Vis Polemica

Animalismo omeopatico

di
Aldo Sottofattori




Ho offerto la mia disponibilità per le esigenze di volantinaggio al Salone del Gusto di Torino organizzato da un indecifrabile ;-) “Attivisti per gli animali e l’ambiente di Torino”. E’ stato interessante. In parte perché il destinatario del volantino era legato ad un interesse preciso (il piacere per il cibo), cosa che in genere non succede, ma soprattutto perché talvolta “volantinare” ha il potere di rivelare le variabilità umane che potrebbero ben figurare in una ricerca di psicologia sociale. La quantità di volantini che si riesce a piazzare varia, per esempio, a seconda che si spinga la mano verso il passante o invece si assuma la posizione del manichino col volantino appeso. E’ accettato di più se proteso con il pollice in vista anziché con le quattro dita. In prossimità alla mia posizione c’era un gradino. Ebbene il pubblico era più orientato ad accettare il volantino se vi salivo sopra, meno se stavo sotto i suoi 15 centimetri. Quando si presentavano gruppi consistenti, se il primo declinava con un “no grazie” e i successivi lo notavano, a questi ultimi non c’era quasi verso di farlo accettare. Al contrario, se i primi lo accettavano con interesse, i successivi quasi lo pretendevano. Il fenomeno era ancora più evidente nel caso di gruppi di studenti. Del resto è noto che l’identificazione in una comunità amplia i fenomeni di conformismo.

Poi c’è un altro fatto. I vegan fanatici come me  tendono a odiare nell’intimo chi rifiuta il materiale che offri e a guardare con benevolenza quelli che lo accettano, e che magari ti ricambiano con un bel sorriso. Niente di più sbagliato. Infatti la tipologia di coloro che non raccolgono l’offerta è vastissima. Non c’è solo l’arrogante che fa sfoggio evidente di disprezzo al quale vorresti dire “hei, hai già fatto il pieno nel serbatoio dell’etica?”. C’è anche quello che leggerebbe con interesse il tuo materiale ma ti vede all’ultimo e la cui timidezza non consente di ritornare nei suoi passi. C’è quello che proprio non ti vede perché segue le sue immagini mentali. C’è il pensieroso, quello con il mal di denti, quello che ti immagina un esponente di qualche setta, quello che teme le relazioni con gli estranei, o che è disgustato dalla pubblicità. Viceversa tra gli opposti c’è chi pensa alla segnalazione di un buon ristorante, chi vede balenare la possibilità di uno sconto sulla pizza. C’è il curioso, c’è quello che ti dice “me lo hai già dato ieri” e lo riprende. Tutti casi che segnalano il destino breve del tuo foglietto.

Questo caotico prendere/non prendere in cui in prendere non è sintomo di accettazione così come il non prendere non è necessariamente rifiuto, mostra tutta la difficoltà dell’attivismo animalista e della sua azione. Esprime con chiarezza la costellazione degli stimoli nella quale il singolo si trova immerso rendendo del tutto casuale l’acquisizione di affinità, di solidarietà, di nuove risorse umane, e la dice lunga sulla effettiva possibilità del movimento animalista di ottenere anche parziali successi con i suoi metodi tradizionali. Basta un pomeriggio passato a fare cose simili a questa per incominciare a sospettare che la democrazia, intesa come comunità di umani capaci di fare delle scelte non condizionate dall’ambiente e orientati a realizzare la Giustizia, possa (forse) funzionare solo dopo la sua realizzazione, mai prima.

***

Mi sono presentato al mio primo turno con scarso entusiasmo. Beh, come si può provare entusiasmo a fare volantinaggio? Diciamo allora che ero un po’ spento per il fatto che avevo già letto in precedenza il testo da distribuire. Sempre la solita storia. “Caro visitatore”, “ti invitiamo a...”. Sempre così. Attenuazione dello stile del linguaggio per evitare nel modo più assoluto l’irritazione in chi decide di leggere il tuo materiale. Quasi chiedendo scusa per l’irruzione nella privacy dell’occasionale passante. Ma a parte lo stile, amareggia ancor più l’annegamento della vera questione, la violazione cruda e violenta della dignità e della vita dell’animale, con aspetti collaterali che, certo sono importanti, ma dovrebbero essere sollevati in altri contesti. Parlare di vacche grasse e bambini magri, di consumo d’acqua, dell’animale come macchina a basso rendimento, lasciando per ultimo quello che per noi viene per primo, si rivela alla fine un’astuzia di Bertoldo destinata a non lasciare nessun segno nell’interlocutore ed a trasmettere un’intrinseca debolezza del messaggio. Illuminante a tal proposito quello che mi è capitato nei giorni di venerdì e domenica.

Venerdì, ore 17 circa. Rivolto verso la strada attendo nuovi visitatori quando una mano mi spunta da dietro le spalle riconsegnandomi il volantino preso un minuto prima. La mano è attaccata a un signore un po’ seccato che mi dice: “Ma voi siete entrati nel Salone? Avete visto quale è il suo messaggio? No, non credo. Prima di dare questa roba entrate e guardate bene con chi avete a che fare, potreste accorgervi di avere degli alleati e di sfondare porte aperte”. Rimango sorpreso e ammutolito. Cosa potrei dire a uno che strepita e se ne va? Penso solo, “ma questo che vuole? sono entrati dei camion carichi di bistecche... di che porte aperte parla?”. Poco a poco intuisco, ma qualcosa mi distrae e il pensiero fila altrove.

E arriviamo a domenica, pressappoco la stessa ora di venerdì. Consegno un volantino a un giovane che ha il cartellino dell’addetto stampa. Il giovane lo prende e vedo che si avvia leggendolo con interesse. Passano meno di cinque minuti e lo rivedo ad una certa distanza. Attraversando per l’ampio piazzale, torna indietro con il volantino sotto gli occhi. Sono sicuro che mi punta. Sono contento. Sta a vedere che il foglietto interessa un addetto stampa, chissà. Invece no. Tira fuori un pieghevole di Slow Food e mi chiede se parlo francese. No. Allora con un buon inglese che purtroppo faccio fatica a comprendere mi dice più o meno così. Qui parlate di poveri. Anche in questo pieghevole si parla di rispetto e di giustizia sociale. Qui parlate di ambiente. Anche in questo l’ambiente è al primo posto. Qui parlate del rispetto per gli animali. Anche in questo si chiede di difendere il benessere degli animali. Poi se ne va e mi lascia il suo pieghevole ricco di vivaci colori. Insomma mi sembra di essere un idiota che è venuto a fare pubblicità al Salone del Gusto senza saperlo. E’ ovvio che non è così, che una cosa è il rispetto assoluto dell’animale contenuto nel nostro volantino, un altro è il rispetto come l’intendono quelli di Slow food concedendo una “buona vita” all'animale per “migliorare il sapore della carne” e far contento il consumatore, ma hai voglia a cercare i distinguo. Non è il momento, non è il posto giusto, non c’è l’interesse di chi hai di fronte (del resto posso comprendere il suo inglese, ma non sono in grado di parlarlo). Il tizio se ne va e io ricevo l’impressione di aver aumentato, sia pure di una particella, la confusione nel mondo. Partito per “chiarire” (per quanto sia possibile farlo) ho soltanto fornito un supporto a qualcuno che sta cercando di trasformare in un buon affare i drammi della Terra.

***

Qualche giorno dopo, davanti a una pizza con funghi e verdure senza virtù, i miei amici si sono sbellicati dalle risa e hanno passato la sera a prendermi per il sedere. Uno dei due ha inventato una categoria concettuale nuova. Mi ha detto che queste avventure capitano a chi sostiene l’animalismo omeopatico. Animalismo omeopatico? Si, un animalismo che diluisce talmente le sue ragioni fino a diventare assolutamente insipido e irriconoscibile. Un animalismo che non solo non convince chi ha di fronte, ma che evidentemente deprime la voglia di lottare anche tra i suoi fautori se è stato impossibile assicurare due attivisti per porta per ogni turno in tutta la durata della manifestazione. Come al solito il mio amico è stato un po’ ingeneroso verso l'animalismo “reale”, ma è vero che una parte di ragione sta anche dalla sua parte.



Data: 05/11/06

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