PASTORALITA' E AMORE FRATERNO 

di Corrado Di Gennaro
Membro del CNS - RnS


Il modello.- comunità cristiana di Gerusalemme

Se i carismi sono il segno tangibile della sconvolgente esperienza dei giorno della Pentecoste, la nascita della prima comunità dei credenti ne è stato il frutto più straordinario. Nel libro degli Atti degli Apostoli, Luca presenta un quadro d'insieme sicuramente entusiasmante:

«Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione dei pane e delle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli, Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano i I pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. intanto il Signore aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2, 42-48).

Amore verso Dio e verso il prossimo

Da questa descrizione della prima comunità cristiana nata a Gerusalemme si nota un dinamismo in cui si sintetizzano, in maniera molto evidente, quelli che Gesù definisce i due grandi comandamenti dai quali dipendono tutta la legge e i profeti: l'amore verso Dio e l'amore verso il prossimo (cf. Mt 22, 36-40).

Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che i fratelli della prima comunità cristiana:

«Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio» (At 2, 46a) ed «erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli» (At 2, 42a), e questo è certamente un segno della pratica del primo comandamento.

Tuttavia l'amare Dio con tutto il cuore, la mente e le forze si concretizza proprio con la pratica dell'amore fraterno «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune» (At 4, 32), a tal punto che, dirà poi Luca: «nessuno infatti tra loro era bisognoso» (At 4, 34a).

Da questo stile di vita conseguiva una spontanea simpatia dei popolo verso i cristiani e il desiderio, da parte di molti, di abbracciare la fede in Cristo Gesù e sperimentarne la salvezza: «Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2, 48).

Gli antipodi: la chiesa di Corinto

Sul modello della prima comunità di Gerusalemme, altre comunità nasceranno ben presto in altri territori e nel constatare quanta edificazione e quanta benedizione comporterà questo stile di vita comunitario, Luca si spingerà fino al punto di affermare che «la Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore dei Signore, colma dei conforto dello Spirito Santo» (At 9, 31).

Alcune comunità non manterranno la purezza e la semplicità della comunità di Gerusalemme: con i Galati, San Paolo, si sdegnerà per il rischio concreto dì tradimento della fede (cf. Gai 1, 6-8), mentre lo stesso Paolo proverà un doloroso imbarazzo davanti all'incostanza e alla vanità dei Corinti.

Infatti non esiterà a rimproverare questi ultimi per le numerose divisioni, per la mentalità mondana dilagante, per l'orgoglio, per una situazione di incesto, per la presenza dei peccato di fornicazione, per il ricorso ai tribunali pagani per dirimere liti tra loro, per una strisciante idolatria e per la professione di false dottrine sulla risurrezione (cf. 1 Cor 1 -11).

Come si nota in questa realtà viene particolarmente mortificata la vita fraterna. Pur in presenza
dell'universalità dei carismi, che spingerà San Paolo ad affermare: «nessun dono di grazia più vi manca» (1 Cor 1, 7a), proprio la vita fraterna, che dovrebbe trarre beneficio ed edificazione dall'esercizio dei carismi, è invece quella che risulta offesa e mortificata (cf. 1 Cor 11, 18).

Modelli per la verifica

Gerusalemme e Corinto sono due quadri d'insieme, sicuramente uno agli antipodi dell'altro, dinanzi ai quali oggi possiamo verificare, non solo la storia e la nostra realtà contemporanea, ma anche la strada che, come animatori, decidiamo da qui in avanti di percorrere e far percorrere al nostro gruppo/comunità.

Da un lato vediamo la comunità di Gerusalemme, contrassegnata da una vita fraterna intensamente vissuta e da un interscambio di doni materiali e spirituali, che per questi motivi gode del conforto dello Spirito Santo e diventa segno di evangelizzazione per i non credenti.

Dall'altro notiamo la comunità di Corinto che, pur ricca di potenzialità spirituali, agonizza per mancanza di unità, di amore reciproco, di mutuo sostegno e di rispetto per il fratello.

Dinanzi a questo spettacolo così poco edificante Paolo non esiterà a manifestare il suo disappunto con parole veementi: «Non sapete che [voi, cioè la comunità] siete tempio di Dio e che lo Spirito abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi » (1 Cor 3, 16-17).

Gerusalemme è una comunità spirituale per la presenza di tutti i frutti dello Spirito, ma è anche una comunità eucaristica perché la sua quotidianità è fondata sulla celebrazione eucaristica, infatti, dalla descrizione di Luca sappiamo che tutti «erano assidui i ... i nella frazione dei pane» (At 2, 42).

Corinto, di contro, è una comunità decisamente carnale. Pur partecipando alla stessa celebrazione, a causa delle divisioni, molti mangiano il pane e molti bevono il calice dei Signore indegnamente, cori la devastante conseguenza di mangiare e di bere la propria condanna (cf. 1 Cor 11, 2 9),

Dirà, a riguardo, san Paolo: "E' per questo motivo che tra voi ci sono molti malati e infermi, e un buon numero sono morti» (1 C or 11,30).

Allo stesso modo, anche un gruppo di preghiera o una comunità dei Rinnovamento, a seconda dei tenore spirituale che li contraddistingue, possono tendere con decisione verso Gerusalemme o scivolare irrimediabilmente verso Corinto, e determinante in questo è il ruolo dei responsabili, cioè dei pastorale di servizio.

Il traguardo della santità

A proposito dì responsabili, da sempre il Signore ha voluto accostare coloro che hanno il ruolo di guida del suo popolo, alla figura del pastore che guida le sue pecorelle. Lo stesso Gesù usando questa similitudine si definisce il «buon pastore», che cura e protegge le pecore fino ad offrire liberamente la vita per ciascuna di foro (cf. Cv 10, 14-17).

Quindi, il termine "pastorale di servizio", con il quale definiamo l'organo che guida un gruppo/comunità dei rinnovamento, definisce con molta chiarezza quello che è il mandato specifico dei responsabili: guidare con cura amorevole i fratelli «perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10b), proprio come fa Gesù, buon pastore, con le proprie pecore.

Un pastorale può anche organizzare, promuovere iniziative, costituire ministeri di fatto, ma lo scopo principale è quello di condurre le persone affidate, attraverso un cammino di vera conversione e di vita nuova, al traguardo della santità.

L'apostolo Pietro senza mezzi termini afferma nella sua prima lettera: «ad immagine dei Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta; poiché sta scritto: Voi sarete santi perché io sono santo» (1 Pt 1,15-16).

I responsabili devono fare questo con un atteggiamento di "timore e tremore", come chi deve rendere conto al Signore. Il loro compito, infatti, non è quello di essere dei "manager dello Spirito". Il manager d'azienda al termine della sua gestione deve rendere conto dei profitti economici che l'azienda stessa ha conseguito. Il pastore, invece, al termine dei suo mandato deve rendere conto di un risultato ben più importante: la salvezza delle anime dei fratelli che il Signore gli ha affidato.

In base all'insegnamento dei Maestro, l'apostolo Pietro chiama questi ultimi il «gregge di Dio» (1 Pt 5,2) e precisa quale deve essere il comportamento dei responsabili, perché possano essere ritenuti degni dell'incarico ricevuto dal Pastore supremo:

«Esorto gli anziani che sono fra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è stato affidato sorvegliandolo non per forza, ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà ìI pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce» (1 Pt 5, 1A).

L'esortazione dell'Apostolo ci svela quella che è la triplice funzione di un responsabile e cioè: guida, sentinella e custode.

Essere guida

Il responsabile non è una guida "cieca", ma una guida autorevole che si fa modello del gregge.
Paolo dice a Tito dì esortare: «Offrendo te stesso come esempio in tutto di buona condotta» (Tt 2,7a).
Scrivendo al giovane Timoteo dirà: «Sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza» (1 Tm 4,12).
Il responsabile, in quanto guida, non spadroneggia sui fratelli, ma li aiuta e li indirizza a prendere delle giuste decisioni seguendo il pensiero di Dio e gli insegnamenti dei Magistero ordinario della Chiesa, rifiutando nel contempo le deviazioni e i luoghi comuni che appartengono alla mentalità dei mondo, secondo l'insegnamento dell'apostolo Giovanni che dice: «Non amate il mondo, né le cose dei mondo! Se uno ama il mondo, l'amore dei Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dai mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno! » (1 Gv 2, 15-17).

Essere dei modelli vuoi dire poi, testimoniare con la propria condotta quello che si insegna agli altri. Come Paolo ogni responsabile deve poter dire ai fratelli a lui affidati: «Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori» (1 Cor 4, 16).
Bisogna camminare con il Signore in modo che la propria testimonianza arrivi al punto da poter affermare, nella verità e senza presunzione: «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (ICor 11,1).

Essere sentinella

Prendendo spunto da ciò che il Signore dice al profeta Ezechiele, i responsabili svolgono anche la funzione di sentinella, in quanto aiutano i fratelli che il Signore ha affidato loro a combattere il peccato che sempre è in agguato: «Figlio dell'uomo, io ti ho costituito sentinella per gli israeliti; ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia» (Ez 33, 7).

I responsabili hanno quindi anche il compito di esortarli a tenere alta la guardia nei combattimento spirituale, aiutandoli ad attingere forza nel Signore e vigore nella sua potenza, attraverso l'uso di tutte quelle armi necessarie per avere la vittoria contro le insidie dei diavolo: la verità, la giustizia, lo zelo per il Vangelo, la fede e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (cf. Ef 6, 10-17).

Ogni buon responsabile spinge inoltre i fratelli verso una vita sacramentale regolare e non occasionale, motivandoli nel desiderio di crescere nel cammino di santità e non solo di "sanità" (leggi: "guarigione"). Sia chiaro che tutti siamo favorevoli affinché avvengano guarigioni e miracoli nei nostri gruppi, e il Rinnovamento deve favorire e promuovere l'azione dello Spirito Santo anche in tal senso, ma questi devono essere strumenti per accrescere il desiderio di santità e non il fine della nostra partecipazione alla vita dei gruppo.

Essere custode

Altra funzione fondamentale dei responsabili è quella di custode, in duplice veste: custode dell'identità dei Rinnovamento e custode dei l'appartenenza al Rinnovamento.

Riguardo all'identità, l'impegno è quello di far crescere i fratelli, sia nella vita personale sia nel contesto comunitario, in quelli che sono i fondamenti dell'esperienza dei Rinnovamento: il battesimo nello Spirito Santo (o effusione), che ci proietta nella vita nuova nello Spirito, l'esercizio dei carismi, la preghiera comunitaria, il servizio ministeriale.

Riguardo all'appartenenza i responsabili devono continuamente sensibilizzare e stimolare i fratelli loro affidati all'accoglienza della visione profetica e pastorale che il Consiglio Nazionale attraverso - e non in alternativa - ai vari consigli regionali propone dopo opportuno discernimento.

Naturalmente compito implicito dei responsabili è quello di esercitare, con maturità e sapienza, la necessaria mediazione e, talvolta, correzione, perché ogni fratello affidato cresca nella misura della propria fede e secondo la grazia donatagli dallo Spirito. Dice a riguardo San Paolo: «Correggete gli indisciplinati, confortate ì pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti» (1Ts 5,14b).

Portare la vita

Il vangelo di Giovanni ci ricorda che Cristo Gesù, il buon pastore, ha detto: «Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10b).

Gesù oggi esorta noi, pastori dei Rinnovamento, ad immagine e somiglianza dei buon pastore, a portare la vita nei nostri gruppi, nelle nostre comunità, nelle nostre diocesi, nelle nostre regioni, e a portarla in abbondanza.

Ci esorta a portare la vita anche, e soprattutto, in quelle realtà dove invece è presente la morte spirituale, come Corinto, e dove talvolta viene spontaneo rivolgersi a Gesù, con il cuore gonfio di tristezza, con le stesse parole di Marta: «Maestro, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! » (Gv I I, 21b).

Si, Signore, se tu fossi stato qui, se qualcuno ti avesse portato qua, in questo o in quel gruppo, in questa o in quella comunità, in questa o in quella diocesi, in questa o in quella regione, questi fratelli non sarebbero morti.

Che cosa vuoi dire per noi "portare la vita", l'i dove siamo stati chiamati da Dio ad esercitare il nostro servizio di responsabili, se non portare Gesù che è «la resurrezione e la vita» (Gv 11, 25)?

Perché ciò avvenga, e avvenga ai più presto, poiché «il tempo si è fatto breve» (1Cor 7, 29) e non sappiamo se i fratelli persi oggi potranno essere recuperati domani, prendiamo ora la decisione di servire il Signore, e dì servirlo con integrità e fedeltà; e a nome nostro e dei gregge di Dio che ci è stato affidato, diciamo con sacro timore, insieme con Giosuè, l'audace guida, sentinella e custode dei popolo di Israele: «Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore! » (Gs 24, 1 5b).

                           

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