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Il Parlamento-mattatoio, la dittatura venatoria e quei morti di cui non si deve parlare |
di Filippo Schillaci |
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Ammetto di scrivere accompagnato da una ferrea indignazione. In una condizione cioé in cui non si dovrebbe, perché si rischia di eccedere, di mancare di equilibrio, di non osservare con la dovuta equidistanza i fatti. Correrò il rischio. Perché quel che sta accadendo in queste settimane supera ogni limite non dico di civiltà ma già solo di decenza e accettabilità, rappresenta un insulto sfrenato non solo a 50 anni di lotte ambientaliste ma alla dignità e ai diritti della stessa collettività umana. Chi credeva che la recente legge sulle deroghe rappresentasse il raggiungimento del massimo grado di anarchia venatoria si sbagliava: quell’inqualificabile impresa appare una semplice leggina di poco conto di fronte allo smantellamento della legge 157/92 che si prospetta grazie a ben 9 proposte di legge presentate lo scorso 4 dicembre e il cui scopo è dare assoluta libertà armata e altrettanto assoluta impunità alle centinaia di migliaia di individui cui già oggi il possesso della cosiddetta licenza di caccia conferisce diritti sconosciuti a ogni altro cittadino della Repubblica. Ecco quali sono i connotati della dittatura venatoria prossima ventura secondo le nuove proposte di legge (1). Innanzi tutto, dell’organismo di gestione dei Comprensori Provinciali di Caccia (le entità che dovrebbero sostituire gli attuali Ambiti Territoriali di Caccia) faranno parte «un rappresentante per ognuna delle associazioni venatorie presenti sul territorio, due rappresentanti degli agricoltori e un rappresentante per la totalità delle associazioni ambientaliste». Tutto all’insegna della "parità" insomma. Almeno il 75% del territorio di ciascuna provincia dovrà essere obbligatoriamente reso disponibile al tiro delle armi da fuoco, maneggiate con la "maestria" di cui daremo più sotto qualche esempio, con in più la novità che nel computo del rimanente 25%, quello teoricamente immune, rientrano non più soltanto le aree protette, le zone di ripopolamento, ma anche i centri urbani, le strade, i fondi chiusi, il pollaio dei miei vicini di casa... e sarà consentito cacciare perfino nelle foreste demaniali. E la violazione del diritto alla proprietà privata? Ovvero il diritto individuale del soggetto armato denominato "cacciatore" di entrare e mettersi a sparare a suo piacimento sul mio, sul tuo terreno fregandosene della mia, tua volontà? Ben lungi dall’essere abrogato in sintonia con la recente sentenza della Corte di Strasburgo, viene addirittura potenziato diventando «esercizio di facoltà connessa ad una attività programmata dall’amministrazione pubblica». Programmata senza dubbio, ma non certo per fini di pubblica utilità, gli unici fini per i quali, in tutto ciò che non sia la caccia, è previsto un limite al diritto di proprietà. La mattanza venatoria e il conseguente pericolo di essere massacrati a fucilate anche per gli esseri umani non sarà più estesa da settembre a gennaio ma da agosto a febbraio. Le sparatorie cioé cominceranno in piena stagione turistica e finiranno alle soglie della primavera. E poiché per maneggiare un fucile in luoghi pubblici e in mezzo alla gente non è poi necessaria una grande abilità, «le prove d’esame per l’abilitazione venatoria sono ridotte da cinque a una». Sparisce lo sgradevole concetto di "vittime della caccia" e «il Fondo per le vittime della caccia diventa un fondo di garanzia». E sparisce anche ogni reato penale connesso alla caccia. Tutti i reati diventano amministrativi. Sparare sulla vostra casa sarà come parcheggiare in divieto di sosta. In poche parole, questa nuova "impresa" legislativa che garantirà ai già oggi fin troppo impuniti cacciatori, l’impunità definitiva e totale, farà sì che le battute di caccia abbiano agio di diventare, ove già non siano, delle vere e proprie scorrerie, senza che i responsabili subiscano rimarchevoli sanzioni, prevede l’asservimento, la sudditanza di fatto dell’intera popolazione che vive, lavora, transita fuori dai centri urbani alle "esigenze" (cioé all’arbitrio e all’invadenza armata) dei cosiddetti cacciatori. Quanto al presente, la home page del sito web Gondrano, su cui andiamo registrando, mese dopo mese, il progredire della carneficina, è ormai un cimitero di morti ammazzati. E poco m’importa che la maggior parte di essi siano a loro volta cacciatori. Questo dovrebbe essere un dato confortante? Rassicurante? Quanto di conforto e sicurezza può venire dal sapere che questi individui cui il parlamento si appresta a dare piena potestà armata su almeno il 75% del territorio nazionale sono così maldestri nell’uso delle armi da ammazzarsi perfino fra di loro? In una intervista rilasciata alcuni mesi fa a un quotidiano un guardacaccia diceva: «In passato si andava a caccia con i vestiti smessi e l'immancabile cappello da alpino: oggi i cacciatori hanno abiti e attrezzature di alto livello, che li rende in qualche modo più professionali» (L’Eco di Bergamo, 14 marzo 2002). Strano concetto di "professionalità" questo. Io ero sempre stato convinto che la professionalità consistesse nel possesso di precise conoscenze, non nello sfoggiare tute mimetiche ultimo modello della moda di Bagdad anziché abiti smessi. E diamo allora ancora una volta un’occhiata all’operato di questi "professionisti" del libero sparo. Questa stagione c’è chi l’ha "professionalmente" inaugurata sparando in faccia a un bambino, qualcun altro ha dato prova della sua "professionalità" ammazzando il fratello fortuitamente scambiato per un fagiano (perché se qualcuno si muove dietro un cespuglio non può che essere un fagiano), un altro "professionista", uscito per una battuta di caccia il martedì (giorno di silenzio venatorio) molto "professionalmente" si è sparato in una gamba che altri professionisti (non del fucile ma del bisturi) hanno poi saggiamente provveduto ad amputargli. Un altro ancora, con indubbia mira da "professionista", ha centrato con una fucilata la finestra di una abitazione, ma professionista fino in fondo costui non doveva esserlo poiché ha mancato, sia pur di poco, coloro che vi si trovavano all’interno. Niente paura: farà meglio la prossima volta. E così via: sono 128 i casi di questo genere censiti dalla LAC fino al 30 novembre di quest’anno. E abbiamo ancora un mese e mezzo di sparatorie davanti a noi. E quante sono le persone che, in ogni parte d’Italia, vivono in una atmosfera di paura, assediate dalle fucilate in casa loro? Dubito che qualcuno si sia mai preso la briga di contarle. E dall’altra parte? A fronte di un parlamento ormai sempre piú simile a un mattatoio, per il quale non c’è proposta di legge meritevole d’essere ben accolta che non abbia come scopo rendere sempre più simile questo mondo a un deserto, abbiamo un arcipelago di Associazioni Protezioniste per le quali tutti questi morti sembrano non esistere, anzi non devono esistere. A commento delle ferali novità del 4 dicembre la Verde Zanella si limita a elencare i danni che verranno alla fauna e a esecrare in questa proposta di legge il «tentativo di smantellare i risultati di buon senso raggiunti in anni di faticoso lavoro tra Verdi, associazioni ambientaliste e cacciatori» (2). E cacciatori? Andiamo avanti: Legambiente rilascia addirittura una dichiarazione congiunta con Arcicaccia, nella quale si difende l’attuale normativa, quella normativa, si badi bene sotto il cui regime sono accaduti e accadono i fatti sopra elencati. Tace su quei morti la LAV a nome della quale Ennio Bonfanti non trova di meglio che rivolgere un incredibile, patetico, imbarazzante perfino, appello niente meno che a Silvio Berlusconi «perché fermi i suoi parlamentari autori di queste proposte per il massacro degli animali». A Berlusconi, il primo firmatario, se non ricordo male, della famigerata legge sulle deroghe venatorie. Il WWF infine per bocca di Maurizio Santoloci chiede che «il dibattito muova da dati sostanziali e oggettivi». Quali? Lo stesso Santoloci li elenca: «l’incidenza dell’attività venatoria sui sistemi naturali, il mai sopito fenomeno del bracconaggio, il perdurare di pratiche illegali quali gli archetti, i richiami e le uccellagioni e le possibilità di applicazione che con la normativa vigente ci possono essere per gli abbattimenti selettivi anche all’interno di aree protette, i danni prodotti alle cose e alle persone». «I danni alle cose e alle persone», eccoli qui finalmente citati, ma appena timidamente, fanalino di coda in fondo a un lungo elenco di tutt’altre cose. La popolazione delle campagne dunque per ambientalisti e animalisti sembra non esistere, le conseguenze che su di essa avrà quanto sta accadendo in questi mesi in tema di mattanza venatoria sono del tutto o quasi ignorate. Perché dunque di tutto ciò non si deve parlare? Perché esiste presso le Associazioni (come presso i DS e i partiti filocaccia tutti) la precisa volontà di non affrontare quello che sarebbe senza dubbio l’argomento più efficace contro la caccia, quello che più d’ogni altro può muovere l’interesse dell’opinione pubblica contro di essa? E’ una domanda incredibile, sconcertante e per ora, per quanto mi riguarda, senza risposta. Rimangono, a fronteggiare un tale silenzio, i fatti in forma di proposte di legge che seguono con efficacia immancabile il loro iter e vengono vomitate su questo spiritato Paese ormai a getto continuo da un parlamento (?) che senza dubbio sa, esso sì, il fatto suo, un parlamento di fronte al cui ultimo concepimento - un insulto sfrenato, dicevo in apertura, buttato in faccia alla civiltà, all’ambiente, ai lavoratori delle campagne, agli operatori turistici, alla gente, alla biosfera tutta - se, come ho ammesso e ripeto, non sarò stato del tutto equilibrato e obiettivo, non so d’altra parte cosa possa ormai significare esserlo. Ho scritto dunque accompagnato da una ferrea indignazione? Sì, certo. Ferrea e sacrosanta, maledizione!
Filippo Schillaci,
(1) Dati
ricavati da un comunicato di Danilo Selvaggi, Responsabile
Rapporti Istituzionali della LIPU. I documenti sopra citati sono raccolti nella pagina Il parlamento degli orrori nel sito web Gondrano. Questo articolo è presente anche su Promiseland.
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Data: 31/01/03 |
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