Officina della THEORÎA |
Riflessioni
su Etica e Scienza |
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“ Se un essere soffre non può esistere nessuna giustificazione morale per rifiutarsi di prendere in considerazione tale sofferenza ” [Liberazione animale, versione italiana - Mondatori, 1991, p.24 ]. Questa semplice logica riflessione mosse in me nel lontano 1989 (avevo letto il testo inglese) l’intenzione, diventata subito pratica, di rinunciare a ogni prodotto che prevedesse sofferenza di non umani. E la ragione per cui sono contraria alla sperimentazione animale è la stessa: il semplice autoevidente dato che gli animali (a maggior ragione proprio quelli utilizzati nella sperimentazione) sono in grado di provare dolore. Gli animali solitamente utilizzati nella ricerca sono infatti, per la maggior parte, mammiferi, e su questa classe, che è la mia stessa, che dubbi posso avere sul fatto che soffrano? Il dolore che provano è esattamente uguale al mio, per di più aggravato dal carico di stress derivante dalla sistematica frustrazione di non poter realizzare il più ancestrale degli istinti, quello alla fuga. Sto sostenendo un argomento esattamente antitetico a quello del movimento* antivivisezionista, che pretende di dare per scontato o dimostrare in ogni modo che la sperimentazione animale sia inutile. E nemmeno mi soffermo a dimostrare il contrario, in quanto che essa si sia rivelata di fatto utile ed efficace lo prova (e senza scomodare scienziati o statistiche) il più che ragguardevole numero di persone che hanno non poco di che esserne grate. Il mio argomento, che a primo acchito può sembrare paradossale, è che le ragioni con cui opporsi alla sperimentazione sono esattamente le stesse per le quali essa si è rivelata grandemente utile al progresso scientifico, e cioè il fatto che gli animali non umani provano dolore esattamente come lo provano gli animali umani. E qui non c’è margine di polemica: chi può infatti negare che per la gran parte degli esperimenti (quelli sulla soglia del dolore, ad esempio: si pensi solo a tutta la sperimentazione dei settori ortopedico e neurologico) la sofferenza stessa è parte qualificante dell’esperimento stesso? Ora: quale abitante di questa parte del pianeta, ove i diritti umani sono - giuridicamente se non di fatto – ampiamente acquisiti oserebbe sostenere pubblicamente che non bisognerebbe condurre esperimenti dolorosi su umani con l’argomento che sono inutili? Nessuno. Sicuramente tutti, antivivisezionisti compresi, nell’ipotesi che si compissero su esseri umani i medesimi esperimenti che attualmente vengono perpetrati su cavie non umane, difenderebbe gli umani accampando ragioni etiche, senza minimamente peritarsi di scandagliare se e quanto quegli esperimenti siano realmente utili. Con ciò non voglio dire che sbaglierebbero, anzi …, quando si tratta di dolore, la difesa etica è la sola pertinente. E nel caso di dolore umano la carta fondamentale che si gioca è l’appello al senso morale. Perché dunque il dolore non umano vale meno? Perché ad esempio vale ancor meno di feti e degli embrioni umani? Pensiamo alle indignate e fin troppo etiche levate di scudi da parte del mondo cattolico a tale riguardo … Ma per chi credente non è, e tanto meno nazista …, il dolore dovrebbe meritare attenzione, a prescindere da altre caratteristiche (specie, razza, sesso, etnia … ). A questo punto immagino le risposte dei fautori della sperimentazione animale e degli antivivisezionisti. I primi direbbero che è proprio del dolore che si preoccupano. Già ma solo di quello umano. I secondi direbbero che preoccupandosi di dimostrare che gli esperimenti sono inutili è del dolore che si stanno preoccupando. Già, ma solo di quello animale. Ma una preoccupazione etica più equa e coerente dovrebbe avere come oggetto l’evitamento e/o la diminuzione del dolore di chiunque, animale o umano che sia. Nel caso specifico della sperimentazione, una credibile sequenza argomentativa dovrebbe così procedere: l’animale non umano ha diritto alla vita e alla non sofferenza (in breve dovrebbe avere statuto di persona e non di cosa); conseguentemente a ciò ne deriverebbe l’imperativo di cercare strade alternative, a quel punto come obbligo, e non più come optional, più o meno scientificamente fondato. Personalmente non vedo perché per un mammifero come me non posso indignarmi moralmente e proclamare al mondo che usarlo come oggetto è semplicemente eticamente sbagliato, e sprecarmi invece in inverosimili e quanto mai non pertinenti acrobazie (pseudo)scientifiche. Ma qui siamo arrivati al punto: per i non umani è nazismo a qualsiasi latitudine: dai ‘progrediti’ americani figli della Magna Carta ai più ‘rozzi’ fanatici dell’Islam, tutti indistintamente trattano gli animali come oggetti, come proprietà , o beni d’uso. Purtroppo, anche chi pretende di difenderli. Altrimenti perché nemmeno da questo fronte vengono utilizzati argomenti etici altrettanto forti come quelli che a proposito di dolore umano verrebbero senz’altro usati? Mi si obietterà: è questione di tempo, nel frattempo che si fa? Intanto usiamo qualsiasi argomento. Non sono affatto d’accordo, perché se si vuole combattere uno stato di cose che si ritiene immorale i concetti e le parole che si scelgono per esprimerli sono della massima importanza. E, per ricollegarmi all’attualità della puntata di Report del 22-10-04 (Rai 3), soprattutto quando si ha l’occasione di parlare a milioni di persone; in quella puntata, invece, neppure da parte ‘animalista’ ho mai sentito pronunciare la parola ‘etica’. Se non abbiamo il coraggio di far passare il paradigma opposto a quello vigente, ossia quello che gli animali non umani non sono mezzi per i fini umani, non vedo come può passare la presa in carico di abolire la sperimentazione animale. Mi sembra che si prenda il problema dalla parte sbagliata. E qui torna il vero unico grande punto: siamo in regime specista cioè nazista per i non umani: se non combattiamo il paradigma dominante che considera l’animale un oggetto, come possiamo pretendere di abolire qualsiasi pratica che lo usi come tale?
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12/02/05 |