Bloc Notes

Cinema d'estate

di
Aldo Sottofattori




Sono andato a vedere “Le ferie di Licu” di Vittorio Moroni. Un film-documentario di buona fattura. Il film pone l’attenzione a quell’onda lunga che è l’emigrazione in Europa per cogliere quei frammenti di umanità “particolare” che sembra possano essere scoperte soltanto nelle culture altre. Sembra. Infatti mi sa che componendo l’infinito puzzle dei comportamenti umani si scopra l’universalismo della natura di questa scimmia nuda, e che la cultura finisca per apparire la forma con la quale l’universalismo della specie si riveste nei vari luoghi terrestri. Mah...

A parte questo, prendo la penna, superando la mia naturale ritrosia, per una ben precisa ragione: è la terza volta che vedo un film “etnico” in cui una persona viene sgozzata sul set. Realismo puro e violento. La prima volta non ricordo chi fosse la vittima, la seconda si è trattato di una capra, questa volta di una mucca. Non contento, il regista ci offre un supplemento. Infatti alcune sequenze dopo, un’altra vittima (un grosso pesce)  viene ucciso a martellate in pescheria (...il piacere del pesce fresco!).

Sarà un caso, ma nello stesso momento in cui la lama del contadino del Bangladesh taglia la gola dell’innocente tra spasmi disperati e l’inondazione del sangue, un piccolo umano seduto due sedili sulla mia sinistra si mette a piangere disperato e viene portato fuori dal babbo.

L’autore era presente alla proiezione. Prima della proiezione aveva illustrato la genesi del film e aveva dichiarato che sarebbe stato disponibile per discutere con il pubblico. Così, nonostante il vento tagliente della sera e il mio abbigliamento inadeguato, mi fermo per il tempo necessario a sollevare un’ovvia obiezione.

Richiamo le sequenze incriminate (interessante il fatto che Moroni cancellerà mentalmente la sequenza del pesce limitandosi a parlare della vacca), sollecito una riflessione sulla dignità dell’animale e (ipocritamente, lo ammetto) tento di sfruttare l’evento. Come? Dicendo: “Questa insistenza del cinema etnico sull’uccisione cruenta dell’animale non sarà un inconscio desiderio per rilevare barbarismi nell’altro da se’? Perché da noi le bistecche non crescono certo negli alberi.” Chiaro lo scopo, no? Quelli saranno fatti così, ma noi che alleviamo intensivamente animali, li trasportiamo per chilometri e nascondiamo la realtà dei macelli non siamo mille volte peggio?

Classico boomerang. Infatti il regista risponde pressappoco così.

1) - Innanzi tutto un film ha una struttura documentaristica e avendo ripreso la vita della comunità che si è svolta in modo autonomo, non ho dovuto di certo organizzare la macellazione.

Come dire: l’hanno fatto loro in piena libertà e io ho soltanto ripreso la scena.
Regista – spettatore (io)       1 – 0

2) - Da piccolo vivevo il rito dell’uccisione del maiale e per me era una visione traumatica, ma poi mi sono reso conto che gli adulti intorno a me vivevano il fatto in modo diverso.

Come dire: modificando le mappe cognitive si riesce anche a guidare la sensibilità. E le sensibilità sono sensibilità, non ce n’è di giuste e sbagliate.
Regista – spettatore (io)       2 – 0

3) - Ho voluto portare i miei occhi dentro la cultura del Bangladesh per colmare una distanza e permettere ad altri occhi, i vostri, di entrare in una comunità e familiarizzare con essa. Quella uccisione, fatta in quel modo, col cuore che pompa via il sangue conferisce nella mentalità locale purezza all’animale e alla sua carne.

Come dire: il mio è quasi un lavoro da antropologo che esplora la molteplicità dei lati culturali nessuno dei quali deve essere escluso per evitare assurde censure.
Regista – spettatore (io)       3 – 0

4) - Ma la pare finale della sua domanda è il punto di partenza per la vera risposta. Certo che no. Non ho voluto minimamente attribuire un giudizio negativo alla cultura dell’Islam. E’ vero quello che dice. Mi ricordo di certe inchieste fatte nel nostro Paese sulla base delle quali risultava che certi nostri bambini credono che il latte si formi dentro i cartocci che lo contengono [battuta].

Come dire: la nostra società ipocrita nasconde, a differenza degli islamici, l’impiego degli animali al punto che l’origine dei prodotti risulta sconosciuta.
Regista – spettatore (io)       5 – 0

No, non 4 –0; 5 – 0! Questa “magistrale” risposta vale due punti a suo favore. Il presentatore della serata, riprendendo la parola, ha detto che pur non avendo ascoltato completamente la mia domanda (forse si era brevissimamente assentato) non aveva compreso bene dove stesse il problema nella sequenza dell’uccisione della vacca. Poi il freddo mi ha vinto e sono dovuto andare a casa senza partecipare al prosieguo dell’incontro.

Perché ho scritto queste righe? Bah! Forse per rimarcare quello che noi antispecisti sappiamo oramai molto bene: che la logica specista non la si sconfigge con le argomentazioni. Se non fosse stato di cattivo gusto riprendere la parola (in questi incontri se fai più di una domanda appari giustamente invadente) e soprattutto inutile, avrei obiettato:

“Ma scusi, se avesse fatto un film su qualche stato che ammette la lapidazione e si fosse presentata la possibilità di filmare l’esecuzione di un’“adultera”, l’avrebbe fatto? La risposta (1) sarebbe valsa ancora. Infatti la poveretta mica l’avrebbe lapidata lei. Anche la risposta (2) sarebbe stata pregnante; infatti, anche la scena avrebbe potuto traumatizzare la troupe, ma il pubblico abituato al “rito” l’avrebbe sopportato benissimo dimostrando quel relativismo dell’orrore che può produrre il suo superamento. Buona sarebbe stata anche la risposta (3). Infatti portare gli occhi dentro la cultura per approfondirne tutte le manifestazioni è un fatto positivo, risultando anzi colpevole censurarne determinati aspetti. Inoltre con un piccolo sforzo e coerentemente con la risposta (4) avrebbe potuto perorare la necessità di rendere pubblico anche da noi lo sconto di pena per scoraggiare vieppiù il crimine.

No! A quel punto il regista non avrebbe proprio compreso e nella sua testa, penso, si sarebbe formato il pensiero “ma che dice questo qua? Paragona una vacca ad un essere umano?”, frase che probabilmente sarebbe stata elaborata in forma gentile, ma ferma.

In coda a questa storia vorrei aggiungere che una mia cara amica che durante la proiezione sedeva al mio fianco, in occasione alle due sequenze incriminate ha avuto due sussulti pazzeschi sul sedile. Mi ha detto un sacco di volte che prima o poi diventerà vegetariana (vabbè, almeno questo). Mi sono strofinato le mani pensando che le due scene fossero l’occasione giusta per compiere una scelta tante volte prefigurata. Cosa credete che abbia comprato e mangiato il giorno successivo?

Bisogna prenderne atto. L’argomentazione discorsiva non possiede proprio la virtù di sconfiggere lo specismo. Occorre cercare altre strade.



Data: 27/08/07

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