Alla Bibbia non ci si può accostare con un qualsiasi tipo di lettura, magari quello adatto per un romanzo o per un trattato scientifico. E questo per diverse ragioni. La Bibbia non è stata scritta da un solo autore, ma è nata dalla vita millenaria di un popolo; e non è un solo libro, ma la biblioteca religiosa di quel popolo. In essa cè dunque una molteplicità di voci e di esperienze, ed è inevitabile che a prima vista se ne ricavi una impressione di frammentarietà e persino di caos, di incoerenza e di contraddizioni, e che tutto ciò scoraggi dal proseguirne la lettura.
Se la Bibbia testimonia e attua lincontro del Padre con i suoi figli (cf. Dei Verbum, 21), allora è necessario che conosciamo e percorriamo la stessa via su cui Dio ci viene incontro. La Chiesa, che ha il senso di Dio e dunque delle Scritture divine, propone un percorso: indica i passi giusti da fare; ricorda che esso è fatto di conoscenza, preghiera ed esperienza; suggerisce vie, forme, luoghi e modi privilegiati in cui questo incontro può avvenire.
Scopo dellincontro con la Bibbia è rafforzare la fede, nutrire la preghiera. Dare luce alla vita dei credenti. Il conseguimento di questi obiettivi non è però automatico né istintivo: dipende dalla corretta comprensione del testo.
Il Padre incontra i suoi figli non per dare notizie sul passato, ma per annunciare qualcosa che li riguarda, che tratta di loro. È una logica intrinseca alla fede, per cui lo Spirito del Signore rende la sua parola contemporanea ad ogni uomo capace di interpellarlo.
In concreto questo processo interpretativo richiede dal lettore che si accosta alla Bibbia tre convinzioni:
Per la fede lincontro con la Bibbia non conduce solo a vedere dei frammenti su Dio, ma a vedere Dio in tutti i frammenti. Questa lettura della Bibbia viene chiamata lettura "spirituale" o cristiana", perché avviene nella luce dello Spirito del Signore morto e risorto, cioè nel nuovo contesto della storia della salvezza rivelato dalla Pasqua di Gesù.
Lesperienza ci dice che varie sono le vie con cui noi possiamo accostarci al testo sacro. Vi è la via personale e quella di gruppo, di unintera comunità. Si possono distinguere diverse forme di accostamento: quelle allinterno di unazione ecclesiale, come la liturgia e la catechesi, e quelle dirette, come la "lectio divina" e il gruppo biblico.
Quella liturgica è la lettura che la Chiesa nella storia millenaria non ha mai cessato un solo giorno di fare, con una frequenza almeno settimanale. È questa lettura che con più urgenza è necessario imparare a svolgere correttamente e fruttuosamente. La prima cosa da dire al riguardo è che, quando si legge la Bibbia nella liturgia non si studia, ma si prega, si nutrono la propria fede e la propria vita di discepoli del Signore. È celebrazione della parola di Dio. Lo studio dei testi biblici proclamati nella liturgia va dunque fatto prima, come preparazione, o dopo come approfondimento, perché la preghiera e la celebrazione liturgica siano più consapevoli e più ricche.
Complementare alla preghiera liturgica è la preghiera personale e, allo stesso modo, la lettura personale della Bibbia è complementare a quella liturgica, perché la prepara o perché la prolunga. Senza preghiera e senza lettura biblica personale la liturgia rischia di ridursi a rito formalistico, perché ci si presenta ad essa senza la conveniente ricchezza interiore.
Lantico metodo della lectio divina torna ad essere praticato da singoli, gruppi e famiglie religiose. La lectio divina è sorta nella vita monastica medioevale e guida alla lettura biblica personale in quattro successivi momenti: la lettura (lectio), la meditazione (meditatio), la preghiera (oratio), e la contemplazione (contemplazio).
Il testo deve essere letto e riletto in vista della sua comprensione e della familiarizzazione con il suo contenuto e i suoi protagonisti.
LECTIO: Eb 4, 12 - 13"Infatti la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dellanima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vè creatura che possa nascondersi davanti a lui ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto."
Con Paolo e Giovanni, l'Autore della Lettera agli Ebrei (su suggerimento di Lutero si ritiene si tratti di Apollo, il giudeo di Alessandria che fu convertito a Corinto: At 18,24-28; 1 Cor 1,12; 3,4-6 ecc.), è uno dei tre grandi teologi del N.T. Nella lettera agli Ebrei (una data anteriore al 70 viene ritenuta probabile dagli studiosi), si è di fronte ad una teologia nel suo farsi, si vede l'autore costruire la propria argomentazione sul significato della morte di Cristo. Due le linee forza di questo scritto: 1) il sacerdozio di Cristo; 2) la risposta pratica e serrata a chi sta per lasciare la fede cristiana. L'effetto del grande capitolo sulla fede (c.11), che culmina nell'esortazione di 12,1-2, è irresistibile. Ad individuare l'architettura letteraria di questo "discorso di esortazione", Albert Vanhoye ne ha tracciato una mappa minuziosa, simile ad una cattedrale gotica, in cui a ogni guglia corrisponde un'altra dal lato opposto, le cui navate sono sorrette da filari di colonne parallele, in cui la centralità dell'abside (Cristo) crea infinite simmetrie verticali ed orizzontali (Parola, Sacerdozio, Vita cristiana ecc. ).
La via della perfezione: nei primi 2 capitoli della lettera l'autore ha esposto i principi fondamentali del suo comprendere la persona e l'opera di Cristo. Ciò costituisce il fondamento della sua esposizione dell'efficacia perdurante della morte espiatrice di Gesù, che per i suoi lettori rappresenta il punto cruciale da capire. Ma prima di arrivare qui, nei cap. 3 e 4 egli spiega lo scopo della vita cristiana, che consiste nella partecipazione al compimento del disegno salvifico divino. Questi 2 capitoli allora da un lato offrono il contesto più ampio di che cosa significhi essere discepoli di Cristo, entro cui è sorto il problema dei destinatari dello scritto, dall'altro consentono di rendere più forte il rimprovero ai lettori, rimprovero che emerge fortissimo in 4,11-13 e sottintende che i lettori siano "soggetti a cadere nello stesso tipo di disubbidienza" degli israeliti nel deserto. Ma ciò rende solo più attinente l'argomento cristologico secondo il quale "Cristo è in grado di venire in aiuto a quelli che vengono tentati" (2,18). La Lettera è alle prese con un delicato problema pastorale: i lettori (molti esegeti ritengono si tratti di giudeo-cristiani o addirittura di sacerdoti ebrei convertiti al cristianesimo: At 6,7), non sono dei disubbidienti pervicaci e insolenti, ma hanno la coscienza turbata, sono pronti a chiedere aiuto altrove (comunità giudaica) per capire e vivere la loro fede. I capitoli 3° e 4° dunque mettono in primo piano l'efficacia della fede e della fedeltà, che si basa sulla Parola di Dio, definita viva, trasmessa prima dai Profeti e in ultimo dal Figlio di Dio. Essa è necessaria per entrare nel "riposo sabbatico del popolo di Dio" (4,9). È questa Parola che giudica i sentimenti del cuore umano nella sua ricerca del "riposo" divino. Il ricorso al Sal 95 nei cap. 3-4 mostra il popolo peregrinante nel deserto come il termine medio tra i giudei e i cristiani del tempo dell'autore. Ritornare alla pratica giudaica equivale a vivere come se la nuova alleanza non fosse ancora portata all'esistenza.
Ebrei non incomincia come una lettera, ma come una predica, appartiene dunque al genere del discorso, non a quello della lettera. In questa esortazione contro la mancanza di fede (3,7-4,14) si colloca il nostro passo sulla forza della Parola. Essa deve essere ascoltata, perché è conoscenza di Cristo stesso, il "fedele", colui che è "degno di fede" (2,17; 3,2). Tutti debbono dunque ascoltarla (lunga esortazione: 3,7-4,14).
Siamo, dice Gianfranco Ravasi a proposito di Ebrei, in presenza di un albero che è compatto nella sua radice-tronco-chioma, ma rivela infinite ramificazioni. Ci accontenteremo di selezionarne una soltanto: la radice della Parola divina, che il "nostro predicatore" continuamente fa emergere nei suoi tessuti di citazioni bibliche e che trova la sua formula proprio in queste espressioni di 4,12. Essa è la radice che permette di capire il tronco del discorso del nostro autore, Cristo, grandioso nel suo incedere sacerdotale, iniziatore e perfezionatore della fede. La Parola è il ponte tra l'umanità e Cristo. Questa parola vivente, efficace, è distinta dal Verbo di Dio di cui Ebrei afferma che giudica i pensieri e le intenzioni.
MEDITATIO:
La Parola di Dio
Dio si è rivelato attraverso la parola predicata o proclamata da uomini scelti da lui, e attraverso la parola scritta perché possa risuonare in ogni tempo come fosse la prima volta. Il cristiano alla mensa della vita si nutre della parola e del corpo di Cristo per entrare nella Bibbia, abitarvi, meditarla, pregarla.
Il credente quando legge la sacra Scrittura deve saper andare al di là delle parole che legge per concentrare lattenzione su Dio Padre che gli sta parlando per mezzo del suo Figlio e nello Spirito Santo. Questo atteggiamento di fede fa della lettura cristiana della Bibbia un autentico dialogo spirituale.
Quando leggiamo o ascoltiamo la lettura dei libri sacri dobbiamo renderci conto che stiamo davvero ascoltando la Parola del Dio vivente. Se non prestiamo attenzione a questo aspetto del nostro contatto della Bibbia rischiamo di perderci o in uno studio o in una riflessione erudita sullinterpretazione dei testi biblici, collezionando molte conoscenze senza tuttavia alimentare la nostra fede.
La nostra lettura deve essere assidua e frequente perché "lignoranza delle Scritture è ignoranza del Cristo.
È viva ed efficace
La Parola è sempre provocazione, è spada, è pioggia fecondatrice, è rivelazione.
La misura della nostra autentica comprensione ed accettazione della Parola è visibile soprattutto nella forza di provocazione che genera spingendoci a scoprire ciò che manca, nella nostra vita, per essere veri cristiani.
Noi preferiremmo una Parola spenta, decorativa, oggetto semplicemente di studio e di possesso: una Parola che rimanga depositata in superficie. Invece è una Parola "viva, efficace". È lei che ci studia! Noi siamo portati a esaminarla. Invece è lei che ci scruta.
Quando meditiamo la Parola a volte sembra che vogliamo cullarla per addormentarla, controllarla, tenerla a bada, renderla praticamente inoffensiva; ma non è lecito neutralizzare quella Parola che è "più tagliente di ogni spada a doppio taglio".
Dobbiamo, invece che addormentarla, chiederle di svegliarci; permetterle di penetrare nelle profondità del nostro essere, "fino al punto di divisione dellanima e dello spirito, delle giuntura e delle midolla", consentirle di giudicare il nostro interno, esplorare i nostri limiti e le nostre miserie, mettere a nudo le nostre ipocrisie e contraddizioni, farci prendere coscienza delle nostre responsabilità.
La Parola non ci abbellisce, ma ci spoglia impietosamente; non possiamo servirci della Parola per camuffarci, essa, al contrario, ha il compito di metterci allo scoperto, di esporci.
ORATIO:
C. Lampada per i miei passi è la tua parola, luce
sul mio cammino.
T. La tua Parola - hai detto - è lampada ai miei passi e luce al mio sentiero.
C. Il seme seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende;
questi da frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta.
T. La tua Parola - hai detto - è seme che fruttifica quando il cuore è un terreno libero
e buono.
C. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver
irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al
seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca.
T. La tua Parola - hai detto - è come pioggia o neve che irrora e fa germogliare e non
ritorna al Padre senza compiere quello per cui fu mandata.
C. Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio
taglio.
T. La tua Parola - hai detto - è spada affilata che penetra nel profondo e lacera per
guarire.