Vis Polemica |
Animalisti e animalai |
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Una carissima amica che ha sottratto tempo, denari, soddisfazioni alla sua valorosa esistenza per dedicarsi ai senza parola – attività che tenacemente continua in perfetto silenzio – mi ha recentemente fornito con mirabile arguzia una formidabile chiave interpretativa per riflettere sull’attuale condizione di difficoltà in cui l’Animalismo si trova impantanato. Tale chiave andrebbe individuata nella distinzione tra due categorie – la prima nobile, la seconda un po’ meno – che, per quanto distinte, tendono a essere confuse. Peggio: fuse. Così la seconda, quella meno nobile, innestandosi come un parassita sulla prima, tende a spegnerne gli effetti. Sono le categorie dell’ “animalista” e dell’ “animalaio”. Ho chiesto lumi, ma lei mi ha detto che avevo il quoziente di intelligenza necessaria per arrivare a puntualizzare la distinzione. Poiché sono, sì, normale, ma rasento la soglia bassa, ho impiegato un certo tempo per giungere a una conclusione e, forse, l’ho raggiunta per caso. Stavo vedendo svogliatamente la TV. Ogni tanto capita che l’arnese mi irretisca. C’era una trasmissione sugli animali, di quelle che con l’incantevole garbo della conduttrice, conduceva in terre lontane per descrivere lo splendido mistero della natura attraverso la dialettica della vita e della morte. Documentari, insomma. Ho sempre avuto un rapporto ambiguo con i documentari. Mi piacciono, che devo dire! Nello stesso tempo colgo la sottile ambiguità di questa forma di comunicazione per una ragione assai semplice. L’ha spiegata bene uno del nostro collettivo con parole che voglio ripetere senza modifiche: …Si può obiettare che senza la produzione documentaristica non conosceremmo tante bellissime storie vere scritte da studiosi capaci di osservare fatti e relazioni con grande acutezza e capacità descrittiva. Tuttavia il "documentario" ha un fondo di ambiguità; come sono ambigui quei progetti scolastici che portano gli studenti a 'studiare' l'aborigeno australiano in loco e intanto contribuiscono, proprio con la conoscenza, a demolire culture. Perché spesso, sotto l'etichetta della 'conoscenza' antropologica o etologica, non si trova altro che la curiosità morbosa di invadere territori vergini dotati (o privi) di quegli aspetti che la stessa conoscenza ha distrutto (o prodotto) nel territorio di origine del conoscitore. Del resto, una sbornia collettiva del nostro tempo attribuisce alla cultura del viaggio e dell'incontro con l'altro' una ricchezza di relazione che favorirebbe entrambe le parti. Resta il fatto irrefutabile che mentre questa tendenza si afferma, le culture altre svaniscono (al massimo si trasformano in subculture dell'unica rimasta). Così come, sempre più spesso, si ascoltano tristi conclusioni sulla prossima scomparsa di specie di animali esotici proprio mentre i documentari su di essi conoscono la loro perfezione tecnica. (KMS) Proprio a questo riflettevo mentre scorrevano le immagini sotto i miei occhi. E pensavo come il radicalismo di KMS fosse eccessivo, estremo, esagerato. Ma ecco che finito un filmato sugli elefanti, la conduttrice apre un’intervista a un protagonista della ricerca la cui immagine appare sul muro dello studio; potenza degli effetti speciali! Nasce uno scambio ricco di stupende informazioni: si scopre che se qualcuno si avvicina all’elefantino di una mamma elefantessa selvatica rischia di essere travolto. Ma no! Davvero? E poi una notizia di gran rilievo: se volete scacciare un elefante che malauguratamente entra nel vostro giardino, tirategli un uovo. E’ una sostanza che provoca il suo ribrezzo e lo mette in fuga. La conduttrice allora riassume: se vi trovate nella savana, mi raccomando, non avvicinatevi agli elefantini; ma se vi trovaste in difficoltà, tirategli un uovo, lo metterete in fuga. Segue risatina ebete. In quel momento l’obbligo di ritrattare mi prorompe nell’intimo! Quanto ha ragione KMS! Splendida la sua analisi ed ecco la conferma: chissà quanta gente avrà pensato, dietro la stimolazione mediatica, di passare una bella vacanza nel parco africano! Che emozione farsi disfare il fuoristrada dal pachiderma o tirargli un uovo se entra nel giardino dell’appartamento del villaggio-vacanze. Lo giuro. Ho smesso di ascoltare sistematicamente le stupidaggini di “Riccioli d’oro”, vegetariana della domenica. Ma circostanze particolari han fatto sì che il piccolo schermo mi riproponesse, ogni tanto, le sue splendide elucubrazioni. Così ho scoperto che, in tandem con un altro personaggio sedicente animalista anche lui, invitasse a mangiare bovini di allevamenti estensivi, galline razzolanti, pesci cotti in modo ecologico risparminando energia e usando il calore dei vulcani. Una fantasmagoria di consigli tipica di una vera vegetariana. Ed ecco l’illuminazione, la scoperta della vera natura dell’animalaio. Ora so a chi corrisponde – mi sono detto. L’animalaio è colui che spesso, dietro un atteggiamento lezioso, con la scusa di avvicinare l’uomo alla vera natura degli animali in realtà produce danni incalcolabili promuovendo una insana curiosità che si traduce in una innaturale crescita di un desiderio malsano di vedere, toccare, sperimentare, ficcare il naso. Quando questo atteggiamento incontra l’animale, allora nasce l’animalaio! Si può obiettare che l’effetto di una battuta non consente poi tanti danni. Ma l’animalaio non si limita a una battuta. Costruisce tutta la sua attività intorno all’animale: fonda sé stesso intorno alla sua vittima inconsapevole. Del resto se lo stramaledetto commercio di esotici conosce un boom senza eguali, se sempre più poveri imbecilli si portano in casa serpenti, iguane e quant’altro si possa immaginare, non sarà anche per la porta che il documentario apre dentro la nostra psiche? Perché diavolo l’animalaia non parla di lupi italiani (quelli veri), aquile nostrane, barbagianni o passeri? Perché quegli esotismi che contribuiscono a indurre trasferimenti di deficienti in Africa o animali africani in Europa? Ma a pensarci bene, anche se il documentario parlasse di passeri il danno sarebbe uguale: la mania di passeri esploderebbe. Perché ormai non è possibile parlare di nulla senza che nasca nell’uditore la fottutissima necessità di “possedere” e la vittima in quel caso sarebbe il passero. Si parla di elefanti e non di passeri – per quanto il valore intrinseco del passero equivalga quello dell’elefante – solo perché l’esotico promuove più interesse. Ma questa è solo la prova che lo sguardo non è più di “meraviglia” – perché di meraviglia si potrebbe morire anche guardando tutto ciò che ci circonda – ma di mero e volgarissimo desiderio di assorbire in sé qualsiasi cosa, anziché di farsi assorbire dalle semplice considerazione che l’uomo è "natura" ed esprime il meglio di sé quando sta fermo, guarda e dimentica sé stesso. L’animalaio è colui che svolge il ruolo mediatico a lui richiesto tramite appunto l’animale. Ben altra cosa fa l’animalista che si ricorda dell’animale solo quando vede un essere indifeso minacciato dall’uomo e si attiva per rimediare alla bastardaggine del suo conspecifico. L’animalista, in tutti gli altri casi, si dimentica degli animali, oppure li ammira quando si fonde nella bellezza della natura senza sentire il bisogno di parlarne con qualcuno. Chi invece, con l’intento di aumentare la sensibilità dell’animale umano verso gli animali non umani (passeri o elefanti che siano) filma questi ultimi e ci ricama sopra le sue trovate non produce per loro un buon servizio. Non varrebbe la pena di insistere, giacché il gioco è disvelato. Ma a ben vedere si potrebbe estenderlo un poco e osservare che strani atteggiamenti nascono anche dove uno non penserebbe di trovarli. Ora che tu sai, o lettore, la differenza, ora che possiedi il modello dell’una e dell’altra categoria fai un utile esercizio. Guarda dentro l’associazione animalista che frequenti e passa in rassegna coloro che contano. Cerca chi ha assestato il culo su una situazione consolidata. Cerca chi, prima di decidere se un’azione va fatta, ha un momento di incertezza per valutare gli effetti che quella azione può ingenerare non nell’obiettivo, ma nel suo futuro. Allora avrai trovato colui che vive di riflesso della condizione animale. Avrai trovato stranamente, dentro una associazione animalista, un ANIMALAIO.
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Data: 01/12/03 |
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