LA LODE E IL DONO DELLE LINGUE
P.
Robert Faricy. SJ
Scopo
di queste pagine è formulare, brevemente, una teologia pratica della lode, con
l'intenzione di situare una riflessione sul dono delle lingue nel contesto della
lode stessa.
La
lode
Cos'è
la lode? Essa differisce, per esempio, dal ringraziamento. Quando ringrazio Dio,
gli manifesto la mia gratitudine per i suoi doni e, nel mio ringraziamento, li
riferisco a lui. Ma quando lodo Dio, non lo faccio per quello che mi dona, ma
per lui stesso. La lode è il punto in cui il ringraziamento diventa ringraziare
Dio perché è Dio: come nelle parole del "Gloria": 'Ti rendiamo
grazie per la tua gloria immensa". Posso lodare Dio per le sue azioni, per
la sua creazione in generale o nei suoi particolari: per ciascuna cosa e per
tutte le cose perché egli è Signore di tutto. Di più: posso semplicemente lodare Dio per se stesso e per le sue qualità: la sua bontà, il
suo amore, la sua sapienza, la sua grandezza infinita, ecc. Non lo ringrazio in
senso stretto; piuttosto lo lodo perché è il Dio che agisce come agisce
La lode rassomiglia all'adorazione, ma è più attiva, più estroversa; parla interiormente o ad alta voce, grida, canta, balla. La lode celebra Dio. L'adorazione connota la prostrazione silenziosa davanti a Dio; la lode ha voce. "Dal trono uscì una voce che disse: 'Date lode al nostro Dio, voi tutti suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi" Poi sentii come una voce d'una gran folla, simile a quella delle grandi acque, e come una voce di tuoni potenti che diceva: Alleluja! Il Signore Dio nostro, l'Onnipotente, regna. Rallegriamoci! Esultiamo! Diamogli gloria!"(cfr. Ap 19,5-7). La lode non dà niente a Dio. Semplicemente lo acclama, lo applaude. Non si riferisce al passato o al presente come il ringraziamento né al futuro come la preghiera di petizione; guarda direttamente il Signore e batte le mani. Lodare significa dare gloria a Dio, glorificarlo per la sua gloria rivelata. Il Primo Concilio Vaticano dichiarò che "il mondo è fatto per la gloria di Dio" (Dei filus, 1, can 5). Questa gloria di Dio include quella che egli dà alle sue creature e tramite la quale esse manifestano la grandezza di Dio.
La
natura e la storia riflettono la gloria di Dio. Gerard Manley Hopkins ha
scritto: 1l mondo è pieno della grandezza di Dio; brillerà come una lamina di
metallo agitata". San Paolo ci dice che siamo strumenti di lode per la gloria del Signore (cfr. Ef 1,12-14); Elisabetta della Trinità
non voleva essere altro che "una lode di gloria".
I
"nomi di lode", gli elenchi di titoli laudatori che si recitano al re
o agli altri personaggi illustri, formano la parte più importante della
letteratura orale Bantù. Le litanie cristiane sono un tipo di "nomi di
lode" al Signore; esempi sono le litanie del Santo Nome di Gesù, del Sacro Cuore e del
Sangue Prezioso. Molti salmi sono preghiere o inni di lode. Hanno una struttura
semplice. Una breve introduzione dà il tono della lode: "Loda il Signore,
anima mia: loderò il Signore per
tutta la mia vita" (Sal 146,1-2); "0 Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire
il tuo nome in eterno e per sempre" (Sal 145,1), "Cantate con
giubilo al Signore, o terre tutte" (cfr. Sal 100,2); 'Anima mia, benedici
il Signore" (cfr. Sal 103,11 104, 1). Segue il motivo della lode, quello
per il quale il salmo loda Dio: la sua creazione (cfr. Sal 104; 148), la sua
bontà (cfr. Sal 103; 117 - 145) i suoi interventi potenti nella storia (cfr.
Sal 135, 136), o semplicemente la sua gloria (cfr. Sal 29; 113). La conclusione
ripete il grido iniziale di lode, come "Lodate il Signore" o "0
Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra" (Sal
8,2). Oppure la conclusione riassume i temi principali di lode contenuti nel
corpo del Salmo " Poiché buono è il Signore, eterna la sua misericordia,
la sua
fedeltà per ogni generazione" (Sal 100,5). Altri salmi di lode
si trovano sparsi nell'Antico Testamento. Questi includono il capitolo 25 del
libro di Isaia, che comincia: "Signore, tu sei il mio Dio; voglio esaltarti
e lodare il tuo Nome". "Cantate al Signore un canto nuovo, lode a lui
fino all'estremità della terra!" (Is 42,10-10); Naum (cfr. 1,2-8) che loda
il Signore perché è "un Dio geloso e vendicatore".
La
lode è frequente nei libri storici. Per esempio, Salomone loda Dio alla
dedicazione del tempio: "Signore, Dio
di Israele, non c'e un
Dio come
te, né lassù nei cieli, né quaggiù sulla terra" (1 Re 8,23a). Giosafat
stabilisce i cantori che devono precedere l'esercito e celebrare il Signore
cantando: "Date lode al Signore, perché eterna è la sua
misericordia" (cfr. 2 Cr 20,2 1). Nel Nuovo Testamento, il Vangelo di Luca
e gli Atti degli Apostoli danno una importanza speciale alla lode. Nel Vangelo,
essa comincia con il Magnificai di Maria, il canto di Zaccaria, e quello degli
angeli e dei pastori che cantano e glorificano Dio alla nascita di Gesù. La
lode continua con Simeone, che benedice e loda Dio, e con la profetessa Anna.
Luca nota frequentemente che coloro che sono stati guariti da Gesù danno gloria
e lode a Dio; lo stesso fanno coloro che vedono le guarigioni e gli altri
miracoli di Gesù. Il cieco di Gerico, per esempio, riacquistata la vista,
glorifica Dio, e «tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio"
(Le 18,43). Negli Atti degli Apostoli, la comunità cristiana (cfr. 2,47),
l'uomo guarito alla porta del tempio (cfr. 3,8‑9), i convertiti (cfr.
10,46; 13,48; 19,17), e tutti i presenti (cfr. 4,21; 11, 18,19,17; 21,20) lodano
e glorificano Dio
Le
lettere di San Paolo cominciano spesso con la lode, specialmente la Lettera agli
Efesini e quella ai Colossesi; le due lettere a Timoteo contengono esplosioni di
lode. L'Apocafisse parla del cantare la lode a Dio: i quattro venti cantano:
"Santo, santo, santo il Signore Dio, l'Onnipotente» (4,8);
i ventiquattro vegliardi lodano Dio cantando (cfr. 4,10-11) e pregando (cfr.
11,16-17), e insieme dicono "Amen, Alleluial"
(19,4). La preghiera cristiana ha sempre messo la lode, non soltanto negli inni
e nel breviario, ma soprattutto nella messa; le liturgie eucaristiche, in modo
universale, sono preghiere di lode.
Il
dono delle lingue come dono di lode
Lodando
il Signore, gli apro il mio cuore. Aprendomi a lui tramite la lode, mi apro alla
sua grazia e ai suoi doni, divento più "ricettivo" al suo Spirito. Sant'Agostino
scrive che la lode non aiuta Dio, non aggiunge niente a lui, ma aiuta noi, ci
serve, ci fa crescere (cfr. Enarr in Ps., 102): "Non che il Signore cresca
a causa delle nostre lodi, ma cresciamo noi" (Enarr. in Ps., 134). Questo
avviene perché, facendo ciò per cui siamo stati creati e volgendoci
interamente al Signore che e la nostra ultima meta, diventiamo più noi stessi nell'essere quelle
persone che il Signore ci ha destinate ad essere dall'eternità. L'uso del dono delle
lingue per lodare Dio ci dà l'esempio, probabilmente il migliore, di come
il Signore usi la nostra lode per perfezionarci. il dono delle lingue ha pure,
come scopo, la preghiera di petizione, ma anche e principalmente quella di lode.
Gli studi hanno mostrato che, ordinariamente,
parlare in lingue non significa usare la struttura di una lingua reale, ma è
piuttosto un balbettare a Dio, un tipo di preghiera come quella di un infante
che non può ancora parlare, ma emette suoni privi di significato preciso. La
preghiera in lingue è una preghiera aconcettuale: i suoni che si emettono
mostrano spesso una certa ripetizione; in questo, la preghiera in lingue è
molto simile alle altre preghiere di petizione e ripetitiva come il rosario.
La
lode tende a spostare e cambiare l'uso delle parole. Sotto l'impulso travolgente
della lode, ci accorgiamo che la nostra lingua diventa, a poco a poco,
insufficiente rispetto a quanto vorrebbe esprimere la pienezza del cuore. Lo
scopo della lode, del resto, non è quello di comunicare dei messaggi; per
questa ragione, il linguaggio della lode, ordinariamente, trascura i verbi e
infila i titoli in una successione: "Signore Figlio Unigenito, Gesù
Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre". La lode manifesta
un atteggiamento, un modo di guardare la Persona che si loda. Non ci si pone il
problema di comunicare dei significati precisi. Spesso, i concetti non riescono
a contenere tutto ciò che vorremmo esprimere con la lode: le parole falliscono.
Dove la lode trascende i concetti, il dono delle lingue comincia. Secondo Paolo,
la preghiera in lingue fa crescere la persona che prega, malgrado il fatto che
non capisce quello che dice perché, quando lo spirito prega, la comprensione si
riposa (cfr. 1 Cor 14,14).
Il
dono delle lingue non è un parlare estatico, ma uno sfogo originato da uno stato
di "pienezza del cuore". Inoltre, non si manifesta in un particolare gruppo o in un movimento
specifico, quasi fosse un dono proprio del Rinnovamento Carismatico e non della
Chiesa intera. il dono delle lingue non è un dono straordinario in senso
stretto. Qualsiasi persona per cui la preghiera diventi principalmente forte
espressione di lode, è vicina al pregare in lingue. Si può chiedere a Dio la
grazia necessaria per pregare in lingue; si può rilassare il controllo stretto
che si ha abitualmente su se stessi e aprirsi al dono. Nel quadro della
preghiera, abbandonarsi al pregare in lingue è una forma del morire a se stessi
e risorgere a vita nuova.
Ho
incontrato persone che non hanno alcun contatto con il Rinnovamento Carismatico,
neanche con la Chiesa pentecostale, ma che hanno il dono delle lingue e che l'usano
nella loro preghiera privata. Ripetiamo che non è assolutamente un dono
singolare o straordinario, mentre insistiamo, però, che è comunque un dono e,
principalmente, di lode. il dono, poi, non consiste nel pronunciare parole
incomprensibili, ma nel fatto che queste siano preghiera. Qualche volta, la
frase di San Paolo, "Lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza,
perché noi non sappiamo quello che ci conviene chiedere, ma lo Spirito stesso
intercede a favore nostro, con gemiti inesprilimbili" (cfr. Rm 8,26), si
trova applicata alla preghiera in lingue. Ciò significa che lo Spirito Santo
non prende il posto della persona né dello spirito interiore dell'orante.
Piuttosto, pregare in lingue è un atto personale e razionale, che si fa sotto
l'influsso della grazia: è un modo di pregare "nello Spirito".
Il
contenuto della preghiera in lingue non è concettuale. Sembra venire dalle
regioni subcoscienti o precoscienti della psiche, dalle regioni al centro di noi
stessi ma al di sotto del livello della coscienza. Forse, per questa ragione,
pregare in lingue ha una connotazione intensamente personale, esprime in qualche
modo l'unicità della persona che prega. Malgrado il fatto che non sia
strutturata come una lingua reale, la preghiera in lingue può contenere l'essenziale
di un linguaggio. L'essenza di ogni linguaggio non è solo la comunicazione di
idee o di concetti; è anche l'espressione verbale da una persona ad un'altra
(in questo caso, a Dio). La preghiera in lingue è un 1inguaggio" come la
musica, la danza, e la pittura; sono tutte 1inguaggi". Forse, in parte a
causa del fatto che il contenuto della preghiera in lingue sembra provenire dal
subcosciente, l'uso del dono delle lingue ha un effetto integrante; integra e
guarisce psicologicamente durante l'uso abituale del dono. Quando si prega in
lingue, tutta la persona - cosciente e subcosciente, fisica, emotiva e spintuale
- prega, e dunque ha luogo un'azione "sinterizzante" che unifica tutte
le componenti di colui che prega.
Il dono delle lingue nel gruppo di preghiera
Il
principale uso del dono delle lingue si compie nella preghiera personale. Però,
un uso comune si trova anche
nei gruppi di preghiera che lodano il Signore parlando o cantando in
lingue. In un gruppo maturo e sano, normalmente la buona maggioranza dei
partecipanti che abbiano già ricevuto l'effusione dello Spirito manifesterà il
dono delle lingue. La lode del gruppo consisterà non soltanto nelle preghiere
ma anche, e sostanzialmente, nel cantare "salmi,
inni, cantici spirituali" (cioè anche canti in lingue) (Ef 5,19).
Quando un gruppo comincia ad esistere, può darsi che la lode in lingue sia
debole o inesistente, ma un gruppo più maturo loderà spesso il Signore in
lingue, e con gioia. Quando San Paolo scrive ai Corinzi che devono limitare
l'uso del dono di lingue nelle loro assemblee di preghiera, non si riferisce al
pregare o al cantare in lingue; si riferisce alla profezia in lingue (cfr. 1 Cor
14,26-33). San Paolo esorta i Corinzi a non sovrapporsi ad una persona che stia
profetando in lingue, e ad aspettare l'interpretazione. Nella pratica, talvolta,
l'animatore della preghiera esorterà i presenti affinché sia data
l'interpretazione. Se c'è più di una interpretazione, ciò non significa
necessariamente che una di queste sia sbagliata ma, forse, che il Signore
intende ne sia data più di una.
Il problema della Chiesa di Corinto era che troppe persone parlavano profeticamente in lingue e a volte nello stesso momento. Ovviamente, una tale situazione risultava e potrebbe risultare caotica, Nei nostri gruppi, in Italia, non sembra sussistere questo probIema; infatti, in alcuni gruppi, la profezia in lingue non si manifesta molto frequentemente. Quello della profezia in lingue è un carisma molto meno diffuso del dono di pregare in lingue. E' un dono misterioso ma anche utile, perché concentra l'attenzione del gruppo sull'ascolto della parola profetica che segue nell'interpretazione, e vi aggiunge una certa solennità.
Di
solito, nei gruppi del RnS il dono delle lingue si usa principalmente nella
preghiera e nel canto in lingue. Che, cosa si può fare in un gruppo in cui il
dono delle lingue sia poco diffuso? Si può pregare per questo dono, tutti
insieme e anche individualmente per ciascuna persona che, pur avendo ricevuto
l'effusione, non manifesti ancora il dono delle lingue. Alcuni rimangono
bloccati perché ritengono la manifestazione di questo carisma come un parlare
estatico o miracoloso proveniente da un impulso quasi irresistibile dello
Spirito, una esplosione mistica in uno stato di rapimento. Si deve spiegare che,
per cominciare a pregare in lingue, basta balbettare suoni senza senso, come un
"insensato" o un infante che non sa parlare, e nello stesso tempo,
guardare il Signore, lasciando a lui di trasformare questi suoni in preghiera di
lode.
Evidentemente, è da evitare il dare una enfasi esagerala sulla necessità del dono delle lingue. Non è un dono necessario; non è il segno manifesto dell'effusione dello Spirito; non è tanto importante quanto la carità, o la fede, o la speranza o, per esempio, la profezia. Ma è un dono di Dio. Vale più di tutto il denaro del mondo. Ci libera, ci integra, ci aiuta a pregare. Lode allo Spirito che ci dà i suoi doni.
Da "Alleluja", mar/apr 1979