Animali di affezione

Sei personaggi immersi in errore

A cura del
Collettivo



 

Il Randagismo? Quando si discute come arginarlo possono comparire fino a sei personaggi con altrettante ricette. Sono portatori di posizioni che, considerate singolarmente, sono senz'altro errate. Ma anche se fossero coordinate in un'unica strategia non potrebbero sottrarsi a due critiche fondamentali.

Dopo la presentazione porremo le due obiezioni. Sarebbe splendido se il lettore giungesse a leggerle avendole già maturate.

1. Posizione volontarista - idealista

Il personaggio che si ritrova in questa posizione non registra le incongruenze o le assurdità delle leggi esistenti (in particolare la l.n.281/91), ma ne considera le potenzialità non adeguatamente sfruttate. Perciò egli insisterà presso le istituzioni affinché ogni comune della sua regione si adegui alla legge costruendo un canile proprio o consorziandosi con altri comuni. Se è un esponente in vista dell'associazione, passerà molto del suo tempo a coinvolgere assessori e sindaci convinti che occuparsi di cani e finanziare canili sia il modo migliore per cancellare le possibilità di rielezione. Si rivolgerà alla Regione dove troverà degli uomini pubblici intenti a falsificare i dati del randagismo per eccesso (per ottenere più finanziamenti dallo Stato) o per difetto (per rimarcare l'efficienza dei servizi), ma alla richiesta pressante di interventi specifici di educazione, di gestione, di vigilanza, non otterrà risultati, ma solo risposte dilatorie. Si arrabbierà perché i vigili non comminano multe ai proprietari degli animali privi di tatuaggio e non capirà la sostanziale cecità dei sindaci riguardo ai problemi sanitari, ambientali e di sicurezza che sono il corteo naturale che accompagna i mali del randagio. Nonostante le difficoltà si prodigherà per informare la popolazione sulla necessità di iscrivere il cane all'anagrafe, di farlo tatuare, di evitargli le gravidanze indesiderate se femmina. Poiché il suo canile prevede un certo numero di posti, egli sarà costretto a fare i salti mortali per ricoverare i cani che periodicamente eccedono il numero previsto e che quindi dovrebbero essere rifiutati. Già, perché proprio sindaci e ASL pretendono l'osservanza dei regolamenti da chi tenta solo di rimediare alla loro inefficienza. Un'attività logorante e incessante ripagata però da un bagliore di gioia quando, di tanto in tanto riuscirà a trovare un nuovo tutore a un cucciolo vispo e bello raccolto per strada mezzo morto.

2. Posizione rassegnata - dolente

Individuabile, nello specifico, in un Procuratore della Repubblica, evidentemente molto amico degli animali, che a causa della sua posizione, conosce in modo perfetto i meccanismi di legge. Il personaggio in questione affermerà, che, a proposito di lotta al randagismo, sembra che l'espressione più adeguata sia "vuotare il mare col cucchiaio". In base alla sua esperienza dedurrà che le debolezze attribuite alla legge 281 appartengono piuttosto al sistema della giustizia. Quante volte si è sentito dire che la giustizia è malata, che occorre aspettare anni per vedere le proprie ragioni riconosciute, e che è impossibile persino risolvere i grandi problemi di ordine pubblico? Allora chi più di un procuratore, può cogliere l'assoluta finzione del modello di intervento contenuto nella legge sugli animali da affezione? E difatti, scuotendo la testa, egli, uomo di legge, dirà: "non è un problema di leggi!". Queste prevedono fino a 10 milioni per maltrattamenti, ma è noto che l'oblazione risolve. In realtà non succede nemmeno questo perché il nostro imputato invoca il patteggiamento, offre cinquecentomila lire e il processo per maltrattamenti si dissolve nel nulla. Dunque il personaggio rassegnato - dolente non crede alla legge forse proprio perché è un uomo di legge. Ma non crede nemmeno che sia produttivo chiedere ai sindaci di fare quello che la legge impone loro. Non crede nemmeno che porti risultati il rivolgersi ai soggetti interessati, dal Ministero fino agli inservienti che operano nei canili. Se il Ministero emana circolari, le circolari si perderanno nel nulla; se gli inservienti ammazzano i cani lavandoli con l'acqua gelida d'inverno, nessuno potrà impedirlo. Egli ci proporrà una visione davvero spaventosa, ma assai vicina alla realtà. A qualcosina si può rimediare. Ma se convoglio attenzione, risorse, organizzazione in un punto, distolgo attenzione, risorse e organizzazione da un altro, col risultato che il gioco diventa a somma zero. Un po' come accade con la famosa coperta stretta. Che fare in questo quadro disperante? Con un atteggiamento un po' orientale, il nostro individuerà una semplicissima legge (che non appartiene al diritto): "non dire agli altri quello che devono fare, ma fai tu stesso quello che la ragione o il cuore ti impone". Se vedi un cane maltrattato, non telefonare al vigile. Rivolgiti alla Procura della Repubblica. Se trovi un interlocutore sensibile e il messaggio non è anonimo, si potrà ottenere un piccolo risultato. Il violento, come si è detto, non sarà neanche multato in modo pesante, ma il cane potrà essere sottratto liberandolo da una condizione intollerabile. Una piccola vittoria individuale che lascia il problema generale esattamente come prima.

3. Posizione tecnocratica

Il terzo personaggio è colui che scopre nelle potenzialità della tecnica le virtù taumaturgiche da utilizzare là dove ogni altra soluzione fallisce. Il microchip, ad esempio. Inserite il microchip sottopelle al cane e non potrete mai più perderlo. Sistema già collaudato in Svizzera, il microchip consente, mediante un rilevatore, di riconoscere il cane in qualunque parte del Paese si trovi. Ne consegue che applicandolo su larga scala tutti i canili chiuderanno per mancanza di inquilini. Alla conferenza tenuta sul tema tutti strabuzzeranno gli occhi di meraviglia. Ma davvero è così semplice? Davvero potremo liberarci dalla triste visione di cani che vagano senza meta per il mondo? Oh...meraviglie della tecnica! Ma se chiedete al luminare quanti cani vengono trovati senza tatuaggio, vi risponderà: l'80%. E allora? E allora sarà sufficiente, anziché tatuarli, mettere il microchip. Ma se non sono tatuati?! Allora basterà, anziché non tatuarli, mettere il microchip. Ma se il padrone non glielo mette? Se non glielo mette rischia di perderlo. Ma perché dovrebbe metterglielo se non lo fa neanche tatuare? Allora vuol dire che lo vuole proprio perdere. Bravo! E allora? Allora basta imporlo per legge. Ma anche il tatuaggio è imposto per legge, ma i cani abbandonati non sono tatuati. Beh, allora contro la precisa volontà di non collaborare la tecnica non può nulla. Appunto! ...e siamo al punto di partenza.

4. Posizione della volpe e dell'uva

La quarta posizione è tipica della persona che, quando non riesce a risolvere il problema, dichiara che non è un problema. Se dispone di fini qualità dialettiche dimostrerà persino che il problema è diventato la soluzione di se stesso. Vi sono torme di cani vaganti? Gli animali devono essere accalappiati e portati nelle strutture idonee. Non vi sono strutture idonee? La soluzione consiste allora nel lasciarli per strada istituzionalizzando la figura del cane di quartiere o cane 'semi - padronale'. Il servizio veterinario delle ASL, l'amministrazione comunale, le associazioni di volontariato collaborano catturando i cani, sterilizzandoli e riammettendoli nel loro territorio abituale dove ci si occuperà di loro (chi...? il quartiere appunto, nella persona di qualche responsabile da individuare). Ma non è vero che per strada corrono e fanno correre pericoli? L'amore per questi dolci compagni e l'impossibilità di risolvere i loro guai gioca brutti scherzi. In particolare costringe alla rassegnazione, caratteristica associata al carattere di molti animalisti. La Regione Lazio approva una legge che istituisce il 'cane di quartiere? Ciò significa che l'animale che si trova in quella condizione non viene "segregato nel canile". Ma allora come si fa con la 281 che stabilisce per i cani vaganti tutt'altro destino? E' forse un modo per liberarsi in parte di ciò che non si riesce a realizzare? E' vero che il canile costituisce frequentemente una terribile segregazione. Ma davvero la libertà in mezzo alle macchine, tra una popolazione profondamente distratta può essere una buona soluzione? In molte città, specie del Meridione, si vedono tribù di cani ovunque: nelle stazioni ferroviarie, nei porti, nei parchi. Magri, assetati, soprattutto ignorati anche quando invadono moli e binari o altre zone che per sicurezza dovrebbero essere lasciate libere...altro che vita romantica! Dice una entusiasta militante animalista:

"Certo, restano gli altri pericoli tipici del vivere in strada: quelli che derivano dall'incertezza sul se, quando, cosa si mangerà domani o dalla difficoltà a trovare un giaciglio tranquillo, riparato dal freddo, dal caldo, dalle cattive intenzioni di animali della propria o di qualche altra specie." (Franca Chiaromonte - Benvenuto cane di quartiere, l'Unità 4/10/1997)

Ma allora, di grazia, qualcuno spieghi quali sono i vantaggi! Non è per rimediare alla vita grama dei randagi che la Repubblica ha prodotto una legge sugli animali da affezione? In realtà la trovata dei 'cani di quartiere' rappresenta solo una presa d'atto del fallimento della 281 e come tale dovrebbe essere considerata. E forse rappresenta anche una soluzione soddisfacente per un certo numero di cani che si trovano in nicchie ambientali e umane favorevoli. Ma sicuramente non risolve il problema del randagismo nel suo complesso e inoltre provoca fastidio per una definizione che evoca un quartiere che si stringe intorno alla propria mascotte; una vera mistificazione!

5. Posizione dell'"eureka"

La posizione dell'eureka caratterizza la persona che, sentendo particolarmente il problema, ritiene che sia possibile trovare la soluzione con un semplice schiocco delle dita. L'illuminazione, come ben si sa, nasce improvvisa e l'illuminato da quel momento si prodiga per illuminare gli altri con la semplicissima formula che gli ha acceso la mente, magari nottetempo e dopo un sonno agitato. L'illuminazione può riguardare, a titolo d'esempio, l'inserimento del codice di riconoscimento del cane nello stato di famiglia della persona che, al momento del tatuaggio, risulti l'affidatario. La multa prevista nel caso che non si denunci lo smarrimento del cane potrebbe essere piuttosto alta e consistere in una sanzione amministrativa di una somma da lire 1 milione a lire 2 milioni. Ebbene, solo una persona superficiale potrebbe giudicare tali misure efficaci. Infatti a dispetto dell'iscrizione nello stato di famiglia, chi decidesse di abbandonare il cane, ne denuncerebbe la scomparsa dopo il malfatto. Come fa chi, dopo essersi fatto rubare la macchina, ne denuncia la sparizione. Cosa succede poi? Se il cane è trovato e tatuato, viene riportato all'indispettito proprietario non certo in virtù della denuncia di smarrimento, bensì grazie al tatuaggio sulla coscia e non certo per altro. Perché aggiungere confusione a una materia già confusa? L'aspetto positivo di questa proposta consiste soltanto nel suo indubbio valore simbolico che cementerebbe ancora di più l'unione tra i tutori veramente affettuosi e i loro animali. Per il resto, forse la proposta riuscirebbe a sostituire una quota di randagismo con un aumento di "soppressioni legali". Possiamo accontentarci?

6. Posizione del taglio del nodo gordiano

Il propugnatore del taglio del nodo gordiano è il partigiano di uno strumento ritenuto assoluto e risolutivo, vale a dire l'articolo 5 del Decreto Ministeriale che detta le norme in materia di affidamento dei cani randagi. In base a tale articolo,

"il Ministero della Sanità stabilisce, d'intesa con le omologhe Autorità sanitarie degli altri Paesi e sulla base di garanzie più favorevoli di quelle previste dal seguente decreto, le modalità di affido degli animali ad associazioni protezionistiche estere."

E' facile comprendere come tale articolo ben si confaccia ad una vera soluzione finale. I canili scoppiano di cani? Bene! Sarà sufficiente individuare delle "associazioni protezionistiche estere" di comprovata serietà disponibili a prendersi migliaia di cani. Tanto più che il Ministero controllerà certamente se le associazioni protezionistiche sono una copertura per fabbriche di colla. E' in base a tale arma segreta che il 18 luglio 1996 è stato siglato il protocollo d'intesa fra il presidente della provincia di Valona (Albania) e il presidente della provincia di Lecce per "sviluppare un accordo in cui si contempli che la provincia Albanese possa accogliere sul proprio territorio i cani randagi accalappiati nella provincia Salentina". Come è noto il problema principale dell'Albania consiste nella storica carenza di animali da affezione a fronte della smisurata domanda interna. Inoltre è non c'è dubbio che le autorità sanitarie dell'Albania offrano garanzie migliori rispetto a quelle previste in Italia.
Ogni tanto, questa posizione ammette una variante estremista. Si sono fatti portavoce di un tale approccio alcuni sindaci del nostro Paese, che per liberarsi del problema, dichiarano pericolosi i poveri cani che si sfamano presso le discariche dell'Homo Sapiens Sapiens e li fanno eliminare da fucilatori pubblici e privati. Ignari del fatto che la dichiarazione di "pericolosità" non può essere emessa dal loro ufficio, continuano a sfornare ordinanze in barba alla legge, sicuri di poter contare sulla copertura di complici molto distratti.

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A questo punto possiamo prendere in esame, non più i limiti dei singoli atteggiamenti, ma gli errori che fanno da sfondo a tutta una strategia che potremmo definire "minimalista".

Non si può negare che alcune delle posizioni illustrate possano fornire un contributo in termini di contenimento. Per esempio, è giusto spremere dalla 281 tutto ciò che è possibile e perseguitare chi ha un ruolo pubblico perché lo espleti fino in fondo; è positiva la cultura della denuncia aperta e responsabile quando è posta al servizio della giustizia; ha senso, se possibile, impiegare le moderne tecnologie per trovare gli animali che si perdono per incuria o trascuratezza del tutore; è ragionevole, dove si può, offrire all'animale abbandonato una gestione collettiva della sua esistenza che ponga rimedio ai suoi bisogni fondamentali evitandogli il trauma della reclusione; può essere interessante cercare di rendere più stretta, anche sul piano simbolico, l'unione tra l'uomo e il suo animale; persino la cessione (in casi eccezionali) ad associazioni protezionistiche straniere di animali con scarse possibilità di adozione in loco potrebbe essere positiva se tali associazioni si mostrassero perfettamente cristalline e rispettose dell'art.5 del d.m. della sanità del 14/11/96. Tutto questo e altro ancora costituisce una medicina che cura il sintomo, non la malattia. Va somministrata, ma il progetto deve guardare altrove, alla eliminazione (o, in via transitoria, alla riduzione) della malattia.

Fuor di metafora, i meccanismi messi in atto non funzionano perché pretendono una dedizione da parte di soggetti istituzionali assolutamente indisponibili. Lo Stato lesina il denaro, e quando lo mette a bilancio, lo fa in modo assolutamente insufficiente; le amministrazioni comunali sono lontane dal problema o, addirittura, intravvedono nelle modiche spese per i canili il rischio di contraccolpi elettorali; le ASL hanno servizi veterinari indirizzati a interessi "ben più rilevanti". A fronte di tutto questo stanno le associazioni animaliste che fanno quello che possono, disponendo di magre risorse economiche e umane e coprendo una parte minima del territorio nazionale. Inoltre e' possibile che il loro fare, sgravando le istituzioni dall'impegno, contribuisca a impigrirle e aumentare la distanza dagli obblighi che la legge, al di là di ogni dubbio, assegna ai comuni. Vi sono poi i privati, vera scheggia impazzita, infiltratasi nelle pieghe del problema con motivazioni assai diversificate e ambigue.

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Prima critica

In questa situazione, anche se la legge venisse riscritta nelle sue parti oscure, quanto detto rimarrebbe immutato nella sua drammatica evidenza. Non c'e' niente da fare. Bisogna prendere atto che il fenomeno del randagismo è soggetto a una incapacità/impossibilità strutturale di controllo. Si potrà richiedere fino a sgolarsi l'impegno delle istituzioni, ma questo non verrà mai. E allora non rimane che spostare l'attenzione sull'eccesso di nascite di animali che supera di gran lunga la capacità di assorbimento delle famiglie disponibili a una adozione rispettosa della dignità dell'animale. Usando una espressione orribile, ma calibrata sull'atteggiamento comune, potremmo dire che c'è una "sovrapproduzione" di animali accompagnata da "svalutazione" di attenzione da parte un popolo che presenta ampi livelli di insensibilità al dolore dell'altro da sé.

Dunque, non bisogna intervenire alla fine del processo, ma all'inizio. Fermo restando la gestione dignitosa del pregresso (ovvero del danno già compiuto), si deve trovare il modo di intervenire nelle fasi iniziali dell'esistenza dell'animale, quando viene chiamato in vita e assegnato. Ciò implica ragionamenti sottili rispetto a libertà di gestione di allevamento e procreazione. E impone anche considerazioni approfondite rispetto alla legittimità del "mercato" e dei privati a gestire tutta la partita.

Bisogna insomma valutare se la vita di un animale la cui funzione non implica reddito, ma una relazione affettiva, possa essere gestita con strumentazioni legislative e commerciali adeguate, forse, agli oggetti materiali.

Potremmo riassumere il tutto asserendo che l'animale da compagnia non può essere concepito in "forma di merce" senza perdere la dignità che gli spetta. Chi lo nega e asserisce nel contempo di rispettare l'animale, non mostra un atteggiamento troppo limpido. Se vogliamo che l'animale sia soggetto a riguardo e dignità occorre che esso venga sottratto alla mano immorale del mercato. Allora è necessario che si ponga fine al triste commercio di animali nei negozi specializzati e anche in quei luoghi dove attualmente si mette in atto (fiere, mercati, mostre...). Le proteste di chi lamentasse una perdita di reddito dovrebbero essere considerate affini alle stesse reazioni da parte dei negrieri al momento della soppressione della schiavitù. E inoltre, ai privati non dovrebbe essere concesso il diritto della "libera cucciolata", foriera anch'essa di inseminazioni di dolore nel territorio.

E' sicuro che queste proposte aprano dei problemi di non poco conto. E' sicuro che le soluzioni non siano banali. Tuttavia l'impossibilità di risolvere la questione nei vecchi termini obbliga un Paese civile a pensare secondo criteri inediti. E' necessario!

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Seconda critica

Avevamo promesso la segnalazione di due errori nella cultura minimalista dell'animalismo italiano. Il primo è stato evidenziato e potremmo riassumerlo nello slogan: "intervenire a monte perché l'azione a valle non consente speranza".

E il secondo?

Prima di affrontare la questione dal secondo "errore" bisogna rapidamente ripulire il contesto concettuale da un possibile motivo di confusione.

I "protezionisti" sono persone che hanno a cuore una o più specie animali e, per queste, sono disposti a promuovere un attivismo talvolta estremo. Magari sono disposti a un sacrificio personale ammirevole, ma poi, durante le cene sociali, non hanno remore nel satollarsi di affettati e arrosti. Queste persone non sono senz'altro interessate a quanto segue. Il loro problema è costituito dai cani, animali peraltro meravigliosi, e si ferma lì. Si dovranno accontentare della prima obiezione, sufficiente, comunque, a illustrare l'inadeguatezza delle proposte alle quali, normalmente, si rifanno.

Ma il punto di vista qui espresso è quello animalista, non protezionista. E' per questo che la parola "cane", usata con una certa frequenza durante l'esposizione delle "sei soluzioni", non è più apparsa in seguito. In realtà, lo Stato italiano ha previsto una legge (l.n.281/91) dal titolo: "Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo". Un animalista dovrebbe approfittare di una incauta dichiarazione dello Stato di farsi carico di una classe estesa di animali per pretendere una condizione di effettiva protezione per tutta la triste compagnia. E' assurdo che egli non trovi la forza di approfittare della debolezza del legislatore (che avrebbe serie difficoltà a assumere una posizione involutiva) pretendendo le soluzioni più ampie possibili. In questo senso, l'indagine orientata a esaminare il terribile problema del randagismo canino senza preoccuparsi di altri animali che subiscono trattamenti altrettanto violenti, è un errore imperdonabile. L'animalista dovrebbe rifiutarsi di accettare una "riduzione del problema" quando già lo Stato si è espresso in termini di "animali di affezione" perché, sul piano dei principi, si mostra regressivo rispetto alle stesse scelte del suo interlocutore; egli dovrebbe pretendere una legge che interpreti l'animale di affezione come essere aspecifico, e caratterizzato essenzialmente per il ruolo che l'uomo gli assegna presso di sé.

Ciò avrebbe implicazioni notevoli anche in un'eventuale riscrittura di una nuova legge sostitutiva della l.n.281/91. La legge dovrebbe evitare di parlare di cani o gatti o altre specie. Dovrebbe invece intervenire a favore di animali di affezione in senso generico e demandare a corposi allegati la definizione delle norme indirizzate a specie particolari.

Ciò può sembrare aberrante agli occhi di qualche "naturalista". <<Ma come - può dire il Nostro - animali diversi hanno bisogni diversi!>>

Come negarlo? Ma la condizione di "animale di affezione" si configura come indifferenziata e pone in primo piano aspetti che devono essere garantiti all'animale in virtù del suo specifico rapporto con l'uomo. Che non debba essere abbandonato, che debba essere acquisito in un certo modo, che non debba essere condizionato nella sua esistenza da aspetti commerciali, che abbia diritto a una alimentazione e cure dignitose, che debba essere restituito a qualche ente in caso di impossibilità di mantenimento da parte del tutore, che abbia diritto a spazi minimi di movimento in base alla specie a cui appartiene, che abbia diritto a una presenza umana minima (in termini di tempo) per interagire con l'uomo (non e' un animale di affezione?), tutto questo e tant'altro deve essere sancito a prescindere dalla specie di appartenenza. E poi, per le necessità specifiche, si ripete, vi sono sempre gli allegati...

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Vorremmo concludere questa nota con una piccola speranza: dopo aver commesso l'errore di distogliere la vista dagli altri animali di affezione per fissarla solo sui cani, sarebbe proprio il colmo se ora qualcuno trovasse riduttiva questa proposta perché finalizzata a dare dignità solamente agli animali di affezione. Speriamo che ciò non accada.

Gli animali di affezione hanno un grande ruolo da svolgere per addolcire i costumi degli italiani per mezzo del pieno riconoscimento dei loro diritti. Essi sono l'avanguardia di una moltitudine che, in un futuro più o meno lontano, dovrà essere ripensata nella sua interezza.

 



Data: 20/09/00

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