Bloc Notes |
A proposito di Federfauna e Ordinanza Martini |
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A due settimane circa dalla bocciatura da parte del Consiglio di Stato dell'Ordinanza Martini recante misure per garantire la tutela e il benessere degli animali di affezione, converrà ragionare brevemente sulle esternazioni in proposito da parte della FederFauna. Questa benemerita Confederazione Europea delle Associazioni di Allevatori, Commercianti e Detentori di Animali, la stessa che si era distinta per stile e argomenti in occasione della tragedia ligure delle guardie zoofile uccise, (http://www.federfauna.org/News/news.php?id=3251) si esalta di fronte alla bocciatura dell’ordinanza. Così svaniscono – dichiara – gli “effetti negativi in termini di costi ed obblighi per i proprietari dei canili” e per le magre casse delle Amministrazioni Locali. Inoltre (e qui sembra di poter rilevare il massimo della soddisfazione) svaniscono anche gli ulteriori privilegi che sarebbero scaturiti per gli animalisti. Il comunicato poi rivela che il benessere animale non è un affare esclusivo delle associazioni per i diritti degli animali. La questione non è definitivamente chiusa perché la sottosegretaria alla Salute – occorre dirlo – quando si tratta di cani possiede una personalità grintosa e ha dichiarato di voler presentare un DDL sul Codice per la tutela degli animali di affezione che dovrebbe riprendere ordinanze già emanate in relazione alla gestione dei canili. Federfauna non ci sta, affila le armi e annuncia la costituzione di un sindacato per i proprietari dei canili (Assocanili) confederato. Che diamine! I canili italiani sono conosciuti in tutto il mondo per essere alberghi a 5 stelle e solo qualche malintenzionato parla di canili lager. Quindi perché intervenire dove non è necessario? Di fronte a queste dichiarazioni vengono spontanee alcune veloci riflessioni. La prima riguarda i presunti privilegi che sarebbero stati appannaggio degli animalisti qualora l’ordinanza non fosse stata respinta. Quali privilegi? Probabilmente quelli contenuti nel punto (g) dell’art.1 g) la struttura individuata per il mantenimento dei cani, deve prevedere l’accesso alla struttura e la presenza delle associazioni riconosciute in conformità alla vigente normativa regionale, onlus o enti morali aventi come finalità la protezione degli animali, al fine di favorire l’adozione dei cani; Sappiamo che molti gestori di canili mal digeriscono presenze estranee, appunto i volontari delle associazioni animaliste. Strano, perché avere lavoro gratis non ha mai fatto senso a nessuno. Inoltre non amano nemmeno le adozioni, come se la funzione istituzionale di un canile non fosse quella di rimettere nel circolo dell’amore animali abbandonati. E, d’altra parte è curioso chiamare privilegio un impiego di tempo di cui qualsiasi animalista farebbe volentieri a meno, essendo vissuto come incombenza che mette a contatto con situazioni quasi sempre angoscianti. Ma di quali privilegi parla, Federfauna? A meno che il disagio non derivi dall’art.3 3.
I Comuni in sede di bando di gara o di convenzione e di
valutazione delle offerte economiche devono prevedere principi di
prelazione a favore delle strutture che: [a)…] Ma non è forse ragionevole un simile dettato? Perché, trattandosi di interventi di salvaguardia di animali abbandonati, gli animalisti non dovrebbero aver diritto di prelazione? Visto che Federfauna è così sensibile alle casse dei Comuni, una buona iniezione di volontariato dovrebbe migliorare la condizione dei cani e abbassare i costi. Di certo quelli di Federfauna non vedono di buon occhio gli animalisti. È nella logica delle cose: questi vorrebbero eliminare il commercio di esseri senzienti mentre quelli ci campano sopra. Tuttavia viene il sospetto che accanto alle parti dell’ordinanza che chiamano in causa gli animalisti, siano invisi anche i paragrafi che aumentano gli oneri dei gestori assottigliando i margini di guadagno. Altrimenti non si comprende la resistenza. Qualunque individuo raziocinante (e soprattutto disinteressato), leggendo l’ordinanza, la trova costruita sul buon senso. La società assegna uno statuto privilegiato agli animali di affezione che prima chiama in vita e poi disperde nel territorio, dunque deve farsi carico di misure civili di sostegno dei randagi recuperati. Invece no, Federfauna protesta e sembra che nel suo seno prenda corpo l’assocanili, cioè una associazione di interesse basata su una merce particolare: i cani canilizzati. Ora che gli animali siano merce non ci piove, altrimenti nessuno potrebbe venderli, né comprarli. Però questa storia è veramente formidabile e richiama alla mente il caso di chi intraprende l’attività di smaltimento della spazzatura. La spazzatura – effetto dell’usura di merci un tempo utili – è pur sempre una risorsa che fornisce guadagno a chi la smaltisce. Si da il caso che Federfauna sia una associazione di allevatori e commercianti di animali. Andate sul loro sito e troverete settori come: allevatori, pet shop, grossisti e importatori, circo, zoo e parchi, esposizioni, servizi con e per animali. Insomma varie tipologie di servizi per una merce decisamente particolare. È noto che una popolazione spesso un po’ incostante come quella italiana compra e poi, in molti casi, trasforma in rifiuto tale merce. Ebbene il recupero effettuato dai canili rappresenta l’impiego imprenditoriale dell’animale decaduto, ovvero rifiutato (cioè reso rifiuto). La creazione di qualcosa che possa chiamarsi “Assocanili” costituisce la rappresentanza dello sfruttamento imprenditoriale di un rifiuto. Non sempre, per fortuna, ma in troppi casi. Si può pensare quello che si vuole, ma è inevitabile che nel profondo dell’animo degli attivisti per i diritti animali si formi la netta convinzione di un principio indiscusso: la penetrazione degli interessi privati nei canili è fatto profondamente immorale. Il sostegno degli animali randagizzati dovrebbe essere un costo per la società da pagarsi in nome della responsabilità collettiva del popolo italiano nei confronti degli animali di affezione dispersi nel territorio. Non un mezzo per fare guadagni, come è implicito nella logica della libera imprenditoria. Non tutto dovrebbe essere mezzo per fare impresa. Di sicuro non i beni comuni. Ma ancor meno gli esseri viventi! Quando il legislatore italiano, ormai quasi venti anni fa, scrisse quella famigerata legge la indicò come una legge di civiltà unica in Europa. A distanza di tanto tempo, considerando le evoluzioni (volute o non previste) di tale legge, avrebbe fatto molto meglio a risparmiarsi simili roboanti dichiarazioni.
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Data: 9/06/10 |
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