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Gli
stravolgimenti della ragione |
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cura del |
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Sorprende osservare come individui normalmente molto dotati sul piano della critica e della cultura mostrino vistosi crolli logici quando parlano di animali e di problematiche legate ai loro diritti. Non fa eccezione Mario Vargas Llosa, uno scrittore capace tanto di raggiungere i vertici della letteratura mondiale quanto di impegnarsi in importanti battaglie civili. L’occasione per osservare uno sgradevole sfrangiamento del ragionare è offerto da un articolo consegnato a El País e ripreso il 16/5 dalla Stampa (Sezione: Cultura, Pag. 20) il cui titolo consente di entrare subito con i piedi nel piatto: IN DIFESA DELLA CORRIDA. Il movente della presa di posizione è dovuto alla recente decisione catalana di dichiarare il Comune di Barcellona città antitaurina, evento che, insieme al progetto Europeo di proibire le corride nel continente, potrebbe costituire un rischio assai grande per la conservazione di questa “tradizionale” manifestazione spagnola. La linea di difesa di Vargas Llosa riesuma i vari argomenti che, con poche verianti, emergono sempre quando si vogliono contrastare le questioni che il movimento animalista sta da tempo ponendo sul tappeto. Sono cinque dissonanze stilistiche sulle quali, con immensa pazienza, vale la pena di ritornare. a) Ignoranza del pensiero dell'interlocutore naturale “Allora, riconosciuto il fatto incontrovertibile che la corrida costringe il toro ad alcuni minuti di tormento prima della morte e che per certe persone ciò è inammissibile, tutto il dibattito sul tema, ad essere coerenti, deve dispiegarsi in un contesto più generale: ogni violenza esercitata su un animale è da evitare in quanto immorale o è da condannare soltanto quella sul toro mentre le altre, più nascoste ma a volte molto più diffuse e feroci, devono essere tollerate come male minore? Di tutto quel che ho letto al riguardo solo J.M. Coetzee sembra, secondo me, essere giunto alle estreme conseguenze attraverso il suo alter ego, Elizabeth Costello: per lui i mattatoi di vacche, agnelli, maiali eccetera equivalgono ai forni crematori nei quali i nazisti bruciarono gli ebrei. Perciò nessun essere vivente può venire sacrificato senza che si commetta un crimine. Mi domando quanti tra coloro che vogliono sopprimere la corrida siano disposti a portare le proprie convinzioni sino a questi livelli e ad accettare un mondo nel quale gli umani vivano confinati nel vegetarismo (o, peggio, nel fruttarismo) radicale e intransigente di Elizabeth Costello.” E' netta l’impressione che lo scrittore non abbia ben chiara la natura del competitore contro cui mena fendenti. Con chi se la prende? Con le istituzioni che minacciano la messa in fuorigioco della tauromachia? Con l’opinione pubblica che viene invitata ogni tanto a esprimersi? Contro la cultura animalista? Va osservato che le istituzioni europee sono molto timide ogni volta che devono emanare direttive sulla protezione animale. Senza la pressione dell’opinione pubblica, l’attenzione dei parlamentari europei non si manifesterebbe proprio. L’opinione pubblica, del resto, è anch’essa fluttuante e in genere, per quanto possa esprimersi con convinzione, non ricorda le proprie posizioni un secondo in più rispetto al tempo necessario che impiega per esprimere il parere. Rimangono gli animalisti. Pur con una cultura non omogenea alle spalle, pur essendo divisi quasi su tutto, pur operando con azioni intermittenti, sono loro – con le associazioni in cui prestano il loro attivismo – il vero motore delle iniziative. Promuovono l’attenzione, sviluppano quel minimo di organizzazione e danno impulso a quelle timide azioni che talvolta causano apprensioni a persone come Vargas Llosa. Il Nostro dunque, come chiunque altro desideri esprimersi su questioni attinenti, per prima cosa dovrebbe sapere che sceglie come interlocutori proprio loro: gli animalisti. Questa prolusione è stata necessaria per poter sottolineare quanto sia assurda la difesa della corrida chiamando in causa violenze e torture più gravi come quelle impartite a vitelli, maiali, e pesci. Infatti, se le critiche sono rivolte verso gli animalisti, lo scrittore sbaglia proprio la mira perché la loro cultura si sta muovendo da decenni verso una impostazione assolutamente totalizzante che non lascia fuori nessuna forma del vivente. Questo errore, tipico di chi vuole criticare l’animalismo senza conoscerlo, costituisce la costante di questi interventi e con ogni probabilità non è una scelta dialettica per indebolire le tesi dell’interlocutore, bensì autentico fraintendimento dettato dalla profonda ignoranza del punto di vista animalista esitente a livello sociale. E la profonda ignoranza sembra confermata da un altro indizio: la citazione di un personaggio – guarda caso di un altro scrittore, J.M. Coetzee – dichiarato come l’unico ad adottare lo scandaloso paragone tra forni crematori e macelli. Forse Vargas Llosa non lo sa, ma l’equivalenza tra le due forme di sterminio è concetto abbastanza diffuso e interiorizzato tra attivisti che militano in un estesissimo arcipelago di associazioni e gruppi di intervento. Ma allora perché parlare della Tauromachia e non dei macelli dove gli animali vengono torturati come nell’arena ma non hanno quella “splendida esistenza” che secondo lo scrittore peruviano allieta la vita dei tori da corrida prima del sacrificio? Perchè accanirsi contro la corrida e non contro la caccia alla volpe o la pesca del luccio? Perché rinunciare al piacere “estetizzante” della corrida e non a quello molto più prosaico legato all’arte culinaria? Ma chi l'ha detto che gli animalisti non si mobilitano anche verso tutte queste manifestazioni dell'orrore? Solo chi trascura completamente l'attività multidirezionale del movimento può fare un'affermazione simile che costituisce un autentico stravolgimento della realtà. Ciò detto, l’animalismo, pur lavorando a 360 gradi, non può permettersi di impostare una scala di interventi che tengano conto degli aspetti più gravi per poter ivi incominciare. No, l’attivismo disperato dell’animalista, così compresso tra un’interiorizzazione dell’orrore che rischia di spegnergli ogni sensazione vitale e l’azzeramento periodico dei risultati faticosamente conquistati con lotte precedenti, è costretto a combattere là dove il caso, le circostanze e anche gli apparati simbolici della società spingono. Solo lì è possibile tentare di raccogliere quelle briciole che, in un panorama disperato, si rivelano costantemente come la maledizione di Sisifo. Per ora, lo scrittore si consoli con una notizia che forse sembrerà vergine alle sue orecchie: coloro che hanno cari i tori da corrida hanno care anche le vacche. A tal punto che non toccano latte neanche per sbaglio. E non toccano uova, né formaggi o miele. Altro che bistecche! Vargas Llosa dovrebbe ben sapere che riconoscere la dignità di colui con il quale si contende significa non tanto rispetto astratto, quanto piuttosto conoscenza delle motivazioni del pensiero che gli appartengono. In altre parole, se proprio non si vuole condividere un punto di vista che, anzi, si desidera criticare, occorre tuttavia approfondirlo con una seria documentazione e non per “sentito dire”. Il “sentito dire” è un fiume che si trasporta dietro infinità di detriti. b) Assenza di pertinenza nella scelta degli argomenti “I nemici della tauromachia si sbagliano se credono che la fiesta sia un mero esercizio di cattiveria nel quale masse irrazionali di persone ribaltano sulla bestia un odio atavico. [...] Ciò che ci commuove e ci affascina in una buona corrida è che il coraggio, la nobiltà e l’eleganza del toro ottengono, in una combinazione di figure e nella misteriosa complicità che le unisce, di cancellare tutto il dolore e il rischio creando immagini che partecipano, nello stesso tempo, dell’intensità della musica e del movimento della danza, della plasticità pittorica dell’arte e dell’effimera profondità dello spettacolo teatrale: qualcosa che a ha a che fare con il rito e l’improvvisazione e che, in un certo momento, raggiunge una carica di religiosità, di mito." Che la Tauromachia non sia esercizio di sadismo, è affermazione più che convincente. Se i mali dell’uomo derivassero dalla malattia del sadismo, forse avremmo risolto ogni problema. No! Il vero limite della natura umana consiste nell’incapacità di trasferire i suoi occhi nella testa della vittima per comprendere l’intima essenza della sofferenza impartita. Siamo capaci di bombardare dall’alto delle nostre fortezze volanti dei piccoli corpi laggiù, sotto di noi, ridotti a piccoli segni, senza ricevere il benchè minimo rimorso grazie al soccorso di concetti pronti per l’uso: sono nemici, sono bestie [sic!], terroristi o figli di terroristi e quindi terroristi in potenza, o parenti di terroristi, dunque... andate all’inferno. Frasi dette senza livore, senza rabbia, generate dal peggiore dei mali, l’indifferenza che col sadismo non hanno niente in comune. Dunque, figuriamoci se di fronte a un toro che agonizza e sprizza sangue da ogni parte devo avere remore quando, di converso, posso ammirare le "figure", l'"eleganza" delle movenze quasi di "danza", che suggeriscono "plasticità pittorica dell'arte" e la "profondità dello spettacolo teatrale", e il "rito" e la "religiosità" e il "mito". Di fronte a simili dichiarazioni occorre prendere atto di una posizione aprioristica e ingessata che - fatto comune presso gli umani a dispetto della loro presunta dimensione morale - non vuole prestare i propri occhi alla vittima. Il passo che segue è un'ulterione estensione del concetto: "Un simbolismo che rappresenta la condizione umana, quel mistero di cui è fatta la nostra vita che esiste soltanto grazie al suo contraltare che è la morte. Le corride ci ricordano, nella magia in cui ci portano, quanto è precaria l’esistenza e come, grazie alla sua natura fragile e caduca, possa essere incomparabilmente meravigliosa." Ma questo ragionare non può essere esteso pari pari ai sacrifici degli atzechi o di altri popoli antichi? In altre arene, il popolo che ha inventato il “Diritto” provava altre splendide sensazioni a veder scannarsi uomini! E allora? Ritorniamo al passo di Vargas Llosa e proviamo a sostituire la parola "le corride" con "i sacrifici umani" e si vedrà come la plausibilità esistenziale del passo si mostri in tutto il suo orrore; e non certo per la sostituzione dell'animale con l'uomo, bensì per la messa a nudo di un'inaccettabile propensione alla violenza che l'umanità non si decide a dismettere. In questa logica, i richiami a Lorca, Picasso, Heminwey, Goya son del tutto non pertinenti. L'arte trae ispirazione anche dai più repellenti atti umani, ma è difficile sostenere che questi debbano essere eternizzati per fornire materiale all'arte. c) Ricorso ad assurdità logiche “L’animale, allevato per il combattimento, esiste perché esistono le corride, non per il motivo opposto. Se queste scomparissero, inevitabilmente scomparirebbero tutti gli allevamenti di tori da corrida e questi, invece di condurre la loro vita vegetativa ruminando erba nei pascoli e scacciando le mosche con la coda come vorrebbero gli abolizionisti, smetterebbero semplicemente di esistere. E oso supporre che se si desse loro la possibilità di scegliere tra essere un toro da combattimento o non essere del tutto, è assai probabile che gli splendidi quadrupedi, emblema dell’energia vitale sin dalla civilizzazione cretese, sceglierebbero d’essere ciò che sono ora invece di non essere nulla.” Arrivare a dire che i tori da corrida esistono in quanto esiste la corrida non è affermazione molto brillante. Sembrerebbe che la forma logica di una proposizione di questo genere sconfini negli esercizi da manicomio. In realtà non è così. Essa serve per creare l'angoscia in un ascoltatore che si trova già preparato dalle catastrofiche affermazioni della TV circa l'estinzione di specie animali. Quante volte si sente dire in qualche trasmissione documentaristica: “La tale specie è vissuta nel nostro pianeta da x milioni di anni e ora la sua esistenza sta per concludersi inesorabilmente per la pressione che l’uomo esercita presso i confini delle aree ristrette in cui la specie ancora permane.” Ogni specie che se ne va è una perdita per tutta la biosfera, non vi sono dubbi. Ma che una razza – non una specie – selezionata dall’uomo scompaia è così drammatico? E se sì, per chi lo è? Potrà esserlo per chi decide che la corrida è una forma artistica e culturale per lui irrinunciabile, non certo per l’animale al quale si vuol far dire che sì, la sua vita è meravigliosa perché a lungo intrattenuta in splendidi pascoli e trattamenti da re. E per far questo si ricorre all’unica parola capace di seminare il terrore esistenziale nell’uomo: “essere nulla”! Ma, fatta eccezione dell’uomo, l’ente sensibile se ne infischia di essere o di non essere. Questo può essere il problema di Amleto, non certo di un essere al quale, comunque, nell’ultima fase della sua esistenza si fanno pagare con gli interessi tutti i “trattamenti principeschi” offertigli in precedenza. L’amore per la vita non è neanche propria di tutti gli umani, per quale ragione dovrebbe essere attribuita ai tori da corrida? d) Dileggio delle posizioni che si vogliono combattere “...se bisogna mettere un punto fermo alla violenza inflitta dagli esseri umani al mondo animale [...] bisognerà farlo in modo definitivo e integrale, senza eccezioni, sacrificando [...] persino alle campagne per eliminare certe specie d’insetti e animali nocivi (che colpa ha l’anofele femmina se trasmette la malaria, il topo la peste bubbonica e il pipistrello la rabbia? Si abbattono, forse, le persone ammalate di Aids, di sifilide o di malattie polmonari contagiose?) in modo che il pianeta raggiunga quell’utopica perfezione in cui uomini e animali godano d’uguali diritti e privilegi.” Il richiamo alle persone ammalate di Aids o ad altre malattie infettive rappresenta un perfido artificio dialettico la cui funzione non passa inosservata neanche agli occhi più distratti. Poiché le persone non si abbattono, non bisogna abbattere nemmeno i terribili portatori di pandemie che periodicamente falcidiano l’umanità. Questo modo di porre le questioni è assai furbesco e, riteniamo, disonesto. Esso infatti tende a strappare il facile plauso di un ipotetico ascoltatore neutrale costringendo l’animalista a scoprire le sue carte o ad apparire in contraddizione con le sue stesse tesi. Tutto un sistema articolato di approfondimenti viene liquidato con una battuata che prosegue successivamente con l’implicita accusa all’ipotetico interlocutore di essere un acchiappasogni (in modo che il pianeta raggiunga quell’utopica perfezione in cui uomini e animali godano d’uguali diritti e privilegi). Notevole, non c’è che dire. Coloro che sollecitano discussioni di questo tenore sono proprio i primi, poi, a rifiutarle per la complessa disciplina razionale che esse impongono e che loro non sono minimamente in grado di padroneggiare, ma intanto servono per mettere nell’angolo l’animalista che non può certo spostare i termini della questione rispetto alla semplicissima considerazione che un toro non deve essere ammazzato tra atroci torture per il divertimento sia pure “estetizzante” (...ma che vorrà poi dire...) di platee di turisti e “aficionados”. Non poteva mancare, poi, la ricorrente battuta atta a strappare il plauso degli ignoranti che ruota sempre intorno al teorema “pesce grosso mangia pesce piccolo” o “mors tua, vita mea”. ...Anche se, è chiaro, non di uguali doveri perché nessuno potrà far capire a una tigre affamata o a un serpente di malumore che è vietato, dalla morale e dalla legge, mangiarsi un bipede o fulminarlo con un morso. Come sempre si cerca il consenso del proprio comportamento nelle leggi di natura e si prende come riferimento la ferinità dei carnivori. Come rispondere a coloro che la gettano sul “divertente” per evitare un confronto serio? Forse il modo migliore, per quanto inutile, consiste nella seguente osservazione arguta di un animalista brillante: Ti ispiri alla legge di natura o ad una legge di civiltà? A naso a me pare che ti ispiri alla legge di natura quando sei dalla parte del più forte, e a quella di civiltà quando al contrario ti troveresti in posizione di debolezza. e) Stravolgimento di dati scientifici “E’ vero che nei paesi anglosassoni, e specialmente in Inghilterra, si conducono periodiche campagne contro la caccia alla volpe che prevede lo sventramento di migliaia di capi durante la stagione venatoria, per il solo piacere del cacciatore d’uccidere a colpi di fucile un animale della cui carne egli non si nutre e con la cui pelle non si copre. Ma è certo che se la sua riproduzione non fosse, in qualche modo, contenuta entro certi limiti finirebbe col determinare vere catastrofi ecologiche. [...] ... se bisogna mettere un punto fermo alla violenza inflitta dagli esseri umani al mondo animale per cibarsi, vestirsi, divertirsi - ideale perfettamente legittimo e senza dubbi sano e generoso anche se con conseguenze spaventose - bisognerà farlo in modo definitivo e integrale” Giungiamo infine al clou della distruzione della razionalità. Finora, lo ammettiamo, le questioni sono state poste sul piano dei “valori”, ovvero di quell’ambito che può non prestarsi a incontri per la differenza che ognuno può dare alla propria visione del mondo, anche se, da perfetti inguaribili “integralisti”, riteniamo che tentare di allargare i confini dell’etica abbia maggiore “valore” che mantenerla ristretta. Ma con questo quinto punto entriamo all’interno di aspetti descrittivi facilmente inquadrabili nella dicotomia vero/falso. E non c’è niente di più repellente di una proposizione analitica falsa data per vera. I passi che interessano sono ben nascosti dentro strutture generiche che hanno il pregio di attirare l’attenzione alleggerendola, appunto, dai passi incriminati i quali scivolano nell’inconscio del lettore, pronti per essere ripetuti all’infinito. Il primo passo è quello in cui si dice che se la riproduzione della volpe non fosse “contenuta” finirebbe per determinare “catastrofi ecologiche”. Poi, in modo ancora più criptico, si segnala che l’instaurazione di un mondo ideale e civile comporterebbe “conseguenze spaventose”. E sicuramente si intende: “conseguenze ecologiche spaventose”. Ora non si comprende come facesse il mondo a sopportare la pressione delle volpi quando l’umanità ancora muoveva i primi passi su questa terra e si cibava di frutti e tuberi. Ma poi è possibile attribuire conseguenze spaventose a una natura lasciata a sé stessa nelle poche aree che ancora controlla, quando l’umanità ha superato il livello di guardia ed è essa stessa la fonte principale di ogni conseguenza spaventosa che si manifesta nel mondo? Le volpi o i lupi sono la causa della distruzione dell’Irak? E’ la natura lasciata a sé stessa che ha prodotto radioattività, effetto serra, desertificazioni e salinizzazione dei suoli? Non sarà invece una specie che si è riprodotta oltre la possibilità di sostenibilità della terra a produrre quelle catastrofi che giorno dopo giorno ci ricordano l’apocalisse? E ritornando alla questione animale: non sarà – come così splendidamente descritto da Jeremy Rifkin – la pazzia degli allevamenti intensivi a costituire un inammissibile pericolo per la stabilità della vita del pianeta? Gli animalisti, possedendo una cultura materialista e evoluzionista sanno che la Natura non ammette paradisi in terra. Lungi da loro, quindi, immaginare una condizione idilliaca in cui i leoni pascolino con i bambini e mangino erba. Queste fole sono propagandate altrove. A loro basta molto meno. Che una specie che dice di essere l’unico ente morale dell’universo incominci finalmente a esserlo. Ma difficilmente ciò potrà accadere finché una parte della specie umana che ancora si distingue per acume, capacità di ragionamento, sensibilità non riuscirà a sgaciarsi dall’ipocrisia che ancora è presente in espressioni come quelle che seguono. “Sino a che non si concretizzi quest’utopia continuerò a difendere le corride per la bellezza e l’emozione che possono trasmettere, senza, ovviamente, sforzarmi di trascinare a vederle chi le rifiuti perché l’annoiano o perché gli ripugna la violenza e il sangue che scorrono durante lo spettacolo. Anche a me ripugnano, visto che sono una persona piuttosto pacifica. E credo che ciò accada pure alla stragrande maggioranza degli «aficionados».”
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Data: 21/05/04 |
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