di molti che si promuova una fraternità
sacerdotale, che sostenga e stimoli i sacerdoti tutti a lavorare con tenacia,
perché non
venga meno l'impegno di rinnovare la Chiesa. Quanti nuovi ambiti di missione,
quanti nuovi ambiti di testimonianza potremmo, allora, salutare.
Dal tavolino al pavimento
Sapete perché calpestiamo con poca forza le ispirazioni che non sono suscitate
da Dio, cioè, quelle che "vengono dal basso", che ci fanno guardare
ai fratelli con sospetto e ai progetti di Dio con scoraggiamento? Perché
lavoriamo molto "a tavolino" e facciamo poco ricorso "al
pavimento". Giova ricordare che il Rinnovamento è nato sul pavimento, non
a tavolino, come d'altronde, la Chiesa a Gerusalemme, dentro e fuori il
Cenacolo.
Il Rinnovamento nasce e rinasce, si rigenera ogni giorno di più se vive in un
popolo che sa stare con le ginocchia piegate, adagiato sulla forza della povertà
(pavimento), che ci fa pregare, piuttosto che su quella degli accordi e dei
programmi (tavolino) che ci fa trafficare. Vi confesso una delle mie più grandi
mortificazioni e purificazioni: dover stare tanto tempo a tavolino per dar corso
a mille progetti, per visionare carte su carte, e non dare pieno adempimento
alla legge dei pavimento".
Ricordo l'emozione provata nella Casa di Lucca, dove la beata Elena Guerra visse
e spirò; in ginocchio, sul pavimento, alzando le mani al cielo, pronunciò le
sue ultime parole: «Vieni, Spirito Santo!» Quanta effusione di Spirito, quante
profezie si compiono in chi sa imitarla!
E' "sul pavimento" che il Signore ci umilia, che ci dà le vere
ispirazioni; è in preghiera che il Signore fa sgorgare, sempre vivo, il
Rinnovamento, che ci fa entrare in comunione con gli altri.
Dalla funzione
all'unzione
Troppo spesso facciamo derivare l'unzione dello Spirito dalle nostre funzioni.
Noi possiamo essere utilizzati da Dio solo se lo Spirito ci unge. la funzione
pastorale, la funzione ministeriale, discendono sempre da un disegno di Dio, da
un'unzione carismatica che accompagna il nostro "si" alla chiamata che
Dio ci rivolge. Cosa vale che io sia stato eletto due anni fa, se non vivo sotto
l'unzione dello Spirito? Pensate che un'elezione apporti uno stato di grazia
permanente? A cosa servono i nostri titoli, i nostri incarichi se non siamo
sotto l'unzione spirituale?
La funzione discende dall''unzione e non il contrario. Non posso dire: 'In
quanto ho una funzione, io sono ispirato!". Quante tristi derive ha
comportato questa presunzione! soprattutto se nella nostra vita non è iniziata
profondamente l'opera di rinnovamento.
La preghiera dà
"forma all'azione" (formazione)
Guai a chi si rassegna, allora. Non c'è nulla che non possa essere rinnovato
dalla potenza dello Spirito. Se troppi ministeri sono stagnanti, è evidente
che, forse, alla base del servizio manca un'ispirazione santa, frutto di
preghiera. Chi prega, poi, entra nella verità del proprio stato e rifugge dalla
sterile emulazione dei doni degli altri.
Bisogna avere, allora, la capacità di fermarsi, nella preghiera, nell'attesa,
per capire nei discernimento che cosa Dio vuole da noi. Bisogna ritornare al
pensiero di Dio. Ricordiamo il rimprovero che il Signore ci rivolge per bocca
dei profeta Aggeo: «Tu ti prendi cura, o popolo mio, della tua casa.
Costruisci, invece, la mia casa, prenditi pensiero per la mia casa» (cf. Ag
1,9).
Sento spesso ripetere: cosa deve fare un pastorale? Non so quanto tempo dedica
alla preghiera chi sì pone queste domande, ma so, di certo, che ogni "fare
pastorale" discende dall' "essere uomini di preghiera", che sanno
sostare in preghiera. Questa è la prima e la più importante cosa da fare, in
un pastorale: pregare, per discernere sulla vita dei gruppo e sui bisogni dei
fratelli.
Chiediamoci: i nostri fratelli sono sinceramente accolti ? Sono invitati ad
interagire con noi? I nostri "pastorali di servizio" sono luoghi di
ascolto, aperti e ospitali? Siamo capaci di vedere cosa c'è nel cuore dei
fratelli? Ci sforziamo di capire perché, dopo mesi o anni, non riescono ancora
ad aprire bocca? Come li stiamo accompagnando nel cammino di crescita, dì
formazione, a partire da una serena valutazione dei frutti di vita nuova
provocati dalla preghiera d'effusione?
Tutto il lavoro di formazione che si va preparando, fondato sull'incoraggiamento
del Papa e dei Vescovi, che fine farà? Gli sforzi dei Consiglio Nazionale, la
nostra fatica, tutta la preparazione remota, quali forme di nuovo impegno
sapranno generare?
Dalla rianimazione
all'animazione
E' tempo, poi, e va detto chiaramente, di dedicare tempo ed energie ad animare i
gruppi e le comunità "generate a vita nuova" e cessare di rianimare
situazioni che come il "tralcio seccato" non possono tornare in vita o
che forse mai sono entrate nella vita nuova.
Non è pensabile che, dopo tanti anni, stiamo ancora a rianimare fratelli che
non vogliono dare la loro vita al Signore, perché desiderano un felice
compromesso tra carne e Spirito, tra vita vecchia, che si vuole morta e poi
risorge, e vita nuova che non ci si decide a far nascere e a crescere con
perseveranza! Non è possibile continuare a rianimare situazioni che, alla base
di tutto, hanno mancanza di verità: non ci sarà mai vera comunione d'intenti e
di spiriti.
Il gregge ha il volto
del pastore
Solo se il nostro cuore sarà aperto, capiremo che Dio mette un popolo nelle
nostre mani e ci chiederà conto di ogni pecora che gli riconsegneremo, alla
scadenza dei nostro mandato, ferita, piagata, sbandata, perduta!
Sono i figli di Dio, i figli della Chiesa, non ci appartengono; esercitiamo su
di essi un "diritto di custodia", così da comportarci come buoni
amministratori.
Quando consideriamo "acquisite" certe cose, spesso iniziamo a
trascurarle, come accade in molte realtà umane. Il rischio è che ciò accada
pure con i fratelli: "ormai sono entrati nel gruppo, stanno con noi, hanno
ricevuto la preghiera d'effusione".
Quando ti viene affidato qualcosa di prezioso, senti la responsabilità, il
timore e il tremore di riconsegnarla da servo buono e fedele: "se sei stato
fedele nel poco, servo fedele, ti darò ancor di più; se sei stato bravo
nell'amministrare un fratello, te ne darò due, se ne sai amministrare due, te
ne darò quattro".
Perché, spesso, non arrivano i cosiddetti "nuovi"? Eppure il Signore
ci dice: "Andate a chiamarli, andate a prenderli fuori, raccoglieteli dalle
strade" (cf Mt 22, 1-14).
Stiamo diventando quelli che mantengono il Rinnovamento in vita o ci
preoccupiamo di rilanciarlo ogni giorno? Aspettiamo, forse, che i fratelli
vengano da noi o ci preoccupiamo di andare a cercarli? Non arriveranno mai nuovi
fratelli se non c'è chi li va a prendere! E quando saranno arrivati, quale
volto vedranno? Sarà il volto dei Vangelo? Quale confidenza con lo Spirito
riusciranno a sperimentare e quale vita carismatica riusciranno ad abbracciare,
se noi, per primi, non gli mostreremo il volto di Dio?
Da questa evidenza consegue che Il gregge ha il volto del pastore". Per non
deludere il Signore dobbiamo chiedergli che dilati la nostra capacità d'amare,
cioè che ci dia la carità pastorale con la quale è possibile amministrare le
cose sante di Dio che ci sono state affidate. Questa capacità dì amare è la
vera qualità dell'essere, non la felicità di avere, non la felicità di
potere, non la felicità di fare, ma la felicità di essere e di farsi
poveri: questa è la più grande felicità, il più grande gaudio che lo Spirito
può regalarci.
Conclusione
Ci attende un anno pieno di eventi straordinari, ma abbiamo sempre bisogno di
persone che, volontariamente, con libertà di cuore, decidano di servire il
Signore. Cosa vale la lettera dei coordinatore nazionale, il richiamo dei
coordinatori regionali, t'invito del vostro parroco o dei vostro vescovo,
affinché vi rendiate disponibili al servizio nell'anno giubilare, se non c'è
la volontà affrancata nel cuore e la decisione di farsi servi?
Non assumersi impegni davanti a Dio e agli uomini, nell'anno giubilare,
significa porsi fuori dalla storia. Non possiamo pensare alla nostra casa quando
c'è la gloria di Dio che deve riempire il tempio di cui siamo pietre vive che
debbono essere utilmente, vitalmente utilizzate da lui. Dobbiamo prenderci cura
e pensiero di questa opera di Dio e come Rinnovamento saremo impegnati su alcuni
versanti di grande rilievo:
- Animatori: avremo responsabilità nel l'organizzazione dei programma
giubilare, quindi proprio nella testimonianza spirituale. Che gioia sapere che
c'è qualcuno che porterà il Rinnovamento nel cuore della Chiesa, nel momento
di massima espressione della gioia della Chiesa.
- Volontari: come avete visto a Rimini e in altre circostanze siamo un
popolo generoso, abbiamo tanti volontari, ma ancora di più vogliamo averne,
perché a tutti compete farsi servi. Come diceva mons. Tonino Bello, dobbiamo
diventare 'Chiesa dei grembiule", una Chiesa che serve nella gioia, una
Chiesa che utilizza ogni occasione per dire: "Dio ti ama" con la vita
donata in servizio agli altri.
- Pellegrini: siamo un popolo e tutti, ciascuno nello stato specifico,
dobbiamo rendere ragione della nostra fede, come popolo che si fa pellegrino. t
cosa buona che le famiglie partecipino alla Giornata Mondiale delle Famiglie,
che i giovani partecipino al Festival Internazionale dei Giovani e alla Giornata
Mondiale e che si partecipi al Congresso Eucaristico Internazionale.
Pensate a quale grande occasione abbiamo per ripopolare i nostri gruppi, che
hanno sempre meno giovani, e per coinvolgere un numero crescente di coppie che
vogliono portare l'esperienza dei Rinnovamento nelle loro "chiese
domestiche".
Quanti tesori abbiamo, nel Rinnovamento, e che grande rinuncia è il non sapere
dove sono localizzati. Fuori i talenti, fuori i carismi, fuori la generosità,
è tutto necessario in questo tempo!
Se il Rinnovamento è solo un luogo dove "si va per ricevere e per star
bene", se non ho la capacità di pensarlo così come Dio ci ha mostrato,
così come la Chiesa ci sta chiedendo, così come lo Statuto recita, così come
i nostri responsabili, con molti sacrifici, stanno cercando di testimoniare, noi
siamo fuori dalla storia e ci opponiamo allo Spirito Santo.
Non possiamo servire a nostro modo il Signore, se abbiamo deciso di servirlo nel
Rinnovamento. "Mettiamo più amore" in mezzo a noi e, come afferma
sant'Agostino, "potremo fare qualunque cosa". A Gesù il primato, allo
Spirito la guida, al Padre la gloria. Amen, Alleluia!
Alleluia
n° 1 - Anno 2000