Bloc Notes

Quando “pecunia olet”

di
Aldo Sottofattori



 

Alcuni giorni fa il direttore di Repubblica Ezio Mauro è stato invitato a “Chetempochefa” da Fabio Fazio. L’oggetto della discussione riguardava la nuova proposta di legge sulle intercettazioni. Sull’ala del motivo “non c’è democrazia senza verità” dell’ex-presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, l’intervista si è svolta tutta sulla difesa energica del diritto dei giornali a informare i cittadini sulle questioni rilevanti del Paese e sul rischio di privarli delle possibilità di giudizio che sono il cardine della democrazia. Così abbiamo potuto ascoltare frasi altisonanti secondo cui sarebbe gravissimo “Privare i cittadini del diritto di conoscere la realtà, del diritto di sapere, di essere informati”. Giustamente il direttore ha osservato che “non si può essere consapevoli se non si conosce, se non si padroneggia la realtà”. Non si può, né si deve “tenere i cittadini all’oscuro” e via predicando.

Ora è noto come questo florilegio di parole alte (cittadini, democrazia, consapevolezza…) e dei concetti da esse sottesi sia del tutto vacuo. La redazione di un giornale fa una scelta dei temi da trattare che dipende da tante variabili, ma non si può dire di certo che la costellazione dei temi trattati sia quella perfetta. Chi può dire quanto tale configurazione (in un giorno, in un mese, in un anno…) corrisponda a quella che permette ai cittadini di farsi consapevoli dei problemi del mondo? Ogni scelta non comporta omissioni? E chi decide se queste omissioni sono importanti quando non addirittura fondamentali? Il problema è complesso. Siccome i giornalisti sono uomini, con preferenze specifiche sul piano culturale e politico è naturale che propendano là dove i loro istinti (e i direttori) li conducono. Non c’è niente da fare, è un dato.

Tuttavia, se la precedente questione risulta problematica, esiste un ambito che serve a smascherare la natura chiaramente ideologica delle esternazioni del direttore e fa emergere la pertinace volontà di contraddire tale dottrina quando lo si ritiene opportuno. Lo spazio pubblicitario deve essere riempito con i contenuti richiesti dall’inserzionista. Il giornale non può rifiutare la pubblicazione. L’unica eccezione sono contenuti orientati a esaltare l’odio razziale, religioso, di genere e simili, ovvero pubblicità a chiaro contenuto immorale, oltrechè penale.

Si dà il caso che La Repubblica (in bella compagnia con il Corriere e la Stampa) abbia censurato e quindi respinto una inserzione pubblicitaria di “Campagne per gli Animali”. Le immagini sono state ritenute “molto forti” dalla redazione. Di cosa si trattava? Di un bambolotto incelofanato e di immagini di animali torturati dalla “specie eletta”. Per quanto riguarda il bambolotto, si comprende bene il significato del messaggio indirizzato a superare la cultura antropocentrica che impregna la nostra società in tutti i suoi anfratti. Per quanto riguarda gli animali torturati, i redattori di questo benemerito giornale provvedono giornalmente a sostenere la tortura degli animali con le loro abitudini alimentari e magari di altro genere, ma si guardano bene da consentire che il loro giornale mandi un messaggio ai lettori per invitarli a ripensare alle radici di un rapporto tenebroso. Insomma, La Repubblica non vuole che si sappia, opta per un intervento pesantemente censorio e pertanto respinge al mittente la pubblicità chiedendo che sia “più soft”, in altre parole “meno efficace”. Dalla risposta si apprende che comunque il giornale ha “interesse per il tema trattato” e che di questo tema “la stessa Repubblica si è fatta spesso portavoce”. Sarebbe interessante fare una ricerca sugli archivi per vedere come la questione animale sia stata trattata da questa formidabile emittente dell’informazione italiana.

Bene han fatto gli organizzatori della campagna a scrivere:

“… tale rifiuto nasce dalla visione dominante impregnata di ipocrisia ed antropocentrismo che contraddistingue la nostra società: è meglio evitare che la gente pensi, che si confronti con il dolore altrui. […] Meglio una bella pubblicità di salumi dove si vedono Maiali allegri impazienti di immolarsi per diventare insaccati […]. Siamo tutto bravi ad aderire alle pubblicità-progresso, ai bei discorsi, alle dichiarazioni di principi e di intenti che spandono buonismo e pietà in ogni dove, ma quando siamo chiamati a confrontarci direttamente con il dolore altrui, la morte, lo strazio e l’ingiustizia, quando dobbiamo fare appello a ciò che rimane della nostra empatia e del nostro senso di giustizia, quando dobbiamo spingerci più in là della solita elemosina che ci alleggerisce la coscienza, allora tutto diventa difficile. Tutto diventa “molto forte”, troppo. Meglio tonalità più “soft”, meglio delle “alternative” che non turbino chi legge, chi paga, chi sfrutta e chi non vuole pensare. Perché pensare fa male.

A questo punto, solo a questo punto, è possibile rinunciare anche al denaro derivante dalla pubblicità, quel denaro dio supremo della nostra società che, raccolto con sacrificio da moltitudini di umani che desiderano soltanto un perfezionamento etico della loro specie, diventa stranamente e improvvisamente denaro che puzza.

Vergogna!



 




Data: 5/06/10

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