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La meglio gioventù |
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L’Italia torna a crescere ma solo grazie agli immigrati. Incomincia così un articolo di Sara Farolfi a cui il Manifesto (venerdì 6 luglio) concede il posto d’onore nella prima pagina giovandosi del celebre titolo di un film. Abbinato a una fotografia in cui un atleta di colore si cimenta nel salto in lungo, il sottotitolo trasmette subito il messaggio: con gli immigrati, con il loro potenziale sociale e produttivo, il Belpaese registra finalmente un saldo positivo delle nascite. L’articolo descrive dati forniti dall’Istat, ma non è un freddo resoconto di una tendenza demografica. Si comprende bene quale sia l’intento del Manifesto attraverso la penna della giornalista. Gettare una luce positiva su popolazioni di origine extracomunitaria o neocomunitaria che poco a poco stanno integrandosi “lavorando, pagando tasse e contributi” e quindi fornendo risorse nuove all’Italia. E’ chiaro l’intento oppositivo agli squallidi stereotipi di certe forze politiche che le vedrebbero esclusivamente (o quasi) come problema di ordine pubblico. E’ evidente che la mondializzazione, frutto perverso di un processo storico che ha visto l’edificazione dell’Occidente sullo sfruttamento più inumano e sanguinario obbliga a un atto di riparazione che consiste non solo nell’accettazione di migranti che fuggono dai loro paesi per questioni politiche, ma anche di coloro che decidono soggettivamente di cercare o una nuova patria o semplicemente un luogo su cui soggiornare temporaneamente sulla base di scelte unilateralmente decise. Questa interpretazione dell’espressione “diritti umani”, piuttosto lontana dalla lettura fornita da molti solo quando ne devono trarre vantaggio, fa onore al Manifesto. Tuttavia c’è qualcosa che non torna. Un conto è riconoscere a certi soggetti giusti diritti in un mondo ormai consegnato al caos. Un altro è fare l’apologia di una situazione che occorre accettare e governare nella prospettiva di un ritorno a una situazione di stabilità superando gli squilibri generati a livello mondiale dal capitalismo. Godere per la crescita della popolazione secondo un modello ottocentesco che oggi si prolunga nella mente di demografi flippati è abbastanza sorprendente. Significa non aver compreso che tutte le lamentazioni contenute nelle altre pagine del giornale sono di certo poste in relazione con un rapporto popolazione/territorio che ha almeno altrettante responsabilità nel malessere diffuso quanto lo squilibrio tra le classi. Godere perché finalmente la popolazione cresce di nuovo significa avere idee offuscate e in sintonia con le veltronate che assegnano alle tecnologie le possibilità di risolvere qualsiasi contraddizione in termini di produzione/consumo e protezione ambientale. In altri termini, il Manifesto si mostra un pentolone in cui le tendenze sviluppiste (industriali e demografiche) sono sempre ben salde e dominanti rispetto a quelle tracce, pure presenti, che sollecitano riflessioni su altri mondi possibili. Del resto, in onore a questi tempi in cui tutti possono dire tutto su tutto senza cogliere le contraddizioni evidenti tra “A” e “NON A”, la varietà delle idee è considerata un valore in sé anche quando queste cozzano malamente l’una contro l’altra. Insomma, siamo destinati a diventare 60 milioni, poi 70, poi 80 con grande felicità del ministro della solidarietà sociale Ferrero che nell’articolo pare condividere la stessa soddisfazione del giornale e che, evidentemente, è in sintonia con le Chiese le quali identificano nell’imperativo dell’“andate e moltiplicatevi” la salute di una civiltà. Se ciò comporta maggiore industrializzazione, maggiore pressione su servizi esausti, maggiore asfaltizzazione, maggiori contraddizioni insolubili e nodi intricati, al Manifesto e al Ministro Ferrero sembra non importare nulla. Di fatto non è così: la realtà è che essi non colgono le relazioni tra elementi che non siano in relazione diretta come una pallonata e un vetro rotto. Bella sinistra abbiamo ereditato! Purtroppo la critica deve essere estesa. Questi sono anche temi che dovrebbero coinvolgere gli antispecisti! Invece gli animalisti sono disattenti. Così come la sinistra non riesce a cogliere il rapporto tra l’aumento della popolazione e la diminuzione delle possibilità di assolvere ai suoi bisogni fondamentali, così gli animalisti non riescono a comprendere come le possibilità di offrire un futuro ai popoli muti dipendano dalla riduzione della pressione antropica che sviluppisti esaltati continuano a pretendere nella bella tradizione degli apprendisti stregoni. Un po’ di tempo fa un corteo di cappelli gialli ha sfilato per una città del Nord chiedendo stermini di massa per qualche patata rubata. Ma ha senso parlare di furto? Se nella patata c’è lavoro umano e il contadino ha motivo di sentirsi defraudato se gli viene sottratta da un cinghiale, non è forse vero che l’esplosione antropica “ruba” spazi a chi ha tutti i nostri stessi diritti di sopravvivere su questa terra? E’ evidente che la logica specista non rileva contraddizioni di questo genere semplicemente perché sopprime uno dei termini del problema. Ma chi vuole essere portatore di un’etica allargata deve essere pronto a contrastare i modelli concettuali dominanti perché, anche quando non sembrano avere influenze di sorta, hanno potenti implicazioni sulla realtà delle cose. Ignorare questo significa rimanere in un mondo chiuso di idee morali ma irrealizzabili e prive di significato. Considerare questo significa vedere il problema animale all’interno del processo di liberazione umana e fondarlo sulle condizioni materiali che consentono la sua soluzione.
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Data: 10/07/07 |
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