Officina della THEORÎA

Tom Regan: “Gabbie Vuote”
Introduzione all'edizione italiana
- Di Massimo Filippi e Alessandra Galbiati -
(per Oltre la Specie)






Pubblichiamo, con l'autorizzazione degli autori, l'introduzione di Gabbie Vuote, il libro di T.Regan recentemente apparso in lingua italiana. E' possibile che il testo richieda un giudizio articolato, soprattutto in alcuni capitoli, ma è indubbio che se venisse diffuso su ampia scala potrebbe contribuire a promuovere quell'attenzione verso la Questione Animale che ancora è di là da venire è senza la quale non si assisterà ai miglioramenti che tutti auspichiamo. Gli antispecisti potrebbero considerarlo un bel regalo per le feste di fine anno.



"Siamo tutti uguali sotto la pelle"
Michel Faber.1



Questo non è un libro. O, meglio, non è solo un libro. L'oggetto che avete tra le mani è anche un libro, ma soprattutto è un apparecchio ottico che può funzionare come un paio di occhiali, un microscopio ed un telescopio.

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Gli occhiali sono innanzitutto gli occhiali del filosofo morale. Tom Regan, infatti, in maniera semplice ma con forza e rigore estremi analizza, in questo suo più recente lavoro, l'inestricabile interconnessione tra diritti umani e diritti animali e mostra che solo con un continuo "andirivieni" tra diritti umani e diritti animali, in una sorta di "circolo virtuoso", è possibile giustificarli entrambi.2 Dopo aver indossato questi "occhiali" sarà difficile pensare che possa esistere qualcosa come i diritti umani senza quelli animali o che si possano difendere i diritti animali senza contemporaneamente dare per acquisiti quelli umani e, quindi, la prassi politica che ne consegue. Guardando attraverso queste lenti sarà anche facile capire perché la violazione dei diritti umani e quella dei diritti animali siano spesso contemporanee ed inestricabili. Contemporanee perché è la stessa cultura del "dominio" che prevede il controllo del "diverso" nelle forme della guerra e delle istituzioni totali (dal sistema allevamento intensivo/mattatoio ai manicomi ed ai centri di permanenza temporanea). Inestricabili perché utilizzano gli stessi strumenti, che trovano nell'oggetto-metafora della "gabbia" il loro marchio di fabbrica. Alla fine del percorso si capisce perfettamente che è ancora insufficiente e debitore di una millenaria cultura specista il parlare di "diritti umani" e di "diritti animali" separatamente, essendo entrambi parte dell'universo dei diritti morali.

Una volta, però, accettata la visione reganiana dei diritti animali, gli occhiali del filosofo morale si trasformano immediatamente negli "occhiali di Eugenia". Eugenia è la protagonista dell'indimenticabile racconto di Anna Maria Ortese intitolato, appunto, "Un paio di occhiali".3 Eugenia è una bambina napoletana "quasi cecata" che, nonostante il suo handicap, è profondamente rapita dalla bellezza che immagina la circondi. Eugenia vive pertanto nella trepida attesa che la sua famiglia possa permettersi quelle "ottomila lire" (il costo degli occhiali) che la separano dalla possibilità di vedere il mondo nella sua pienezza. Alla fine gli occhiali venhono acquistati, ma con stupore di tutti, Eugenia compresa, il mondo appare nella sua triste e cruda realtà: "Come un imbuto viscido il cortile, con la punta verso il cielo e i muri lebbrosi fitti di miserabili balconi; gli archi dei terranei, neri, […], e in mezzo al cortile, quel gruppo di cristiani cenciosi e deformi, coi visi butterati dalla miseria e dalla rassegnazione […]". Grazie al nuovo sguardo, "Eugenia si era piegata in due e, lamentandosi, vomitava". Qualcosa di simile accade a chi, innamorato della bellezza del mondo che lo circonda e della forza della ragione, intraprende, ingenuo e fiducioso come Eugenia, la strada della giustizia e inizia a comprendere, nelle parole di Regan, "cosa sono i diritti morali e perché sono importanti". Nella felice espressione di Barbara Stagno,4 in quel momento si acquista una sorta di "vista ai raggi X" e il mondo di colpo non è più quello di prima: la carne sul piatto, le bombe intelligenti, i cosmetici nella vetrinetta del bagno, le carrette del mare, diventano immediatamente quello che sono: un'interminabile ed agghiacciante serie di epifanie dell'inconcepibile sofferenza di "un universo senza speranza e senza cuore".5 I nuovi occhiali, insomma, portano in primo piano dei "particolari" che ci erano stati nascosti e inesorabilmente iniziamo a vedere ciò che ci circonda con la medesima e potente lucidità di Judy Chicago: "Vidi l'intero pianeta simboleggiato da Auschwitz che grondava sangue: persone manovrate e sfruttate; animali torturati in inutili esperimenti; uomini che cacciavano creature indifese e vulnerabili per il piacere del 'brivido'; esseri umani distrutti da condizioni di vita e cure mediche inadeguate e per mancanza di cibo; uomini che abusano di donne e bambini; persone che inquinano la terra diffondendo veleni che contaminano l'aria, il terreno e l'acqua; carcerazione di dissidenti; eliminazione di avversari politici; oppressione di chi si pone, si sente o agisce in modo diverso".6 A questa vista, come Eugenia, ci pieghiamo in due e vomitiamo.

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Ma piegarsi in due e vomitare non rappresentano la fine del percorso, ma piuttosto il suo inizio. Una volta indossati, gli "occhiali di Eugenia" non possono più essere tolti, diventano parte integrante del nostro sistema visivo. Ed è qui che Regan ci chiede di accendere la seconda funzione del suo "apparecchio ottico" e passare all'utilizzo del microscopio. Come gli occhiali, il microscopio reganiano è strumento proteiforme. E' innanzitutto, lo strumento dello scienziato che permette a Regan di accogliere la lezione di James Rachels, secondo il quale, dopo Darwin, la presunta superiorità degli animali umani sugli altri è semplicemente indifendibile perché sono minati i due presupposti che, storicamente, l'hanno sostenuta: quello secondo cui gli umani sono "superiori" in quanto creati ad immagine di Dio e quello secondo cui gli umani sono "superiori" in quanto unici animali dotati di razionalità.7 Nessuna di queste due credenze è più sostenibile in un mondo neo-darwiniano, pena la fuga negli infiniti mumbo-jumbo spiritualistici che ripetutamente ci vengono propinati sulla presunta "sacralità della sola vita umana". In questo modo, la classica definizione reganiana di "soggetto-di-una-vita" non è più un a priori indimostrato ed indimostrabile, ma, pur nella sua fragilità storica, una potente acquisizione dell'evoluzione del nostro pensiero, frutto a sua volta della più generale evoluzione delle specie. Acquisizione che, se obliterata, non solo rende più debole la nozione di diritti animali, ma anche quella dei diritti morali tout-court, tra cui quelli umani. In questo senso, Regan è anche quel "temporeggiatore" che dice di essere e cioè una persona come tante altre che, arrangiandosi e con difficoltà, prosegue un difficile cammino verso una più completa idea di giustizia.

Il microscopio è, però, anche un microscopio linguistico. Inglobando nella sua dottrina le recenti acquisizioni di Joan Dunayer,8 Tom Regan è profondamente convinto, e lo dimostra abbondantemente in questo libro, che il mondo è così com'è perché non vengono usate le parole giuste per descriverlo. Con rara lucidità e con una miriade di esempi, Regan ci mostra cosa si nasconde dietro la retorica delle leggi che regolamentano il "benessere animale" e la retorica del "trattamento umano" come sostenuto dalle industrie basate sullo sfruttamento degli animali non umani. Questi ultimi sono a noi identici sotto tutti gli aspetti moralmente rilevanti, in quanto abbiamo tutti un'uguale origine e medesimi corpi, ma, nonostante questo, continuiamo a mantenere un doppio standard morale, che si manifesta con drammatica chiarezza in ossimori quali "macellazione umanitaria" e "caccia umanitaria". Poiché queste pratiche non sarebbero considerate "umanitarie" qualora applicate agli umani, tali ossimori servono in realtà a rendere presentabile quella che è la regola aurea che le rende possibili: "il diritto del più forte". Chi segue Tom Regan fino in fondo non può non convenire che noi possiamo trattare gli animali non umani (e gli altri esseri che di volta in volta definiamo come "inferiori") così come li trattiamo solo perché siamo più forti di loro. Scoprire la retorica dello sfruttamento coincide con la comprensione che non solo abitiamo un mondo "senza speranza e senza cuore", ma anche che viviamo in un universo parallelo a quello in cui pensavamo di condurre la nostra esistenza. Una sorta di mondo rovesciato simile a quello descritto da Philip K. Dick ne La svastica sul sole,9 dove i nazisti e non gli alleati sono usciti vincitori dal secondo conflitto mondiale e dove circola uno strano libro che parla di un mondo dove, invece, i nazisti sono stati sconfitti. Specularmente, noi viviamo in un mondo che si pensa democratico e giusto, ma la cui finzione cade miseramente alla lettura di strani libri/microscopi come quelli di Regan. La condizione animale è la spietata cartina al tornasole della realtà in cui viviamo, descritta dalle illuminati parole del premio Nobel per la letteratura Isaac Bashevis Singer: "Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno".10

Diventare consapevoli della forza dell'ideologia che si impone, si trasmette e perpetua il suo abuso grazie alla potenza del proprio linguaggio è il primo passo effettivo verso un mondo liberato, un passo oltre il vomito di Eugenia. Pensiero e linguaggio umani sono inestricabilmente collegati e retroagiscono l'uno sull'altro reciprocamente. Modificare il linguaggio secondo i dettami di una corretta etica aspecista è pertanto condizione necessaria, sul piano pratico, per svelare gli abusi, magicamente nascosti dall'arte retorica e, su quello teorico, per iniziare a corrodere il millenario pensiero antiegualitario che pervade la nostra visione del mondo. Descrivere correttamente quanto succede agli animali non umani resi "cose", meri oggetti del dominio incontrastato sull'intero esistente da parte dell'uomo dell'era della tecnica, è essenziale al fine di creare quella massa critica di persone e di pensiero necessari al cambiamento. Descrivere criticamente quanto accade con la volontà di cambiarlo è fare politica. L'animalismo coerente non può che essere prassi politica che trascende i limiti del "mondo animale", pena il ricadere in uno specismo di ritorno.

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L'ultima funzione di questo libro è quella del telescopio. Il telescopio ci rimanda a mondi lontani, alle peripezie della fantascienza. E una delle funzioni della fantascienza, forse quella più visionaria e certamente la più educativa, è stata ed è quella di mettere a confronto mondi diversi, "noi" e "loro", spesso invertendo i ruoli di "noi" e "loro", mostrandoci così l'inconsistenza e l'immoralità di questa divisione, di quella che, espandendo l'intuizione della Dunayer, potremmo definire la "politica dei pronomi".11 In questo senso, magistrale è il racconto di Desmond Stewart "I limiti della natura Troog".12 I Troog sono extraterrestri molto più intelligenti e potenti di noi che, dopo essere sbarcati sul nostro pianeta ed averne preso possesso, "giustamente", secondo la visione del mondo attualmente dominante, iniziano a trattare gli uomini come noi trattiamo gli animali non umani. Quelli più spietati e veloci come ausilio per cacciare quelli più timidi e spaventati, quelli più graziosi come animali da compagnia, altri più propensi a produrre carni gustose come animali per allevamento in batteria (tra questi vengono preferiti i bambini per le loro carni tenere) e gli esempi potrebbero continuare all'infinito con la vivisezione, i circhi, gli zoo, ecc. Similmente, in un romanzo più recente, "Sotto la pelle" di Michel Faber, incontriamo misteriosi extraterresti dediti all'allevamento intensivo di animali umani, con pratiche assolutamente identiche a quelle dei nostri "normali" allevamenti, al fine di produrre prelibatezze culinarie (tipo vitello a carne bianca). A differenza di altri racconti "fantascientifici", però, quello di Faber non contrappone esseri con fattezze più o meno umane come è sempre successo nei classici racconti di marziani, ma esseri con fattezze da animali umani ed esseri con fattezze da animali non umani. In uno dei passaggi più intensi di questo libro,13 Isserley, la cacciatrice di umani da allevare per farne carne, si confronta con un suo conspecifico vegetariano, Amlis, di fronte ad un gruppo di pecore. Amlis chiede a Isserley: "Avete provato ad utilizzare la loro carne?". Al che Isserley, sbalordita, risponde: "Loro sono…sono a quattro zampe, Amlis, non vedi? Hanno la pelliccia, la coda, i tratti del volto non tanto diversi dai nostri…". La stessa Isserley, che di fronte alla richiesta di pietà da parte degli umani allevati per carne, sostiene, mentendo, di non conoscerne il linguaggio e quindi di non capire cosa possano voler dire con i loro lamenti disperati.14 La vertigine che questo racconta provoca, rendendo manifesta l'insensatezza delle regole del mondo che ostinatamente non vuole vedere cosa succede e cosa c'è "sotto la pelle", accende immediatamente il telescopio reganiano. Telescopio che ci permette di gettare uno sguardo oltre le sbarre delle gabbie per iniziare ad intravedere quello che sarà il mondo liberato.

Nel tragitto che ci separa dal mondo liberato, Regan fa sì che il nostro sguardo intercetti due lezioni importanti. La lucidità razionale di questo libro ci insegna innanzitutto che le ragioni dell'animalismo non potranno non essere accolte. Come sembrava impossibile un mondo senza schiavi umani, reso invece effettivo (almeno sulla carta) dal coraggio e dalla perseveranza dei sostenitori dei diritti civili, così si darà un mondo liberato per umani e non umani, grazie all'azione quotidiana ed infaticabile dei sostenitori dei diritti morali, tra cui quelli degli animali. Come dice Regan, il movimento non rende ottimisti, ma ha bisogno di ottimisti: c'è troppo da fare per star fermi a "vomitare". I pessimisti fautori della visione apolitica degli umani necessariamente cattivi e quindi dell'impossibilità fattuale del cambiamento sono "buchi neri" che non si imprimono sulla lente del telescopio reganiano. La seconda lezione, anch'essa di natura politica, suggerisce il "che fare" necessario per accelerare l'avvento del mondo liberato. Il "che fare" di Regan si basa in primo luogo sulla necessità di sviluppare un pensiero radicale. Pensiero radicale significa argomentare secondo la logica antispecista ed egualitaria di questo libro, sostenendo i diritti animali per motivi di giustizia e non per possibili, ancorché nobili, interessi umani, che però fanno ricadere in un'ottica protezionistica di matrice kantiana.15 La vivisezione, ad esempio, va combattuta perché profondamente ingiusta e non solo perché scientificamente non valida (quest'ultimo è problema scientifico ed epistemologico e come tale dovrebbe risultare di minor interesse rispetto alla considerazione etica per le istanze di un movimento di emancipazione sociale). Il veganismo va diffuso in quanto comportamento dovuto sulla base di rigorose argomentazioni morali e non solo perché vantaggioso per la nostra salute o perché utile a preservare un mondo più "verde" per le future generazioni di umani. E così via per gli infiniti aspetti dello sfruttamento animale. Tale pensiero radicale si traduce in richieste radicali: non gabbie più grandi, ma gabbie vuote. In altre parole, non è compito di un movimento emancipazionista ed egualitario quello di contribuire ad apportare delle minime modifiche alle leggi esistenti sul cosiddetto "benessere animale" modifiche che, seppur utili sul breve termine, sono perdenti sul lungo in quanto consolidano il paradigma specista dominante; ad esempio, allargare le gabbie delle galline ovaiole senza dubbio migliora l'infame condizione di questi sventurati esseri, ma rafforza l'idea che, una volta trattate "bene", le galline sono in effetti delle macchine di nostra proprietà venute al mondo per soddisfare i nostri interessi. Le richieste di un movimento emancipazionista non possono che essere abolizioniste, anche se necessariamente "calibrate" sul momento storico contingente. Nonostante, la cupezza del mondo in cui viviamo, la cui dimensione ci viene qui presentata senza sconti e reticenze, la sensazione finale con cui questo libro ci congeda è sicuramente positiva, un insieme di ottimismo della ragione e di ottimismo della volontà.

Il telescopio di Regan ci proietta in quel futuro dove vorremmo già essere, ma dove inevitabilmente arriveremo: un mondo oltre le gabbie vuote, un mondo senza gabbie. Un mondo dove la soffice gatta bianca, protagonista principale del libro che state per leggere, non solo sarà libera, ma non sarà neppure un animale da compagnia. Un mondo dove quella gatta bianca sarà vostra compagna solo se entrambi lo vorrete.



Massimo Filippi e Alessandra Galbiati
Per "Oltre la specie".



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Note

1 Michel Faber, Sotto la pelle, Einaudi, Torino 2004, p. 152.

2 Una feconda discussione sull'interconnessione tra diritti umani e diritti animali è ritrovabile, tra gli altri, in Paola Cavalieri, La questione animale. Per una teoria allargata dei diritti umani. Bollati Boringhieri, Torino 1999.

3 Anna Maria Ortese, "Un paio di occhiali", in Il mare non bagna Napoli, Adelphi, Milano 1994, pp. 15-34.

4 La storia di Barbara Stagno, attivista per i diritti animali, e l'origine di questa sua felice espressione è riportata in Charles Patterson, Un'eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l'Olocausto. Editori Riuniti, Roma 2003, pp. 161-163.

5 Herbert Marcuse, L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967, pp. 245-247.

6 Questo passo di Judy Chicago è riportato in Un'eterna Treblinka (op. cit.), p. 54.

7 James Rachels, Creati dagli animali. Implicazioni morali del darwinismo. Edizioni di Comunità, Milano 1996.

8 Joan Dunayer, Animal equality. Language and liberation, Ryce Publishing, Derwood (Maryland) 2001. Lo stesso tema è ripreso anche in Joan Dunayer, Speciesism, Ryce Publishing, Derwood (Maryland) 2004, pp. xi-xiii.

9 Philip K. Dick, La svastica sul sole, Fanucci Editore, Roma 1997.

10 Isaac Bashevis Singer, "L'uomo che scriveva lettere", in Racconti, Mondadori, Milano 1998, pp. 695-734; la citazione riportata si trova a p. 728.

11 Joan Dunayer, Animal equality (op. cit.), pp. 149-156.

12 Desmond Stewart, "I limiti della natura Troog", in Etica & Animali, Anno II numero 1, Primavera 1989, pp. 40-45.

13 Michel Faber, Sotto la pelle (op. cit.), pp. 219-220.

14 Ibid., pp. 158-160.

15 Tra i resoconti morali tradizionali circa i nostri rapporti con gli animali, quello di Immanuel Kant è certamente tra i più "benigni", anche se Kant si guarda bene dal varcare i confini della nostra specie. In "Dei doveri verso gli animali e gli spiriti", in Lezioni di etica, Laterza, Bari 1984, p. 273, Kant scrive: "Chi […] facesse uccidere il proprio cane […] non agirebbe affatto contro i doveri riguardanti i cani, i quali sono sprovvisti di giudizio, ma lederebbe nella loro intrinseca natura quella socievolezza e umanità, che occorre rispettare nella pratica dei doveri verso il genere umano. Per non distruggerla, l'uomo deve mostrare bontà di cuore già verso gli animali, perché chi usa essere crudele verso di essi è altrettanto insensibile verso gli uomini".



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08/11/05