Officina della THEORÎA |
L'insostenibile
leggerezza |
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“Anch’io sono stato
un’oca”.
I Semplificando, si può assumere che l’Introduzione allo studio della medicina sperimentale di Claude Bernard (1865)2 segni l’inizio della sperimentazione animale a scopi biomedici in termini moderni. Già prima di Claude Bernard, infatti, si conosceva e si eseguiva la vivisezione, ma è con Claude Bernard che, da un lato, essa acquista lo statuto di “dogma fondamentale” delle scienze biologiche e, dall’altro, diventa pratica sistematica di smontaggio di corpi al fine di costruire manufatti (conoscenze sulla natura del vivente e farmaci). E’ interessante notare che, contemporaneamente alla nascita della sperimentazione animale moderna, la rivoluzione industriale approntava specularmente le “catene di montaggio” per la produzione di oggetti a partire da elementi più semplici e dal corpo dell’operaio alienato. Analogamente e simultaneamente nasceva un’altra “catena di smontaggio”, fondamentale per il funzionamento di una società onnivora e dissipatoria: il sistema “allevamento intensivo/mattatoio”. Tale sistema può essere visto come una sorta di sintesi/apoteosi di sperimentazione animale e catena di montaggio industriale, laddove il corpo dell’animale è smembrato dal corpo dell’operaio-macchina per produrre altri pezzi corporei che sostentano di nuovo il processo di creazione-smembramento di altri corpi in una spirale schismogenica infinita. Ad un occhio attento alle somiglianze profonde tra fenomeni solo apparentemente diversi, non potrà sfuggire che sperimentazione animale, catena di montaggio industriale e mattatoio sono le premesse necessarie e sufficienti alla nascita dell’altro nefasto approdo della modernità che è la camera a gas e cioè lo smontaggio industrializzato dei corpi di esseri ritenuti “inferiori” (come gli animali).3 Camera a gas che non si limita a funzionare negli anni del terribile Olocausto nazista, ma che ha funzionato e funziona tuttora negli infiniti genocidi, pur nella diversità dei colori (politici) di chi li perpetra e dei colori (della pelle o del DNA) di chi ne è vittima. Già da quanto detto, risulterà evidente che una critica “vincente” della sperimentazione animale difficilmente potrà passare attraverso un sistema di valori che intrensicamente accetta la scienza come utilizzo del potere umano (buono, ordinato e maschile) al fine di assoggettare la natura (cattiva, caotica e femminile), come lucidamente delineato nel manifesto di inaugurazione della scienza moderna che è la Nuova Atlantide di Bacone,4 il quale porta a compimento il dettato giudaico-cristiano già contenuto nel Genesi.5 Piuttosto, apparirà scontato che solo una critica radicale del paradigma antropocentrico (che per definizione è specista, ma che per “vocazione” è anche razzista, sessista e classista), potrà minare alle radici l’infame pratica della sperimentazione animale e non, seppur in buona fede, rafforzarla. Al di là di queste considerazioni teoriche, è comunque importante sottolineare che l’opposizione alla sperimentazione animale per motivi intrinseci al paradigma dominante (da qui in poi definita, per semplicità e chiarezza, antivivisezionismo scientifico – AVS) è pressoché contemporanea alla sistematizzazione moderna della pratica stessa da parte di Claude Bernard. In altre parole, considerando che ogni anno diversi milioni di animali vengono “sperimentati” nel mondo, circa 140 anni di AVS non hanno portato ad alcun risultato degno di nota, se non ad una pletora di leggi e codici deontologici, molto utili per tranquillizzare coscienze inquiete e superficiali, ma drammaticamente inefficaci nell’arginare il fenomeno vivisezione. L’accettazione del paradigma antropocentrico si è, infatti, tradotta legislativamente nel famigerato dispositivo della deroga, che tutto rende possibile purché solo lontanamente utile per un futuro ed opinabile benessere umano.
II Si diceva che l’opposizione a Claude Bernard è a lui contemporanea come testimoniato dal fatto che sua moglie Marie-Françoise Martin e le sue figlie fondarono un rifugio per cani tolti dalle mani del marito/genitore e che lo odiarono tanto (pare che il suo impeto vivisezionista, non si sia fermato neppure di fronte al cane di famiglia) da non partecipare al suo funerale. Ancora, due suoi assistenti, George Hoggan e Arthur de Noë Walker, poco dopo aver lasciato il suo laboratorio ne criticheranno le pratiche ivi condotte perché “non necessarie o giustificate” (Hoggan) e perché “ispiranti troppo ribrezzo e troppo disgusto” (Noë Walker).6 In altre parole, l’atto di nascita della sperimentazione animale moderna coincide con la nascita dell’antivivisezionismo sentimentale (AVSe - quello della moglie e delle figlie di Claude Bernard e di Noë Walker), e dell’AVS (quello di Hoggan). Come dice il termine stesso, l’AVSe non scaturisce da considerazioni di etica razionale o da una critica radicale del melieu in cui nasce e prospera la sperimentazione animale, ma piuttosto da considerazioni squisitamente soggettive. La moglie e le figlie di Claude Bernard sono raccapricciate dalla brutalità degli esperimenti e dal fatto che viene ucciso il loro cane. Non agiscono a priori sulla natura profondamente e irrimediabilmente amorale della sperimentazione animale, ma a posteriori, salvando il salvabile o ciò che, secondo loro, “val la pena” di salvare, tramite l’istituzione di rifugi per i soli cani già “sperimentati”, disinteressandosi delle altre innumerevoli specie tutt’altro che disdegnate da Claude Bernard e dai suoi epigoni. Similmente, Noë Walker parla di sentimenti e cioè di “ribrezzo e disgusto”, senza puntare al cuore del problema. Insomma, qui si vede in nuce quella corrente che è stata maggioritaria agli albori del movimento antivivisezionista e tuttora fortemente rappresentata da quelli che spregiativamente i vivisettori passati e presenti chiamano “le vecchiette in scarpe da tennis”, bollando così in un sol colpo (loro sì che sono sistematici!), chi si oppone alle loro pratiche immorali, chi non è razionale secondo i loro standard e chi non è perfettamente inserito nell’ingranaggio della società produttiva e cioè l’anziano, il povero (le scarpe da tennis) e, sottotraccia, il debole di mente. Tuttavia, il limite insuperabile dell’AVSe è proprio la sua origine sentimentale. Il sentimento, infatti, è evento molto intenso ma necessariamente dotato di uno scarso raggio d’azione. Io posso provare “ribrezzo e disgusto”, ma questo è una sorta di preferenza personale, di valuta soggettiva, non trasferibile e quindi instabile. C’è chi semplicemente non prova questi sentimenti, come è chiaramente dimostrato dai numeri della sperimentazione animale attuale, e come tale resta intangibile. Si può provare una grande rabbia personale, ma è difficile trasformare tale rabbia in una condanna collettiva, definitiva e fondata razionalmente della pratica vivisettoria. Queste sono le ragioni per le quali l’AVSe si trova senza armi di fronte alla domanda altrettanto e volutamente “sentimentale” di chi difende la sperimentazione animale: “E’ meglio tuo figlio o un cane?” (non a caso proprio Claude Bernard inaugurò questo infondato aut-aut chiedendo alla moglie di fronte al figlio deceduto: “Se tu lo avessi curato come curi i tuoi cani, non sarebbe morto.”). Al contrario, invece, l’AVS abbandona ogni nuance sentimentale, accetta il paradigma antropocentrico e attacca la sperimentazione animale perché “non necessaria e giustificata” scientificamente, come echeggia dalle parole di Hoggan. Da 140 a questa parte, da Hoggan a Ruesch e Sharpe7 fino agli attuali antivivisezionisti scientifici,8 la parola d’ordine non è cambiata: la vivisezione non va combattuta perché moralmente inaccettabile, ma perché scientificamente inadeguata. Non è questa la sede per discutere se la sperimentazione animale è o meno un errore metodologico,9 perché anche se non lo fosse, questo non cambierebbe di una virgola l’atteggiamento di chi ha fondato la sua critica della vivisezione su solide basi di morale razionale. L’AVS può avere un ruolo all’interno dell’impresa della Instrumentelle Vernunft al fine di limitarne i danni e di massimizzarne i risultati, ma poco dovrebbe contare nell’ambito di un movimento genuinamente antispecista ed egualitario. Insomma, i due antivivisezionismi che nascono con Claude Bernard e che ancora oggi sono maggioritari all’interno del movimento animalista sono uno, l’AVSe, fortemente antisistema (sentimento contro ragion strumentale), ma poco fondato e quindi poco esportabile e l’altro (l’AVS), all’opposto, molto razionale, “freddo” e quindi esportabile, ma poco efficace (come si evince dall’assenza di risultati significativi dopo 140 anni di vita) e, come vedremo, potenzialmente pericoloso.
III Il discorso dell’AVS è potenzialmente pericoloso, innanzi tutto perché, come detto, ribadisce con forza il paradigma antropocentrico. Il nocciolo dell’AVS è infatti così riassumibile: “Poiché le varie specie differiscono per caratteristiche anatomiche, fisiologiche e biochimiche, la sperimentazione animale non produrrà mai risultati trasferibili con adeguata fondatezza scientifica alla specie Homo Sapiens e pertanto va bandita, indipendentemente da considerazioni etiche, poiché inutile o dannosa per la salute dell’uomo”. Mossa necessariamente perdente perché è difficile immaginarsi che con simili parole d’ordine si possa pensare di estendere la considerazione morale egualitaria al di là dell’angusto confine della nostra specie. Come ulteriore aggravante, la nozione di specie dell’AVS sembra ancora connotata da un’ascendenza dal forte sapore pre-darwiniano. La dottrina darwiniana dell’evoluzione tramite selezione naturale “destabilizza” infatti i confini di specie,10 distruggendo così anche da un punto di vista scientifico l’implacabile linea di confine tra “noi” e “loro”, che da sempre ha costituito il fondamento teorico dello sfruttamento animale. Se si accetta di essere darwiniani (e non si vede come si possa fare altrimenti rimanendo nell’ambito di una razionalità laica), non si possono poi surrettiziamente inserire delle barriere “naturalmente” invalicabili tra una specie e l’altra: è difficile pensare in un’ottica evoluzionista che mai fino ad ora e mai da ora in poi si sia potuto o si potrà trarre dalla sperimentazione animale alcuna inferenza significativa per l’uomo. E’ chiaro che se ciò fosse accaduto o accadrà o anche se solo potesse accadere in via ipotetica, l’intero impianto dell’AVS crollerebbe miseramente. In altre parole, l’AVS non fa altro che insistere su una mossa logica quasi speculare rispetto a quella che sottende il fenomeno vivisettorio. Chi fa sperimentazione animale pensa che “loro” sono sufficientemente diversi da “noi” da non rientrare nell’ambito della considerazione morale, ma abbastanza vicini a “noi” da poter trarre inferenze biologiche significative per l’uomo. L’AVS pensa, invece, che “loro” sono abbastanza lontani da “noi” per essere inutili a fini scientifici, mentre, per timore di incorrere nella temibile accusa di antropomorfismo (temibile solo per chi è irrimediabilmente antropocentrico), non registra e non parla di alcuna vicinanza morale tra “noi e “loro”. La sperimentazione animale, nata in un periodo in cui il darwinismo non era ancora una teoria scientifica inaggirabile ed euristica,11 ne assimila solo una parte ed in maniera logicamente contraddittoria (la vicinanza biologica che non si traduce in vicinanza etica). L’AVS, che nasce come reazione immediata all’infamia della sperimentazione animale, ne prende le distanze con una mossa sostanzialmente pre-darwiniana (“incomunicabilità” biologica tra le varie specie e quindi assenza di ogni valutazione morale), oggi difficilmente accoglibile. Ma la pericolosità intrinseca dell’AVS non finisce qui. Immaginiamo, infatti, quali possano essere le potenziali risposte alla constatazione che l’attuale sperimentazione animale non sia utile all’uomo: · La sperimentazione animale viene abolita. · La sperimentazione animale viene ridefinita e limitata solo a quelle categorie di soggetti che non rientrano nella sfera della considerazione morale del paradigma antropocentrico, ma che, per vicinanza biologica alla nostra specie, possono fornire inferenze utili per l’uomo. Poiché, la prima risposta, ancorché plausibile non è realistica, vista la forza dell’establishment scientifico-economico a favore della vivisezione e l’inconcludenza pratica dei risultati ottenuti dall’AVS dalla sua nascita ad oggi, resta di fatto praticabile solo la seconda. Praticabile per chi accetta il paradigma antropocentrico dominante, non certo per chi lo nega per solidi motivi morali in un’ottica rigorosamente antispecista. Val la pena, però, per capire la portata dell’intrinseca pericolosità dell’AVS di provare a definire secondo il pensiero dominante chi siano quei “soggetti che non rientrano nella sfera della considerazione morale del paradigma antropocentrico, ma che, per vicinanza biologica alla nostra specie, possono fornire inferenze utili per l’uomo”. Non c’è dubbio su chi siano i candidati a questa terribile investitura: i primati non umani con in testa le scimmie antropomorfe e tra queste soprattutto gli scimpanzé, che condividono con noi il 98.6% del patrimonio genetico.12 Il ribadire la necessità da parte dell’AVS di trarre dalla sperimentazione animale inferenze certe per l’uomo, in un’ottica rigorosamente scientifica, non può che ottenere che ai topi si sostituiscano gli scimpanzé. Anche tralasciando la maggior complessità della vita mentale dello scimpanzé rispetto alle altre specie animali attualmente più utilizzate per scopi di ricerca, maggior complessità mentale che, sia in un’ottica singeriana che in una reganiana, richiederebbe una maggiore considerazione morale, ciò che si vuole sottolineare non è una nuova visione specista allargata alle scimmie antropomorfe, ma i possibili risultati nefasti dell’AVS, se pensato correttamente fino alle sue estreme conseguenze. La sperimentazione sulle scimmie antropomorfe è attualmente limitata da pure considerazioni economiche: l’AVS, paradossalmente potrebbe fornire le motivazioni necessarie a superare tali considerazioni in vista dell’ottenimento di informazioni più utili per l’uomo. Ma, purtroppo, le conseguenze logicamente deducibili dall’assunto di base dell’AVS non finiscono qui. Due altri scenari si aprono, uno legato allo sviluppo dell’ingegneria genetica e l’altro conseguente all’affermarsi di concezioni sociali e politiche sempre più antidemocratiche. Quanto sta attualmente accadendo in ambito scientifico ed in ambito politico planetario, fa sì che questi due scenari siano ben più che semplici esperimenti mentali: · Lo sviluppo dell’ingegneria genetica potrebbe rendere disponibili “umani inferiori” ancora più utili degli scimpanzé al fine della sperimentazione animale in quanto a noi ancora più simili. Si potrebbe obiettare che il paradigma antropocentrico dominante vieterebbe tale sperimentazione proprio perché condotta su esseri appartenenti alla specie Homo Sapiens.13 Purtroppo, però, la storia ci insegna che il paradigma antropocentrico, in quanto intrinsecamente immorale, è grandemente flessibile di fronte alle esigenze del profitto economico.14 · Altrettanto plausibile, nell’età dell’Impero,15 è lo sviluppo di società profondamente antidemocratiche ed antiegualitarie anche a livello intraspecifico. In questa situazione, il ragionamento dell’AVS portato implacabilmente alle sue estreme conseguenze consentirebbe la sperimentazione su “umani inferiori” anche senza il bisogno di tranquillizzanti modificazioni bioingegneristiche. Da quanto detto, non si può che concludere per la necessità da parte del movimento antispecista di liberarsi al più presto della visione profondamente antropocentrica e potenzialmente pericolosa dell’AVS, se non vuole semplicemente ribadire con altre parole la Grundnorm del paradigma dominante, dischiudendo così scenari futuri ancor più foschi di quello attuale.
IV Oltre alla succitata limitatezza morale, l’AVS è anche gravato da ulteriori problemi di natura epistemologica e politica, che, ancorché poco rilevanti rispetto alla questione etica fondamentale, ne minano ulteriormente le fondamenta: · L’AVS agisce sulla scienza necessariamente a posteriori. Questo non solo perché, una volta accettato il paradigma dominante, si deve lasciare la scienza libera di progredire, limitandosi ad una rincorsa affannosa e necessariamente perdente (per la disparità delle risorse economiche in campo), ma anche, più sottilmente, perché solo dopo che un esperimento è stato condotto è possibile valutarne l’eventuale inutilità per l’uomo. Da un punto di vista epistemologico, l’AVS si condanna a criticare l’impresa vivisettoria a delitto commesso, con vantaggio nullo per i soggetti “sperimentati”. · Alcune delle assunzioni implicite dell’AVS si basano su una visione epistemologica “arretrata”, che vede nella fisica il modello principe della scienza, tralasciando di considerare il valore euristico delle nuove epistemologie “storiche” della linea Bateson-Prigogine-Gould16 e che solo per la pochezza intellettuale degli sperimentatori biologici non è stata ancora denunciata. Dire, come fanno gli antivivisezionisti scientifici, che la sperimentazione animale non è valida perché scarsamente predittiva di quanto succede nell’uomo e perché necessita di un continuo “andirivieni” tra quanto “visto” nell’animale e quanto “visto” nell’uomo per confermare l’utilità delle proprie scoperte per la nostra specie, equivale a dire che il Big Bang non è una teoria valida perché permette un’incerta predizione circa il futuro e la geometria dell’universo o che la teoria darwiniana non è valida perché non permette di predire a priori quali specie compariranno come risultato dell’incessante rimodellamento evolutivo e degli eventi ambientali casuali, mentre solo una sua applicazione retrospettiva evidenzia la necessità di quanto avvenuto. Con una mossa del genere ci si autoesclude dalla storia, accettando il ruolo di reperti museali. · Infine, l’AVS è minato da una considerazione politica di una semplicità disarmante: è molto difficile pensare di battere un nemico infinitamente più forte ed organizzato utilizzandone gli stessi strumenti concettuali.
V Dimostrata l’insostenibilità dell’AVS, diventa necessario rinvigorire un’altra corrente profondamente e più efficacemente antivivisezionista, presente da sempre nell’animalismo più avveduto e che, per i limiti culturali del movimento, è sempre stata messa in sordina. Tale corrente, che potremmo chiamare antivivisezionismo etico egualitarista (AVEE), è già contenuta in nuce nella speculazione morale precedente l’epoca inaugurata da Claude Bernard, nella linea di pensiero che da Plutarco e Teofrasto porta a Voltaire e Bentham17 e si rafforza negli ultimi due secoli grazie, da un lato, all’accumulo in ambito scientifico di una sorprendente mole di dati che hanno fatto dell’antropocentrismo una teoria obsoleta e screditata e, dall’altro, allo sviluppo di un’etica razionale egualitarista, teoricamente molto attrezzata e difficilmente invalidabile. Non essendo questa la sede per una disanima accurata di tutti questi aspetti, basterà per gli scopi di questo saggio enuclearne alcuni caratteri essenziali e testarne poi la “robustezza” concettuale di fronte alle possibili ulteriori obiezioni della controparte. Da Darwin in poi è chiaro che non è più possibile tracciare una linea di confine “naturale” tra l’uomo e gli altri animali: l’uomo non solo discende da una qualche scimmia, ma è una scimmia africana tra le altre.18 Caduta la pretesa circolare di una presunta origine “naturale” della coincidenza tra considerazione morale ed appartenenza alla specie Homo Sapiens, diventa ancor più cogente il principio secondo cui si deve riservare uguale trattamento a chi ha uguali interessi. Ancorché banale, è molto plausibile che l’interesse di un essere vivente e senziente, sarà quello di continuare a vivere, minimizzando il dolore ed aumentando il piacere. L’importanza morale della capacità di provare piacere/dolore non vale solo di per sé come ragionevole linea di confine della sfera della considerazione morale, ma anche come discrimine per accertare la presenza di intenzionalità. E’ infatti plausibile che un qualsiasi essere in grado di percepire piacere/dolore avrà un certo grado di intenzionalità che, seppur non raffinata, precosciente e di breve estensione temporale, farà sì che l’esperienza presente verrà confrontata con quelle passate siano esse positive o negative al fine di stabilire un comportamento futuro di ricerca di ciò che è ritenuto positivo o di allontanamento da ciò che è ritenuto negativo.19 L’intenzionalità, anche ridotta ai minimi termini, si rivela nozione di estrema rilevanza etica, qualora accettiamo la feconda intuizione di Alan Gewirth,20 che fonda la nozione di diritti umani, la dottrina morale più universalmente diffusa ed accettata. Con questa base e seguendo l’argomentazione di Paola Cavalieri,21 i diritti umani nel momento stesso in cui si definiscono, necessariamente si affacciano già al di là dell’angusto confine della nostra specie. Pertanto, in un’ottica rigorosamente antispecista ed egualitaria, la considerazione morale in senso stretto e cioè quella serie di fondamentali diritti negativi o alla non interferenza (e cioè il diritto a non essere uccisi, a non essere torturati e a non essere imprigionati senza una giusta causa) si estendono anche a una gran parte delle specie animali non umane. In quest’ottica di razionalità laica non strumentale, la vivisezione che comporta morte, tortura ed imprigionamento senza giusta causa (essendo gli animali non umani pazienti e non agenti morali non potrà mai darsi, per definizione, un imprigionamento per giusta causa), deve necessariamente essere abolita, pena il cadere nell’incoerenza, nella malafede più sfacciata o nell’accettazione senza riserve dell’unica altra nozione di diritto possibile, quella (nazista) del diritto del più forte. Antispecismo, egualitarismo e quindi liberazionismo devono essere le parole d’ordine di un movimento antivivisezionista maturo che si congeda definitivamente dal retrogusto antropocentrico e strumentale dell’AVS.
VI I vantaggi della posizione dell’AVEE sono molteplici. Innanzitutto, la semplicità e l’universalità che da sempre sono considerate aspetti integranti sia di una buona dottrina morale che di una buona legge scientifica. La semplicità dell’AVEE è autoevidente, mentre la sua universalità risiede nel fatto che il medesimo argomentare può essere applicato sic et simpliciter a tutti gli ambiti di violazione dei diritti animali. Ulteriori vantaggi dell’AVEE sono il definitivo abbandono di un’ottica antropocentrica e la solidità dell’argomentare razionale. Chi non accetta l’egualitarismo che sta alla base dell’AVEE si autosqualifica, in quanto si esclude dalla comunità civile e democratica. A chi non accetta gli snodi fondamentali della teoria, e cioè la nozione di piacere/dolore e quella di intenzionalità, spetta l’onere (impraticabile) di fornire nozioni più fondate e condivisibili. Accettate le basi costitutive e fondanti dell’AVEE a quali altri appigli potrebbero aggrapparsi i sostenitori incalliti della vivisezione per confutarlo o limitarne la portata? Probabilmente, ai seguenti due argomenti o a qualche loro variante più o meno raffinata: · Abolire il dolore/piacere. Il vivisettore incallito potrebbe argomentare più o meno così: “Se è il plesso concettuale che ruota intorno alla nozione di piacere/dolore a definire la linea di confine della considerazione morale, la creazione per via bioingegneristica di esseri incapaci di provare piacere/dolore farebbe cadere l’obbligo morale a non utilizzarli a fini di ricerca”. Argomento questo facilmente confutabile per due ordini di ragioni. Primo: per arrivare a “costruire” un tale essere si dovrebbe necessariamente passare per una lunga fase di sperimentazione animale con gli animali attualmente disponibili e cioè senzienti. Poiché tale procedura preliminare è manifestamente immorale non sarà mai de facto possibile disporre di esseri incapaci di provare piacere/dolore. Secondo: è ontologicamente ed evoluzionisticamente impensabile un animale, cioè un essere dotato di motricità (per allontanarsi dalle fonti di dolore e per ricercare quelle di piacere) incapace di provare piacere/dolore.22 Se manca quest’ultima capacità, infatti, non abbiamo a che fare con animali e conseguentemente non abbiamo neppure a che fare con la sperimentazione animale, ma con un tipo di sperimentazione, come è quella attuale su vegetali o minerali, priva di rilevanza morale. · La rivisitazione della storia del cane e del bambino. A questo punto il vivisettore incallito potrebbe incalzarci con il seguente ragionamento: “E se tramite la sperimentazione animale riuscissimo a curare un numero enormemente più grande di umani rispetto agli animali coinvolti nella sperimentazione stessa? Se l’uomo è l’animale con maggiore intenzionalità, un tale esperimento non dovrebbe pertanto essere condotto?”. Questa, in fondo, non è che una variante del noto e falso dilemma “bambino/cane”. Ammesso, per amore di discussione, che un esperimento del genere possa mai effettivamente darsi, è immaginabile che comunque una tale evenienza sia molto rara, ponendoci di fatto in una situazione tipo “scialuppa di salvataggio” e, quindi, riducendo a poco più di zero la sperimentazione animale “accettabile”. A questa risposta di buon senso, ma non completamente abolizionista, l’AVEE può aggiungere un’ulteriore contromossa definitiva. Se accettiamo, infatti, l’ottica antispecista che informa di sé l’AVEE, la natura infondata della precedente domanda viene facilmente svelata sostituendo alla parola “animali” il termine “umani marginali”. In altre parole, la questione “cane/bambino” si scioglie come neve al sole una volta smascheratane la sottesa presunzione di un perfezionismo dell’intenzionalità, per cui avrebbe più diritto alla considerazione morale chi è in possesso di una maggiore intenzionalità. Tale presunzione ci metterebbe, infatti, su un pericoloso piano inclinato, in quanto è molto probabile che Albert Einstein possedesse maggiore intenzionalità di un umano marginale o anche di un esemplare medio della nostra specie. Non per questo ci sentiremmo autorizzati a vivisezionare questi ultimi individui, qualora questa procedura potesse essere di qualche utilità per gli “einsteniani”. E’ la presenza dell’intenzionalità (definita sul plesso piacere/dolore) e non la sua magnitudo ad aprire le porte alla considerazione morale.
VII L’animalismo sta andando oltre sé stesso,23 riconoscendo sempre più chiaramente la sua origine politica egualitaristica e la sua natura potentemente euristica che ne fanno, da un lato, un osservatorio privilegiato per analizzare l’esistente e, dall’altro e conseguentemente, il più potente e coerente movimento di critica radicale dell’attuale era di dominio incontrastato della tecnica.24 Critica fondata non su una negazione antiscientifica e luddista, ma al contrario, centrata su di un argomentare razionale e sull’accettazione dei dati di fatto dell’impresa scientifica, come ad esempio il dettato (neo)darwiniano. E’ parte integrante di questo incedere del pensiero animalista verso un approdo genuinamente antispecista ed egualitario il prender congedo sia dall’AVSe che dall’AVS, pur riconoscendone il valore storico e la buona fede degli attuali esponenti. In fondo, l’AVEE non fa che selezionare i “pezzi” migliori (in una parodia “buona” della catena di montaggio) dei suoi antenati: l’intransigente richiesta abolizionista dell’AVSe rafforzata da un argomentare razionale, come nelle intenzioni (non realizzate) dell’AVS, lasciandosi alle spalle l’emotività inconcludente dell’uno e i pericoli di un malcelato antropocentrismo dell’altro. Così facendo, il movimento antivivisezionista maturo prende possesso della scena con delle richieste difficilmente eludibili.
Note 1. Marc Berkowitz, ex-internato ad Auschwitz ed ora difensore dei diritti animali, era stato scelto insieme a sua sorella per gli esperimenti “chirurgici” sui gemelli di Joseph Mengele. La frase in esergo è stata pronunciata in occasione di un incontro pubblico in difesa delle oche canadesi che un ispettore della contea di Rockland voleva abbattere. La storia di Berkowitz è riportata in Charles Patterson, Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto, Editori Riuniti, Roma 2003, pp. 153-154. 2. Claude Bernard, Introduzione allo studio della medicina sperimentale, a cura di F. Ghiretti, Feltrinelli, Milano 1973. Per Claude Bernard: “La scienza della vita è come una sala superba e sfolgorante di luce alla quale si può accedere solo passando da una lunga e fetida cucina” (p. 25), poiché Bernard non temeva di affermare che: “Lo sperimentatore possa toccare con mano, modificandoli o distruggendoli, i corpi sui quali vuole agire per conoscere la funzione nei fenomeni naturali” (p. 19). Pertanto, continua: “Secondo me, mentre l’ospedale è l’anticamera della medicina scientifica […]: il laboratorio è il vero e proprio santuario della scienza medica” (p. 151). Corsivi miei. 3. Per una disanima dettagliata di questi aspetti si rimanda a Charles Patterson, Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto, op. cit. e a Zygmunt Bauman, Modernità e Olocausto, Il Mulino, Bologna 1992. 4. Francesco Bacone, Scritti filosofici, UTET, Torino 1975. Circa il ruolo fondante della speculazione baconiana sull’attuale modello della sperimentazione animale, si rimanda a Brian Klug, Gli animali di laboratorio, Bacone e la cultura della scienza, In Etica & Animali, Anno III-IV, numero 1-2 Primavera/Autunno 1991, Animus, Milano 1991, pp. 28-38. 5. “Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra, e incutete paura e terrore a tutti gli animali della terra e a tutti gli uccelli del cielo […] Tutto ciò che si muove e che ha vita vi sarà di cibo”. (Genesi IX, 1-5). Corsivo mio. 6. Tutte le citazioni di questo paragrafo sono riprese da Hans Ruesch, Imperatrice nuda, CIVIS, Roma 1989, pp. 186-195. 7. Oltre al volume di Hans Ruesch citato nella nota precedente, altro testo “storico” dell’AVS è quello di Robert Sharpe, L’inganno crudele. L’impiego degli animali nel campo della ricerca medica, Borla, Roma 1992. 8. Per un panorama più completo dell’AVS attuale e, soprattutto di quello italiano, si rimanda a Stefano Cagno, Gli animali e la ricerca. Viaggio nel mondo della vivisezione, Franco Muzzio Editore, Padova 1997; nuova edizione presso Editori Riuniti, Roma 2002. 9. L’idea della sperimentazione animale come errore metodologico sostiene l’impianto argomentativo di un altro testo fondamentale dell’AVS italiano: Pietro Croce, Vivisezione o scienza. La sperimentazione sull’uomo, Calderini Ediagricole, Bologna 2000. 10. Charles Darwin, L’origine della specie, Bollati Boringhieri, Torino 1967. Un’implicazione morale di immediato interesse animalista della teoria darwiniana è ben evidenziata da Richard Dawkins, Vuoti nella mente, in Paola Cavalieri e Peter Singer, Il progetto grande scimmia. Eguaglianza oltre i confini della specie umana, Theoria, Roma-Napoli 1994, pp. 95-103. 11. Circa il valore euristico della teoria darwiniana si rimanda, tra gli altri, a Gerald M. Edelman, Darwinismo neurale. La teoria della selezione dei gruppi neurali, Einaudi, Torino 1995; Lee Smolin, La vita del cosmo, Einaudi, Torino 1998; Richard Dawkins, Il cappellano del diavolo, Cortina, Milano 2004. 12. Tra gli altri, cfr Jared Diamond, Il terzo scimpanzé. Ascesa e caduta del primate Homo Sapiens, Bollati Boringhieri, Torino 1994. 13. Lee Silver, biologo molecolare a Princeton, prevede che tra non molto l’umanità si dividerà in due distinte classi biologiche, la Gen Rich e la Natural. La classe Gen Rich rappresenterà circa il 10% della popolazione, quella che avrà i mezzi economici per arricchire il DNA della propria prole con geni sintetici che ne miglioreranno a dismisura le doti intellettuali, fisiche e di comando. Ed ecco come Lee Silver in Il paradiso perduto, Sperling & Kupfer, Milano 1998, prevede sarà il nostro futuro: “Con il trascorrere del tempo, la distanza genetica tra la classe Natural e la classe Gen Rich potrebbe diventare sempre più grande e non sarebbe più possibile per un individuo salire dalla classe Natural alla Gen Rich […] Tutti gli aspetti dell’economia, dei media, dell’industria del divertimento e dell’industria della conoscenza verranno controllati dai membri della classe Gen Rich […] Invece, i Natural lavoreranno come fornitori di un servizio sottopagato o come operai […] I bambini Gen Rich e Natural crescono e vivono in mondi sociali separati, con poche opportunità di contatto […] [alla fine] la classe Gen Rich e la classe Natural diventeranno gli uomini Gen Rich e gli uomini Natural, specie totalmente separate con nessuna opportunità di incrocio e con una specie di “curiosità” gli uni per gli altri, come adesso accade per gli uomini e gli scimpanzé”. 14. Si veda ad esempio, Charles Patterson, Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto, op. cit.; Maurice H. Pappworth, Cavie umane, Feltrinelli, Milano 1971; Milly Schär-Manzoli, Medicina criminale. Cavie umane, ATRA, Lugano 1998. 15. La nozione di “impero” come fondamento della presente situazione politica planetaria è stata sviluppata lucidamente da Michael Hardt e Antonio Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano 2002. 16. Si vedano a titolo di esempio, Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976; Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, La nuova alleanza, Einaudi, Torino 1981; Steven J. Gould, La vita meravigliosa, Feltrinelli, Milano 1990. 17. La migliore e più completa rassegna delle posizioni filosofiche antispeciste è ritrovabile in Gino Ditadi (a cura di), I filosofi e gli animali, Isonomia, Este (Padova) 1994. 18. Si veda, ad esempio, Richard Dawkins, Si farà luce, in Il cappellano del diavolo, op. cit., pp. 79-101. 19. Su questa linea di pensiero, pur non traendone tutte le conseguenze possibili in termini di un’estensione della nozione di diritto oltre il confine della nostra specie, si muove anche Hans Jonas in Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, Einaudi, Torino 1999, laddove individua come l’organismo già nelle sue forme più elementari inaugura la nozione di libertà. 20. Alan Gewirth, Reason and Morality, The University of Chicago Press, Chicago 1978. 21. Paola Cavalieri, La questione animale. Per una teoria allargata dei diritti umani, Bollati Boringhieri, Torino 1999. 22. Questa visione e' anche quella di Hans Jonas in Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, op. cit. Si veda in particolar modo il capitolo sesto intitolato emblematicamente: Movimento e sentimento. Sull’anima animale (pp. 137-148), laddove tra l’altro si può leggere: “Tre caratteristiche distinguono la vita animale da quella vegetale: capacità motoria, percezione, sentimento. La necessaria connessione fra locomozione e percezione è evidente ed è stata già discussa da Aristotele; la necessaria connessione fra locomozione e sentimento (moto dell’animo) richiede un’analisi più precisa; questa mostrerà che tutt’e tre le capacità sono la manifestazione di un principio comune” (p. 139 – corsivo mio). 23. Cfr Gino Ditadi, Oltre l’animalismo, in Alessandro Arrigoni e Viviana Ribezzo (a cura di), Animali. Nuovo Millennio, Edizioni Cosmopolis, Torino 2001, pp. 45-49. 24. Per una critica serrata, ancorché completamente intrisa di antropocentrismo, dell’era del dominio incontrastato della tecnica si rimanda a Umberto Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999.
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16/02/05 |