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Dunque sembrerebbe finita. Il divieto di manifestare davanti all’RBM diventa tassativo. Due anni di sacrifici degli attivisti che si sono alternati davanti ai cancelli dell’azienda di ricerche bio-mediche rischiano di dissolversi di fronte all’attacco di forze autoritarie e arroganti. La flebile attenzione strappata dagli attivisti a una popolazione distratta dai suoi problemi, e spesso indurita nei sentimenti da inclinazioni egoistiche, rischia di evaporare nel giro di qualche settimana e nessuno si ricorderà degli animali che vengono torturati per ragioni che chiunque dovrebbe considerare almeno “dubbie”. Le speciose motivazioni addotte dalla Questura svelano che questa società ammette la critica – e, anzi, persino la promuove – per dimostrare un suo presunto carattere democratico, ma poi attiva i suoi anticorpi quando la critica stessa si mostra così sostanziosa da superare il vuoto carattere formale che è il massimo accettabile. I fatti giungono a conclusione dopo una lunga escalation di attacchi da parte della stampa e di ostacoli frapposti dalle autorità incaricate di salvaguardare l’“ordine pubblico”. Poi si sono aggiunti politici, sindacalisti e parlamentari, tutti uniti nel condannare senza nemmeno porre sul tappeto la sostanza dei fatti. E infine, dopo la pressione di questi, è scattata l'annullamento di diritti sanciti dalla Costituzione Una lettura oggettiva della storia non può prescindere dalla forma logica esibita dai soggetti di cui sopra, i quali si sono specializzati nel dire senza dire, nell’accusare senza accusare. Hanno incominciato gli indefessi difensori dei lavoratori con dichiarazioni sorprendenti: La situazione è stata definita “insostenibile e intollerabile per le pressioni e non solo cui sono sottoposti i dipendenti"[Moia, responsabile locale della Cgil] al punto che si è chiesto "ai parlamentari di farsi promotori di una interrogazione al ministro dell'interno per sapere cosa stia facendo per la sicurezza dei lavoratori" [Domenico Veneruso, funzionario Filcea Cgil]. Di fronte a tali pressanti richieste, gli onorevoli si sono attivati con interviste alla stampa ribadendo il concetto. Il diessino Giorgio Panattoni, supportato da alcuni colleghi, ha sostenuto che fosse diventato impellente “cancellare ogni forma di violenza e intimidazione nei confronti dei lavoratori RBM. … Se ci si dichiara contro la violenza occorre agire di conseguenza con chiarezza e determinazione”. Apparentemente non si comprende come una rappresentazione di dissenso basata su esibizione di cartelli e slogan accettati infinite volte in miriadi di altri contesti di protesta siano diventati improvvisamente pericolosi da essere catalogati come insostenibili e intollerabili. Soprattutto dopo l’allontanamento degli attivisti dal cancello di ingresso dell’azienda e il loro confinamento in un posto periferico a 50 metri dallo stesso La chiave per interpretare queste dichiarazioni sta nell’attribuzione al Coordinamento NoRBM di minacce e danneggiamenti di auto di cui si dice che certi dipendenti dell’RBM siano stati fatti bersaglio. Naturalmente si tratta di una attribuzione sempre evocata ma mai pronunciata chiaramente. Qui il gioco psicologico architettato da tanti bei soggetti si fa sottile. Da una parte si è compreso come la martellante campagna del Coordinamento NoRBM, capace di esprimere una notevole protesta a tempo indeterminato con metodi puramente legali e democratici avrebbe potuto, col tempo, ottenere sorprendenti risultati. Allora si è iniziato a impiegare un linguaggio infido con comunicazioni subliminali. Da un certo punto in poi, le dichiarazioni si sono contraddistinte per una implicita associazione della lotta del Coordinamento con la storia dei danneggiamenti. Un gioco scoperto: arrivando a suggerire all’opinione pubblica la solidità di questa connessione, il Coordinamento NoRBM sarebbe stato isolato e battuto. Naturalmente certi inquinatori dell’opinione pubblica si sono ben guardati dal riportare le dichiarazioni di estraneità del Coordinamento rispetto a quegli atti. Si sono anzi mossi in direzione opposta, tentando di suggerire espressioni e immagini che formassero nella mente dei cittadini un nesso ben preciso. Soltanto così si giustificano le frasi riportate sopra. Infine è scattato il divieto. E’ chiaro che la Questura, nelle motivazioni addotte, non poteva certo parlare di auto danneggiate e allora ha snocciolato un rosario di ragioni francamente pretestuose che in tutti i contesti di protesta animalista non hanno mai comportato divieto alcuno. A questo punto conviene analizzare la storia delle auto. Non sono stati gli attivisti del Coordinamento perché, come minimo, idioti non sono. Ma, se non sono stati gli attivisti, è stato qualcun altro. Chi può essere stato l’autore di questa serie di reati? Animalisti venuti da lontano? Fantasie sfrenate! E’ più facile chiedersi: “cui prodest?” A chi è convenuto questo rosario di atti notturni? La lettura degli avvenimenti successivi getta una luce splendente sulla storia delle macchine. Strano che tanti Zorro si siano mossi senza essere visti da nessuno. Molto strano! Poiché non conosciamo le vittime dei danneggiamenti e poiché riteniamo che gli organi inquirenti abbiano ulteriori doveri oltre quelli di sospendere i diritti legittimi che la società democratica dovrebbe assicurare e proteggere, ci permettiamo di suggerir loro una attenta verifica:
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i nomi dei danneggiati per controllare se erano nella
lista degli indirizzi resi noti su internet; Le sorprese potrebbero essere notevoli, sia per quanto riguarda la matrice di appartenenza degli esecutori, sia per quanto riguarda la specchiata moralità di alcuni soggetti che entrano come comprimari in questa storia.
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Data: 09/04/04 |
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