A
ciascuno di noi... è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.
Per questo sta scritto: Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha
distribuito doni agli uomini " (Ef 4,7-8).
Questa
parola dell'Apostolo ci mette dinanzi l'evento fondamentale dal quale deve
partire ogni riflessione sui carismi; tale evento è questo: Cristo, risorto e
asceso al cielo, ha mandato lo Spirito Santo, ha distribuito doni agli uomini.
è dunque il Cristo Signore che deve occupare il centro della nostra attenzione,
lui che non soltanto allora, ma sempre, anche in questo momento, dona lo Spirito
alla sua Chiesa. E’ lui la sorgente alla quale dobbiamo guardare, la "roccia
spirituale", dalla quale scaturisce quel "fiume che, con i suoi
ruscelli (i carismi!) rallegra la città di Dio" (cfr. Sa] 46,5).
Il
modo più sicuro di parlare dei carismi è di commentare alcuni testi basilari
che si leggono nel Nuovo Testamento su questo argomento. Il primo di questi è
proprio il capitolo 4 dell'epistola agli Efesini, di cui abbiamo ascoltato,
all'inizio, alcune frasi: "Un solo corpo, un solo Spirito...un solo Dio
Padre di tutti... E lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come
profeti, altri come evangelisti... (Ef 4,4.6.11).
Questo
testo ci dice che nella realtà della Chiesa si distinguono due livelli: il
livello dell'unità, o della comunione (koinonía) e il livello della
diversità, o del servizio (diakonía) e ci dice anche che i carismi
appartengono a questo secondo piano. In altre parole, la Chiesa è fatta di
alcune realtà comuni a tutti e identiche per tutti, che sono: un solo Dio
Padre, un solo Signore Gesù Cristo, In solo Spirito, una sola fede, una sola
speranza, un solo battesimo; e di altre realtà, che sono invece diverse per
ciascuno, cioè i ministeri e i carismi. Questi sono l'espressione della
ricchezza, del dinamismo, della varietà della Chiesa; essi fanno sì che la
Chiesa sia, non solo un "corpo ben compaginato e connesso", ma anche
"articolato secondo l'energia propria di ogni membro".
CARISMI
E SACRAMENTI
Tra
le cose comuni a tutti, S. Paolo pone il battesimo, come abbiamo sentito, e
quindi tutti i sacramenti. Infatti la differenza tra unità e diversità si
riflette nella differenza che c'è tra sacramenti e carismi, e sulla quale
vogliamo ora riflettere un po' più da vicino.
Nella prima lettera ai Corinzi, leggiamo: “Vi
sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono
diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di
operazioni, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti". Ritorna,
in questo testo, la stessa distinzione marcata tra ciò che nella Chiesa è
diverso (carismi, ministeri, operazioni) e ciò che è, invece, "uno solo e
identico". Tra le cose che sono uguali per tutti, l'Apostolo pone, anche
qui, i sacramenti; scrive infatti poco più avanti: "In realtà noi
tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo... e
tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito " (1 Cor 12,13).
L’espressione "abbeverati a un solo Spirito" potrebbe alludere
velatamente all'eucaristia che nell'iniziazione cristiana delle origini veniva
ricevuta, la prima volta, unitamente al battesimo. E’ certo, in ogni caso, che
anche l'eucaristia fa parte di questo piano della comunione; immediatamente
prima, infatti, l'Apostolo ha parlato dell'eucaristia, dicendo: “Poiché c'è
un solo pane, noi... siamo un corpo solo”(1 Cor 10, 17).
Che
rapporto c'è, dunque, tra i carismi e i sacramenti? 1 sacramenti fanno parte di
quell'ambito comune, nel quale non c'è distinzione alcuna tra i credenti, che
tutti ricevono allo stesso modo e nel quale, se c'è una distinzione, questa
dipende unicamente dalla fede personale e dal grado di santità di ognuno e non
dal posto che occupa nella Chiesa. L'eucaristia che riceve il papa è la stessa,
identica eucarestia che ricevono i vescovi, i sacerdoti e i laici. Il battesimo
è sempre lo stesso, sia che venga amministrato dal papa, sia che venga
amministrato da un sacerdote o, in caso di necessità, da un semplice laico. 1
sacramenti sono dunque quelle realtà comuni, grazie alle quali la Chiesa è
anzitutto comunione e unità. I carismi invece sono "una manifestazione
particolare dello spirito data a ciascuno" (cfr. 1 Cor 12,7). Essi non sono
perciò per tutti uguali; anzi, nessuno è in realtà uguale all'altro.
Nella sua infinita sapienza, Dio ha stabilito, dunque, come due canali distinti per santificare la Chiesa, come due diverse direzioni dalle quali soffia lo Spirito. C'è, per così dire, lo Spirito che Viene dall'alto e che si trasmette attraverso il papa, i vescovi, i sacerdoti, che agisce nel Magistero della Chiesa, nella gerarchia, nell'autorità e soprattutto nei sacramenti. In questo caso, lo Spirito, o la grazia, viene a noi attraverso dei canali istituiti da Cristo e affidati alla Chiesa istituzionale. A tali canali nessuno può apportare dei cambiamenti, neppure la stessa gerarchia della Chiesa.
Possiamo
paragonare i sacramenti a delle "prese" do corrente, collocate in
punti precisi della casa. C'è lassù sui monti, una grande centrale che produce
elettricità; attraverso dei grossi fili, essa supera monti e valli e giunge
alla città e, ramificandosi, arriva fino alle prese di corrente che ci sono on
ogni casa; ogni volta che si accosta la spina, da quella presa si sprigiona
calore, energia, luce, secondo i bisogni: Così è sul
piano della grazia: c'è un'unica centrale di grazia che è il sacrificio
redentivo di Cristo consumato sulla croce; da esso, attraverso i canali
stabiliti da Cristo, la grazia fluisce ininterrottamente fino a noi e noi
l'attingiamo nei sacramenti.
Fin
qui la direzione che ho chiamato "dall'alto"; c'è, però, una
direzione, in certo senso, opposta, da cui soffia lo Spirito ed è la direzione
"dal basso", cioè dalla base, o dalle cellule del corpo, che è la
Chiesa. Questo è davvero quel vento, di cui Gesù diceva che "spira dove
vuole" (cfr. Gv 3,8). S. Paolo sembra riprendere questo concetto di Gesù,
quando, parlando dei carismi, dice: "Tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che
le opera distribuendole a ciascuno, come vuole" (1 Cor
12,11). "Come vuole": qui regna sovrana la libertà di Dio, non legata
da scelte fatte una volta per sempre, all'inizio della Chiesa, ma sempre nuova e
imprevedibile. 1 carismi sono manifestazioni concrete di questo Spirito che
soffia "dove vuole" e che nessuno può prevedere o stabilire in
anticipo. Se i sacramenti sono 1e prese" della grazia, i carismi sono 1e
sorprese" della grazia e dello Spirito Santo!
La
Chiesa completa, organismo vivo, irrorato e animato dallo Spirito Santo, è
l'insieme di questi due canali, o il risultato delle due direzioni della grazia.
I sacramenti sono il dono fatto a tutti per l'utilità di ciascuno, il carisma
è il dono fatto a ciascuno per l'utilità di tutti. I sacramenti sono doni dati
all'insieme della Chiesa per santificare i singoli; i carismi sono doni dati ai
singoli per santificare l'insieme della Chiesa.
Si
comprende facilmente, allora, quale perdita sarebbe per la Chiesa, se, a un
certo punto, si pensasse di poter fare a meno dell'uno o dell'altro di quei due
canali: o dei sacramenti o dei carismi, o dello Spirito che scende dall'alto, o
dello Spirito che è diffuso alla base della Chiesa. Ora, purtroppo, dobbiamo
dire che una cosa del genere è avvenuta nella Chiesa, almeno a livello pratico,
se non in linea di principio. Dopo il Concilio Vaticano 11, tutti riconoscono
che in passato era avvenuta una certa decurtazione dell'organismo santificante
della Chiesa, a spese, appunto, dei carismi. Tutto passava solamente attraverso
i canali cosiddetti "verticali", costituiti dalla gerarchia o affidati
alla gerarchia; attraverso essi il popolo cristiano riceveva la Parola di Dio, i
sacramenti, la profezia (questa era intesa, di solito, come il carisma di
insegnare infallibilmente la verità, inerente al Magistero della Chiesa!). Si
era alla famosa Chiesa "piramidale", in cui si supponeva che tutto
dovesse seguire una trafila ben precisa e unidirezionale: da Dio al papa, dal
papa ai vescovi, da questi ai sacerdoti e dai sacerdoti ai fedeli. Era
inevitabile che da ciò risultasse una certa inerzia del laicato.
All'origine
di questo impoverimento dottrinale c'era una certa concezione della Chiesa che
si era andata formando in epoca moderna e che è stata chiamata, per analogia,
la concezione "deista" della Chiesa (H. Múhlen). C'era stata, con
Cartesio, una concezione deista del mondo: secondo tale concezione, Dio aveva
creato, all'inizio, il mondo e, dopo averlo, per cosi dire, messo in moto, si
era ritirato, lasciando che funzionasse per conto suo, secondo le leggi
inscritte in esso una volta per sempre. Si chiamava anche concezione
"meccanica" del mondo. Si negava, praticamente, la provvidenza e
l'attuale, incessante governo di Dio sul mondo.
Per
analogia, si chiama concezione "deista" della Chiesa quella che la
considerava come un organismo perfetto creato da Gesù e dotato, fin
dall'origine, di tutti i poteri e i mezzi (sacramenti, gerarchia, Magistero) per
camminare da sola fino alla parusia. Anche qui, senza rendersene conto, si
metteva in ombra l'attuale, incessante signoria di Cristo sulla sua Chiesa che
si esprime nella libertà di intervenire, momento per momento, con il suo
Spirito, sulla Chiesa stessa e di preparare sorprese sempre nuove alla sua
Sposa. In pratica, si restringeva lo spazio in cui si situano i carismi. E
infatti di carismi non si parlava quasi più in teologia, o se ne parlava in un
senso tutto particolare, per designare le grazie e i fenomeni straordinari che
si riscontravano nella vita di alcuni santi.
Con
il Concilio Vaticano II, questa immagine di Chiesa un po' statica e
"meccanica" è mutata. Si è ripreso coscienza che la Chiesa non può
fare a meno dell'immensa ricchezza di grazia diffusa capillarmente nel corpo
della Chiesa, in tutti i suoi membri, e che si manifesta nei doni, o carismi, di
ognuno.
Ecco
cosa ha scritto, in proposito, il Concilio in un testo giustamente famoso:
"Lo Spirito Santo non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri
santifica il Popolo di Dio e lo guida e adorna di virtù, ma "distribuendo
a ciascuno i propri doni come Piace a Lui" (cfr. 1 Cor 12,11), dispensa pure tra
i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti
ad assumersi varie opere ed uffici utili al rinnovamento e alla maggiore
espansione della Chiesa, secondo quelle parole: 'A ciascuno... la manifestazione
dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio" (cfr. 1 Cor 12,7).
E questi carismi straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono
soprattutto adatti e utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere
con gratitudine e consolazione" (Lumen gentium, 12). ripristinato,
in questo testo, il duplice movimento dello Spirito; di esso infatti si dice che
agisce "non solo attraverso i sacramenti", cioè dall'alto, ma anche
dal basso, attraverso quella fitta rete di grazie che sono i carismi di tutti i
battezzati. Nell'uno e nell'altro caso si tratta, inoltre, di un'azione
destinata a "santificare" il popolo di Dio, cioè a qualcosa di
essenziale e di costitutivo della Chiesa, e non semplicemente a un suo
abbellimento o arricchimento accidentale.
CARISMI
E SERVIZIO
Dal
testo conciliare risulta chiaro qual è lo scopo dei carismi: essi sono
destinati a rendere i fedeli "adatti e pronti" ad assumersi delle
responsabilità in ordine al rinnovamento interiore e all'espansione esterna
della Chiesa. In ciò il Concilio non fa che riproporre il più puro
insegnamento del Nuovo Testamento sui carismi. S. Paolo scrive che è Dio che "ha
stabilito alcuni conte apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti,
altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il
ministero (cioè il servizio), alfine di edificare il corpo di
Cristo" (Ef 4,11). S. Pietro, da parte sua, raccomanda: "Ciascuno
viva secondo la grazia (charisma) ricevuta, mettendola a servizio (diakonìa)
degli altri" (1 Pt4,10).
Lo
scopo dei carismi è, dunque, la diakonía, il servizio, il ministero.
Quest'ultimo termine, ministero, è il più usato nelle nostre traduzioni della
Bibbia; tuttavia, è diventato, nel nostro linguaggio corrente, talmente vago e
ambiguo che ha bisogno di essere ben compreso, per non essere frainteso
(esistono anche i "rninisteri" politici e governativi, che non sono
sempre organismi di servizio, o almeno non sono avvertiti dalla gente come
tali). Quello che la parola ministero significa nel Nuovo Testamento è
semplicemente servizio (da ministrare, che significa servire). Lo scopo
dei carismi non è dunque quello di dare lustro, prestigio o fama di santità a
chi li riceve; non è quello di dargli delle sicurezze o dei
poteri sugli altri.
Assolutamente! Cosi. si stravolgono i
carismi. Quando Gesù, ascendendo al cielo, ha riversato, come una pioggia, i
suoi doni sugli uomini, aveva in mente il suo corpo, la Chiesa; è essa che
amava e voleva "edificare". Commentando il capitolo 4, versetto 8,
della lettera agli Efesini, S. Agostino nota che l'Apostolo dice: " ... ha distribuito
doni agli uomini, mentre il versetto del salmo che sta citando dice:
"ha ricevuto doni dagli uomini" (cfr. Sal 68,19), e spiega che
entrambe le cose sono vere in Cristo: egli ha donato i carismi agli uomini in
quanto Capo e li ha ricevuti in quanto corpo (poiché il Cristo totale è Capo e
corpo insieme, Cristo e la Chiesa insieme). Ciò che ognuno riceve in dono dallo
Spirito Santo, è la Chiesa che lo riceve (cfr. S. Agostino, De Trinitate,
XV, 19,34).
I
carismi sono, dunque, per la Chiesa: per la bellezza della Chiesa, per la
vitalità e la varietà della Chiesa. Questo ci mette sulla strada per scoprire
come mai S. Paolo chiama la carità 1a via migliore", il carisma dei
carismi. Anche qui ci facciamo guidare da S. Agostino. Dopo aver ricordato i
vari carismi elencati dall'Apostolo in 1 Cor 12,8-10, S. Agostino dice:
"Forse, tu non hai nessuno di questi doni elencati; ma se ami, quello che
Possiedi non è poco. Se infatti ami l'unità, tutto ciò che in essa è
Posseduto da qualcuno, lo possiedi anche
tu! Bandisci l'invidia e sarà tuo ciò che è mio, e se io bandisco l'invidia,
è mio ciò che Possiedi tu. L'invidia separa, la carità unisce. Soltanto
l'occhio, nel corpo, ha la facoltà di vedere; ma è forse soltanto per se
stesso che l'occhio vede? No, egli vede per la mano, per il piede e per tutte le
altre membra; se infatti il piede sta per urtare in qualche ostacolo, l'occhio
non si volge certo altrove, evitando di Prevenirlo. Soltanto la mano agisce nel
corpo; ma forse che essa agisce soltanto per se stessa? No, agisce anche per
l'occhio; infatti se sta per arrivare qualche colpo che ha di mira, non la Mano,
ma soltanto il volto, forse che la mano dice: 'Non mi muovo, perché il colpo
non è diretto a me". Così il piede, camminando, serve tutte le membra; le
altre membra tacciono e la lingua Parla per tutte. Abbiamo, dunque, lo Spirito
Santo se amiamo la Chiesa e l'amiamo se ci manteniamo inseriti nella sua unità
e nella sua carità. Infatti lo stesso Apostolo, dopo aver affermato che agli
uomini sono stati dati doni diversi, così come vengono assegnati compiti
diversi alle membra del corpo, continua dicendo: 'Io vi mostrerò una via
migliore di tutte' (1 Cor 12,3 1) e comincia a parlare della carità.
Antepone la carità alle lingue degli uomini e degli angeli, la preferisce ai
miracoli della fede, alla scienza e alla profezia; la mette perfino prima di
quelle grandi opere di misericordia che consistono nel donare tutto ciò che si
ha ai poveri; la preferisce, da ultimo, anche al martirio del corpo. A tutti
questi grandi doni antepone la carità. Abbi dunque la carità e avrai tutto,
perché qualsiasi altra cosa tu possa avere, senza di essa, a nulla potrà
giovarti" (S. Agostino, In Iohannem, 32,8).
Ecco
svelato il segreto perché la carità è "a via migliore": essa mi fa
amare l'unità (cioè la Chiesa e, concretamente, la comunità in cui vivo), e
nell'unità, tutti i carismi, non solo alcuni, divengono "miei". Anzi
c'è di più. Se tu ami veramente l'unità, il carisma che io possiedo è più
tuo che mio. Supponiamo che io abbia il carisma di "evangelista", cioè
di annunciare la Parola di Dio; io posso compiacermene e vantarmene: allora
divento "un cembalo squillante" e il carisma- mi dice l'Apostolo-
" a nulla mi giova", mentre a
te che ascolti la Parola annunciata, esso non cessa di giovare, nonostante il
mio peccato. Per la carità, tu possiedi senza pericolo ciò che un altro
possiede con pericolo. Che straordinaria invenzione della sapienza di Dio! La
carità moltiplica i carismi; fa del carisma di uno il carisma di tutti.
Ma
perché questo miracolo avvenga, bisogna, dice Agostino, bandire l'invidia, cioè
morire al proprio "io" individuale ed egoista che cerca la propria
gloria, ed assumere invece grande, immenso, di Cristo e della Chiesa. E questo suppone
uno stato di profonda conversione. I carismi infatti suppongono che si viva
in stato di continua conversione; essi non si mantengono sani ed integri che in
tale stato.
Quando
S. Paolo afferma che, senza la carità, anche il più sublime dei carismi "a
niente mi giova", adesso sappiamo che questo non vuol dire che senza la
carità i carismi non giovano a nessuno e vanno a vuoto; vuol dire soltanto che
non giovano a me"; giovano alla Chiesa, anche se non giovano a chi li
possiede e li esercita.
L'ESERCIZIO
DEI CARISMI
Siamo,
così, introdotti alla considerazione dell'ultimo punto: l'esercizio concreto
dei carismi. Voglio partire da un'espressione di S. Paolo che abbiamo già
ascoltato, ma non ancora commentato: "A ciascuno - dice - è data
una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune " (1 Cor
12,7). Mi preme ora sottolineare le parole: "una manifestazione particolare
dello Spirito". Dunque, il carisma è una manifestazione, o epifania, dello
Spirito; è un modo parziale, ma autentico, di manifestarsi dello Spirito. (11
termine greco usato è lo stesso che, nel Nuovo Testamento, indica la
manifestazione di Cristo: phanérosis). Con ciò si è detta una cosa
molto seria; si è detto che i carismi, o non ci sono affatto in una persona, o,
se ci sono, si guasteranno presto, se essi non sono il manifestarsi spontaneo e
quasi il riflesso naturale dello Spirito che riempie il suo cuore e la sua vita.
Se, in altre parole, sono qualcosa di staccato e di posticcio nella vita di chi
li esercita. Gesù ci dice che con i carismi si può finire perfino all'inferno;
dice infatti: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel
regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei
cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi
profetato nel tuo nome (primo carisma!) e cacciato i demoni nel tuo nome (secondo
carisma!) e compiuto molti miracoli nel tuo nome (terzo carisma!)? lo
però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi
operatori di iniquità " (Mt 7,21-23).
Come
mai questa gente che profetizza, che scaccia i demoni e opera molti miracoli, si
sente dire, nel giorno del giudizio: "Via da me!"? E' che quei carismi
non erano la "manifestazione" autentica di una vita guidata dallo
Spirito di Gesù, ma erano qualcos'altro; erano, semmai, ostentazione dello
Spirito, non manifestazione dello Spirito. Così avviene quando si abusa dei
doni di Dio per la propria gloria o utilità, senza accettare le austere
esigenze che lo Spirito stesso pone e che il vangelo espone, che si riassumono
nella parola "croce".
Dobbiamo
perciò entrare in una prospettiva di conversione reale, smettendo di pensare ai
carismi come a dei bei doni che, a un certo punto, grazie all'effusione dello
Spirito, si sono posati sull'albero della nostra vita. Questo sarebbe, in tal
caso, un albero di Natale, non un albero vero. Già un'altra volta ho illustrato
la differenza che c'è tra l'albero di Natale e un albero vero. L'albero di
Natale, in genere, è un alberello di plastica, al quale si appendono i regali
natalizi e che si butta via, appena i regali sono stati staccati e la festa è
passata. Un cristiano che presenta dei carismi, senza però la sostanza di una
vita improntata al Vangelo, somiglia a quell'alberello di plastica che non serve
più a niente e che si butta via non appena sono stati colti i sui doni. Ben
diverso è il cristiano la cui vita è simile all'albero che cresce lungo corsi
d'acqua: egli porta sempre di nuovo frutto a suo tempo e le sue foglie non
appassiranno mai (cfr. Sal 1,3). Costui passerà, sì, attraverso l'inverno, cioè
attraverso periodi in cui non sembra aver alcun frutto ed è spoglio di tutto
(passerà attraverso lo spogliamento e l'aridità), ma a primavera tornerà a
germogliare e, anzi, quando i suoi frutti non si vedono, è proprio allora che
ne produce di più.
S.
Paolo esprime bene tutto questo quando afferma che i carismi devono essere
l'espressione di una vita "secondo lo Spirito"; i carismi infatti sono
al sicuro solo in coloro che, "mediante lo Spirito, fanno morire le opere
della carne" (cfr. Rin 8,13). Questo ci spiega come mai tante persone si
siano fermate per la strada, dopo un inizio folgorante nel Rinnovamento o,
addirittura, siano tornate indietro.
Avviene,
dei Rinnovamento, come quando si accende un fuoco in casa; dapprima si appicca
il fuoco a del materiale facilmente infiammabile, come carta, paglia, o arbusti
secchi. Ma finita quella prima fiammata, o il fuoco è riuscito ad accendere i
pezzi di legno grandi, e allora durerà fino al mattino dopo e riscalderà tutta
la casa, o non vi è riuscito, e allora non succede proprio nulla; si è
trattato, appunto, di un "fuoco di paglia". Sul piano del rinnovamento
spirituale, o la fiamma iniziale si attacca al cuore e lo trasforma da cuore di
pietra in cuore di carne, o non giunge al cuore, ma resta alla periferia e
allora si consuma presto e non lascia traccia di sé.
Se,
nei nostri gruppi, sono ancora così scarsi i "carboni accesi", cioè
le vite realmente penetrate dal fuoco dello Spirito che bruciano ormai per la
Chiesa, la ragione risiede qui; è che non si è permesso al fuoco di giungere
al cuore. Non si è passati attraverso quella che S. Paolo chiama "la
circoncisione del cuore" (cfr. Rin 2,29).
Dobbiamo
prendere più sul serio alcune regole basilari di santità che si osservano,
appunto, nella vita dei santi riconosciuti tali dalla Chiesa. Io mi stupisco e
soffro, e qualche volta fremo anche di sdegno, quando, tra persone del
Rinnovamento, sento dire che si deve proclamare la gioia della risurrezione e
che non si deve esagerare nel parlare di croce, di rinnegamento di sé, per non
tornare a una certa vecchia spiritualità troppo "afflittiva". Certo
che noi dobbiamo spingere la fede e la gioia della risurrezione fino
all'estremo, ma l'equilibrio non sta nel dosare un po' di risurrezione e un po'
di croce. Questo è un modo di pensare tutto umano. L'equilibrio sta nel portare
all'estremo l'una e l'altra cosa; l'equilibrio sta nell'accettare fino in fondo
la croce, per Poter sperimentare fino in fondo la risurrezione.
La
Chiesa non si smentisce, Gesù non si smentisce; per venti secoli, i santi si
sono santificati così. All'inizio del cammino spirituale, la grazia si fa
sentire con doni e consolazioni grandi, al fine di staccare la persona dal mondo
e farla decidere per Dio; ma in seguito, una volta distaccati dal mondo, lo
Spirito spinge tali persone a incamminarsi per la "via stretta" del
vangelo, la via della mortificazione, dell'obbedienza, dell'umiltà. Non si vede
perché oggi il Signore debba aver cambiato radicalmente metodo e fare i santi
attraverso una via diversa, lastricata di dolcezze ed esperienze esaltanti,
dall'inizio alla fine. Non si vede perché e come possa farli passare di gloria
in gloria, senza farli passare di croce in croce.
Gesù
ci ha salvati passando di croce in croce e ha fatto i santi facendoli passare di
croce in croce, pur nella gioia pregustata della risurrezione. 1 carismi devono
esibire i frutti dello Spirito; e se non ci sono questi, tutto è pericoloso,
bisogna fermarsi, riflettere. Gesù ha detto: "Dai frutti li
riconoscerete", e i frutti di cui parla sono quelli dello Spirito: amore,
gioia, pace, benevolenza, pazienza, umiltà, obbedienza...
E
giacché ho nominato l'obbedienza, vorrei insistere un momento su questa virtù.
1 carismi si devono esercitare nell'obbedienza. S. Paolo ci ha detto che i
carismi sono di coloro che, mediante lo Spirito, fanno morire le opere della
carne; cioè di quanti, attraverso l'obbedienza, mortificano l'amor proprio,
l'orgoglio, il proprio punto di vista. In un gruppo dove non c'è clima di
obbedienza e di sottomissione (a chi presiede, al sacerdote, o semplicemente
reciproca), tutto è in pericolo, tutto è ambiguo; nascono le fazioni e poi le
delusioni. L'obbedienza è il marchio per riconoscere se un fratello è animato
da un carisma autentico o no; basta vedere se egli è disposto - qualora una
voce autorevole glielo chieda - a tirarsi in disparte, a sottomettere il suo
carisma alla comunità.
S.
Teresa d'Avila aveva delle apparizioni di Gesù; e si trattava davvero di Gesù
in persona, non del demonio; ma, dal momento che un certo confessore le aveva
detto che c'era un inganno del demonio e che doveva spruzzare la visione di
acqua santa, ella obbediva e spruzzava di acqua santa Gesù e Gesù era contento
che lei obbedisse al suo confessore. Come si può, allora, sentire tra noi
qualcuno che dice: "Mi si mortifica, sono inibito, mentre io sento che il
Signore mi chiama a far questo e quello". Tu
senti, tu senti,
ma non ti accorgi, caro fratello, che
questo tuo "sentire" ti sta portando fuori strada. L'importante non è
ciò che tu senti; l'importante è ciò che "sente" la Chiesa. Se
volete proprio avere dei "sentimenti", abbiate in voi gli stessi
sentimenti che furono in Cristo Gesù e cioè, come dice Paolo, l'obbedienza e
l'umiltà (cfr. Fil 2,5ss).
Un'ultima
cosa devo dire, qui, circa l'esercizio dei carismi: che essi non possono andare
insieme con il peccato. Dunque che bisogna rompere definitivamente con il
peccato. Alla vigilia dell'effusione dello Spirito, tutto quello che il Signore
vuole da voi è questo. Non è scegliere quale carisma chiedere (è meglio,
anzi, non chiedere proprio niente e lasciare che sia lo Spirito a distribuire i
suoi doni "come vuole"). La cosa veramente importante è offrire al
Signore un cuore contrito e umiliato, un cuore che non ha più attaccamenti al
peccato. Beati voi se, in questa circostanza, in un momento di raccoglimento,
riuscite a dire a Gesù: "Signore, ho capito qual è la mia vera radice di
peccato, il legame che ancora mi impedisce di correre liberamente verso di te;
perciò, tremando a causa della mia debolezza, ma pieno di fiducia nella tua
grazia, dico: tra me e 'quel' peccato, più niente in comune; dico: Basta! Rompo
definitivamente con il mio peccato!".
A
proposito di peccato, lasciate che esprima un grido accorato che ho nel cuore da
tempo. Ci sono inganni nei gruppi, in alcuni fratelli; ci sono delle situazioni
in cui si ha l'aria di scherzare con Dio. S. Paolo dice: "Non ci si può
prendere gioco di Dio!" (Gal 6,7); ora ci sono persone che sembrano non
aver capito quanto Dio prende sul serio il peccato. Non parlo dei Peccati che
commettiamo tutti, che ci colgono di sorpresa e, coMunque, dei quali ci pentiamo
e ci confessiamo; parlo di "stato" di peccato, cioè di situazioni
chiaramente individuate da tempo come situazioni di grave rottura con Dio e con
la Chiesa, con le quali si continua a vivere tranquilli e si va alla preghiera
settimanale. t una cosa terribile: l'epistola agli Ebrei dice che chi Vive in
questo tipo di peccato "crocifigge di nuovo il Figlio di Dio e lo espone
all'infamia" (cfr. Eb 6,6). Chi fa questo e va, senza pentimento,
all'incontro di preghiera, è uno che va a battere le mani e lodare Cristo
Signore, mentre nel suo cuore lo sta di nuovo crocifiggendo. Se ci sono tra noi
casi del genere, pentimento, pentimento, confessione, confessione! Basta, andare
ipocritamente in giro dissimulando il proprio peccato. "Oggi, se ascolti la
sua voce, non indurire il tuo cuore!".
Signore,
aiutaci ad avere un cuore contrito e umiliato, che ha tagliato tutti i ponti con
il peccato volontario, perché tu possa riversare su di noi il tuo Spirito e
arricchirci dei suoi doni per la gloria del Padre e per l'edificazione della tua
Chiesa. Amen!
La sobria ebbrezza dello Spirito - Edizioni RnS