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Conferenza nazionale sul clima

A cura di
RA



 

Giovedì 12 settembre si è tenuta la conferenza nazionale sul clima. Sotto la lente i preoccupanti processi climatici che nel nostro Paese, a parere di molti, giocano un effetto superiore che nel resto del mondo. La crescita della temperatura, la scarsità di precipitazioni, le avvisaglie di desertificazioni persino nel Nord, le erosioni delle coste non promettono niente di buono. I fenomeni sotto osservazione nel nostro Paese hanno certo una componente esterna e sono da riferirsi a cause generate altrove (i fenomeni metereologici e climatici non rispettano i confini), ma, d’altra parte, una nazione che non ha rispettato i parametri di Kyoto e che continua a impiegare il territorio in modo osceno trasformando il “Bel Paese” in un luogo di brutture non può rammaricarsi del futuro oscuro che la minaccia.

Se i processi di degrado sembrano possedere una magnifica inerzia non contrastabile nemmeno da domineiddio, le istituzioni non rinunciano a “studiare” il problema. Le preoccupazioni sono tante: peggioramento della salute dei cittadini, agricoltura che soffre, danni al turismo, crisi ambientali. Pecoraro Scanio afferma: “nell’ipotesi ormai largamente superata che la temperatura cresca solo di 1,5 gradi, nel nostro paese, i costi per fare fronte ai danni prodotti dai cambiamenti climatici sono 50 miliardi di euro all’anno”.

Spetta a Prodi, il giorno dopo, offrire la ricetta risolutiva: “Siamo davvero all’inizio di quella che può davvero essere una terza rivoluzione industriale”. Caspita! E in cosa consisterebbe, di grazia? Il presidente del Consiglio non ha esitato a pronunciare il mantra che risolve ogni cosa: energie rinnovabili! Naturalmente non basteranno, e allora ecco l’integrazione: oltre a altro gas, quel carbone che è stato abbandonato all’inizio della “seconda” rivoluzione industriale prima che, con i suoi miasmi, fottesse il sistema sociale e il modo di produzione capitalistico.

C’è qualcosa che questi signori proprio non vogliono ficcarsi in testa. Se pensano che il binomio continuamente evocato – nuove tecnologie e mano invisibile, oltrechè miracolosa, del mercato – possano rimediare allo sfascio del sistema antropizzato (cioè del mondo) si sbagliano di grosso. I politici – anche verdi, certo – insieme con i centri di ricerca, le università, le associazioni di imprenditori, come tutti gli animali umani del passato si fanno offuscare la vista da due luci abbacinanti: l’ideologia e l’interesse.

L’ideologia dello scientismo, questa orrenda religione moderna che si officia in templi strapieni di dottori Jekyll, continua a affascinare con la più grande panzana della Storia e cioè con l’idea che attraverso l’eterno sviluppo tecnologico si possa porre rimedio a quegli stessi danni provocati dallo sviluppo tecnologico. Non sfiora la mente dei suoi fautori il pensiero che già sul piano logico appaiano incongruenze insuperabili. Probabilmente l’illusione nasce dal fatto che ogni singolo Jekyll agisce su una particula del sistema generale. In essa egli può effettivamente mostrare, talvolta, una certa utilità del suo lavoro,  ma il nefasto effetto globale nasce dalla interrelazione della pluralità dei soggetti. Ciò detto, occorre anche ricordare che il tanto reclamato bagaglio di virtù dello scienziato (disinteresse, trasparenza, onestà intellettuale), qualora sia mai esistito, è roba di altri tempi. L’interesse è entrato di prepotenza nella sua vita e condiziona ogni suo singolo atto.

E qui ci si collega con gli interessi di tutti gli altri attori sociali. Che l’ecologia sia diventata un business è un fatto. Leggiamo un passo del Manifesto (14 sept 2007 – pag.3 di g.ra.): “[Bersani] stava spiegando alla platea, dopo aver nominato Karl Popper, che il tema ambientale «può essere, anzi deve essere» un driver per l’economia. Tradotto significa che l’industria ambientale [sic, ndr] può (anzi deve) far guadagnare chi ci si dedichi, con il coraggio [un refuso? forse l’articolista voleva dire: “foraggio” ndr] necessario”.

Se le cose stanno così, non preoccupiamoci troppo. Anche se si avranno danni ambientali, i 50 miliardi necessari per rimettere le cose a posto si tradurranno in cospicui vantaggi per tutta un’industria che sarà dedicata alla costruzioni di argini, al risanamento del territorio e delle coste, alla cura dei cancri e in ogni caso entreranno trionfalmente nella contabilità nazionale del PIL.

Occorre notare che anche le tradizionali organizzazioni ambientaliste hanno le idee corte. Scommettere sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili – proposte ripetutamente da associazioni come WWF e Legambiente – avrebbe senso se la società umana venisse ricostruita sulla base di bisogni diversi e su modalità di riproduzione materiale radicalmente alternativi all’attuale. Se le merci possono spostarsi da una parte all’altra del mondo scaricando nell’atmosfera miliardi di tonnellate di CO2, parlare di efficienza energetica è una semplice battuta che può stare bene solo nella bocca di qualche comico avvezzo a fustigare i costumi di questa società. Che le energie rinnovabili non possano sostituire i combustibili fossili se non in piccola frazione è poi talmente ovvio da non meritarsi la spesa di una sola parola.

Per quanto la conferenza non abbia citato gli animali, cosa evidentemente ovvia considerando la cultura specista dei partecipanti ai lavori – chissà cosa possa importare degli animali non umani a animali umani come Prodi, Pecoraro o Bersani –, questi temi interessano decisamente i liberazionisti antispecisti. L’ambiente costituisce la casa comune degli esseri e tutti gli attentati che la specie umana conduce verso di esso diventano un problema per gli antispecisti. I quali, quando riusciranno a affinare le loro categorie concettuali, sapranno trarre le giuste considerazioni per valutare l’incompatibilità tra questa classe politica (tutta intera) e la politica necessaria per tentare di dare una veste nuova al nostro mondo così disperato.




Data: 26/09/07

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