Vis Polemica |
Blair, scienza, sinistra e animali |
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Bello l'articolo di Pietro Greco riportato sull'Unità di lunedì 28/5/02 dal titolo: Blair, scienza e sinistra, uno splendido esempio di giornalismo obiettivo!
Pietro Greco, una specie di Piero Angela ospitato da lunga data sul giornale della sinistra, riprende, per sostenerla, una rabbiosa reazione di Blair contro le azioni/pressioni che gli animalisti inglesi esercitano verso la comunità scientifica inglese.
Lo scopo dell'articolo è semplice. Dimostrare che l'Europa corre il rischio di una sconfitta sulla scena della competizione scientifica internazionale se continueranno le azioni di animalisti e ambientalisti. L'autore non va molto per il sottile. Unifica, da buon divulgatore, animalismo e ambientalismo non riuscendo a sospettare che le istanze dei due orientamenti siano completamente differenti.
Non che debbano essere viste come separate, né tantomeno contrapposte. Anzi, è probabile che prima o poi emerga una teoria unificata dei diritti del vivente già intuita, ma ancora inespressa. Ma è evidente che ambientalismo e animalismo non sono orientamenti coincidenti né, tanto meno, sinonimi. Mischiare le carte non significa fare un buon servizio giornalistico. Per quanto ci riguarda, con questa nota non vogliamo indagare l'aspetto relativo agli OGM, pur sempre non liquidabile con la leggerezza che il divulgatore mostra di possedere, ma quello relativo alla tortura sugli animali che viene compiuta dentro i laboratori e che gli animalisti inglesi contrastano con una vivacità unica al mondo.
Ebbene, i personaggi come Pietro Greco devono comprendere che seguendo la strada della demonizzazione dell'avversario senza presentare al lettore uno straccio di motivazioni opposte, significa appiattirsi sulle posizioni del Potere, perdere il crisma del giornalismo obiettivo, correre il rischio di assumere quello poco onorevole del pennivendolo.
L'esordio non lascia scampo: il "vento irrazionalista", prima ancora che essere attribuito alle dichiarazioni del grande Tony, viene assunto come assioma. Secondo il Nostro, le azioni degli animalisti inglesi sono pericolose per tre motivi:
Questa enumerazione di motivi non onora l'epistemologo che a un discutibile primo punto ne aggiunge due che non stanno in piedi: esprime insensate preoccupazioni per l'animalismo serio (sarebbe bello sapere cosa intende l'articolista per "serio") e ingenera vacue tautologie. Tuttavia, l'aspetto più sostanzioso è quello che segue. Pietro Greco si abbandona a un aggettivo che poprio non riusciamo a sopportare: la rabbia di Blair sarebbe "lucida e salutare" e andrebbe "oltre il problema pur serio di un estremismo reazionario reazionario, ecco l'aggettivo - che si ammanta di verde". Ciò coinvolgerebbe e rischierebbe di influenzare la libertà di ricerca in alcuni laboratori biomedici e di indebolire "la competitività culturale (sic, sic!) e quindi economica" dell'Europa.
Intorno a queste poche righe possiamo sviluppare il nostro semplice ragionamento. Dunque gli animalisti inglesi sarebbero reazionari perché non sopportano la creazione di oncotopi, squartamenti di mammiferi, somministrazioni di sostanze distruttive in esseri senza scampo chiamati in vita per essere torturati.
Non sappiamo come Pietro Greco giudicherebbe una analoga sperimentazione su esseri umani ridotti in schiavitù, per ottenere vantaggi per un'altra parte della popolazione mondiale inesorabilmente più forte. Possiamo tuttavia immaginare che egli, di fronte a torturatori di umani, esprimerebbe una reazione di grande ribellione civile spinto da quella acquisita sensibilità democratica e universalista di cui pare disponga. Invece, a fronte di torture su topi, cani, gatti, conigli, il suo afflato di sensibilità si affloscia. Non pago di questo, si esprime poi molto chiaramente su coloro che non riescono a accettare violenze su esseri non umani i quali ricadrebbero dentro la categoria dell'irrazionalismo reazionario.
Ora, PG ammetterà l'esistenza di una situazione a prima vista paradossale: viene dichiarato "reazionario" chi, in questo caso, si presenta come un acceso sostenitore dell'allargamento dell'Etica, del sentimento della compassione, dell'espansione dei diritti di tutti gli esseri a veder riconosciute le proprie specificità intrinseche. Di converso, democratico sarebbe colui che riserva tutto questo alla semplice comunità umana. Questo concetto di democrazia ci porta il pensiero alla antica Atene in cui il termine veniva applicato a una stretta minoranza di esseri che prevaricava tutti gli altri umani ridotti in schiavi.
Comprendiamo bene che PG può effettuare una petizione di principio e stabilire, per mezzo del suo bagaglio antropocentrico, che i concetti di diritto, compassione, solidarietà ecc. si applicano soltanto al mondo umano, ma dovrebbe essere in grado di comprendere che, a questo punto, la categoria di "irrazionalismo reazionario", se può essere regalata agli animalisti "poco seri", può altrettanto facilmente essere rispedita al mittente visto che, così come è usata, perde la sua connotazione oggettiva.
Triste situazione: cosa accade quando la base oggettiva del linguaggio tende a dissolversi? Proprio allora accade che si fronteggino visioni del mondo inconciliabili! E cosa implicano le visioni del mondo inconciliabili quando si manifestano presso la stessa comunità investendo aspetti considerati fondativi da entrambe le parti? Implicano il rischio che le botte diventino il naturale metodo di confronto, andando ben oltre le attuali manifestazioni di intolleranza.
Qui ci si potrebbe fermare adottando il tipico stile vigente dentro l'animalismo attuale che consiste nel controbattere rimanendo dentro l'angusto terreno del rispetto animale. Adottando cioè una posizione di difesa. Ma l'articolo di PG permette ulteriori proficue digressioni seppure, naturalmente, non approfondibili in questa sede oltre un certo livello.
La violenza sugli animali suggerita con espressioni del tipo "libertà di ricerca" nei laboratori, ma pavidamente mai pronunciata, viene posta in relazione con una serie di assunti logicamente sconnessi! Il primo? Eccolo:
"Il vento irrazionalista è intrinsecamente reazionario: se si attacca la scienza, si attacca la democrazia".
Ora vorremmo sapere cosa c'entra la scienza con la democrazia. La democrazia è (o dovrebbe essere) l'allargamento dei processi decisionali che coinvolgono gli interessi dei cittadini intesi come soggetti capaci di compiere scelte eticamente fondate. Questo modello è decisamente in crisi in tutto il mondo per via della cosiddetta "società complessa" o "sistemica"; a causa di una divisione del lavoro e dei ruoli molto spinta, è difficile praticarlo. L'ambiente scientifico è parte del sistema, ma è proprio quello in cui la separatezza rispetto agli altri sottosistemi sociali è più pronunciato. La scienza, sia che si sviluppi dentro i laboratori delle multinazionali, sia che alligni nelle istituzioni pubbliche, è, con tutte le sue sfumature, quanto di meno democratico esista. Non sono democratici i suoi metodi di reclutamento; non sono democratici i suoi tipici processi autoreferenziali, non sono democratiche le sue produzioni le quali, per essere accettate, richiedono il massaggio quotidiano di milioni di cervelli condizionati. Del resto lo scopo della scienza non è recondito. E il primo a cogliere con chiarezza la sua funzione fondamentale è proprio il nostro commentatore:
Il vento irrazionalista "mette in pericolo l'dea forte su cui occorre costruire l'Europa del futuro e la sua competitività culturale [nota: chissà cosa vorrà mai dire " competitività culturale"] e, quindi, economica". Poco dopo: "Se l'Europa rinuncia al progetto di acquisire la leaderschip scientifica e di costruire la società della conoscenza allora aumenta non solo il rischio che diventi una colonia tecnologica dell'America e dell'Asia "
Ecco! La scienza diventa parte essenziale di un gioco al massacro a livello planetario in cui lo sforzo continuo per la "competitività", nel tentativo ossessivo di un superamento dell'avversario, sottrae all'umanità l'attenzione verso fini razionali e eticamente fondati e induce una micidiale coazione a ripetere che travolge gli esseri, gli ambienti, la biosfera tutta.
Come pensare che all'interno di questo dinamismo orientato unicamente a riprodurre sé stesso vi sia attenzione per un oncotopo quando la furia distruttiva che mescola i fattori produttivi della tecnologia, dell'interesse capitalistico, e della conoscenza mette a soqquadro tutti i continenti in nome della concorrenza? E' impossibile - e gli animalisti veramente seri lo sanno - curare gli effetti senza eliminare le cause che li generano a ripetizione.
Parimenti, gli animalisti rifiutano l'artificio dialettico che furbescamente viene estratto da decenni in molteplici varianti dal cilindro dei prestidigitatori della parola: "Questo progetto è quindi minacciato ogni volta che la critica, legittima e doverosa sulle singole applicazioni delle conoscenze scientifiche (sic!) diventa un attacco alla libertà di ricerca e/o al valore culturale e sociale dell'attività scientifica".
Un artificio maldestro che permette di separare le responsabilità dello scienziato da tutte le iniziative che traggono ragione dalle sue ricerche. Gli animalisti potrebbero chiedere a PG come mai si è persa la traccia di quei suoi colleghi che hanno "scientificamente stabilito" che i bovini avrebbero potuto mangiare anche la merda gettando i presupposti per la BSE; svolga le sue indagini, PG, dentro le università e vediamo se riesce a trovarne uno. E questo non è un caso isolato. E' la norma, giacché la storia della scienza tracima di errori di questo genere. Errori prodotti dall'arroganza con la quale gli apprendisti stregoni, allettati da un potere politico che li vezzeggia e da un potere economico che vizia, operano ormai incontrollati, incontrollabili e del tutto privi di senso di responsabilità.
Concludiamo: noi, come animalisti, non ci riteniamo né irrazionalisti né reazionari. Ci consideriamo abbondantemente razionali e, inoltre, la nostra opzione di solidarietà con il vivente ci induce a rifletterci come la punta avanzata del progressismo e dell'umanesimo. E poi ci sentiamo di ritorcere. Reazionari e irrazionali sono coloro che intrattengono una pertinace relazione con atti di malaffare e insistono con forza su opzioni perdenti nonostante la storia non si stanchi di dimostrare quotidianamente la devastazione che certi atti, pure istituzionalizzati, producono.
Né basta il richiamo finale alle tutele dei lavoratori europei per caratterizzare a "sinistra" il proprio intervento, dimentichi che, se il richiamo alle tutele deve essere fatto, si dovrebbe parlare di lavoratori senza aggettivi geografici. Ma allora sarebbe automatico l'abbandono del concetto di competizione economica. Questo sì, di natura intrinsecamente reazionaria.
karlmarxstraße
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Data: 07/06/02 |
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