LA PAZIENZA DIVINA
"Prima che le cose iniziassero, Dio esisteva. Dio esiste oggi, Dio esisterà domani. Ma chi può farsi un'immagine di Dio?
Egli non ha corpo. è come una parola che pronunci con le tue labbra.
Quella parola appartiene al passato, ma ancora vive. Così è Dio".
Dio è Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Come Figlio egli è 'Il Dio con noi" l'Emmanuele; come Spirito Santo egli è "il Dio in noi'; ma come Padre, Dio rimane fuori di noi, al di là di ogni nostra esperienza sensibile: Egli è il totalmente Altro. Come Essere infinitamente differente da noi Dio rimarrà per le nostre menti un Dio misterioso, nascosto (cfr. Dt 5,22; 31,17; Is. 45,15; 64,7). Sappiamo, inoltre, che è proprio il Padre l'inizio e la sorgente di ogni benedizione e della nostra salvezza storica. Noi, dice la Scrittura, saremmo sempre costituzionalmente incapaci di fissare il volto di Dio (cfr. Dt. 4,12; Gb. 4 1,11): le vie di Dio non corrispondono alle nostre vie di esseri finiti e terreni (cfr. Is. 55,8; Rm 11,33).
Nonostante tutto questo noi crediamo fermamente che Dio è pazienza. Lo crediamo e lo confessiamo fiduciosamente perché ce lo ha detto ripetutamente lui stesso, il Signore!
Fra le varie definizioni della divinità, scritte e tramandate dalla sacra Scrittura, vi è infatti anche questa: "Dio è paziente e misericordioso". Sir. 2.11
Ci limiteremo a meditare la pazienza del Padre in rapporto alla storia dell'alleanza che il Signore volle fare con il popolo ebreo. Dio ha voluto fin dall'eternità un disegno d'amore e di amicizia con le sue creature. Questo disegno di comunione, già presente ed attuale fin da principio nel giardino terrestre, venne purtroppo frantumato per il rifiuto dell'Amore da parte di Adamo ed Eva. Ma il Signore, i cui disegni di benevolenza non rimangono mai incompiuti, riprende con pazienza infinita le maglie slegate di quell'amicizia andata in frantumi e ne inizia la ricomposizione a beneficio e gloria di quello stesso uomo da cui era stato tradito.
Il Signore che cerca l'uomo: "Adamo dove sei?", disse il Signore (Gen. 3,9). Cercare, in senso biblico, è sinonimo di amare, di ricuperare con infinita pazienza la persona amata. Dopo il primo fallimento e la catastrofe del diluvio, il Signore disse a Noè: "Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con la vostra discendenza dopo di voi... lo pongo il mio arco sulle nubi ed esso sarà il segno di alleanza fra me e la terra e nessuna carne sarà più distrutta dalle acque del diluvio..." (Gen. 9,8-15).t questa la promessa di una alleanza universale: Dio vuole estendere la sua benevolenza per sempre sull'umanità, offrendo il suo amore a tutte le generazioni. L'arcobaleno tocca con il suo vertice il cielo, patria di Dio, e poggia, con i suoi due punti estremi, sulla terra, patria degli uomini, per indicare un patto d'amore fra la divinità e l'umanità a dimensione cosmica, totale, eterna.
Collocarsi in questo meraviglioso ed esaltante disegno di riconciliazione e dì comunione con le creature implicherà, però, per Dio, un'infinita ed ininterrotta pazienza nel sopportare e nel rimediare a tutte le infedeltà di Israele: se la creazione del cielo e della terra fu un'azione dal ritmo soave e progressivo, la storia dell'alleanza esigerà, invece, nel Creatore tanta indulgenza, pazienza e potenza di recupero. Con Abramo il Signore manifesta di fatto la sua paziente e longanime ricerca dell'uomo, fino a voler fare con lui un patto nuziale. Adattandosi alla mentalità del tempo, Dio punta su di un capo-tribù, Abramo, per poter fare amicizia con un popolo ed attraverso questo con l'intera umanità.
Abramo è chiamato a lasciare la sua terra per diventare l'amico di Dio, per sperimentare che questo Dio sa attendere, che è paziente, conciliante, tanto da apparire come desideroso di annullare la sua giustizia vendicativa (cfr. dialogo sulla distruzione di Sodoma e Gomorra, Gen. 18, 16-33). Con Mosé l'alleanza ha come termini di dialogo Dio ed il popolo. L'evento del Sinai costituisce il momento fondamentale di tutta la vita d'Israele, che viene coinvolto nell'esperienza gioiosa di un Dio tutto amore e tenerezza. Che cosa sono i quarant'anni di cammino nel deserto se non una manifestazione costante dell'accondiscendenza del Signore verso un popolo dalla dura cervice? Non per nulla lo stesso Mosè, consapevole di ciò, nei momenti più difficili e peccaminosi del viaggio verso la terra promessa, invoca e quasi gioca il suo Dio nel lato debole della sua misericordia e pazienza, scongiurando in tal modo il castigo meritato. Mosé - dice il libro sacro supplicò una volta il Signore e disse: Perché Signore divamperà la tua ira contro il tuo popolo? Non l'hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande forza e con mano potente? Desisti dunque dalla tua ira ed abbandona il proposito di fare del male a questo tuo popolo... Ed il Signore abbandonò il proposito di nuocere ad Israele" (Es. 32,11-14).
Nel secolo VII circa, l'alleanza acquista una nuova coloritura etica, diventando più profonda. Il teologo di questo nuovo rapporto fra Dio e gli Ebrei è Osea. Al tempo del profeta gli Assiri premevano e conquistavano pian piano il regno del nord in Israele, mentre all'interno del regno divampavano contemporaneamente lotte, inganni, assassini. Ebbene proprio in questo burrascoso contesto storico, privo di speranze e di pace, Osea presenta e predica Dio come Colui che cerca da innamorato il suo popolo; fa brillare ai suoi concittadini la certezza che l'Altissimo, lungi da ritirare il suo patto d'alleanza, li chiama invece più intimamente a sé, per avvolgerli con un amore dolce e paziente, quale intercorre tra sposo e sposa (cfr. Os. 2,20 ss): Io, dice il Signore, li guarirò dalle loro infermità, li amerò di vero cuore... Ad Efraim io ho insegnato a camminare, ma essi non compresero che io avevo cura di loro. lo li traevo con legami di bontà, con vincoli di amore: ero per loro come colui che solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di loro per dar loro da mangiare... Torna, dunque, Israele al tuo Signore e nel tuo Dio, riponi la tua speranza per sempre". (Os. 14,5; 11, 3-4; 14,2; 12,7 ecc.). Sarà compito di Geremia di amplificare le caratteristiche di questa nuova alleanza, impostata sull'amore e sull'interiorità e che ha come metodo costante, da parte di Dio, la pazienza. Io porrò la mia legge nel loro animo, dice il Signore per mezzo del profeta, e la scriverò nel loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo... Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti, dopo averlo minacciato, io me ne ricordo sempre più vivamente; le mie viscere si .commuovono per lui e per lui provo una profonda tenerezza... lo l'ho amato di un amore eterno" (Gr. 31,33. 20.3).
Queste espressioni ci riportano a loro volta alle famose confidenze fatteci da Dio per mezzo del profeta Isaia: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani- Al tempo della misericordia ti ho ascoltato, nel giorno della salvezza ti ho aiutato..." (Is. 49,15-16.8). Il profeta Daniele esclama a sua volta: "Signore! Fa' con noi secondo la tua clemenza; trattaci secondo la tua benevolenza e secondo la grandezza della tua misericordia..." (Dn.3,42).Se dovessimo raccogliere le altre espressioni veterotestamentarie relative alla bontà e alla pazienza del Signore, ci troveremmo effettivamente dubbiosi nella scelta, tanto esse sono numerose e ripetute. Quell'annuncio della pazienza di Dio, quale si legge nel libro dell'Esodo, dove è scritto che 'Dio è misericordioso, pietoso, tardo all'ira e ricco di grazia e di fedeltà" (Es. 34,4-7), è ripreso, fatto proprio e divulgato con entusiasmo e fiducia dalle rivelazioni successive, fino a diventare motivo dominante di tutta la letteratura biblica.
Sono soprattutto i Salmi che inneggiano, in modo altamente poetico ed efficace, all'eterna pazienza del Signore. (cfr. SI. 25;40, 11-12; 41; 62; 69,14; 78,38-39; 86,3-5; J07; 118; 147, ecc).
Con voce d'occasione ripetiamo una parte dei due salmi più significativi.
Si canta nel salmo 103:
Benedici, anima mia, il Signore: non dimenticare i suoi benefici. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie, salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia... Buono e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore. Egli non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno. Non ci tratta secondo i, nostri peccati, non ci ripaga secondo i nostri errori... Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono..
Ma la lode esplode soprattutto nel salmo 136:
'Iodate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia. Lodate il Dio degli dei perché eterna è la sua misericordia. Lodate il Signore dei signori, perché eterna è la sua misericordia. Egli solo ha compiuto meraviglie, perché eterna è la sua misericordia. Egli ha creato i cieli con sapienza, perché eterna è la sua misericordia. Ha stabilito la terra sulle acque, perché eterna è la sua misericordia. Ha fatto grandi luminari, perché eterna è la sua misericordia.
Ha fatto il sole per regolare il giorno, perché eterna è la sua misericordia. Ha fatto la luna e le stelle per regolare la notte, perché eterna è la sua misericordia. Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché eterna è la sua misericordia. Ci ha liberati dai nostri nemici, perché eterna è la sua misericordia. Egli dà il cibo ad ogni vivente, perché eterna è la sua misericordia". Lodate il Dio del cielo, perché eterna è la sua misericordia".
E' bene ricordare che questo confortante messaggio di pazienza divina viene offerto anche ai pagani dal profeta Giona. Egli suo malgrado sarà incaricato da Dio di deporre nel cuore dei cittadini di Ninive la sublime verità di "un Dio misericordioso, clemente, longanime, di grande amore, che si lascia impietosire riguardo al male minacciato..." (Gri 4,2).
Sunteggiamo questa storia interessantissima. La Parola del Signore fu rivolta a Giona,
figlio di Amittai: "Alzati, gli disse il Signore, vai a Ninive la grande città e
proclama che la loro malizia è salita fino a me". Ma Giona, intuendo che Dio avrebbe
perdonato tanta malizia e non condividendo questo stile di misericordia, cercò di
esimersi dall'incarico mettendosi in viaggio verso Tarsis, una cittadina che si trovava
all'estremità del mondo allora conosciuto. Sorge in mare una violenta tempesta. I
responsabili della nave gettano in mare il profeta, creduto peccatore e quindi
responsabile del pericolo di affondare tutti
quanti. Giona viene ingoiato da un grosso pesce. Per tre giorni rimane in esso rinchiuso,
durante i quali incomincia a invocare la salvezza che viene dal Signore, ed è costretto a
pensare a quella misericordia divina che egli voleva assolutamente negare a quelli di
Ninive. Quando finalmente venne rigettato sulla spiaggia si ritrovò proprio a Ninive. Qui
Giona si mette a predicare a tutta voce i castighi di Dio e l'esigenza assoluta di fare
penitenza. Il popolo accetta. Con a capo il re, si fa digiuno, dal più piccolo al più
grande, nella speranza che Dio si impietosisca e perdoni. Concesso il perdono da parte del
Signore, Giona non riesce a sopprimere le sue vivaci reazioni, il suo disappunto per tale
misericordia: il profeta non può capire, come Dio possa essere "misericordioso,
clemente, longanime" e come egli cambi i suoi giudizi in merito al castigo
minacciato. Per questo, tutto disgustato, si ritira alla periferia della città. Egli è
calvo; il sole scotta. Il Signore gli fa nascere accanto una pianta di ricino. Il figlio
di Amittai ne prova sollievo, si calma alquanto e diventa più mite. Ma quando il giorno
dopo si accorge che la pianta di ricino è secca, allora non ne può più e sbuffa
apertamente contro il suo Signore, augurandosi perfino la morte. A questo momento Dio gli
fa una predichina, partendo da quanto è avvenuto. Gli dice: "Giona! Tu ti dai pena
per questa pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto
spuntare e che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: ed io non dovrei avere
pietà di Ninive, questa grande città nella quale sono più di centoventimila persone,
che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra?" (Gn. 4,14).
Tale messaggio di pazienza e di misericordia viene maggiormente allargato per mezzo della profezia tramandataci dal libro di Tobia. Questo libro sacro, scritto probabilmente verso il 200 a.C. in lingua aramaica, racconta una storia familiare tutta intessuta di pazienza. A Ninive Tobi, un deportato della tribù di Neftali, pio, osservante, caritatevole, è diventato cieco. A Ecbàtana, allora capitale della Media e più tardi residenza estiva dei re persiani, vi è Sara, figlia di Raguele, un parente diTobi.
Anche Sara è stata toccata dal dolore,il "cattivo demonio" le ha ucciso, uno dopo l'altro i suoi sette mariti prima della sua unione con loro come moglie e marito. Queste due persone però, cioè Tobi e Sara continuano a confidare pazientemente nel Signore, 1e cui opere sono tutte giuste e per cui ogni via e misericordia e verità" (Tb. 3,2). Ed ecco il premio. 'angelo Raffaele, senza farsi riconoscere, conduce Tobia, figlio di Tobi il Cieco, da Raguele e combina un bel matrimonio fra Sara e lo stesso Tobia, procurando anche la medicina per guarire la cecità del padre Tobi, rimasto a Ninive.
Si tratta quindi di riconoscere in Dio un amico compassionevole e provvidente, che premia alla fine coloro che non sciupano, con impazienze continue, i suoi piani d'amore, né dubitano della sua potenza e pazienza salvifica. Il concetto di "pazienza-misericordia divina" prende sempre più consistenza man mano che si sviluppa, anche quantitativamente, la parola del Signore. Ed è anche per questo che gli ultimi libri dell'antico Testamento, quali i libri del Siracide (sec.V a.C.) e quello della Sapienza (1 sec. a.C.) portano già in modo chiaro, luminoso, il tema della bontà e pazienza del Signore verso l'umanità, sempre fotografata nella sua povertà ed indigenza creaturale.
Al margine di queste confidenze bibliche inneggianti alla pazienza del Signore, rimane però da rispondere compiutamente ad una obiezione, che certamente è emersa nella nostra mente. Se Dio è bontà e pazienza infinita perché - si reclama legittimamente da molti egli punisce così severamente? Perché anche nella storia di Israele troviamo una abbondanza di vendette divine? Volendo tentare una risposta da tenere presente che le innumerevoli punizioni, o meglio le autopunizioni che vengono a cadere sul popolo eletto, hanno nella tattica pastorale di Dio due scopi principali: uno pedagogico, l'altro apostolico e missionario. Gli stessi profeti si preoccuparono di convincere il popolo che le prove del deserto o dell'esilio nelle lontane terre di Assiria e di Babilonia avevano come fine indiretto il vantaggio di un ritorno sincero e più sentito all'autenticità dell'alleanza.
Dio cioè permetteva il castigo perché il suo popolo capisse meglio il valore del suo indefettibile e perenne amore di Padre. Di fatto sappiamo che gli Ebrei diventarono più buoni e più attaccati al loro Signore ogni qual volta dovettero passare attraverso il crogiolo della prova subita sia nel deserto che nella schiavitù: la lontananza dal loro Dio aveva cioè scavato nel loro cuore come delle nostalgie profonde, che in seguito avrebbero fatto loro godere, in modo più intimo, l'alleanza riconquistata. Si legge nel salmo: "Quando Dio li faceva perire, essi lo cercavano, ritornavano, ed ancora si volgevano a Dio, ricordando che Dio è loro rupe e che solo l'Altissimo è il loro salvatore" (SI. 78,34-35).
Una seconda spiegazione, egualmente proclamata dalla Scrittura sia dell'antico che del nuovo Testamento, è di indole profetica e missionaria e cioè: solo dopo la sofferenza gli Ebrei potevano predicare che il loro Dio è il Dio della pazienza e del ricupero, un Dio che sa aspettare con infinito ed inesauribile amore e solo stando esuli in terra straniera potevano diffondere il lieto messaggio del Dio liberatore e salvatore di tante altre nazioni del mondo (cfr. Tob. 13,13). In questo senso possiamo valutare positivamente una frase, alquanto misteriosa, che Paolo rivolge ai cristiani di Roma, confidando loro che "Dio ha racchiuso tutti gli uomini nella disobbedienza per fare a tutti misericordia" (Rm. 11,32). Questi concetti devono entrare nella nostra vita religiosa.
Un atteggiamento di fondo da assumere subito deve essere quello di una incondizionata fede nella bontà e pazienza di Dio. Il Signore è l'unico galantuomo del mondo; lo disse lui stesso: 1l mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo alla mia ira, non tornerò a distruggere Efraini perché io sono Dio e non uomo, sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira" (Os. 11,8-9). Cos'è la storia della nostra salvezza? t il provvidenziale spazio, in cui gli uomini sono invitati a sperimentare e gustare l'infinita pazienza e bontà del loro Dio. La Bibbia ci assicura che come la luce del sole invade tutta la creazione, non diversamente la misericordia e l'indulgenza del Dio vivente si dispiegano, anzi sfolgoreggiano gratuitamente lungo la traiettoria della nostra breve esistenza (cfr. SI. 19,6-7).
PERCHÉ' DIO E' PAZIENTE CON NOI
La prima spiegazione della pazienza di Dio nei nostri confronti è la gratuità assoluta del suo amore per noi. S. Agostino distingue specie di amore: amare di essere amati; amare semplicemente per amare; amare di donarsi gratuitamente. La bontà di Dio appartiene a questa terza specie di amore. L'amore di Dio non è un attributo fra i tanti, ma è il principale, quello che lo definisce. Dio ama totalmente, incondizionatamente, universalmente; egli ama dovunque e chiunque; donarsi è per lui essere se stesso; effondersi equivale per lui a vivere ed agire secondo la sua natura. La sfolgorante novità del cristianesimo, ripetutaci per ben due volte dall'apostolo S. Giovanni, è questa: "Dio è carità" (1 Gv. 4,8.16). "Se egli cessasse di amare, cesserebbe perciò stesso di essere Dio" (Serva di Dio Luisa Margherita de la Touche). Il suo amore per noi è anche assoluto, libero da ogni condizionamento, da ogni richiamo, da ogni risposta o compenso. Noi purtroppo quando diciamo di amare qualcuno condizioniamo spesso l'offerta del nostro amore con dei "se" e con dei "ma". Il Signore invece è libertà assoluta per cui ama senza essere bloccato dalla risposta umana. Si potrebbe completare la spiegazione ricordando che, essendo Dio l'essere semplice per eccellenza, egli non ha bisogno di manifestare il suo amore nella linea del dare e del ricevere, come per un arricchimento qualitativo del suo Stesso essere. Se è così non fa meraviglia che il Signore abbia voluto esserci padre, fratello, amico; anzi "nessuno è padre come lui, nessuno è buono come lui" (Tertulliano), nessuno è madre come lui (cfr. Is. 49,15) e perciò stesso nessuno è paziente come lui.
Chi sono i cristiani? Sono gli amati, i diletti di Dio; sono i chiamati e i conservati in tanto amore da Gesù Cristo; sono coloro che vengono arricchiti e riempiti in abbondanza della pace, della carità e della misericordia del Signore. Una seconda riflessione complementare alla prima deve essere fatta circa la fedeltà di Dio, causa e metodo di tutta la sua infinita pazienza verso di noi. Secondo le categorie bibliche, la fedeltà divina, chiamata dagli Ebrei "EmeC, è il coronamento della misericordia ed equivale, in concreto, ad una ininterrotta e paziente offerta di benevolenza da parte del Signore per tutte le più svariate situazioni in cui possa trovarsi la creatura umana.
La Bibbia è tutta costellata di questa promessa ed il termine 'Fedeltà" è un ritornello abituale del messaggio salvifico. Dio è sempre fedele nella sua misericordia. Egli non priva di certo l'uomo del suo dramma esistenziale e storico, ma lo vive con lui. Ormai il Signore ha posto la sua dimora fra i figli degli uomini per rimanere sempre con noi (cfr. Es. 29,45; 33,7-11). Come l'acqua del mare circonda lo scoglio, così noi saremo perennemente seguiti e scortati dalla fedeltà amorosa di Dio, la quale rimane nel tempo per mille e mille generazioni (cfr. Es. 34,6-7): Tietà e tenerezza è il Signore: egli si ricorda sempre della sua alleanza che ha fatto con noi" (SI. 3,4-5).Da parte di Dio dunque non verrà mai meno il suo amore poiché egli è fedele... Anche "se noi siamo infedeli, lui resterà fedele per sempre, non potendo rinnegare se stesso" (2, Tin. 2,13). "Quand'anche i monti si allontanassero ed i colli fossero rimossi, ci dice il profeta Isaia, l'amore mio non si allontanerà da te, né il mio patto di pace sarà rimosso" (Is. 54, 10), perché 1o ti ho amato di un amore eterno" (Gr. 31,3 1).
La fedeltà di Dio è santa proprio perché persiste, come dono per noi, nonostante tutte le nostre infedeltà (cfr. Os. 2,9). Come la luce non cessa di battere e di brillare dinanzi ad una porta chiusa, così la misericordia celeste ci farà sempre la corte per salvarci (cfr. Baruch, 5,9; SI. 69,14). Quindi anche se noi non avremo più fiducia in Dio, sarà egli che continuerà ad avere fiducia e speranza in noi. Dio non cesserà di essere infinitamente buono e fedele e vi sarà per noi sempre la possibilità della salvezza e della rinascita. E proprio questa "alta fedeltà divina", tutta profumata d'indulgenza e di compassione, che dà ottimismo alle nostre vicende spirituali e sociali e che ci costringe ad innalzare al Signore, come facevano gli antichi Israeliti, un canto di ringraziamento così alto, quasi da farlo arrivare fino alle stelle (cfr. SI. 3,6; 40,11-12; 69,14; 98,3 ecc).
L:amore include il concetto di fedeltà, e questa a sua volta, la condiscendenza. Che cos'è la storia della salvezza se non una perenne e provvidenziale benevolenza di Dio verso l'umanità? Che cos'è mai la storia dell'alleanza se non la sorprendente adattabilità della potenza divina a tutte le vicissitudini e consuetudini di un popolo, quello ebreo? Dopo la teofania sul Sinai e la rinnovazione, ai piedi del monte sacro, dell'alleanza già stipulata con il capostipite Abramo, Dio vuole stare ancora più vicino al suo popolo per esserne luce, guida e conforto. La presenza particolare di Dio fra gli uomini diventa da allora più stabile: "Abiterò in mezzo ai figli d'Israele, dice il Signore, e sarò il loro Dio" (Es. 29,45). Mezzo e segno di questa nuova intimità fra il cielo e la terra è un santuario mobile, il cosiddetto "Tabernacolo" o "tenda del Convegno", spostato secondi i movimenti del popolo.
Leggiamo nel libro dell'Esodo: "Mosé, presa la tenda, la piantava fuori dell'accampamento, ad una certa distanza dalla gente che poteva recarvisi ogni qualvolta voleva consultare il Signore. Quando Mosé usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi ed arrivato al Tabernacolo stava ad aspettarlo all'ingresso. Faceva ala a Mosé che entrava nella tenda e poi restava fuori finché Mosé non avesse parlato con il Signore. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube che stava all'ingresso della tenda e tutti si alzavano e si prostravano, ciascuno all'ingresso della tenda" (Es. 33,7-11).
Senza dubbio la nube, sede della gloria dell'Altissimo, rimaneva il segno più bello della familiarità di Dio. Si sa che tale nube precedeva di giorno il popolo per poterlo guidare sicuramente e con maggior facilità di movimento (se infatti si fosse posta in mezzo agli Israeliti avrebbe prodotto smarrimento e confusione), mentre di notte diventava tutto fuoco, fatta luce e calore, a conforto di tutti i pellegrini (cfr. Es. 40,38). La condiscendenza divina risplende in modo diretto ed assai palese nel linguaggio che lo stesso Signore usa per dialogare con i suoi eletti.
Qui ci è maestro s. Giovanni Crisostomo, forse l'unico dottore della Chiesa che ha indagato e scritto abbondantemente sulla Bibbia, quale luogo classico della benevolenza divina. Il Signore, afferma il grande oratore e patriarca di Costantinopoli, morto il 14 settembre dell'anno 407, dà il più grande segno della sua benevolenza verso il suo popolo, rispettandone ed assumendone la povertà del parlare, nonché tutte le colorazioni della sua mentalità di popolo orientale. Dio non si preoccupa tanto di parlare per la sua dignità, ma dialoga solo per l'utilità dei suoi ascoltatori". Anche quando il Signore si serve di persone, i profeti, per trasmettere il suo messaggio d'amore e dì fedeltà, egli non annienta la personalità e le qualità dei medesimi, ma si adatta ad essi, al loro stile, ai loro umori, pur di essere vicino e conciliante con Israele.
E tutto questo, commenta e conclude lo stesso Crisostomo, è l'epifania più radiosa della pazienza di Dio. Ci pare utile aggiungere che fra i motivi che determinano la pazienza divina verso di noi va computato anche quello della concreta fragilità e debolezza umana. Narra una leggenda spagnola: quando Dio voleva creare l'uomo, gli angeli, pura intelligenza, si radunarono per vedere come sconsigliare il Signore dall'intraprendere la creazione di un essere, che, sarebbe stato necessariamente complicato nelle azioni, complessato nelle idee e nei sentimenti. L'angelo più bello,del paradiso, dunque, si presentò tutto umile e timoroso al Padre eterno per dirgli, confidenzialmente, quanto era stato discusso nella riunione precedentemente avuta con i suoi simili. Padre onnipotente, supremo creatore di tutte le cose e di ogni creatura, tu stai creando un essere che è troppo complicato: egli sarà fatto di anima e corpo, di materia e di spirito, di carne e di sentimenti, d'intelligenza e di passioni, di amore e di odio, di grandi speranze e di cupe disperazioni; da una parte, è tutto grande quasi come noi, ma un altro senso è impastato dì tante debolezze e miserie come gli animali. Non lo creare così, Signore di tutte le cose, giacché se sarà creato con queste complicazioni, sarà proprio questo tuo essere a darti tanti fastidi ed a commettere tanti peccati". Il Signore, continua la leggenda, ascoltò attentamente le opinioni degli angeli e poi come risposta decisiva disse con solenne franchezza: "Tutte cose giuste quelle che tu dici, o mio messaggero; ma se io voglio che l'uomo sia fatto così, perché non accettare il mio modo di agire e perché non sospettare che all'interno del problema vi siano altre ragioni che voi non conoscete?" E l'angelo - termina l'apologo -se ne ritornò presso i suoi senza avere ottenuto un bel nulla da Dio.
Interpretando la leggenda con quanto leggiamo nella Bibbia, non troviamo nessuna
difficoltà ad ammettere che l'uomo è davvero un misto di bene e di male, per
costituzione.
Dio lo sa: per questo è paziente con noi. 'Tutte le genti, scrive Isaia, sono un nulla
davanti a Dio e valgono di fronte a lui come il vuoto ed il niente" (Is. 40,17-18).
Tome il padre ha compassione dei propri bambini, canta il salmista, così Dio è paziente
con noi: egli si ricorda che siamo polvere... Molte volte il Signore ha placato la sua ira
e trattenuto il suo furore ricordando che siamo carne e come soffio che va e ritorna"
(SI. 103,13-14; 78,38-39). Esclama il Siracide: 'Uo è molto paziente con noi perché egli
sa che siamo ben piccola cosa: siamo come gocce d'acqua e granelli di sabbia" (Sir.
18, 9-11). Si è detto legittimamente che la creazione dell'uomo è stato un "rischio
divino", ma Dio ci amerà sempre perché siamo sue creature, anche se siamo tanto
deboli, piccoli, miserabili; egli ci seguirà sempre e dovunque con la sua pazienza,
nonostante il nostro piccolo essere, le nostre lacune, perché lui è misericordia. S.
Agostino, in una delle sue frequenti impennate mistiche a lode del Creatore, così si
esprime: 'Tutto il genere umano è opera di colui che ha prodotto le stelle ed il
firmamento.
Dio è padre di tutti, qualunque uomo gli è caro, sia che sia nobile o di bassa condizione sociale. Davanti a lui tutti gli uomini sono uguali, come le erbe verdeggianti di una profonda vallata, viste dall'altezza di un monte. Il Signore ama e segue tutti: il re ed il suddito, coloro che sono famosi e quelli che sono sconosciuti alla cronaca. Per il Signore la grandezza di ogni uomo è l'essere uomo: nessun altro titolo supera questo nome..." Possiamo completare questa sommaria descrizione affermando per ultimo che Dio è paziente perché umile. Non è un paradosso affermare che l'umiltà è una qualità dell'Essere divino ed è l'aspetto più radicale dell'amore ablativo di Dio. Ed in verità solo chi è umile può donare senza far pesare il dono, senza mettersi al centro della donazione, senza esigere ricompensa. Se l'amore non è umile, esso si svuota del suo contenuto essenziale. Se uno dicesse: 1o ti amo perché valgo più di te", costui non ha più diritto di dire 1o ti amo". Ecco perché Dio, pienezza d'amore, manifesta spesso la sua bontà verso di noi con la musica divina del silenzio (cfr. 1 Re 19,11-13).
Ecco perché la profondità della divinità è potenza di annientamento o, per dirla con s. Paolo, è 'Kénosi". Dio si è annientato per poter essere facilmente conosciuto. "Egli, afferma Simone Weil, ha potuto creare, ma solo nascondendosi, altrimenti ci sarebbe stato lui solo". Se il sole brilla sfolgorante nel firmamento non si Può vedere la profondità e l'infinità delle stelle, mentre di notte il cielo si rivela in tutto il suo splendore, in tutta la sua luminosa immensità, Dio si è fatto "notte di umanità, passione di croce", proprio per manífestarci la pienezza della sua essenza fatta d'amore, di misericordia, di pazienza. Da qui l'ineffabile rnaestà del Crocefisso!
Possiamo terminare queste nostre riflessioni con il pensiero di un grande pensatore medioevale:" O Signore! Se è un errore il nostro modo ci credere alla tua bontà e pazienza, allora siamo stati ingannati da te stesso. Quello che noi crediamo, infatti, è stato confermato da segni e prodigi così grandi, che solo da te stesso potevano essere compiuti" (Riccardo di S. Vittore). Noi invece vogliamo credere ed affidarci alla carità paziente del nostro Dio. (cfr. 1 Gv 4,16)
Tratto da Voci ed Echi - Gennaio 1999