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Sul “Lupo Italiano” |
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Lo ammetto. Sono ignorante e quindi potrò dire anche una sequela di incredibili scemenze. Ma per favore, lasciatemi provare. Quest'ansia di dire la mia scaturisce da un articolo comparso sull'inserto Venerdì della Repubblica (4/6/2004) a firma di Valeria Aloisio: “Chi salverà il lupo che viene a salvarci”. Messa così, lo ben comprendete, l'animalista s'allarma subito. Ne conoscete uno che non si precipiterebbe ad informarsi sull'ultimo atto indegno dell'uomo? E così sono andato a leggere col cuore in gola. E invece cosa ho scoperto? Una nuova e preoccupante notizia su quella spettacolosa impresa che, iniziata alcuni decenni or sono, giunge a illuminare la nostra meravigliosa disposizione verso gli animali. Si tratta del “Lupo Italiano” di cui, in passato, mi sono già occupato. Vediamo quali sono le novità:
Finalmente, chiarito il quadro, posso esprimere le mie impressioni di ignorante totale in biologia, zoologia, sociologia e politica, tutte scienze che occorrerebbe padroneggiare sapientemente per poter dire la propria senza fare figuracce colossali.
O meglio, mi farebbe. Perché continua a risuonarmi nelle orecchie quella locuzione indefinita “scelte drammatiche” che la mia diffidenza mi fa interpretare al peggio. E allora, proprio per evitare conclusioni che, come animalista, mi fanno rabbrividire, mi permetto di rivolgere un consiglio al “creatore” del Lupo Italiano. Se gli onorevoli Russo Spena, Nan, Vigni e Asciutti che si sono adoperati per soddisfare le giuste rivendicazioni dell'allevatore, non riusciranno a vincere il disinteresse e l'insensibilità del Parlamento, egli potrebbe sempre incrociare un pastore bavarese con un lupo e realizzare una nuova razza: il Lupo Piemontese. Forse il Parlamento Regionale si dimostrerà più munifico.
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In merito all'articolo sul lupo Italiano, riceviamo queste considerazioni di un lettore che pubblichiamo con piacere. In coda alcune note in risposta alle obiezioni.
Salve, sono capitato per caso su di un vostro articolo inerente alla razza "Lupo Italiano", http://www.liberazioni.org/ra/ra/pp324.html. Volevo esprimere alcune mie considerazioni a riguardo. Apprezzo molto che ci sia ancore gente che, come l'autore del sovracitato articolo, ha l'onestà e lumiltà di riconoscere che (cito testualmente):"Lo ammetto. Sono ignorante e quindi potrò dire anche una sequela di incredibili scemenze." Trovo che sia una dimostrazione di intelligenza e serietà. Nemmeno io posso definirmi un esperto del settore, ma seguo da qualche anno le vicende legate al Lupo Italiano, e ho avuto quella che ritengo grossa fortuna, di conoscere un privato della mia città alla sua seconda esperienza con la razza in questione. I suoi 17 anni di esperienza mi hanno fornito elementi che non si possono reperire unicamente sul sito ufficiale dell' ETLI. Esprimo dunque il mio parere in merito ad alcune domande che l'autore si pone. 1) I caratteri ereditari sono scolpiti nel genotipo, in quanto nel fenotipo la razza presenta notevoli differenze tra gli individui. Sì, è veramente un cane eccezionale da utilità, come dimostrano i risultati e i riconoscimenti che annualmente conseguono i reparti cinofili dei corpi dell'ordine e di soccorso che impiegano tale razza. La differenza con altri lupoidi è nella selezione mirata esclusivamente alla funzionalità e all'equilibrio a scapito dell'aspetto estetico, fattore che certamente un cane che trova collocazione nei quadri di salvataggio non necessita. 2) Non si è ottenuto da un lupo tedesco, come viene erroneamente riportato dall'articolo, bensì da un Pastore Tedesco (proveniente da un allevamento italiano) e una lupa dell'alto Lazio (anche questa ovviamente made in italy). Quindi un risultato tutto italiano, da cui correttamente il nome della razza. Non si tratta dunque di bastardone, poiche tutti i soggetti nati sotto la tutela dell'ETLI presentano le medesime caratteristiche, infatti si parla per l'appunto di razza. 3) Lo Stato non fa concorrenza a nessuno, poichè il Lupo italiano non è in vendita, e lo si può ottenere solo dopo il superamento di un esame psico-attitudinale (volto a garantire che il cane finisca nelle mani giuste), e in più non è riconosciuto dall'ENCI né tantomeno dalla FCI. Sono dunque due piani diversi, e non sussiste la benchè minima possibilità che fra essi intercorra il fenomeno della concorrenza. E' doveroso che lo Stato tuteli, mediante sovvenzioni e norme regolatorie, l'allevamento di una razza che dà molto al Paese, e che senza i fondi dello stesso non potrebbe sopravvivere (I cani, forse sapete, non mangiano aria...). 5) Mi trovate d'accordo, viva il Made in Italy. 7) Rimando al punto 2) per l'errore ripeturo a proposito di fantomatiche discendenze con il lupo tedesco. Trovo che "sbattersene altamente" del futuro di una razza canina sia davvero poco coerente per un animalista che abbia il coraggio di definirsi tale. Io non me la sento di essere indifferente al futuro del Lupo Italiano, perchè lo ritengo di inestimabile valore zootecnico e funzionale, oltre che naturalmente un vanto più che giustificato della cinofilia italiana. Ricordo che in tutto il mondo sono tre gli esperimenti riusciti per creare una nuova razza partendo dall'incroco di un lupo e, guarda caso (ovviamente non lo è), di pastore tedesco; e ovvero sono il Cane Lupo Cecoslovacco, il Cane Lupo di Sarloos, ed infine il Lupo Italiano. 8) Inoltre mi permetto ancora una volta di ribadire la diversità tra l'allevamento del Lupo Italiano, senza fini di lucro, e l'allevamento di una QUALSIASI altra razza canina riconosciuta FCI. Questo per spiegare che se l'allevatore, che nel caso del Lupo Italiano è anche il creatore M. Messi, alleva questa razza con l'onorevole scopo di servire il paese e ottenere un cane che salvi vite umane meglio della maggioranza degli altri cani esistenti, non lo fa per soldi. Concludo rinnovando la mia disponibilità ad ulteriore scambio di riflessioni sull'argomento. Paolo
Ambrogi *********************
Prendiamo atto di alcune precisazioni “genealogiche” del sig. Paolo Ambrogi. Occorre però ricordare che: 1) L'articolo era fortemente segnato dall'ironia di “Frunze” che non è più tra noi. La concorrenza dello Stato ai cinofili può essere letta solo come una battuta sulla quale non conviene soffermarsi molto, pena il rischio di essere considerati privi del senso dello humor. 2) Non siamo molto nazionalisti, ma fin qui sono affari nostri. Se l'inno e la bandiera sollecitano emozioni forti, ben vengano. Sono l'indice di un legame degli individui dello Stivale che in sè certo non fa male. Però dubitiamo che la lupa dell'Alto Lazio possa essere considerata “italiana” nel senso di possedere nazionalità e passaporto del nostro Paese. Francamente se la lupa fosse stata canadese sarebbe cambiato qualcosa? Ci riesce difficile da comprendere. 3) Se un privato realizza l'ottava meraviglia del mondo sia per motivi estetici che funzionali, perché lo Stato dovrebbe necessariamente sostenere parte della spesa? Una persona alleva questa razza con l'onorevole scopo di servire il Paese. Bravo. Ma sarà poi il Paese a decidere se vuole essere servito. O no? Non siamo in un sistema di libero mercato? 4) Infine. Non è necessario condividere i valori del prossimo. Però i valori degli altri devono essere (ri)conosciuti, se – pur rimanendo nelle proprie posizioni – si vuole almeno provare a capirsi. Dunque è sorprendente questa frase del nostro interlocutore: “Trovo che "sbattersene altamente" del futuro di una razza canina sia davvero poco coerente per un animalista che abbia il coraggio di definirsi tale”. Perché, di grazia? Un animalista che ha il coraggio di definirsi tale non sopporta che ci sia gente che alleva animali! Di nessun genere. E' una novità? Quando sente parlare di “patrimonio zootecnico” o di cinofilia” prova un senso di disgusto e rabbia. Chi si è fatto un'idea strana sulla parola “animalista”, qualora ne abbia voglia, potrebbe controllare su una letteratura sterminata se quello che pensa corrisponde a verità. Così imparerebbe a distinguere un animalista da uno zoofilo. Fatto da cui dovrebbe essere bandita ogni confusione.
(9-02-08)
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Data: 07/06/04 |
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