NEL CAMPO DI GRANO SPUNTA LA ZIZZANIA

La parabola tutta costruita sui contrasti. Contrasti di personaggi, gesti, mentalità, tempo soprattutto. Lo sfondo è unico: un campo. Il Padrone vi semina il grano, ma una notte arriva il Nemico con la zizzania. Tra i due gesti, l'opposizione appare netta. L'Avversario agisce di soppiatto, rapidamente, approfitta delle tenebre, del sonno dei contadini per guastare il lavoro altrui e poi sparisce, non lo vediamo più. Il Padrone del campo invece è sempre presente: non perde di vista il suo campo, agisce, parla, spiega e non abbandona la sua opera.

Ma oltre ad essere padrone del campo, è padrone anche del tempo. Non si lascia afferrare dall'impazienza. Non è che la vista della zizzania in mezzo al grano gli faccia piacere, tutt'altro. Si oppone tuttavia allo zelo dei servitori, che vorrebbero sradicare immediatamente la zizzania. Ma dov'erano quei contadini mentre il nemico agiva indisturbato sul campo? Dormivano.

Già è più facile accorgersi del male che ha già compiuto guasti irreparabili, che prevenirlo, è più facile denunciare che testimoniare, più facile protestare che darsi da fare.

Il Padrone impedisce che si compia una colossale operazione di pulizia del campo. Ci tiene troppo al grano. "Perché non succeda che cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano". La frase costituisce il punto focale, l'insegnamento dì fondo della parabola. Dio ha tempo, Dio dà tempo, Dio sa aspettare.

Il termine zizzania, in ebraico, deriva dalla stessa radice di Satana e richiama l'idea di disputare, dividere.

Noi siamo per le posizioni nette, il Regno di Dio in questi confini precisi, di là il regno di Satana. Qui i buoni, di là i cattivi, questa è la verità e questo è l'errore, senza sfumature.

Già i membri della comunità del Qumran si ritenevano "giusti", "perfetti", "illuminati". Anche i farisei si ritenevano dei separati e non intendevano assolutamente contaminarsi a contatto con gli altri.

Si direbbe che un peccato tipico delle persone cosiddette religiose sia il bisogno di far coincidere la virtù (vera o presunta) con la separazione attraverso confini visibili e definitivi: questo è il settore dei "figli della luce", quello lo scantinato dei "figli delle tenebre".

Con la pretesa di combattere il male, sovente si è contro qualcuno. Più che produrre qualcosa si è solo capaci di accanirsi su ciò che fanno gli altri. Molti campano sulla zizzania, è il loro grande, provvidenziale datore di lavoro.

Gesù ha vissuto le parabole, prima di raccontarle. In ogni suo atteggiamento ha incarnato la pazienza divina, mostrando che - in questo tempo - nessun peccato sottrae definitivamente l'uomo alla misericordia dì Dio. Gesù non sì separa dai peccatori, ma va con loro, non li abbandona, anzi li perdona. (Giovanni Battista annunciava (in Messia che avrebbe finalmente separato il grano e la paglia). Tollera persino nella cerchia dei dodici un traditore. Comunque, si circonda di discepoli che sono pronti ad abbandonarlo.

La presenza della zizzania nel campo di grano - anche se i servi mostrano di esserne sorpresi - non sorprende il padrone che risponde semplicemente: "Un nemico ha fatto questo".

La vera meraviglia del lettore nasce dalla seconda risposta del padrone che ordina dì non strappare la zizzania, ma di lasciarla crescere insieme al grano.

Tutti gli indizi raccolti convergono nel mostrare che il centro della parabola è il dialogo, e che la punta del dialogo è il secondo botta e risposta. Tuttavia, anche la prima domanda è seria, e la meraviglia dei servi giustificata: " Signore, non hai seminato buon seme nel tuo campo? Donde proviene la zizzania?". Infatti, qui non si tratta di un campo di grano, ma della "figura" del regno di Dio nella storia.

Nella sua genericità questa domanda è universale e antica quanto l'uomo: se Dio è buono perché esiste il male nel mondo? Ma collocata nel contesto specifico dei Vangelo, la stessa domanda acquista un senso del tutto particolare: se il tempo messianico è giunto, perché ancora il peccato nel mondo, persino nella comunità cristiana? Che Dio permetta al male di convivere col bene lo si sapeva. Lo sconcerto è che anche l'ultimo intervento di Dio - quello che si immaginava diverso! - non abbia cambiato le cose. Non doveva essere il tempo in cui Dio avrebbe finalmente instaurata la giustizia nel mondo? E invece anche il tempo messianico continua a sembrare un tempo in cui Dio promette soltanto. La presenza del Regno sembra ancora nell'ordine dei segni, o della profezia, non del compimento.

Le parabole evangeliche vanno sempre lette nella prospettiva del Regno arrivato: è qui che trovano la loro forza e la loro singolarità.

All'interrogativo dei servi - che vogliono conoscere il perché della presenza della zizzania - il padrone risponde laconicamente: "Un uomo nemico ha fatto questo". Come a dire non è colpa mia. Non aggiunge altro, perché l'essenziale è detto. Dire di più (ma sarebbe possibile?) è distrazione. Per la Bibbia, la domanda più importante non riguarda l'origine del male, ma come vivere nella storia, dove il bene e il male crescono insieme. Il primo è un problema teorico, il secondo è un problema pratico. La parabola indugia su quest'ultimo.

Anche la conclusione della parabola non è il punto sul quale fermarsi, tuttavia vi si dice qualcosa di molto importante. La certezza della separazione finale mostra che l'ordine del padrone di non separare "già ora" l'uno dall'altra non è indifferenza al bene e al male. La cernita futura è la prova che Dio prende l'uomo sul serio, Al tempo stesso rende liberi di accogliere gli uomini nel Regno di Dio senza l'ossessione di creare una pura comunità di giusti. Gesù ha rifiutato di costituire una cerchia ristretta, e non vuole che i suoi discepoli si assumano il compito di mietitori. Il padrone non nega la necessità della separazione, dice semplicemente che il suo tempo non è giunto e che il compito di separare non spetta agli uomini.

La presenza della zizzania è opera di un nemico, ma permettere che la zizzania e il grano crescano insieme è precisa volontà del padrone: "Lasciate...."

La novità della parabola sta qui, in questo comando del tutto inatteso, accompagnato da una giustificazione non priva d'ironia: "Perché non abbiate a distruggere il grano Insieme alla zizzania". Il bene e il male, i santi e i peccatori crescono insieme, in un groviglio che non è facile sciogliere. E non mancano servi zelanti che se ne scandalizzano: Dio non dovrebbe governare con criteri più netti? E siccome la tolleranza di Dio sembra loro eccessiva, si incaricano di correggerla.

Sappiamo che anche la comunità cristiana primitiva ha subito la tentazione della rigidezza. Ci si chiedeva, per esempio, se fosse giusto perdonare i peccati dopo il battesimo. La parabola invita la comunità ad essere misericordiosa e a "non giudicare nulla prima del tempo, finché sia venuto il Signore, il quale metterà in luce ciò che le tenebre nascondono e manifesterà i consigli del cuore" (i Con4,5).

È una parabola che ribalta le nostre posizioni abituali. Provo a precisare in riferimento alla situazione attuale.

La parabola della zizzania costituisce la più decisa smentita degli integralismi, dei fanatismi, dell'intolleranza, delle inquisizioni.

La zizzania intreccia inestricabilmente le proprie robuste radici con quelle del grano. Volerla estirpare precipitosamente significa sradicare anche il bene (o almeno la possibilità di bene).

Occorre odiare il peccato e amare - o rispettare - i peccatori. Il male è una cosa, i cattivi sono un'altra, perché i cattivi possono ridiventare buoni.

Con l'illusione di impedire il contagio si rischia di propagarlo. Col proposito di colpire il male sovente ci si sbarazza di ciò che dà fastidio, ci disturba. Si afferma che bisogna prendere posizione nette, fare una scelta di campo, ma non c'è nessun campo che sia soltanto buon grano. E quanto a prendere posizione prima che davanti agli altri occorre prenderla all'interno di noi stessi, di fronte al male che ospitiarno dentro.

Nel momento in cui giudichi, condanni gli altri ritenendoti "puro", ti trasformi in zizzania, il vero scandalo è quello offerto da coloro che pensano di dimostrare le proprie virtù denunciando le colpe degli altri. i veri operatori di iniquità sono coloro che invece di impegnarsi nell'umile fatica della pratica del Vangelo, si arrogano un ruolo che è competenza esclusiva di Dio.

L'ultimo dei 99 "bei nomi di Dio" custoditi dalla tradizione musulmana è "il Pazientissimo".

Concretamente: l'unica maniera legittima per non rendersi complici del male è quella di produrre ... un po' di bene.

Tra le persone c'è un sottile intreccio di vita, di destini, d'influenze reciproche. Il disegno di Dio è molto più fine, vede molto più lontano perché Dio è ottimista e continua a sperare nell'uomo. Questa visione rasserenante se applicata alle vicende della vita di ogni giorno ci rende più pazienti con gli altri, più tolleranti, più capaci di credere nel bene che c'è in loro, anche se in quel momento non lo vediamo perché non si manifesta, perché non coincide con il nostro bene. Tale visione dobbiamo chiedere a Dio: questa è l'arte dei rapporti umani. Grano e zizzania si alimentano nella stessa zolla, che poi è questa nostra natura umana; e le loro radici, insinuandosi nei meandri delle nostre scelte, saldano l'insieme dell'agire di tutti in modo tale che non è possibile toccarne una senza coinvolgerne molte.

La parabola è seguita da una spiegazione (13,36-43) e le differenze sono molte: i destinatari (prima le folle ora solo i discepoli), l'ambientazione (dall'ampio orizzonte del mare allo spazio ristretto della casa), ecc .....

Soprattutto si è spostato il centro della parabola: non è più la logica con cui Dio guida il suo Regno, ma il giudizio nell'ultimo giorno. La parabola era teologica, la spiegazione è morale. La "novità" teologica è diventata un ammonimento e non approfittare della pazienza di Dio.

Sembra che alla spiegazione più che il problema dei buoni e dei cattivi della comunità stia a cuore quella della sorte finale dei cattivi.

Lo spostamento d'interesse è probabilmente da collegarsi a un mutamento della situazione storica e pastorale della comunità. Il tempo ha spento gli entusiasmi delle origini e di fronte ai peccati e alle defezioni la comunità rischia di diventare indifferente: non più la meraviglia e lo scandalo, ma l'adattamento e la mondanizzazione. Non più la tentazione della rigidezza, ma quella della confusione. Giustamente Matteo - commentando la parabola - non insiste sulla pazienza dì Dio, ma avverte di non approfittarne. La tolleranza è la virtù di Dio, ma non è tolleranza che nasce dall'indifferenza. La tolleranza di Dio, è sempre accompagnata dalla chiarezza.

Bisogna fare attenzione a come si comprende la parabola. Sussiste il rischio di banalizzarla, senza distinguere il grano dalla zizzania. Il rischio del cristiano liberale e tollerante è che rinunci a giudicare e a separare, ma non perché sia convinto a tanto dalla pazienza di Dio e dalla speranza nella sua opera futura, quanto piuttosto perché non vede nessuna. differenza abissale tra grano e zizzania; gli va tutto bene, e trova ridicolo ed infantile che si parli di un "nemico" che ha sconvolto la piantagione di Dio.

Quando recitiamo i salmi, di fronte a tante espressioni dure di imprecazione contro i nemici, contro i potenti dalla vita florida e dalla carne ben pasciuta, contro coloro che dicono: " Dio non c'è, non se ne cura ", rimaniamo come sorpresi ed increduli, o magari scandalizzati dai sentimenti poco cristiani lì espressi. Ma dove sono tutti questi nemici? - ci chiediamo. Dovremmo piuttosto chiederci: non sarà per caso accaduto che noi non abbiamo più occhi per riconoscere la zizzania e il nemico?

L'insegnamento fondamentale della parabola è tuttavia l'altro: la zizzania non può essere strappata via dal campo. La spada o la falce di cui disponi consente di eseguire quell'operazione soltanto nei confronti di pensieri e sentimenti del tuo cuore. Quando tu cercassi di usarla per chi ti sta intorno, accadrebbe ineluttabilmente che insieme alla zizzania butteresti al fuoco molto buon grano. La divisione, infatti, tra l'una e l'altra passa all'interno di ciascuno; l'opera del nemico è troppo subdola perché possa essere rimediata attraverso epurazioni intempestive.

La parabola del grano e della zizzania può essere qualificata come la parabola della dolcezza di Dio in questo mondo. La verità della parabola e il prezzo di ciò che vi si dice, sarà pagato da Gesù attraverso la croce: preferirà morire, perché molti possano poi volgersi indietro e separare dentro di sé la zizzania dal grano, piuttosto che falciare i peccatori chiamando in soccorso una legione di angeli. 

PROVOCAZIONI

Il male e il bene non delimitano territori rigidamente definiti, soprattutto non dividono e oppongono le persone tra loro. La linea di confine del male non passa attraverso individui o gruppi, passa in mezzo al cuore di ogni uomo, per cui nessuno può illudersi totalmente al di qua o al di là di quella linea. Ostinarsi a guardare e denunciare il male che sta fuori di noi significa non vedere il peccato che affonda le radici dentro dì noi.

C'è anche un modo diverso di guardare il campo. Tutto dipende dall'occhio con cui si osserva una certa realtà. C'è chi vede nel mondo esclusivamente sporcizia, corruzione, violenza, cattiveria, falsità. Ma c'è chi, senza ignorare questi prodotti, riesce a scorgere anche il bene, la pulizia, l'onestà, la coerenza.

Si direbbe che certi individui si siano specializzati a cogliere l'opera di Satana e risultino incapaci di scoprire l'azione di Dio nel mondo. Completezza d'informazioni o incompletezza di sguardo?

L'uomo non ha diritto di anticipare il giudizio finale. Questo spetta a Dio in esclusiva, è compito suo. La data è quella stabilita da lui, non dai nostri calendari frettolosi.

E poi l'uomo non possiede il metro adatto per giudicare i propri simili. Di quel metro Dio è gelosissimo custode, non lo concede in appalto ad alcuno. Nessuno di noi, quindi, deve "rubare" il mestiere di Dio. Il nostro compito, semmai, si esercita nel campo della comprensione, del rispetto, della pazienza, della longanimità.

Abbiamo l'occhio infallibile! Ecco il grano buono ed ecco la zizzania, Questi i buoni, quelli i cattivi. Ci sono i nostri e ... quegli altri. I vicini e i lontani, gli individui fidati e quelli poco raccomandabili. Noi i fedeli, i praticanti, la parte sana, e i poco di buono, gli indisciplinati, Tra di noi ci sono persino i super esperti capaci, per esempio di distinguere tra i preti come si deve e quelli che sono preti per modo di dire, tra sacerdoti doc e altri scarsamente affidabili.

Basterebbe che Dio ci facesse cenno e ci precipiteremo a far pulizia nel suo campo, a mettere un po' d'ordine. Il guaio è che Dio quel cenno non si decide a farlo e noi siamo costretti a mordere il freno, tenere a bada la nostra impazienza.

Che dire della nostra fretta? Viene in mente un grande predicatore del secolo scorso, il Monsabré. Teneva il sermone nella cattedrale di Notre-Dame, a Parigi. A un tratto esclamò: "Se Dio mi concedesse per 24 ore la sua onnipotenza, quante cose cambierei in questo mondo!". E l'uditorio assentiva, convinto che da quel momento tutto sarebbe andato per il meglio. E Monsabré continuò: "Ma se Dio, insieme con la sua onnipotenza mi concedesse anche la sua onniscienza, credo che lascerei tutte le cose come stanno".

Il punto di vista di Dio in tante cose sembra essere diverso dal nostro. Chiediamo anche noi la pazienza. Però non come quel tale che pregava: "O Signore, dammi la pazienza. Ma sbrigati!".

ATTUALIZZAZIONE

Uno dei difetti più gravi dell'uomo è di credersi quasi onnipotente. Anche se a parole ciascuno riconosce i propri limiti e la propria fallibilità, nel nostro animo alligna l'idea di essere perfetti. Lo sa bene l'autore sacro quando, nel libro della Genesi, mette in bocca al tentatore la frase Voi sarete come Dio", taglia un nodo fondamentale della psicologia umana. Questo desiderio, sentirsi Dio, addirittura essere Dio è nell'uomo così impellente e tenace che difficilmente se ne può liberare. Infatti, quando si accorge di avere problemi o di non riuscire a portare a termine un compito, l'uomo addossa solitamente ad altri la colpa dei fallimento, e non ammette di essere lui stesso la causa. Così, se in una famiglia un figlio crea problemi, lo sposo tende a riversare sulla sposa la responsabilità, ed altrettanto fa lei con lui: raramente si rientra in sé per ammettere i propri limiti e i propri errori.

Una conquista straordinaria, per l'uomo, è arrivare a comprendere e a tollerare la propria impotenza e la propria fallibilità. Quando deponiamo le manie di grandezza e indossiamo le vesti della debolezza, cominciamo ad essere finalmente umani: l'uomo, per tornare alla parabola del Vangelo, è un impasto di ricchezza e di povertà, di generosità e di egoismo, di intuizione e di ignoranza, di grano e di zizzania.

Cresce soltanto colui che ammette le proprie povertà. Un grande filosofo, Karl Popper, in un trattato intitolato "La società aperta e i suoi nemici", sosteneva che nessuna formula è definitiva, nessuna ideologia è pienamente vera, perché ciò che pensiamo oggi sarà superato o completato domani. La società aperta è consapevole di essere limitata e, attraverso gli errori, sa muoversi verso la pienezza. Sbagliare è umano, ma è molto più umano correggersi. Io penso - dice sempre Popper - che questo consapevole atteggiamento critico nei confronti delle proprie idee ed azioni, sia l'unico elemento che contraddistingue l'uomo dall'animale.

Alleniamoci a considerare noi stessi come limitati e fallibili, per ritrovare il gusto e il piacere di scovare i nostri difetti, le nostre "zizzanie". L'uomo cresce attraverso gli sbagli solo quando li riconosce. Se ciascuno degli sposi compie questo cammino, la coppia vive in comunione: non ci sarà, più recriminazione dell'uno verso l'altro, ma il dialogo, per riparare insieme a problemi e mancanze. La crescita della coppia diventerà anche crescita individuale. Non ci si lascerà soffocare dalla voglia di estirpare i difetti o il male altrui, e si vivrà piuttosto la tensione a superare i propri, di difetti, guardandosi dentro, perché possa crescere il grano buono.

Anche la Chiesa deve riconoscere di essere, al contempo, grano e zizzania. La zizzania non è solo fuori di essa, nel mondo, ma anche dentro di essa. Sant'Agostino affermava che la Chiesa è una casta meretrice, santa e peccatrice come Pietro. Ricordiamo i due Pietro tramandatici dal Vangelo: quello che per primo riconosce Gesù come il Cristo e Messia, e quello che lo rinnega, che stenta a credergli, che non accetta un Messia debole. C'è un Pietro santo e un Pietro satana. Ecco perché anche la Chiesa è peccatrice, fallibile, sempre bisognosa di conversione. E come tale deve sentirsi più discepola che maestra. Una delle molte, sorprendenti espressioni coniate dal Concilio è questa: "Ecclesia semper reformanda", la Chiesa è sempre da riformare e si rinnova ammettendo i propri sbagli. Il nostro Papa, con grande coraggio, dà l'esempio per primo: ha chiesto perdono per Galileo Galilei, per l'Inquisizione, per i silenzi sulla schiavitù, sul Nazismo, per i rapporti con Lutero.

Dobbiamo essere tolleranti verso la varietà del mondo. "Lasciate che l'una e l'altra crescano insieme ": tra gli uomini girano idee tanto diverse, e la verità nasce dal loro confronto, non dall'eliminazione di qualcuna di esse. Grande è quell'espressione di Voltaire: "Non sono della tua idea, ma sono disposto a sacrificare la vita perché tu possa esprimere la tua opinione". Occorre vincere l'intolleranza e il fanatismo perché sono contro il Vangelo.

Anche nella nostra società il male cresce col bene e non è possibile subito separare completamente l'uno dall'altro. I cristiani si trovano in mezzo a coloro che non lo sono, lavorano agli stessi progetti di ricerca e di sviluppo, ma per essere un segno di contraddizione, un raggio di speranza, fra le paure del nostro tempo. Rischiano di non essere compresi, di venire ostacolati, ma non possono riunirsi nella sicurezza di un clan, non possono sentirsi dei "separati". Sì, anche noi corriamo il rischio di isolarci in "ghetti spirituali" protetti dove sembra che, lontano dal male, il bene abbia modo di svilupparsi di più, Non è questa, però, la linea del Vangelo.

Gesù ci vuole in mezzo a tutti, anche fra coloro che per ideologia o per prassi sono diversi da noi e perseguono altri fini. Non dobbiamo avere paura di "sporcarci le mani", di essere messi in crisi né di subire opposizioni o persecuzioni. Un cristianesimo "in scatola", asettico, lontano dal mondo, limitato nell'ambito di una "zona protetta" che può essere la parrocchia o il gruppo ristretto, non può essere riconosciuto come autentico dal Cristo.

Un cristianesimo che si protegge, si nasconde, si separa dagli altri, è falso. È sempre il tempo, perciò, di aprire le porte, invece di chiuderle per sentirsi al sicuro. È il tempo di abbattere gli steccati, tutti i muri che, da qualche parte, probabilmente, esistono ancora. Non abbiamo bisogno di difenderci, ma di uscire per correre incontro al mondo. Non temere: hai il Signore con te e Lui ti dà la forza.

Se ti tiri indietro il male cresce, mette le radici, se lo affronti puoi vincerlo. Non con l'intransigenza e la durezza però, ma con la verità, la pazienza, l'amore.

Anche il male del mondo si previene e si cura con una coerente testimonianza di vita, con il coraggio di chi sa scegliere Dio e il suo progetto, con la speranza che sconfigge la tristezza e la paura.

"Vinci il male col bene". "Dove non c'è amore, metti amore e troverai amore".

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