Lo strano caso degli aerorazzi scassati Di Scerloc Olms |
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I fatti, le questioni, i personaggi del racconto sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con eventi di cronaca. Ogni riferimento a eventi reali è puramente casuale. Chiaro?! |
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I parte Nella nostra galassia c’è un pianeta chiamato Soverchion governato da una specie tirannica, gli OMOH, che regge con spietatezza il dominio sugli altri esseri. Il pianeta assomiglia molto alla Terra, anche se la vita si alimenta di silicio anziché carbonio. Poi, lo sviluppo tecnologico è più avanzato. Per esempio, gli abitanti anziché spostarsi con le auto, usano piccoli aerorazzi mono o biposto. È su questo pianeta che si dipana la storia. Dunque gli abitanti di Soverchion, che mediante il lavoro hanno modificato la propria natura oltreché l’ambiente, hanno assoggettato tutti gli altri esseri alla loro volontà nel modo più crudele e violento. Non contenti di guerre, torture e violenze di ogni tipo su se stessi, si sono rivolti da tempi immemorabili contro il resto degli esseri viventi con le pratiche più cattive che tuttora perdurano. Anzi, con il tempo le hanno raffinate. Una di queste, introdotta secoli or sono da un essere ributtante chiamato Cartesius, è quella sviluppata in centri di ricerca e di sperimentazione: la vivisezione. La specie, in genere biancastra e quasi priva di vello, la cui bruttezza del corpo non è nulla rispetto alla turpitudine della psiche, sostiene che la sperimentazione sugli “inferiori” fa il “bene” di se stessa. È una situazione senza speranza? Chissà. Il futuro non è scritto per sempre. Infatti, tra gli OMOH vi sono degli individui che aspirano al perfezionamento morale di se stessi e degli altri membri della specie e, lavorando in varie direzioni, alleggeriscono le malefatte dei dominanti con atti edificanti e ricchi di pregnanza etica. Orbene, alcuni di questi OMOH anomali decisero un giorno di cominciare una protesta contro uno dei centri di sperimentazione: la “Rinomata Biochimica Mortuaria”. Così iniziarono ad inscenare una dimostrazione alla settimana davanti all’orrenda fabbrica. Inizialmente vi furono semplici volantinaggi per invitare i lavoratori a cambiare lavoro ed abbandonare la loro turpe attività, ma presto la situazione degenerò. Quei figuri insensibili si sentivano legittimati dalle leggi del pianeta Soverchion e, non comprendendo il senso della protesta, incominciarono a dileggiare i manifestanti in vari modi. Gli altri, trovando un muro di fronte, s’incattivirono fino dar vita ad urla di rabbia per ore ed ore davanti alla porta della “Rinomata”. Le cose andarono avanti per mesi finché un giorno l’aerorazzo di un dipendente venne danneggiato gravemente presso l’abitazione. Accanto al danno, uno sberleffo: un graffito sul muro antistante al posteggio invitava il sinistrato a ringraziare la “Rinomata”. Da tempo si sapeva che le parti più vitali del movimento degli OMOH buoni - di luoghi lontani, però - non disdegnavano di distruggere le apparecchiature dei loro conspecifici utilizzate nelle pratiche vivisettorie. Cosicché gli attivisti provarono un gradevole senso di piacere... Si guardarono l’un l’altro per cercare di scoprire negli occhi altrui un segno che rivelasse l’adorato colpevole, ma ognuno rimase incerto su tutti. Dopo molte altre manifestazioni il giornale scrisse di un altro aerorazzo scassato. Gli attivisti furono presi da un brivido caldo. Dunque la vita degli assassini stava incominciando a diventare dura? Rafforzati nel loro disegno, continuarono le manifestazioni di fronte all’azienda con inusuale vigore. Quei fetenti, là dentro dovevano soffrire. Poi fu la volta di un terzo aerorazzo, poi un quarto, poi un quinto. A questo punto vi fu una reazione della cittadinanza, dei giornali, delle istituzioni. Non era possibile che la società violenta di Soverchion fosse messa sotto accusa da parte di chicchessia. Neanche dagli antivivisezionisti. Anzi, i violenti erano proprio loro! Il fatto è che le società violente devono rappresentarsi buone, evolute, civili. Devono raccontarsi una realtà illusoria per vincere l’orrore di una natura perversa. E di conseguenza rigettano la ripugnanza sul mostro, su colui che mina le basi della convivenza civile. “La banda di protestatari deve essere silenziata”. Questo fu il giudizio unanime. Si mossero prima gli OMOH operanti in strane istituzioni che si diceva difendessero i boia della “Mortuaria”, anche se non era vero essendo semplici prolungamenti inerti di antiche istituzioni decadute. Poi si aggiunsero quelli eletti dal popolo, tutti appartenenti alla fazione della “Montagna”. Infine fu la giunta comunale ad esprimere raccapriccio per la turbativa dell’ordine sociale e produttivo. Disturbare quei poveri lavoratori che agivano per il bene della comunità OMOH... questo sconcio doveva concludersi. E in fretta. Le pressioni furono tante, ma così tante, che il responsabile della Polizia della zona non ebbe difficoltà a liberarsi di quella terribile seccatura che ogni settimana obbligava un drappello di poliziotti a controllare gli esagitati. Così fu emessa un’ordinanza con la quale si vietava tassativamente di manifestare in prossimità dell’azienda della morte. Il disappunto degli OMOH buoni si fece rabbia. Rabbia feroce. Non era possibile che la storia finisse così. Dopo tanto tempo, dopo tante risorse fisiche e materiali impegnate, venivano banditi, dispersi, scacciati. Ma l’opinione pubblica non era dalla loro parte. Niente da fare, dovevano soccombere. Non contenti della loro vittoria, orrendi personaggi agirono nell’ombra per attivare la “giustizia” nei confronti dei perdenti. E la mano violenta OMOH si abbatté su alcuni attivisti che furono trascinati in tribunale. Non solo dovevano perdere, ma anche ricevere una lezione a futura memoria. Anche perché altri capissero e si dessero una bella regolata. Era già passato un poco di tempo quando l’aerorazzo di un altro dipendente fu trovato devastato. E dopo un altro, e dopo un altro ancora. La vendetta degli attivisti stava assumendo volto terroristico? Gli organismi repressivi della comunità OMOH pensarono che le misure prese non erano bastate e che si dovesse ricorrere alla mano forte. Furono attivate procedure di controllo degli strumenti di comunicazione degli attivisti per coglierli sul fatto. Furono attivate procedure di pedinamento di alcuni di loro. Queste non dettero risultati, ma quelle sì; frasi come: “Domani vado a prendere l’uccellino dalla nonna” oppure “preparami quel pranzo di cui sai” furono interpretate come ingannevoli comunicazioni in codice e poste agli atti per future azioni repressive. Ma gli aerorazzi dei vivisettori continuavano ad essere distrutti. L’ottavo, il nono finché ecco il numero tondo: 10! Furono in molti a diventare nervosi. Possibile che questa serie non si interrompesse? Possibile che un gruppo di facinorosi quanto si vuole, ma ridotto di numero riuscisse a farla franca? A creare questo stato di generale insicurezza? I controlli furono intensificati, ma parallelamente all’impiego di finissime tecnologie, aumentavano anche gli aerorazzi distrutti. Prese dalla determinazione di dare un colpo definitivo alla combriccola, le autorità decisero di impiegare l’estrema intimidazione. Al danneggiamento del quindicesimo aerorazzo, scattò un’azione lungamente preparata: le case degli attivisti contro la vivisezione furono tutte perquisite. Computer, bloc-notes, quaderni, floppy e cd vennero sequestrati in quantità per essere sottoposti alla ricerca dell’inevitabile colpevolezza. Alcuni attivisti furono portati in commissariato per il rilievo delle impronte digitali ed il prelievo della saliva e infine tutti a casa in attesa delle indagini preliminari. Nonostante questo, tre giorni dopo fu scassato il sedicesimo aerorazzo.
II parteCamminava per i giardini della città l’OMOH Teophus, di professione poliziotto. Il classico sbirro con la testa da sbirro. Aveva un principio ferreo: la Legge è Legge. Mai lo sfiorava l’idea che la legge dovesse essere messa al servizio della giustizia. Pensava che la Legge fosse da mettere solo al servizio di se stessa. Perciò non gli interessava la fazione politica che in un certo momento occupava il governo. Qualunque compagine di OMOH fosse stata al governo, Palude o Montagna, egli avrebbe assolto il compito di assicurare alla giustizia i trasgressori della legge. Teophus fin dall’inizio era stato integrato nel gruppo che indagava sul caso degli aerorazzi. La serie misteriosa l’aveva assorbito e passava le giornate ad analizzare dati e riflettere. Gli sembrava che i conti non quadrassero. Aveva notato le facce molto naïf che avevano per molto tempo stazionato davanti alla “Rinomata Biochimica Mortuaria” e non si capacitava come quei ragazzi schiamazzanti potessero davvero spaccare gli aerorazzi. Li aveva osservati davanti ai cancelli dell’azienda e li aveva studiati nel profondo. Li vedeva urlare come dei matti; ogni tanto uno inventava uno slogan nuovo e gli altri tutti a ridere. Per quanto li ritenesse sinceramente attaccati alla causa che dichiaravano, aveva colto, in loro, una visibile incapacità di superare la soglia della kermesse. Da fine psicologo quale era, aveva compreso che il responsabile dei danneggiamenti doveva avere una struttura psicologica molto diversa, opposta a quella da loro esibita con tanto ardore davanti ai cancelli. Doveva essere un tipo tenebroso, calcolatore, persistente nei suoi scopi, molto determinato e nemico delle kermesse. Uno che probabilmente non rideva mai. Doveva venire necessariamente da fuori, magari da una città lontana, viaggiando di notte. Quelli no. Loro non potevano essere i responsabili. E se le intercettazioni avevano rilevato qualche frase strana, forse la stranezza andava attribuita alla naturale tendenza al sospetto dell’ambiente poliziesco e dei suoi colleghi. Camminava assorto per i viali fatti di magnifici alberi al silicio. Ogni tanto incrociava una bella siliciosa, ma neanche questa riusciva a distrarlo. Sì, il responsabile doveva venire da lontano. Ma qualcosa lo disturbò. Gli sovvenne di quel caso in cui l’aerorazzo era stato distrutto di giorno, davanti ad una calzoleria, quando il proprietario vi era entrato per consegnare un paio di scarpe da risuolare attardandosi a parlare con il proprietario per mezz’ora e trovando, uscendo dal negozio, la sgradevole sorpresa presso il parcheggio degli aeromobili. Ora Teophus si era messo nei panni di questo anonimo antivivisezionista venuto da lontano. Ma il tizio non aveva proprio niente da fare, che passare interminabili giornate a pedinare la vittima per colpirla alla sua prima distrazione? Inimmaginabile! Tutti quei viaggi per soddisfazioni piuttosto ridotte... Ci ripensò: non poteva venire da lontano, doveva essere un “locale”. Uno dei protestatari dei cancelli, per quanto naïf. O forse un finto naïf. Ripassò mentalmente per l’ennesima volta le schede degli indagati e di nuovo riprecipitò nel dubbio. In ogni volto non riusciva a vedere la capacità di agire con tanta insistenza, quand’anche fosse riuscito a trasformarsi nel notturno vendicatore. Inoltre, a dirla tutta, i rapporti avevano segnalato che quei ragazzi avevano mostrato una certa inquietudine all’atto delle perquisizioni; inquietudine e preoccupazioni. Le perquisizioni avrebbero dovuto stroncare, se non per sempre, per un certo tempo ogni velleità combattiva di tipo illegale. L’attentato al sedicesimo aerorazzo, avvenuto dopo il blitz della polizia nelle abitazioni degli antivivisezionisti costituiva perciò un mistero nel mistero. Quella poteva essere la reazione di un gruppo guerrigliero di fronte ad un’azione di guerra governativa per mostrare la solidità dell’organizzazione, ma un sempliciotto che rompe un aerorazzo mettendo in difficoltà i suoi spauriti amici che hanno già la testa nel capestro... no, che senso poteva avere…? Infine il pensiero gli inciampò su un dato che non era riuscito ad accendere né a lui né ai suoi colleghi la doverosa riflessione: sedici aerorazzi gravemente danneggiati! Ma quanti erano i vivisettori effettivi dell’azienda? Non erano che una trentina e nessuno di loro era stato “visitato”, tranne uno. Ma come aveva potuto, il misterioso vendicatore individuare tante abitazioni di impiegati generici della “Mortuaria”? E perché non aveva colpito i veri responsabili della vivisezione, anziché gli amministrativi? L’illuminazione fu improvvisa.
III parteEcco Teophus seduto alla scrivania del suo ufficio. Di fronte a lui Psicophus, di professione psichiatra. Il sorriso di Teophus abbaglia! - Grazie professor Psicophus per la sua consulenza. È stata veramente determinante. - Eh, commissario, l’intuizione non è stata mia. Io mi sono limitato a disegnare il profilo psicologico del colpevole. Certo, se fossi stato interpellato subito avrei escluso, quasi al 100% il coinvolgimento della banda degli antivivisezionisti per le stesse ragioni che comunque lei ha individuato. Esclusa assolutamente un’operazione di soggetti provenienti da città lontane. Oggi nessuno farebbe una cosa del genere perché di questi tempi la determinazione è una moneta più che rara… direi… fuori circolazione. Gli antivivisezionisti sono più motivati di altri gruppi, ma non fino a questi estremi. Occorre considerare che essi hanno “idee” ma sono del tutto privi di organizzazione. E inoltre avremmo assistito per la prima volta a danneggiamenti di oggetti non direttamente inquadrabili nella pratica della vivisezione. Infine la tendenziale incapacità dei soggetti ad agire violentemente rendeva la cosa inverosimile. No... in questa successione di fatti il marchio era più patologico che vendicativo. Il problema era capire quale soggetto avesse potuto dare inizio a tanto... - ...e qui è stata fondamentale una seconda folgorazione – disse Teophus senza dismettere lo scintillio della dentatura. - Naturalmente! Ma il mio ulteriore contributo sarebbe rimasto teorico se lei non mi avesse presentato l’individuo su cui compiere la perizia. - Sì l’impiegato della “Mortuaria” che è andato dal calzolaio e si è intrattenuto a lungo in negozio... Ho intuito che volesse perdere tempo per consentire ad un complice di compiere quell’operazione sul suo mezzo. L’alternativa del pedinamento da parte dell’antivivisezionista sarebbe stata pazzesca. Grazie al suo contributo il personaggio è caduto in contraddizione ed è stato smascherato. - Mi dica... il complice è risultato coinvolto anche in altri danneggiamenti? - No, è stato assoldato esclusivamente in quell’occasione. Evidentemente il colpevole voleva costruirsi un alibi di ferro. Per il resto ha agito da solo: quell’impiegato conosceva bene la zona, gli indirizzi e le abitudini dei suoi colleghi ed ha tentato di far cadere la responsabilità sugli odiati antivivisezionisti perché ormai non li sopportava più. E pensare che ha continuato a fracassare aerorazzi dei colleghi anche molto tempo dopo che avevamo vietato le manifestazioni davanti all’azienda. Persino dopo che avevamo compiuto le perquisizioni... e questo dimostra la stranezza del caso. Qualcosa mi sfugge... perché ha proseguito l’opera anche quando gli antivivisezionisti erano allo sbando e l’azione non era più necessaria? - Vede Teophus, questa storia non va inquadrata in un ambito normale. Gli antivivisezionisti hanno ottenuto una vittoria parziale ma reale. Hanno smosso dentro quelle coscienze, o almeno nelle coscienze dei lavoratori più fragili, un senso di colpa per quanto fanno ogni giorno su quei poveri esseri dentro le gabbie. Ora noi sappiamo che il senso di colpa può evolversi in due direzioni. Può indurre a comportamenti autopunitivi, è il caso dei martiri o degli eremiti, ma può evolvere anche in frenesie di distruzione verso chi lo ha fatto maturare, e in questo caso assume forme acute. Tuttavia tipi normali non avrebbero mai distrutto beni propri o dei colleghi per gettare il sospetto verso gli attivisti. Ma si da il caso che tra i ricercatori della “Mortuaria” vi fosse il nostro vivisettore colpevole, un personaggio che è stato devastato dalla traumatica esperienza infantile descritta nella mia relazione. Su di lui gli antivivisezionisti hanno prodotto un danno ancora più grave e quel tipo, se ne uscirà, ne uscirà a stento. Ha sfasciato gli aerorazzi ai colleghi perché ogni danneggiamento era un mezzo per riversare il suo livore sugli antivivisezionisti che gli avevano fatto sorgere un intollerabile disprezzo verso se stesso per via di un mestiere non accettato nel profondo, ma dal quale non riusciva a staccarsi. Anche la distruzione del proprio mezzo tradisce l’evidente oltraggio verso di sé. Insomma, una terribile condizione di “dissonanza emotiva”. Perciò ha continuato a distruggere anche dopo. Atti compulsivi... irrefrenabili... - Bene. Il personaggio ha confessato tutti i danneggiamenti... ora si potrà archiviare il caso. Le devo dire che sono contento e insieme dispiaciuto. Sono contento che il caso sia chiuso, ma mi secca perché quelli là li avrei voluti prendere tutti a calci nel culo. - Caro commissario non so che dire. Mi vengono in mente esperimenti osservati all’università, presso il dipartimento di psicologia, quando ero giovane... esperimenti sugli inferiori condotti dai miei professori... esperimenti che continuano... senza senso... La nostra specie è oscena. Le confesso che a suo tempo ho provato il desiderio di accoppare un paio di quei bastardi. Ma anch’io ho dovuto soggiacere a insuperabili freni inibitori. Chi ama gli esseri inferiori, non riesce ad odiare fino in fondo la nostra specie. Questo condanna le povere vittime alla pena eterna... purtroppo. Il sorriso di Teophus, stabile fino a quel momento, scomparve di botto. Quello di Psicophus, amaro, si estinse lentamente.
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19/06/07 |