L'AMORE FECONDO DEI CONIUGI E LO SPIRITO SANTO
Coniugi Gaetano e Gabriella Piepoli

Alcune premesse per comprendere in che senso si può fare un discorso diverso, proprio della esperienza cristiana, sulla fecondità, discorso legato di per sè ordinariamente alla istituzione naturale del matrimonio. E questo è già indicato dal titolo stesso di questa riflessione: L’amore fecondo dei coniugi e lo Spirito Santo.

La prima premessa è quindi: non possiamo prescindere dall’interrogarci sul nostro personale rapporto con la Scrittura a questo proposito, che luce riceviamo circa il discorso della fecondità della coppia umana nel matrimonio se lo leggiamo alla luce della rivelazione cristiana, dell’Antico e del Nuovo Testamento. Le radici del rapporto tra Spirito Santo e fecondità si trovano nella Scrittura.

La seconda premessa riguarda la seconda parte del titolo dato a questa riflessione: lo Spirito Santo. Il rischio è sempre quello, infatti, - considerando la difficoltà del tema - di portare avanti due discorsi distinti, quasi paralleli, lo Spirito Santo e la fecondità, data forse anche la nostra poca esperienza di riflessione sullo Spirito. Siamo dunque chiamati a iniziare un cammino di interiorizzazione e di esperienza personale della nostra fede nella Persona dello Spirito: " è invisibile, è dappertutto, pervade ogni cosa, è al di là di ogni casa", ma "tutto ciò che di bello e positivo avviene nel mondo è opera sua, tutto ciò che di santo e di vero si fa e si dice nella chiesa è opera sua" (Martini - Tre racconti dello Spirito).

Così questa di stasera è per noi ancora una volta un’occasione di ringraziare il Signore per averci fatto dono della persona del nostro amatissimo Santo Padre Giovanni Paolo II e del suo insegnamento, che ci consente di prepararci al Giubileo con una fruttuosa riflessione sulla Persona dello Spirito (cfr "Tertio Millennio adveniente" n.44-48). Ed è proprio all’insegnamento del Papa che ci rifaremo e sarà utile alla nostra formazione se potremo riprendere in mano personalmente alcuni testi: un libro un po’ vecchio ma sempre importante (era ancora arcivescovo di Cracovia), "Amore e responsabilità", le catechesi del 1979-80 dedicate all’amore coniugale come commento ai primi tre capitoli della Genesi, poi naturalmente la "Familiaris Consortio", la "Veritatis Splendor", la "Evangelium Vitae" e la "Lettera alle famiglie", senza dimenticare la grande enciclica sullo Spirito Santo "Dominum et Vivificantem".

Le radici del rapporto tra Spirito Santo e fecondità si trovano nella Scrittura.

La fecondità appartiene al piano di Dio nella stessa creazione. Essa è legata al fatto che Dio fin dall’inizio per l’eternità ha impresso nel corpo in quanto uomo e donna, maschio e femmina, la realtà che esprime la persona umana e il corpo umano è testimone della creazione come di un dono fondamentale, originario, è testimone dell’Amore creatore di Dio da cui proviene all’uomo la stessa possibilità di donare, di farsi dono perchè ad immagine di Dio Amore è creato.

Dio lo ha voluto esprimere così. Per quanto riguarda la creazione dell’uomo, il "Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza" (Gen 1, 26-27) precede e fonda il "Crescete e moltiplicatevi" del v.28. L’uomo è l’immagine di Dio non nel momento della solitudine, ma nel momento della relazionalità, della comunione. Su tutto ciò sin dall’inizio è scesa la benedizione della fecondità.

La solitudine dell’uomo nel secondo racconto della creazione (Gen 2, 18) non indica una struttura originaria dell’uomo cui bisognerebbe porre rimedio, ma è pedagogia divina per indicare che la ricerca dell’identità umana passa sempre attraverso una esperienza di comunione.

Dalla solitudine originaria l’uomo emerge nella dimensione del dono reciproco, e proprio il dono è la caratteristica della fecondità. Il dono non può che uscire, sovrabbondare da chi il dono fa, rimanendo qualcosa di diverso da chi dona e da chi riceve.

Seguiamo ancora le parole del Papa: L’uomo compare nel suo essere maschio e femmina nel mondo visibile perchè porta impresso in modo irrevocabile la somiglianza a Dio, e quindi l’interiore dimensione del dono, e, portando nel mondo questa sua particolare somiglianza con Dio, egli dà un senso diverso al suo stesso corpo, in qualche modo lo trascende.

E’ il primordiale sacramento della Genesi: trasmettere nel mondo in modo visibile il mistero invisibile nscosto in Dio dall’eternità.

In qualche modo gli sposi ne sono il segno attraverso la vocazione cui già nella Genesi Dio li chiama. Nello stesso momento benedetto in cui Dio li chiama - quando Dio si rivolge all’uomo, l’uomo comincia a esistere appunto perchè la Parola di Dio si rivolge a lui - essi si presentano come persone in relazione creati per amare ed essere amati, immagine dell’Amore trinitario.

In questo senso anche la procreazione, come espressione della fecondità, è radicata nella creazione e ogni volta in certo senso ne riproduce il mistero.

Prendere coscienza della propria fecondità, legata al fatto che si è creati come persone che amano e sono amate, significa "entrare nel cuore di Dio, nel cuore della fecondità divina, che è lo Spirito Santo", "espressione personale del donarsi di Dio, Persona-amore, Persona-dono" (Dominum et Vivificantem - n.10).

Il corpo, visto nel mistero della creazione con la sua mascolinità e la sua femminilità, racchiude così sin dall’inizio la capacità di esprimere l’amore, ma non solo come sorgente di fecondità procreativa, come è per ogni creatura nell’ordine naturale che ha preceduto la creazione dell’uomo, ma alla quale non è stato rivolto il "Facciamo... a nostra somiglianza".

E’ una capacità sponsale fin dall’inizio perchè è legata alla somiglianza con Dio, al mistero della gratuità dell’Amore-comunione trinitario che si rende visibile nell’atto della creazione per amore.

Ma questo, che è già avvenuto nel momento della creazione della coppia umana, non può più essere distaccato da ciò che le conseguenze del peccato di origine hanno prodotto.

Sappiamo come e in che misura il peccato ha fatto vacillare tutto questo a causa della risposta libera dell’uomo al progetto di Dio. Ora le forze della concupuscenza tendono a staccare il linguaggio del corpo dalla verità che lo riguarda, cercando di falsificarlo.

La realtà quotidiana ci fa essere continua esperienza di ciò. Proprio il fatto dell’essere uomo e donna per il dialogo, per il rapporto reciproco, per una relazionalità di comunione viene al contrario vissuto come esperienza di egoismo, di sofferenza e rotture, a causa della opacità del peccato che oscura la trasparenza del progetto di Dio sull’amore umano, investendo la stessa modalità di "comunicare vita".

Ma la realtà altrettanto quotidiana della nostra fede ci dice che addirittura l’uomo e la donna, grazie all’azione redentrice di Gesù Cristo, il Figlio di Dio diventato uomo come noi per salvarci, non solo possono sperare di poter vivere la loro storia di amore reciproco di nuovo nella dimensione dell’alleanza con il loro Dio, ma vengono inseriti in una nuova realtà spalancata dall’irruzione nelle loro storie personali della redenzione che chiama tutti i battezzati, e dunque anche gli sposi - perchè è in virtù del battesimo che questo è loro reso possibile - alla "nuova creazione" per mezzo dello Spirito.

Così come il dono dell’esistenza era venuto per mezzo di Lui nella prima creazione, così per mezzo di Lui viene la donazione della grazia agli uomini: "L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato donato" (Rm 5, 5). Non fu detto così a Nicodemo, preannunciando questa nuova nascita? (Gv 3, 3-5).

E’ il nuovo inizio della nuova creazione, un nuovo modo di comunicarsi di Dio nello Spirito. Viene grazie alla "dipartita di Gesù mediante la Croce" (Dominum et Vivificantem - n.14) che ha la potenza di redimere l’uomo e di farlo diventare con la vita dello Spirito nuova creatura: "Se io non vado non verrà a voi lo Spirito" (Gv 16, 7). E’ la nuova stagione della fecondità divina segnata dalla Pentecoste.

Che cosa significa per l’esperienza della fecondità coniugale questo?

La coscienza dell’appartenersi reciprocamente, la verità dell’amore non può più prescindere da questa realtà, che è dinamicamente nutrita e alimentata dall’innesto nella vita della grazia data dallo Spirito.

Ciò si traduce nel fatto che l’amore esige da entrambi di sorpassare direi quasi continuamente la scala di quella prima appartenenza, trascendendo le possibilità naturali e cercando sempre una forma nuova e matura, modellata dalla Persona dello Spirito. Dono increato datore di vita e maestro di santificazione.

Così succede che la ordinaria e stabile forma di matrimonio della prima creazione si rinnova quando la si riceve come sacramento della Chiesa, quando i coniugi, consapevoli dell’autentica profondità della redenzione di tutta la loro persona e quindi dei loro corpi, chiamati alla santificazione e alla glorificazione in virtù della risurrezione di Cristo, come abbiamo detto prima, si uniscono "nel timore di Cristo" (Ef 5, 21).

Le due dimensioni dell’amore, quella sponsale e quella redentrice, entrano nella vita dei coniugi e lavorano nel senso della nuova creazione operata da Cristo, ma per mezzo dello Spirito: "Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo... il mio spirito" (Ez 36, 26).

Come si può forse riuscire ad intravedere, gli orizzonti della Parola di Dio ci conducono alle soglie di una contemplazione che riguarda la stessa volontà di donazione di Dio, che viene in qualche modo partecipata a noi, povere creature, come comunione di amore gratuito.

Ci sembrerà lontano, forse utopico, forse astratto tutto quanto diciamo, mentre abbiamo di fronte la realtà dell’amore coniugale, a partire dalla nostra esperienza personale, una realtà sofferta, povera, difficile e problematica, a volte proprio mediocre, oggi anche e forse più tra le giovani generazioni, anche nelle nostre realtà, fra quanti, come abbiamo visto, hanno deciso di sposarsi "nel Signore". La fatica del dialogo, la divisione tra la sfera della sessualità e la sfera cosiddetta spirituale, la difficoltà del cuore ad aprirsi e a parlare il linguaggio del corpo, i silenzi che tradiscono le delusioni di attese di un amore più nutrito da aspettative di possesso e di autogratificazione che di dono e di bene diffusivo, e che può autocondannarsi alla sterilità piuttosto che alla fecondità: la vita sostituita persino dai progetti di morte (come l’aborto), la difficoltà di rendere percepibili le motivazioni della fecondità procreativa.

Ma per uscire da quello che un autore di spiritualità definisce il "tunnel moralista", cioè affrontare il fatto della fecondità coniugale solo dal punto di vista di ciò che la Chiesa prescrive o concede, bisogna affrontare l’oceano di grazia che la Scrittura ci offre sull’Amore di Dio e fondare con coraggio e con amore la nostra esperienza personale e la nostra testimonianza agli altri sui fondamenti luminosi che ci consentono ogni giorno nella Chiesa di riconoscerci creature nuove grazie al Battesimo.

Su questo si fonda il matrimonio cristiano, è questo che ci fa persone vive nella misura in cui lasciamo in noi operare lo Spirito Santo, innanzitutto attraverso i sacramenti in cui Cristo opera: l’Eucarestia e la Riconciliazione.

Lo Spirito si svela così protagonista delle vicende che qui ci interessano.

Egli è per eccellenza il Datore della Vita, che modella la fecondità dell’uomo sulla fecondità di Dio.
Egli è Colui che raccoglie e mantiene nella comunione diverse realtà, e quindi a maggior ragione l’incontro di due "altri", di due totalmente "diversi" (i due che si sposano) in una comunione profonda di vita che Dio stesso sceglie come segno del rapporto sponsale fra Cristo e la Chiesa, e quindi avendone il contrassegno della fecondità.

Parlare dunque della fecondità, anche della fecondità procreativa, inserendola in questa tensione ad essere se stessi fino in fondo come Dio vuole nella relazione a due, indica la lotta, con l’aiuto della Grazia, contro gli egoismi individuali, indica il rendersi disponibili all’amore che conduce alla pienezza della realizzazione della persona.

Le cose non si salvano trattenendole per sè, questo è l’insegnamento del Vangelo (come ci insegna la parabola dei talenti) e l’esperienza della storia a due è proprio che si diventa fecondi nel senso integrale della parola quando questo ricercarsi l’un l’altro è nel senso del "Cantico dei Cantici", profezia dell’amore di Cristo per la Chiesa dell’amore fecondo di Gesù che ci ha insegnato il "come" e la "misura" del non "trattenere nulla" (Fil 2, 5-11).

Forse questo non è il discorso che ci aspettavamo, ma diversamente il discorso sulla procreazione - sulla fecondità coniugale - può addirittura ridursi a questo: l’uomo nel fallimento della sua vita proietta nel figlio il bisogno di uscire dalla solitudine da cui non riesce a scappare. In certo senso siamo agli antipodi del progetto di Dio.

Se la fecondità umana è iscritta nel cuore dell’uomo perchè vi è messa da Dio creatore, si può parlare di essa solo in relazione e in riferimento all’intimità dell’amore come dono.

La fecondità ha nel cuore della fecondità divina che è lo Spirito Santo la sua sorgente e quindi non è solo fecondità biologica ma è fecondità di amore.

E’ una delle caratteristiche con cui Cristo ama la Chiesa, l’amore di Cristo la rende feconda, nello Spirito si può superare la visione riduttiva dell’amore.

E’ la fecondità della Croce, Cristo ha amato la Chiesa e ha dato la vita per lei, l’ha amata come suo corpo, è un amore sponsale, è un amore fecondo e ha riempito la Chiesa dello Spirito Santo, primo dono ai credenti.

Il cammino quindi è un cammino a due nello Spirito come Datore di doni e Colui che forma i santi, e impegna i due sposi verso un dialogo fra corpi spirituali: la sessualità diventa segno del mondo futuro, si passa dal peccato alla redenzione: "il corpo, che per il peccato è soggiogato dalle passioni, viene penetrato dal principio vitale, che è un principio spirituale". Per gli sposi che riconoscono nel dono della fecondità la somiglianza della comunione divina nello Spirito è tracciato un percorso che va dall’amore di eros all’amore di agape.

Questo percorso che va dall’amore di eros all’amore di agape culmina nella famiglia.
Se l’amore sessuale è vissuto nella verità, - e qui intendo quanto detto sopra - il primo frutto è la certezza di essere amato e quindi di amare. Si deventa allora capaci di amore, come frutto di quello Spirito che è amore e dà la vita.

A differenza di quanto avviene spesso oggi, un tempo - come dice il Papa - in cui vediamo figli "orfani di genitori vivi", un tempo in cui la paura della natalità fa quasi da pendant alla paura della morte, i figli diventano invece frutto dell’amore, e non oggetto di possesso, per appagare il proprio bisogno di affetto.

Per affrontare dunque serenamente e in modo globale il problema della natalità o denatalità o dell’aborto o in genere del modo di parlare delle soluzioni riguardanti la vita umana, è necessario che le coppie ritornino alla verità del sacramento, che è la verità del Battesimo, che è la realtà dello Spirito nella vita dei cristiani. La nascita dei bambini è una conseguenza.

Infatti, più l’amore di eros vive e si incammina verso questa dimensione di agape all’interno della famiglia, più diventa ovvia da parte dei coniugi la piena disponibilità alla vita, il rifiuto dei calcoli, e se Dio dona dei figli, la consapevolezza che questi figli sono un dono di Dio, non proprietà dei genitori, ma un dono per l’eternità di Dio, un dono che i genitori custodiscono per la più grande famiglia di Dio, la Chiesa. Essere fecondi diventa partecipare in modo consapevole all’opera di Dio, dare vita da vivente a vivente, inserendosi nella grande catena delle generazioni in cui ogni figlio oltrepassa i genitori ed è a sua volta oltrepassato (Familiaris Consortio n. 15).

Come poi è noto, questa fecondità non si chiude con la nascita biologica: segue il cammino della vita nuova per nutrirla, curarla, attraverso l’amore che dà sicurezza e prepara a sua volta le nuove creature ad amare.

La fecondità riguarda il cammino che va avanti con i figli "attraverso quella pazienza e stima vicendevole che dà spazio allo Spirito di Gesù che, effuso nel cuore dei credenti educa i desideri e li porta sicuramente sui sentieri di Dio" (Martini). La fecondità è così aprire i cuori dei figli ai disegni dell’Amore divino su di loro.

Questa non è che una prima fecondità, perchè sulla strada che porta dall’amore di eros all’amore di agape (la strada che porta i coniugi verso la santificazione), l’amore coniugale è chiamato a una fecondità più profonda, che si può misurare o predefinire solo approssimativamente, perchè risponde a un’altra caratteristica dello Spirito Santo: Dono, Datore di Vita, Maestro di comunione, ed ora Spirito di libertà, l’eterna libertà dello Spirito che moltiplica la fecondità spirituale dei battezzati secondo la volontà del Padre.

Allora la fecondità spirituale si traduce in esperienza di vita, come: famiglia aperta, comunità di amore che diventa capace di accogliere gli amici, i vicini, lo straniero, il profugo, l’anziano, di farsi aiuto concreto a sostenere la vita e l’amore alla vita. Un dono di vita che può contribuire alla vita fisica spirituale e divina dell’altra persona, alla sua gioia di vivere e di esistere, alla sua risposta di vocazione. E’ la gioia di sapere che possiamo dire a molti altri, - quanti ne abbiamo incontrati, e spero tanti, nella nostra vita, nella fede dei padri e madri per noi - : "Grazie, se sono vivo lo devo anche a te!". La fecondità consiste nella consapevolezza che "attraverso il nostro amore, il nostro perdono, la nostra speranza, la nostra fiducia, la nostra gioia, lo Spirito Santo può comunicare gioia, speranza, fiducia, perdono, amore" (Martini). Il Direttorio di pastorale familiare dedica a queste possibilità della famiglia i paragrafi 135 - 188.

Lo Spirito può così dispiegare la sua potenza creatrice, dissipando timori e timidezze che spesso ci confinano in una forse formale tranquillità familiare che si chiude a priori a ogni tipo di fecondità spirituale, e spingendoci a "guardare in faccia le persone per precorrere attese e storie, appuntamenti di festa e rapporti di amicizia. Solo lo Spirito è protagonista della nostra capacità di amare e operare il bene", conclude il card. Martini presentando alla diocesi, nel Natale del 1994, come modello per le famiglie, un esempio concretissimo di una famiglia animata dallo Spirito di Dio, che l’ha resa feconda di santità: la famiglia (di origine) di Gianna Beretta Molla, fondata sulla preghiera comune, sull’amore alla Chiesa, sull’accoglienza ai poveri (I lettera di Giovanni, cap 4, 7 e ss).

E con queste parole, con questo invito a guardare agli esempi dei santi per rafforzare la nostra speranza nelle promese di Dio, vorremmo concludere anche noi.

Lo sappiamo che tutto questo vorremmo che fosse la nostra famiglia, ma non lo è. La fede ci dice, però, che è possibile, senza nè idealizzare nè abbassare la realtà del sacramento, ma considerando ciò che la Scrittura ci dice circa la trasfigurazione della prima creazione nella seconda creazione tramite le energie dello Spirito Santo in Cristo, in cammino verso quello che sarà il compimento, che non è su questa terra ma nel Regno dei Cieli. Sarà compito di altri, che approfondiranno gli aspetti della spiritualità coniugale, considerare come i segni di questa fecondità possano crescere nella vita quotidiana della famiglia.

Questa fecondità rimane se restano i segni della vita dello Spirito nella vita della persone: a partire dal perdono reciproco, dalla preghiera personale e dalla Eucaristia, dallo stupore da conservare sempre di fronte ai doni di Dio, dalla gratitudine per la vocazione ricevuta.

Intervento di Gaetano Piepoli

Non ho nulla da aggiungere a quanto è stato detto da Gabriella ed è emerso dalla discussione.
Mi pare che il problema evidenziato da queste riflessioni è che noi siamo inadeguati e ci sentiamo quindi estremamente fragili se consideriamo la sproporzione tra questi contenuti e le possibilità che ci aprono, e le nostre esperienze concrete. Forse il problema che ci sta molto a cuore è: come fare per cominciare almeno una tradizione che assuma questi contenuti. Questi momenti non sono i momenti storici nè quelli sociologici, ma sono quei momenti che si rifanno fondamentalmente a un discepolato, anche all’interno della vita matrimoniale, che riproponga i criteri della Parola di Dio, della esperienza della Trinità, e quindi anche dello Spirito Santo.

Credo che dovremmo partire dal fatto molto concreto che da soli non ce la facciamo.
Questo è un punto sul quale dovremmo insistere anche nelle nostre comunità. Ci sono esperienze eccezionali, e quindi di coppie che sono un punto di riferimento sia per la propria vita che per quella degli altri. Però nella nostra vita normale, che è vita grama, che è vita ordinaria, intessuta di tante difficoltà, tutte debolezze, tanta cadute, va sottolineato il fatto che il discepolato nell’esperienza di due coniugi non è il frutto di un individualismo di coppia, sia pure eccezionale. Bisogna rinunciare alla presunzione di farcela da soli. Io credo che almeno questo sia quello che dobbiamo portare nelle nostre esperienze coniugali.

Occorre però precisare alcune condizioni.
Il primo punto fermo è che anche l’esperienza coniugale che voglia dirsi cristiana si gioca in riferimento alla Chiesa locale. Questo è un aspetto che normalmente non viene sottolineato. Nell’esperienza di apostolato di ciascuno di noi c’è sempre il rischio di ripiegarsi su se stessi, e quindi di continuare ad avere come punto di riferimento esclusivamente se stessi. E’ sempre e comunque un ulteriore prezzo di infecondità. Anche la vocazione matrimoniale si colloca all’interno di una Chiesa precisa che è la Chiesa locale, che ha comunque la pienezza dell’esperienza cristiana. Questo significa per esempio allargare molto di più la dimensione di condivisione comunitaria dell’esperienza dei coniugi.

Normalmente questo impegno sulle coppie, sulle famiglie, viene sempre visto come una specie di compartimento stagno dove gli adulti si vedono tra loro, le coppie si vedono tra loro, eventualmente rimescolano i propri schemi e dove molto spesso non c’è spazio per altre esperienze. Credo che questa esperienza più vasta vada assolutamente riscoperta. Riscoperta anche per un lavoro di approfondimento per una più adulta consapevolezza teologica, ecclesiologica e spirituale: anche questo è un fatto che non va avanti da solo. Dobbiamo impegnarci molto di più per allargare la dimensione comunitaria, ove anche le difficoltà, i dolori, le gioie, le cadute delle singole esperienze matrimoniali vengano più condivise e soprattutto non vengano considerate un fastidio per la comunità, come forti impedimenti alla "regolarità" della programmazione pastorale.

L’altro dato che vorrei sottolineare riguarda la consapevolezza che, anche all’interno della comunità cristiana il mondo è largamente presente, in ciascuno di noi con le sue sollecitazioni, i suoi problemi, le sue tentazioni, rispetto a una fedeltà alla propria vocazione.

Chi fa un cammino di fede, proprio perchè lo fa in chiave vocazionale, deve essere aiutato a farlo in relazione anche alla propria esperienza globale. Questo tra l’altro significa in particolare aiutare tutti a ricostruire l’unità della propria persona in relazione ai vari ambiti della vita. Spesso si vivono schizofrenie, per cui il nostro rigore, per esempio sulla morale sessuale, si accompagna da una assenza di rispetto per i nostri doveri sociali, o viceversa, il grande rigore sul rinnovamento della società non è accompagnato da una precisa responsabilità anche per quanto attiene alla morale sessuale.

All’interno delle nostre comunità non siamo spesso in grado di aiutare le persone a vivere nella unità della persona la propria dimensione cristiana. Già questo, secondo me, è un impegno enorme, sia per coloro che si preparano al matrimonio come i giovani, per i quali oggi la nozione di unità di persona è una vera difficoltà, sia per gli adulti "maturi" dove questa nozione è intesa nel modo di una astratta, anacronistica coerenza etica, ma non come fatto di unità interiore, globale che poi pone in concreto anche l’unità sul piano etico.

Questo ha un peso enorme nel discorso della fecondità spirituale della coppia. Dobbiamo sottolineare un valore di testimonianza di esperienze matrimoniali e personali che esprimano senza presunzione, ma con modestia e apertura, questa dimensione. Credo che un tale modo di vivere da parte dei coniugi cristiani abbia un grande valore anche rispetto ai non credenti, perchè, se è vero che viviamo in una società che noi chiamiamo "pluralistica", questo non significa che dobbiamo abdicare a questa unità come credenti, e ritengo che essa abbia talvolta un valore di "esempio", per usare un’immagine degli antichi e dei moderni. Spesso nella Chiesa mi sembra che questo non venga sufficientemente spiegato ai laici.

Dunque è importante far incontrare una prospettiva teologica e un cammino pratico, facendo insieme comunitariamente questo percorso, che è innanzitutto un percorso di essere adulti anche dal punto di vista spirituale e ecclesiologico, badando bene a sottolineare che queste non sono cose per pochi iniziati. Affermare che esperienze familiari o esperienze matrimoniali adulte sono realtà "per pochi iniziati", significa forse dare una dimensione ancora clericale al problema. Il che poi comporta avere nelle comunità famiglie cristiane così fragili, così labili, così scarsamente testimonianti di cui noi siamo i primi a lamentarci.

Questo sforzo di approfondimento va fatto: vuol dire che dovremo essere, come persone sposate, più esigenti verso i nostri sacerdoti, chiedendo di fare forse qualche ora di sacramentalizzazione in meno e qualche ora in più di formazione e catechesi. Voi sapete come questo sia stato uno dei nodi più dibattuti nella prima sessione del Sinodo diocesano.

Quindi, sottolineate che c’è una "fame di formazione", e che chi è sazio e non ha più nulla da dare o da dire, da questo punto di vista tradisce anche il suo ministero, nel senso che ne ha un’idea per lo meno singolare.

Credo che su questo dobbiamo insistere di più, così come dobbiamo sottolineare sempre di più, a coloro che non credono a questa visione cristiana del matrimonio e della famiglia, che in realtà essi si giocano la loro fecondità perchè assumono una visione della vita desensibilizzata e deresponsabilizzante.

Il nostro impegno deve essere teso a ricostruire l’unità interiore della persona perchè solo così la riflessione sulla vocazione non è un fatto teorico, ma coinvolge le scelte concrete, le scelte di ogni giorno. E questo non è un fatto indolore, senza prezzi da pagare. Ma richiede un cammino nella fede comunitario: solo insieme si può sostenere un cammino che la nostra fragilità individuale e le difficoltà cui ciascuno di noi è esposto possono rendere sempre precario senza il sostegno del Signore e della comunità.

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