Vis Polemica

Bioetica...

Di
Winstanley




Ho ricevuto recentemente quanto segue:

Comunicato stampa

Sabato 17 febbraio, alle ore 18, presso la Libreria EDICOLE' (piazza Municipio, 5 Napoli) la L.A.C. (Lega Antivivisezionista Campana) ha organizzato un dibattito sul tema "L'amore condiviso: dalla pet-therapy alla pet c.a.r.e.".

Al comunicato, che riportava i nomi degli importanti relatori partecipanti al dibattito, sono seguite alcune righe di precisazione...

Il dibattito verterà sull'evoluzione della pet-therapy (in cui l'animale è un semplice strumento terapeutico) in pet-c.a.r.e. (cura-amore-responsabilità-etica), in cui si crea un rapporto paritario tra paziente ed animale, basato sull'amore reciproco e assunzione di responsabilità nei confronti del più debole.

L’organizzazione del dibattito va ascritta a una associazione veramente stimabile per le sue azioni protezioniste; di primo acchito anche l’iniziativa in oggetto pare essere encomiabile. Sviluppare l’amore negli ambienti dove possa attecchire è davvero un fatto importante. Secondo molti, la scuola di “assunzione di responsabilità” dovrebbe essere estesa in ogni angolo sociale giacchè proprio nel crollo della coscienza individuale viene scorto il segno del degrado relazionale e del malessere collettivo che investono il consorzio umano. Ferma restando la certezza – solida come una montagna – sull’impossibilità di cambiare le relazioni umane in un ambiente patologico impregnato di conflitto e concorrenza con semplici proposte di assunzioni di responsabilità, rimane il fatto che non bisogna disprezzare gli interventi locali tesi a limitare i danni spargendo qualche piccola dose di antidoto per contrastare i veleni dominanti.

E' questo il caso? ci troviamo di fronte a una iniziativa lodevole? Il giudizio presupporrebbe la conoscenza degli sviluppi della tavola rotonda che purtroppo non hanno seguito il comunicato. Perciò non è dato di sapere se la passerella degli avvicendamenti ha presentato individui persuasi della necessità di fare incontrare due sensibilità – l’animale umano e quello non umano – o invece solo interessati alla strumentalità dell’“animale” in funzione delle esigenze umane. Ma basta questo per non avanzare ipotesi? Diciamo che esiste una certa esperienza di convegni di questo tipo. Spesso è facile notare come nelle figure istituzionali o professionali, che trasformano iniziative-umanitarie in iniziative-vetrina, finiscano per prevalere sempre, fino a diventare dominanti, interessi che al massimo dovrebbero rimanere sullo sfondo. Talvolta gli psicologi sono semplicemente alla ricerca di novità per collezionare pubblicazioni e contrabbandano le etichette con le essenze. Nel caso in questione è forte il sospetto che questa pet-care non sia altro che una rinominazione della pet-therapy alla quale nel recentissimo passato venivano ascritte proprio quelle caratteristiche che vanno a formare il nuovo acronimo. E infine, quante volte si rileva come cura, amore, responsabilità e etica in bocca a talune persone siano poi contraddette da una semplice osservazione dei loro abiti o degli spuntini che inframezzano le relazioni del mattino da quelle del pomeriggio!

Per colmo dell’ironia, poi, il dibattito si è tenuto a Napoli con presenze istituzionali di rilievo, come assessori e funzionari ASL, i quali, diciamolo pure, saranno anche brave persone, ma agiscono in un territorio nel quale i cosiddetti “animali di affezione” vaganti – che non godono certo di amore, di cura, di responsabilità e di etica – vengono proliferati in quantità industriale. Non sarebbe meglio incomincire da lì?

Forse pecco di ingratitudine e non colgo il nesso causa-effetto. Mi si potrebbe infatti obiettare che proprio da queste iniziative partono i rinforzi di quegli orientamenti culturali che successivamente si traducono in un minor numero di abbandoni. Francamente non lo credo. Un’iniziativa di questo genere non fa altro che aumentare la circolazione di cani, gatti e chissà cos’altro, con le inevitabili perdite di animali per strada. E anche quando questo non accade, certi tipi di “amore” sono altamente sospetti; questo, gli psicologi dovrebbero ben saperlo. Oggi la strada verso il rispetto dell’animale non dovrebbe condurre a una tanto insistita quanto equivoca attenzione verso di esso, bensì a una significativa presa di distanza dalla sua esistenza.

Se gli animali sapessero, come si esprimerebbero! «Macché cura, macché amore, macché responsabilità. Lasciateci in pace e cercate, se ci riuscite, di avere attenzione per voi stessi, di amarvi da voi, di esprimere la dovuta responsabilità verso il proprio prossimo, di dimostrare quell’etica il cui oscuramento ha generato mostri. Uomini, curate voi stessi! Lasciateci in pace almeno finché dimostrerete di aver raggiunto la maturità necessaria per occuparvi degli altri esseri. E poi, raggiunto questo luminoso obiettivo, continuate a lasciarci in pace, dacché mai si vide, oltre alla vostra, una specie che ha bisogno di altre specie per vivere la propria dimensione affettiva.»

Sì, la posizione liberazionista in seno a quel casino organizzato che si chiama “animalismo” non reclama la conquista del rispetto umano verso l’animale, dato che ormai comprende benissimo che l’umano, a meno di miracolose rivoluzioni interiori, non potrà mai esprimerlo. Aspira piuttosto alla dismissione globale dell’animale nell’ambiente umano. Niente circhi, niente impiego di prodotti animali, niente sperimentazione sui sensibili, niente caccia, niente di niente. E perciò, neinte pet!

Certo che i veterinari rimarrebbero disoccupati; gli psicologi avrebbero meno sfere psichiche da esplorare; gli allevatori dovrebbero cambiare mestiere; certi assessori forse sarebbero liberati da fastidiose incombenze, ma avrebbero meno occasioni per mostrarsi in qualche inutile convegno. Insomma forse è bene che gli animali continuino a esistere presso di noi per colmare solitudini, per scuotere autismi, per arricchire di lustro o di denaro chi, per mezzo di loro ha qualcosa da dire o da vendere. Magari dimenticandosi che, a meno che non si ripieghi sui conigli, i cani e i gatti vivono con gli scarti di quei cadaveri da cui gli umani prelevano “la parte più buona”. Alla faccia di concetti come “cura”, “amore”, “responsabilità”, “etica”.




Data: 01/03/07

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