Bloc Notes

Altri attacchi
alla casa degli esseri

di
Aldo Sottofattori




Negli ultimi tempi i biocarburanti hanno catturato l’attenzione di molti grazie a un sapiente lavoro di grancassa da parte dei media. Occorre dire, però, che il “la” è stato dato dalla politica. Infatti alcuni governi euroamericani hanno stretto accordi con il Brasile per trasformare ampie zone di questo paese in colture cerealicole adibite all’estrazione dell’etanolo. Subito è risuonato il plauso degli ecologisti della domenica: infatti cosa c’è di più ecologico che spostare parte del consumo energetico dai combustibili fossili a combustibili che la natura ci mette a disposizione direttamente per mezzo della fotosintesi? Il prodotto agricolo si forma a spese dell’anidride carbonica che verrà rilasciata allorquando il proprietario della macchina avrà consumato il biocombustibile. Un autentico ciclo virtuoso: l’auto si sposta senza impatto ambientale; in ultima analisi funziona ad energia solare.

Naturalmente le critiche sono state tante e sono giunte da più parti. Non occorre essere degli specialisti per comprendere che la brillante idea contiene una serie di implicazioni aberranti. Qualcuno ha calcolato che un pieno di questa benzina superverde presuppone il consumo del cibo di una persona per un anno. Altri hanno calcolato che le aree destinate alle coltivazioni vanno a minacciare pericolosamente parte di quel polmone del mondo che è l’Amazzonia. Altri ancora, riflettendo sul punto precedente, temono che altri stati in “via di sviluppo” seguiranno l’esempio del Brasile per vendere biocarburanti ai paesi ricchi per permettere ai sciur Brambilla di turno di infognarsi nelle autostrade.

Sicuramente ci saranno stati anche critici che avranno posto l’attenzione sul fatto che il mais condannato a finire indirettamente nel serbatoio, non è il mais di un tempo, quello che produceva una pannocchietta ogni metro quadrato, ma quello delle attuali coltivazioni intensive e magari OGM che permette altissime rese purchè utilizzi il terreno come semplice supporto, essendo tutte le sostanze necessarie distribuite per mezzo di un’industria che senza petrolio sarebbe semplicemente inesistente. Insomma, verrebbe a mancare uno studio del “rendimento di processo” che, a parte tante altre considerazioni, giustifichi l’operazione anche solo da un punto di vista energetico. Quest’ultima critica genera il sospetto che l’intero andamento sia gestito dal binomio che sempre più si configura come il vero motore della modernità: quello costituito dai furbi e dagli idioti.

I primi sono gli operatori delle multinazionali che fanno e disfano animali (umani e non) e materia a seconda delle convenienze e che concepiscono la questione ecologica come il terreno privilegiato per fare (buoni) affari. Naturalmente a modo loro. I secondi sono sempre loro, quelli che da due secoli, con poche e luminose eccezioni, si configurano come i vari comitati d’affari della borghesia. Cioè i politici.

Le critiche esposte sopra hanno una natura eminentemente tecnica. Altri – pochi in verità – hanno colto sin da subito l’impatto sociale dei biocarburanti. Tra questi il compagno Fidel Castro, che, nel mese di aprile di quest’anno, si è espresso in proposito con la consueta forza. Egli, criticando l'amministrazione USA per la sua nuova politica energetica, ha accusato gli Usa di "genocidio". Occorre sottolineare che se fosse stato meno diplomatico, avrebbe associato nella potente accusa anche qualche primo ministro europeo e, ovviamente, anche qualche strambo falcemartellato che sostiene il suo governo. Secondo Castro il molok occidentale ingoierà, insieme ai previsti 500 milioni di tonnellate di cereali anche le popolazioni di quei paesi poveri che si vedranno ridurre ulteriormente alla fame per “risparmiare meno del 15% del consumo annuale” di benzina. Già poco tempo prima, Fidel aveva messo in guardia i paesi emergenti sullo sviluppo distorto dell’Occidente e sulla nuova trovata dei biocarburanti, mettendo in evidenza il rischio di devastanti carestie connesse alla lievitazione dei prezzi dei cereali.

Per quanto la critica del compagno Fidel sia centrata e si ponga su un piano etico superiore a tutti i tecnicismi che si possono intrecciare sulla questione dei biocarburanti, occorre dire che essa si configura ancora come una valutazione dalla natura antropocentrista. Giustamente lui pensa ai poveri della terra, ma non va oltre. La nostra mente invece corre anche altrove. Le trasformazioni delle foreste in coltivazioni ci ricordano abbattimenti di elefanti che attentano alle coltivazioni di olio di palma in Asia. Ci ricordano gli abbattimenti di scimmie che attingono dalle coltivazioni di mais in Africa. Ci ricordano gli abbattimenti dei cinghiali che minacciano le coltivazioni di patate in Europa. La storia dei biocarburanti in qualche modo prefigura ulteriori restrizioni alle specie diverse dall’uomo che nel suo furore distruttivo non rinuncia a danneggiare oltre che se stesso (i membri più deboli e poveri della sua specie), anche quell’altro da sé che meriterebbe considerazione e rispetto.

Sotto questo punto di vista la storia dei biocarburanti parla anche di certi animalisti, i quali, chissà per quale ragione, di fronte a fatti di  questo genere si ammutoliscono forse perché nemmeno li notano. E sì che avrebbero molto da dire. Che la specie umana deve restringere la sua impronta ecologica, che deve rinunciare al sogno che le tecnologie possano risolvere i suoi bisogni infiniti (e infantili), che certi consumi dovranno essere cancellati dalla faccia della terra (altro che biocarburanti), che forse (no, non “forse”!) dovrà chiudersi una fase della storia in cui tutti i metri quadrati del pianeta sono racchiusi entro linee invisibili – anzi, inesistenti – che si chiamano confini degli stati. Strano. Quando si parla di carne, il discorso frequentemente scivola (con intenzioni furbesche) sull’impatto ambientale dell’allevamento, sul basso rendimento dell’animale inteso come “macchina” convertitrice di proteine e di energia. Si tratta di sottili sistemi per aggirare la resistenza di chi degli animali non gliene importa niente tentando di ottenere comunque un risultato. Francamente non credo che questa sia la strategia giusta, ma chi l’accetta e la pratica, per coerenza, dovrebbe accettarla e praticarla sempre e attivarsi anche in casi come quello delle biobenzine. Invece gli animalisti si esprimono quasi per riflessi condizionati soltanto su fatti che costituiscono uno striminzito e sempre uguale repertorio e ciò mostra come purtroppo siano incapaci di legare questioni diverse in un unico disegno.





Data: 09/11/07

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