Officina della THEORÎA |
Giù
le zampe da Rosa Luxemburg! |
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Le famigerate dichiarazioni di Bertinotti sulla non violenza e sulle “cinciallegre” di Rosa Luxemburg hanno suscitato scandalo nell’ambiente comunista. In parte a ragione. Nessuno più di noi è scandalizzato dall’uso strumentale che Bertinotti ha fatto della Luxemburg (e non solo) come pezza d’appoggio per la “svolta” sulla non violenza. Su questo tema in particolare occorrerà tornare, sicuramente, per criticare quella che è stata giustamente criticata come “metafisica della non violenza” (una goffa mossa per rendere più “presentabile” il partito al centro prodian-rutelliano). Qui però ci interessa sottolineare come la proposta bertinottiana di rilettura di Rosa Luxemburg contenga un nucleo di verità che rischia di essere soffocato e cancellato dalle macchinazioni parlamentari che hanno dato il via alla proposta del segretario di Rifondazione. L’idea che c’è alla base è semplice, ed è anzi un principio ormai fatto proprio dal movimento a partire, a più tardi, dalla svolta del ’77 (“riprendiamoci la vita”) e dalla nascita dell’ecologismo radicale. Si tratta, in sintesi, di una nuova consapevolezza rivoluzionaria che ha due facce: 1) da un lato, essa auspica l’abbandono di un’idea attendista e messianica della rivoluzione sociale in favore di una trasformazione (delle coscienze, dei corpi, dei rapporti etc.) che comincia qui e ora. Ad essa fa da corollario l’abbandono della concezione parrocchial-patriarcale della militanza in favore di una visione creativa dell’esistenza rivoluzionaria, intesa come prassi irriducibile ai tempi, alle modalità e alle categorie del dominio (situazionismo, neo dada etc.). 2) dall’altro lato, e coerentemente, abbandono dell’ipotesi “sviluppista” della lotta al capitalismo, cioè l’abbandono della logica tecnocratica e produttivista del “tanto più, tanto meglio”. Il rifiuto della società borghese parte quindi dal rifiuto dei suoi valori, del suo cieco progresso, del suo ideale di dominio totale sull’esistente, sulla natura umana e non umana. Ecco cosa è possibile ricavare dalle splendide lettere che Rosa Luxemburg scrisse (alcune dal carcere) ad amici e compagni. Lettere in cui si esprime non solo una profonda e irriducibile volontà rivoluzionaria, ma anche uno spirito critico unito ad una potente, disarmante dolcezza. Ed è un peccato che proprio Bertinotti si sia dovuto impossessare di questi tratti della Luxemburg per battezzare un matrimonio politico che si preannuncia tra i più infausti intrapresi dalla sinistra italiana. Ancor di più perché in alcune di queste lettere Rosa Luxemburg produce una di quelle grandiose fughe in avanti rispetto all’orizzonte di pensiero del suo tempo che non erano rare nei suoi scritti. Essa mostra una sensibilità per la questione animale che, di fronte allo squallido sedicente panorama “materialistico” (in realtà una rifrittura in salsa socialista del positivismo meccanicista borghese), era dote più unica che rara. Ecco i passaggi che precedono e seguono la famigerata frase sulla “cinciallegra” nella lettera a Sonja Liebknecht del 2 maggio 1917. Proprio ieri ho letto qualcosa sulle cause della diminuzione degli uccelli canori in Germania: sono la crescente coltura razionale delle foreste e dei giardini e l’agrcoltura che man mano distruggono tutte le loro condizioni naturali di nidificazione e alimentazione: alberi cavi, terrenti incolti, sterpaglia, foglie secche sul terreno dei giardini. Mi ha fatto fanto male, quando l’ho letto. Non è tanto il canto per gli uomini che mi interessa, ma è l’immagine del silenzioso, inarrestabile declino di queste piccole creature che mi addolora fino alle lacrime. Mi richiama alla mente un libro russo del prof. Ziber sul declino dei pellerossa nell’America del nord, che lessi quando ero a Zurigo: anche essi furono man mano scacciati dal loro territorio dagli uomini civili e condannati ad un silenzioso, crudele declino. Notare come Rosa Luxemburg sottolinei che l’esistenza di questi uccelli costituisca un valore in sé e non per l’uomo. Tutto l’opposto di quanto scrive Lelio Basso nell’introduzione al libro: “l’aspetto dominante della personalità di Rosa, a monte delle sue convinzioni politiche, è appunto il suo rapporto con gli uomini e con la natura, ma con la natura vista come ambiente umano, o, forse melgio ancora, come un momento della vita dell’uomo. L’uomo, insomma, per Rosa come per Marx, è al centro di tutto, e il socialismo non è un problema di produzione o di elettrificazione, ma di liberazione dell’uomo: rapprsenta un ideale solo in quanto è condizione di questo processo di liberazione” (p. XXVIII). È ovvio che anche “l’eretico” Lelio Basso non poteva vedere al di là del rozzo antropocentrismo del marxismo dell’epoca, ma la lettura falsa e riduttiva che dà di questi passi di Rosa Luxemburg è seconda solo alla distorsione “non violenta” del segretario di Rifondazione. Ancora più interessante il passo successivo della lettera in cui Rosa parla dell’istinto che la portava a difendere uno scarafaggio dall’orda di formiche che lo avevano assalito: La primavera scorsa rincasavo da una passeggiata nei campi per la mia strada silenziosa e deserta quando mi colpì a terra una piccola macchia scura. Mi piegai e vidi una muta tragedia: un grosso scarafaggio giaceva sul dorso e si difendeva disperatamente con le zampette mentre tutto un mucchio di piccole formiche gli brulicavano attorno e se lo mangiavano ancora vivo! Rabbrividii, presi il fazzoletto e cominciai a scacciare le brutali bestioline. Ma esse erano così temerarie e testarde che dovetti lottare a lungo, e quando alla fine ebbi liberato il povero martire e lo ebbi deposto sull’erba, gli erano già state divorate due zampette…Andai via con la penosa sensazione di avergli in fondo prestato un servizio molto discutibile. Ma è nella lettera a Sonja Liebknecht del dicembre 1917 che si esprime l’incredibile sensibilità di questa donna che non solo paragona tranquillamente lo sterminio degli animali da parte degli uomini allo sterminio dei pellerossa americani messo in pratica dai bianchi europei, ma riesce addirittura a trovare accenti lirici di una potenza e di una sincerità inusitata nel descrivere la sofferenza di un bufalo. E, cosa ancor più notevole, chiama fratello l’animale e sa di dover piangere le lacrime che questi non può piangere. Lacrime di un’impotenza che li lega entrambi allo stesso destino. Oh, Sonjuščka, qui ho trovato un forte dolore. Nel cortile dove passeggio arrivano spesso dei carri dell’esercito stracarichi di sacchi o vecchie casacche e camicie militari, sepsso con macchie di sangue…., vengono scaricati qui, distribuite nelle celle, rappezzate, poi ricaricate e spedite all’esercito. Recentemetne è arrivato uno di qeusti carri, tirato da bufali invece che da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Sono di costituzione più robusta e massiccia dei nostri buoi, con teste piatte e corna ricurve basse, il cranio quindi è simile a quello delle nostre pecore, sono completamente neri, con grandi, docli occhi neri. Provengono dalla Romania, sono trofei di guerra… I soldati che guidavano il carro raccontarono che fu molto faticoso catturare questi animali selvaggi e ancor più difficile –essendo abituati alla libertà – usarli come animali da tiro. Furono orribilmente percossi finché non appresero che avevno perso la guerra e che per loro valeva il motto vae victis. A Breslavia vi devno essere un centinaio di questi animali; essi, che erano abituati ai rigogliosi pascoli romeni, ricevono un misero e scarso foraggio. Vengono sfruttati senza pietà per trainare tutti i carri possibili e così vanno presto in rovina. Dunque, alcuni giorni fa arrivò qui un carro carico di sacchi. Il carico era così alto che i bufali all’entrare nel portone non risucivano a superare la soglia. Il soldato accompagnatore, un tipo brutale, cominciò a picchiare così forte gli animali, con la grossa estremità del manico della frusta, che la sorvegliante, indignata, lo riprese chiedendogli se non aveva proprio alcuna compassione per gli animali. ‘Neanche di noi uomini ha nessuno compassione’ rispose egli sogghignando, e picchiò ancor più sodo…Alla fine gli animali tirarono e scamparono il peggio, ma uno di essi sanguinava… Sonjuščka, la pelle dei bufali è proverbiale per lo spessore e la durezza, eppure la loro era lacerata. Poi, mentre scaricava, gli animali stavano muti, sfiniti, e uno, quello che sanguinava, guardava lontano con sulla faccia nera e nei dolci occhi neri un’espressione come di un bambino rosso per il pianto. Era esattamente l’espressione di un babmino che è stato duramente punito e non sa perché, non sa come deve affrontare il supplizio e la bruta violenza…Io stavo l’ e l’animale mi guardò, mi scesero le lacrime – erano le sue lacrime – non si può fremere dal dolore per il fratello più caro come io fremevo nella mia impotenza per questa muta sofferenza. Come erano lontani, irragiungibili, perduti i bei pascoli liberi e rigogliosi della Romania! Come era diverso lì lo splendore del sole, il soffio del vento, come erano diverse le belle voci delgi uccelli che lì si udivano, o il melodico muggito dei buoi! E qui: questa città straniera, orribile, la stalla umida, il fieno ammuffito, nausenante, misto di paglia fradicia, gli uomini estranei, terribili e le percosse, il sangue che colava dalla ferita fresca….Oh, mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, noi due stiamo qui impotenti e muti e siamo uniti solo nel dolore, nell’impotenza, nella nostalgia. Intanti i detenuti si muovevano affaccendati attorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano nella casa; il soldato, invece, con le due mani nelle tasche passeggiava a grandi passi per il cortile, rideva e fischiettava una canzonetta. E così mi passò dinanzi tutta la magnifica guerra. [Passi citati da R. Luxemburg, Lettere 1893-1919, a cura di L. Basso e G. Bonacchi, Editori Riuniti, Roma 1979, pp. 231-232 e 250-252.]
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07/09/05 |