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Gli insegnamenti che arrivano dall'isola Gorgona |
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Il resoconto di una visita all’isola Gorgona pubblicato il 27 maggio sul periodico locale canavesano VarieEventuali a firma di GM, merita alcune considerazioni che forse appariranno insolite al lettore comune. Niente di strano. Ogni cultura dominante suggerisce in ogni istante e senza sbavature ciò che è normale e ciò che non lo è. Uscire da questa condizione non è facile, neanche se si viene in contatto con una cultura marginale che sovverte il senso delle cose riproponendo un’altra “normalità”. Dunque torniamo all’articolo in questione: si presta ad essere osservato sotto una prospettiva meno luminosa rispetto a quella che l’autrice le ha voluto conferire? Gorgona, ricorda l’articolo, è un carcere. Ma un carcere ideale (o più ideale di altri) in cui i 65 detenuti non stanno dietro le sbarre, ma lavorano, sono remunerati e, quel che è più importante, apprendono capacità professionali che, a pena conclusa, potranno spendere convenientemente nella società. Quale sia la differenza rispetto ad altri istituti di pena in cui “si passa il tempo nell’ozio ... e dove, alle dimissioni, si esce del tutto privi di prospettive” non è difficile comprendere. Fin qui l’articolo coglie una innegabile verità. La pena vista come educazione, formazione e reiserimento dovrebbe essere la norma e non l’eccezione. Dunque l’impressione che il lettore riceve dell’istituto penale dell’isola è positiva. Un’impressione rafforzata dalle descrizioni dell’ecosistema e delle sue risorse che acquistano una bellezza e un respiro assolutamente incantevole grazie dell’azione del lavoro umano. Il fatto è che dopo le viti, gli olivi e i rosmarini così ben tratteggiati da fare emergere gli odori dell’isola dalle righe di stampa, si passa agli animali. E allora non ci siamo più. Vediamo perché. L’autrice spiega che l’isola è una specie di arca di Noè in cui tutti gli animali domestici godono di rappresentanza. Ma godono anche di una buona vita lontani dalle brutture e dalle torture degli allevamenti intensivi. Infatti gli animali sono liberi, si sdraiano all’aperto, godono di ripari e sono perfino destinatari delle coccole da parte degli abitanti dell’isola. Le descrizioni di GM sono degne dei pittori dell’Arcadia. Non potendo impiegare immagini, ecco l’uso di termini ad alta sollecitazione visiva: libertà, amore, gratuità, presa in cura, affettività, armonia, rispetto. Di tutto questo sarebbero destinatari gli animali di Gorgona. Di questo si tratta? Arriverà il rispetto anche quando il chiodo si conficcherà nella testa della mucca perché la figlia avrà raggiunto una capacità produttiva di latte superiore a quella della madre? Ci sarà rispetto per la gallina quando l’operatore di turno la sgozzerà? O per l’orata che “mantiene le stesse caratteristiche di quelle d’altura” quando soffocherà fuori dal vascone? E’ inutile girare intorno alla realtà. Una specie (quella umana) costruita biologicamente per un’alimentazione strettamente vegetariana che in un lontano passato, per motivi incerti, ha incominciato a variare la sua dieta, trasforma l’animale in un oggetto sottoposto a violenza universale, un essere privo di interessi propri persino laddove sembra destinatario di assoluto altruismo come il gattino col mal di pancia portato dal dottore (sic). Comunque la si voglia vedere, l’animale non è mai una creatura fine a se stessa, ma mezzo per fini umani, dunque è l’essere reificato per eccellenza. L’apparente umanità di certe detenzioni, non aiuta la liberazione animale, ma, come ha ben osservato uno dei più fini analizzatori della condizione animale, l’avvocato americano Gary Francione, svolge ancor più la funzione di ostacolarla perché finisce per alleggerire la coscienza di chi la bistecca se la gusta considerando che l’animale, tutto sommato, ha vissuto bene. L’articolo si chiude con un paio di osservazioni interessanti. La prima è quella relativa ad un ragazzo che, finito di scontare la pena, si dedicherà alla pastorizia. Egli dichiara che era infelice e senza prospettive mentre nel prossimo futuro, grazie alla sua nuova attività, darà un senso alla sua esistenza. Meno felici di lui saranno le sue vittime. Egli diventerà, se non uno scannatore, un fornitore di agnelli per scannatori di professione. Magari a Pasqua, il giorno della santificazione. Non c’è che dire: la società gli avrà fornito un ruolo modesto, ma il ragazzo potrà godere del riconoscimento collettivo. La seconda osservazione è racchiusa in una frase che meriterebbe di diventare l’epigrafe dell’ambientalismo moderno: “La cura della natura che diventa una cura per l’uomo”. Una espressione che, in modo esemplare, suggerisce la separazione dell’uomo dalla natura e sancisce in modo velato la filiazione della cultura laica da quegli orridi monoteismi che da tempo immemorabile hanno portato l’inferno sulla terra.
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Data: 29/06/09 |
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