UN CAMMINO FATICOSO Comprendere le ragioni altrui di Giordano
Muraro | |
Non
solo idee e parole, ma pezzi di vita. Capirsi fra persone e nella coppia è
arduo per diversità sessuali e vissuti familiari. Superare gli ostacoli si
può. Ma serve un’amorosa attenzione al mondo dell’altro.
"Due vasi di ortensie" è il titolo di una novella che Achille Campanile presenta nel suo volume Manuale di conversazione (Rizzoli). Racconta di un signore milanese che in una notte di primavera ruba due vasi di ortensie da una fioriera davanti a un caffè. È incensurato, e al commissario, stupito della singolarità di quel furto, dice di averli rubati per portarli sulla tomba di sua moglie. Il che accresce lo stupore del commissario: «E lei, per fare omaggio alla tomba di sua moglie, ruba? Questo è peggio che non portare niente. Che valore ha un omaggio sontuoso, ma di origine furtiva?». Il signore in nero tace. Ma dopo essere stato rilasciato, «in considerazione degli ottimi precedenti», si sfoga in un lungo soliloquio. Tutto era cominciato in un pomeriggio di domenica, quando non si sa come consumare il tempo e si trascinano i piedi lungo le strade del centro. Passando di fronte a un elegante caffè, in galleria, la moglie aveva espresso il desiderio di fermarsi e prendere posto in un tavolino per gustare insieme un gelato. «Perché farci spolpare qui?», replicò il marito. Era un uomo con la testa sulle spalle, sempre pronto al risparmio. Mai avrebbe buttato qualche biglietto da mille per un’inutile pazzia. Per questo la condusse in una via secondaria, in un negozietto «dove non c’erano né fiori, né musica e nemmeno folla..., ma in compenso i gelati erano buoni come nell’elegante caffè e i prezzi più accessibili». Avevano gustato un ottimo gelato senza pagare il lusso. «Solo dopo che la moglie fu morta, il vedovo – riflettendo in continuazione su molte cose di cui prima non s’era nemmeno accorto – capì ciò che lei desiderava quella domenica. Non voleva il gelato, non voleva riposarsi. Voleva una volta tanto sentirsi degna di una piccola follia. Voleva una volta tanto sedersi anche lei in un caffè alla moda, tra la gente e i fiori». Tormentato dal rimorso, prende una decisione. «Quella notte, passando davanti al caffè chiuso col recinto dei tavolini vuoti all’esterno e i fiori intorno, aveva rivisto quell’angolino e gli erano tornati un dolore, un rimorso, una disperazione intollerabili: erano quello stesso angolo, quegli stessi due vasi, proprio quelli fra i quali lei voleva sedersi, ma lei non c’era più. Li aveva rubati. Per portarglieli sulla tomba e avere lui finalmente pace». Non bastano tanti anni di vita passati insieme per capire l’altro. Spesso fra i due si forma una barriera fatta di tanti silenzi e incomprensioni che impediscono di cogliere il mondo interiore dell’altro. Si giunge a quella situazione descritta da E.M. Remarque, quando il figlio ritornato dalla guerra non riesce a rientrare nel mondo civile e non capisce la saggia logica di suo padre: «Siamo uomini del tutto diversi e sinora siamo andati d’accordo così bene solamente perché non ci siamo compresi affatto» (La via del ritorno, Medusa). Ma questa mancata comprensione prima o poi viene a galla e crea fratture. Quante volte nei litigi di coppia si sente la terribile frase: «Sono vent’anni che viviamo insieme e non hai capito niente della mia vita». Sembra una frase assurda. Come è possibile passare tanti anni insieme senza capirsi? È possibile giungere a questo risultato quando nell’altro si coglie soltanto quello che è utile e piacevole. Il resto non interessa. La sua vita interiore, i suoi desideri, la sua sensibilità, i suoi progetti, le sue delusioni, le amarezze... restano nell’ombra. Non si vedono, non si sentono, perché non interessano, o perché non si ha sufficiente sensibilità per coglierli. La coppia può arrivare a camminare su vie parallele che si incontrano solo nelle parole necessarie per la sopravvivenza. Ognuno dei due vive nel suo mondo e non riesce a comunicarlo, perché non trova le parole («Siamo analfabeti nei sentimenti», diceva il protagonista di Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman), o perché all’altro non interessa, o non è in grado di condividerlo. Questa situazione è ben dipinta da Degas nel suo quadro L’assenzio (vedi a fianco), dove un uomo e una donna sono seduti alla stesso tavolino di fronte a un bicchierino di assenzio, totalmente estranei l’uno all’altra. Per entrare nel mondo dell’altro e viverlo insieme è necessario saper comunicare; ma il comunicare è un’arte che si apprende mettendosi in atteggiamento di ascolto. Ma nessuno ha la pazienza di ascoltare, specialmente oggi in cui tutti hanno molto da fare e poco da comunicare. È possibile all’uomo comprendere le ragioni dell’altro? La risposta in genere è pessimistica. Le persone si sentono spesso come «monadi senza finestre», mondi di vita impenetrabili in cui nessuno riesce veramente a entrare. Ci accorgiamo che gli altri vedono la nostra vita dall’esterno e colgono solo la superficie di quello che siamo. Quasi sempre non sanno andare oltre. Allora si ha l’impressione di ripiombare nella solitudine di Adamo, anche se la persona con la quale si vive ogni giorno ripete: «Ti voglio bene». Si arriva a toccare con mano quanto sia vera l’espressione biblica che «il cuore dell’uomo è un abisso». Molti finiscono con l’accontentarsi di quello che l’altro riesce a capire o col rassegnarsi a restare soli, dando ragione a quelli che definiscono il matrimonio «una solitudine a due»! In genere pensiamo che le "ragioni dell’altro" siano ragionamenti, idee, concetti, dimostrazioni. Ma prima d’essere tali sono "pezzi di vita", cioè fatti che appartengono alla vita della persona e che la persona desidera vivere, ma che l’altro non condivide e con la sua presenza impedisce di viverli. Questo crea sofferenza perché si mette la propria vita in comunione con quella di un altro specialmente per due motivi: per essere aiutati a vivere la propria vita, per vivere in due le stesse esperienze. Anzitutto per essere aiutati a vivere la propria vita. La persona sente la sua povertà e la sua incapacità a essere felice da solo. Non basta a se stesso. Deve appoggiarsi a un altro, o, meglio, si sente sicuro quando la sua vita è portata nell’amore e nell’attenzione di un altro, che è proteso sulla sua vita e aiuta a viverla. La delusione maggiore avviene quando sente che l’altro non lo porta nel suo cuore, anzi rifiuta la sua vita e i suoi desideri di vita. Allora traduce questi suoi desideri in concetti e parole, per "convincere" l’altro ad accettare quanto desidera vivere. Non usa concetti e parole semplici, ma cerca concetti e parole che siano intellettualmente convincenti ed emotivamente appassionate per cercare di far entrare la sua vita nell’altro e l’altro nella sua vita. E se non ci riesce, allora sente che non vengono rifiutate le sue idee, ma la sua stessa vita. In secondo luogo, per vivere più intensamente la sua vita. I fatti e le esperienze esistenziali sono vissuti e goduti più intensamente quando trovano un’eco viva nella persona di un altro che vive e condivide queste stesse esperienze. Un esempio tipico è l’emozione estetica vissuta in due. Sembra di godere più intensamente uno spettacolo della natura quando si è in due a vibrare nello stesso istante per quella bellezza. Se si è soli, è come se mancasse qualcosa. Una lente deformante La presenza di un altro che gusta come me e con me quella bellezza rimanda sulla mia persona la sua gioia e arricchisce la mia. Questo vale proporzionalmente per qualunque esperienza, da quelle gioiose a quelle difficili e sofferte. Non c’è nulla di più raggelante di un entusiasmo non condiviso, di un successo non accolto e non vissuto anche dall’altro. Come pure non c’è nulla di più frustrante che l’essere lasciati soli nel momento della difficoltà e della sofferenza. Il condividere potenzia la gioia e rafforza nella difficoltà e nella sofferenza. Anche in questo caso si vede lo sforzo della persona che cerca di far capire all’altro ciò che sta vivendo per invitarlo a condividerlo; mette tutto se stesso nelle parole per essere convincente. Ognuno porta in sé una lente deformante. Quando di stabilisce un rapporto si è sempre tentati di incominciare dall’analisi dell’altro: chi è, che carattere ha, che cosa fa, che famiglia ha alle spalle e – interrogativo fatidico – se sarà la donna o l’uomo della sua vita, cioè se lo farà felice. Diamo sempre per scontato di conoscere noi stessi. Invece conosciamo poco questo essere che siamo noi e che siamo con noi dalla nascita. Istintivamente ci portiamo sempre sulle cose esterne a noi. Anche nei molti anni di scuola ci hanno insegnato tutto, eccetto l’arte di conoscere noi stessi. Eppure questa conoscenza diventa indispensabile quando si crea un rapporto. Per capire l’altro dobbiamo partire dal nostro "io", perché tendiamo sempre a conoscere e interpretare gli altri secondo i nostri schemi mentali e i nostri vissuti esistenziali, la nostra sensibilità. La definizione del cappotto come «l’indumento che il bimbo mette quando la mamma ha freddo» riassume questo complesso meccanismo: tendiamo a proiettare sugli altri quello che noi siamo. Tra noi e gli altri c’è sempre una lente che è tutta la nostra vita. E questa lente può deformare o addirittura rendere l’altro non conoscibile. Gli antichi conoscevano bene questi meccanismi e li esprimevano lapidariamente nella frase: «Intus existentia prohibet extraneum», cioè noi rifiutiamo quello che è in contrasto con quello che noi siamo. Bacone parlava di idòla, cioè di idee radicate e indiscusse (preconcetti) attraverso le quali filtriamo tutto quello che riceviamo. Oggi si preferisce parlare di «vissuti», cioè di stati emotivi che condizionano il modo di vedere, giudicare, vivere le realtà. Quando si stabilisce un rapporto con una persona dobbiamo essere consapevoli di questi condizionamenti interiori che possono diventare una lente che deforma o impedisce la conoscenza dell’altro. L’espressione: «Non ti capisco», oppure: «Il tuo modo di pensare è totalmente diverso dal mio», «non possiamo capirci perché apparteniamo a due mondi diversi» sono la dichiarazione aperta di questa incomunicabilità, generata dalla diversità. Esistono due serie di difficoltà che impediscono di capire le ragioni dell’altro. Le prime sono oggettive, cioè esistono nel soggetto, ma non sono da lui prodotte. La sessualità intesa in senso personalistico è la prima e fondamentale differenza. L’uomo e la donna sono persone umane pari in dignità, ma diversissimi nel modo di essere, di sentire e di reagire nella vita. La sensibilità maschile e quella femminile sono una ricchezza che affascina e crea una forte attrattiva. Ma se l’uomo e la donna si fermano agli aspetti superficiali e vanno oltre l’utile e il dilettevole che l’altro spontaneamente offre, e se non sanno cogliere il mistero della persona dell’altro e non sanno coinvolgersi in un progetto comune, potranno sentirsi sempre più disturbati dalla diversità, fino a rifiutarla. Ciò che all’inizio attrae diventa fatica e disagio da sopportare. Alla sessualità si aggiunge la "biografia familiare". Ognuno di noi è il prodotto dell’ambiente in cui ha vissuto i primi anni di vita e quelli successivi. Siamo fatti anche dagli altri, specialmente nella prima infanzia. Il comportamento personale e relazionale dei genitori segna la vita dei figli, e porta a ripeterlo («mio padre con mia madre agiva così»), o a rifiutarlo («non ripeterò certamente gli errori di mio padre»). La scrittrice Ginzburg parla di lessico familiare intendendo quel complesso di modi di pensare, di parlare, di agire che si formano lentamente in un gruppo familiare e che lo caratterizzano. Altri parlano di "dizionari mentali" diversi, o di "linguaggi" diversi che devono essere decifrati per essere compresi, tenendo conto che anche l’altro a sua volta ha un "lessico", un "dizionario mentale", "un linguaggio" che deve essere compreso dal partner. Si possono parlare due lingue diverse, pur usando le stesse parole, perché ognuno dei due carica le parole di significati e di "vissuti" diversi. Solo con la pazienza di un ascolto amoroso si riesce a entrare nella comprensione di questi codici di vita espressi in parole e comportamenti. Le seconde difficoltà nascono nel soggetto, ma sotto il forte influsso del contesto umano e della società in cui la persona vive e si sviluppa: l’educazione sociale, la tradizione, la mentalità e i costumi di un popolo o di una etnìa. Anche questi elementi possono facilitare la comunicazione e la comprensione della sensibilità dei comportamenti dell’altro; ma possono talora diventare ostacoli insormontabili. Lo si vede nei matrimoni tra persone con forti differenze culturali. L’amore può operare miracoli di unione, ma spesso le diversità sono tali da rendere impossibile una vera unione dopo l’innamoramento. Le ultime nascono dalla diversa biografia personale. Ogni persona ha una sua storia che non è solamente una serie di fatti esterni alla persona, ma che è fatta in gran parte di esperienze che segnano la persona e ne formano il carattere, la mentalità, le tendenze, le abitudini. Queste diversità giocano in modo determinante nel rapporto coniugale e familiare, sia in positivo che in negativo. Tre condizioni necessarie È possibile superare queste difficoltà e giungere a capire le ragioni dell’altro a tre condizioni. Che si ami la persona, si purifichi la propria intelligenza e si rafforzi la propria volontà nel superare la tendenza egoistica che porta a rifiutare dell’altro quello che è avvertito come scomodo per sé. Se per "ragioni" intendiamo la vita della persona, allora la prima condizione per capire le ragioni di una persona è quella di amarla. L’uomo è capace con la sua intelligenza di conoscere tutto l’universo, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande; ma non può arrivare al mistero del cuore dell’uomo se non con un particolare tipo di conoscenza, quella mossa dall’amore e dominata dall’amore. L’amore ha il potere di dare alla conoscenza un impulso che permette di giungere dove il potere intellettivo da solo non giunge. Gli antichi distinguevano la conoscenza speculativa (quella che si ferma al conoscere) dalla conoscenza pratica (quella che si prolunga all’agire dell’uomo e lo guida). Ma conoscevano anche quella per connaturalitatem o per simpathiam, cioè quella conoscenza che nasce dall’affinità con la realtà che si vuole conoscere. Chi è passato attraverso la sofferenza è in grado di capire chi soffre, perché la sua esperienza lo rende "affine" alla persona che soffre, e diventa un punto di riferimento che gli permette di saltare i processi di ricerca perché "già la conosce". La stessa cosa vale per l’amore. L’amore mette la persona in sintonia con la persona amata, e questa sintonia permette di cogliere più facilmente la vita dell’altro, facendo riferimento alla sua stessa vita. Abbiamo prima riportato la curiosa definizione del cappotto. La mamma che ama il figlio sente non solo il suo freddo, ma il suo freddo diventa punto di riferimento per capire quello che il figlio sta vivendo: l’amore diventa attenzione, preoccupazione, sofferenza per il freddo del figlio; diventa anche spinta ad agire per alleviarlo. L’amore facilita la condizione della purificazione della propria intelligenza. La nostra intelligenza, dice san Tommaso, è come uno specchio. Se è terso e levigato, riflette la realtà com’è; se è deformato, altera ogni realtà che in lei si rispecchia. Da cosa è deformata? Dalle precomprensioni, dai pregiudizi che ogni persona accumula nella sua esperienza personale. Ogni persona ha una sua concezione della vita e delle diverse esperienze della vita. Anche quando incontra una persona e stabilisce con lei un rapporto profondo, può vederla attraverso l’idea che di lei si è fatto. Allora non conosce la persona, ma l’idea della persona. E non è facile liberarsene. Le convinzioni sono dure a morire e interferiscono continuamente nel nostro modo di vedere e di pensare. Se siamo convinti che un comportamento sia sbagliato, difficilmente accetteremo che la persona che amiamo lo attui perché riteniamo che sia per lei dannoso; vogliamo proteggerla da se stessa e dalle sue idee sbagliate. In questo caso l’amore «non sente e non vuole sentire ragioni» e diventa una forza che pretende di prevalere sul modo di pensare e di desiderare dell’altro. Per questo gli antichi dicevano che ognuno riceve l’altro come è preparato a riceverlo («quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur»), cosa ampiamente dimostrata dall’esperienza. Però l’amore può diventare, oltre che spinta a far agire l’altro come noi pensiamo che debba agire, occasione di riflessione sulle richieste che l’altro formula, costringendoci a rivedere le nostre stesse convinzioni. Non basta l’ascesi intellettuale. È indispensabile anche un’ascesi morale, perché le passioni interferiscono nel processo valutativo e nelle scelte della persona. Accettare le ragioni dell’altro significa spesso rinunciare al nostro modo di pensare e di agire. Significa rinunciare alle nostre abitudini, tradizioni, alla nostra sensibilità per entrare nella vita dell’altro. Il nostro egoismo può essere il grande ostacolo per accettare un modo diverso di pensare, di vedere e di agire. Significa lasciar spazio all’altro, rinunciando a far prevalere la nostra vita su quella dell’altro. San Paolo nell’inno alla carità dice che la carità non si gonfia. Gonfiarsi significa estendere la propria vita e dilatarla al punto di sottrarre spazio all’altro. Si verifica quando la persona rifiuta di lasciare il suo mondo per entrare in quello dell’altro, e dilata la sua vita imponendola all’altro. Per correggere questo comportamento comunissimo non esiste che una via, quella di formare le virtù sociali, animate dalla carità. Con le virtù animate dall’amore non solo si lascia spazio di vita all’altro, ma si giunge a cogliere e condividere la vita dell’altro. Si vivono due vite: la propria e quella dell’altro. Si realizza il detto biblico: «saranno due in una sola vita». Il cammino per capire le ragioni dell’altro è lungo e faticoso. Non si improvvisa. Soprattutto non avviene nel momento del contrasto, quando il rapporto diventa conflittualità e nessuno dei due intende uscire dalla roccaforte delle sue ragioni o – peggio – dei suoi principi (classica l’affermazione: «non cedo per principio»). Suppone un allenamento della persona alle virtù di relazione, un superamento delle proprie precomprensioni e soprattutto un grande amore. Solo l’amore riesce a smuovere la persona dalle sicurezze che ha acquisito in tutta la vita precedente e lo portano a entrare nel mondo sconosciuto dell’altro. È un cammino simile a quello di Abramo, al quale Dio chiede di uscire dalla sua terra e lasciarsi guidare dalla sua Parola. Solo l’amore può operare questo miracolo, perché quando si ama, si giunge ad affidare la propria persona alla persona di cui ci si fida. Giordano Muraro | |