Bloc Notes

L'isola che non c'è più

di
A. S.




Può accadere che un attivista per i diritti animali che percorre l’autostrada senta a metà giornata un certo languorino e decida di sostare in un autogrill. Magari il pensiero si rivolge piacevolmente a una spremuta di arance ed a un paio di panini vegan. Ma, guarda caso, messo di fronte alla vetrina nota soltanto montagne di panini insalamati, improsciuttati, impancettati. Timidi, in un angoletto, vede alcuni (pochi) panini vegetariani a base di mozzarella e pomodori. Memore di una conquista del movimento di qualche anno fa, immagina che basterà chiederlo perchè qualcuno glielo prepari. Alla signorina che aspetta l’ordinazione chiede dunque se sono disponibili un paio di Ischia. Lo chiede sereno e convinto di sentirsi rispondere “due Ischia? li faccio preparare subito”. Invece la sorpresa: “no signore, non li offriamo più”. Poi lei, per sicurezza, si rivolge a una collega la quale, alla conferma, aggiunge un “...e pensare che se ne vendevano abbastanza...”.

Il povero attivista si accontenta della spremuta. Figuriamoci se non può stare qualche ora senza mangiare. Ma la scomparsa di Ischia, forzandogli lo sguardo verso i panini coi salumi, gli rinnova il disgusto per la visione cimiteriale accampata nella vetrina. Così in cuor suo manda un accidente al responsabile della pianificazione. Gli capita spesso di mandare accidenti; probabilmente non li manderebbe se avesse il potere di farli giungere a buon fine; in ogni caso gli danno un senso di appagamento alla ribellione interiore. Forse l’avrebbe mandato anche se Ischia fosse stato disponibile. La disponibilità del panino vegan mica avrebbe cancellato la presenza degli altri!

Questa piccola storia – Ischia, il panino vegan, è sparito davvero – sollecita due riflessioni.

La prima. Le non rare richieste e petizioni animaliste rivolte ad ottenere cibi vegetariani o vegani nelle mense o nei luoghi di ristoro aprono motivi di incertezza sul piano teorico con riflessi evidenti nella pratica liberazionista. Chiedere “rispetto per i vegetariani e i vegan” (forse sarebbe meglio dire per i vegan, in quanto le soluzioni per i vegetariani sono quasi sempre disponibili) rendendo disponibile un pasto o anche un semplice panino esprime, sotto un certo punto di vista, una richiesta ambigua. Il leitmotiv del “rispetto” per le nostre scelte non contiene forse un implicito rispetto per le altrui scelte? Se si osserva da vicino la questione, sembra innegabile che una formulazione del genere non faccia altro che confermare la legittimità di diete non etiche. E’ difficile sottrarsi da questa impressione. Spesso un attivista per i diritti animali reagisce malamente (e giustamente) quando si sente rispondere: “Ok, io rispetto le tue scelte e tu rispetta le mie”. Qui non si sta discutendo se sia legittimo tifare per una squadra di calcio anziché per un’altra. E allora per quale ragione consegnare alla cultura necrofaga una legittimità implicita alle sue abitudini alimentari? Di certo questa visione delle cose non trova molti sostegni se non nei gruppi francioniani e radicali. In ogni caso questa piccola scomparsa di Ischia offre un motivo di riflessione in questo senso.

La seconda. Qualche anno fa, venne fatta la richiesta ad Autogrill affinché fosse disponibile il panino vegan. Qualche responsabile della società, di fronte all’istanza animalista di commercializzazione di panini avvicinabili, ricordava che esistevano interessanti offerte che oltre a pomodori e cose varie, contenevano anche tonno e gamberetti. Di fronte alle insistenze degli animalisti e alle ulteriori precisazioni sul significato di parole come “vegan” e “vegetariano” (incredibili sia lo svarione, sia la necessità di precisare termini che dovrebbero essere definitivamente acquisiti), Autogrill aveva accettato di mettere in commercio anche Ischia, il panino che è durato il tempo che è durato. Questo fatto, nella sua banalità, illustra un modo di procedere forse dovrebbe essere definitivamente abbandonato. Fare richieste minimaliste come se fossero questioni fondamentali, sapendo che richiedono molte energie successivamente riassorbite nel disinteresse generale, rappresenta un modo di operare che altrove è stato chiamato “occasionalismo”, cioè un procedere frammentato basato sulle richieste che in modo abbastanza casuale vengono in mente a qualcuno. In effetti il movimento animalista, o quella cosa che si identifica in quell’espressione, ruota frequentemente intorno a stramberie che nascono con una certa casualità. Se avere un panino vegan nei punti di ristoro autostradale fosse così importante e strategico per la liberazione animale, la sua presenza nei grill dovrebbe essere monitorata costantemente. In questo caso, di fronte al ritiro del prodotto dal mercato, sarebbe stato necessario riprendere la “campagna”. Se invece (come credo), il panino vegan non fosse così centrale nella storia del movimento abolizionista, esso, a suo tempo, non avrebbe dovuto essere oggetto di richiesta.

E’ indubbio che qui si sta parlando di una questione estremamente marginale. Ma ciò che è accaduto intorno a un panino, ovvero un procedimento caratterizzato da una certa verve iniziale a base di inviti, petizioni, rimostranze, seguito da spente conseguenze rappresenta un piccolo esempio di un malessere che può essere esteso a molte altre situazioni allorquando un obiettivo giunto a buon fine, viene riassorbito dall’avversario confidando – a ragion veduta – sulla natura  meteoropatica degli animalisti. A meno che non si adotti lo slogan “si fa quello che si può”, il quale, oltre ad essere un alibi assai debole, sembra costruito per celebrare la debolezza.

 



Data: 20/08/09

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