Officina della THEORÎA

Danneggiamenti
- a cura del Collettivo -







Con un poco di ritardo, dovuto all'esigenza di elaborare una nostra risposta, pubblichiamo una breve comunicazione ricevuta da un signore con un nome che sembra uno spiritoso pseudonimo. Un'opinione che, pur essendo abbastanza diffusa presso l'animalismo di sempre, presenta comunque uno spunto interessante (terzo capoverso). Esso, opportunamente sviluppato, può essere una risorsa per il movimento. Approfittiamo dunque di questo messaggio per iniziare a riflettere sullo spinoso problema delle “risposte dure”. E' un aspetto cruciale per un ambito concettuale come l'animalismo che si sta timidamente affacciando nello scenario della storia con caratteri nuovi.



La Repubblica, martedì, 23 dicembre 2003

L'azienda farmaceutica di Colleretto è nel mirino
Rbm, danneggiata auto. Sospetti sugli animalisti

Si intensifica il pressing contro l'azienda farmaceutica Rbm Marxer di
Colleretto Giacosa da parte del collettivo animalista “No-Rbm”....



La stampa locale e nazionale ha riportato la notizia relativa al terzo danneggiamento di automobili causato a dipendenti RBM. Io sono convinto che gli animalisti non c'entrano per niente e le circostanze sono il frutto di una serie casuale di relazioni personali turbate, associate in un unico disegno dalla fantasia di alcuni.

Ma questo non importa. Ciò che importa è invece la chiara presa di distanza da eventuali azioni di questo tipo per evitare che quanto oggi potrebbe essere frutto della fantasia dei commentatori, diventi, un domani, possibile realtà. Il giudizio morale che si può dare su un soggetto umano, per basso che sia, non deve comportare alcun tipo di violenza non solo alla sua persona, ma neanche alle sue cose.

La battaglia animalista, per quanto cerchi di contrastare operazioni odiose, non deve farsi condizionare dal livore. Gli atteggiamenti “vendicativi” hanno lo scopo di abbassare la frustrazione dei militanti, ma a che prò? Servono ad aprire delle possibilità oppure a chiuderle? Già, perché se l'azione non suscita clamore è inutile e non sortisce niente di buono per gli animali. Se invece suscitasse clamore è ancora peggio, perché gli organi di informazione additerebbero gli attivisti come qualcosa di simile ai terroristi con risultati infelici per la causa e la sua immagine.

Comunque mi sembra che il Coordinamento NO-RBM si stia comportando molto bene promuovendo varie iniziative verso la popolazione locale per fare conoscere la violenza della vivisezione. I risultati sono scarsi, ma chi si impegna in una battaglia così difficile è un precursore destinato ad aprire una pista prima ancora che un “risolutore di problemi”.

Non rimane altro che fare le proprie congratulazioni agli attivisti che stanno insistendo con encomiabile costanza nella loro opera di disturbo sfidando ostacoli, minacce e intimidazioni di vario genere.


Cordiali saluti

Menelao Lehmann



***


La serie di eventi da cui la riflessione trae spunto è, tutto sommato, piccola cosa. Non sappiamo quale possa essere stato il danno subito dalle auto. In ogni caso, per quanto possa essere stato grave per chi l'ha subito, esso, essendo circoscritto a singoli casi dalla natura incerta, non può assolutamente costituire un fenomeno di autentica pericolosità sociale. Tuttavia, sappiamo bene che le grandi cose nascono dalle piccole e non sempre si portano dietro coloriture positive. Il movimento animalista, d'altra parte, sembra incapace, in linea con i tempi, di elaborare grandi riflessioni sul tema delle “risposte dure”, tema del resto assai controverso e, probabilmente, difficilmente riconducibile a visione definitiva. Nasce perciò l'urgenza di ragionare sulla natura delle risposte che un movimento, ancora infante, debba dare alla civiltà specista: una civiltà che non esita a commettere i più efferati crimini sugli animali con tecniche e procedure che, rispetto alle manifestazioni del passato, sono ineguali in violenza quantitativa e qualitativa.

In futuro il Collettivo tenterà di mettere a fuoco gli aspetti legati al problema della legittimità o meno della resistenza contro una società che si dichiara sorda, cieca e muta nei confronti dei moderni campi di sterminio. Non sappiamo ancora fino a che punto ci si possa spingere nel legittimare forme di resistenza attiva o quanto, invece, si debba definire un punto d'arresto superato il quale ogni risposta diventa corresponsabilità nel degrado umano.

Di fatto alcune cose si possono già dire in rapporto ai fatti citati. Per fare questo, partiremo dal presupposto del tutto ipotetico che gli atti siano stati consumati da un animalista agente per conto proprio, pur non escludendo, come dice M.L., “che gli animalisti non c'entrano per niente e le circostanze sono il frutto di una serie casuale di relazioni personali turbate, associate in un unico disegno dalla fantasia di alcuni”. Inoltre circoscriveremo la riflessione a un semplice e ipotetico danneggiamento di oggetti, come del resto è il caso da cui prendiamo le mosse.


Se ogni atto è una comunicazione, allora ogni atto sociale si accompagna a una pluralità di comunicazioni. Un “fatto” non si caratterizza mai univocamente, ma si porta dietro significati che dipendono dalla mappa cognitiva di colui che l'interpreta. Immaginiamo dunque un animalista che decida di informarsi sui luoghi di residenza di alcuni vivisettori per vandalizzare loro l'automobile. Ragioniamo su tre aspetti. Per primo, la possibile interpretazione dei media che commentano la notizia. Vi è poi un secondo aspetto. Infatti, anche a prescindere dai media, bisogna considerare che i fatti già si svolgono entro una “visione” collettiva che preesiste al commento degli organi di informazione. Capire come debba essere codificato dall'opinione pubblica una tale notizia è una imprescindibile necessità di un moderno e solitario Zorro. Il quale, e questo è il terzo aspetto, deve poi guardare dentro sé stesso per valutare con onestà quali spinte interiori lo muovono.

    1. L'atteggiamento dei media.

L'articolo della Repubblica costituisce un esempio piuttosto indicativo. Si esordisce dicendo che vi sono sospetti sugli animalisti. La parola “sospetto” è inequivocabile e rimanda a un'incertezza di fondo. Tuttavia, subito dopo, si convalida l'ipotesi costruendo tutto l'articolo sul teorema che l'atto sia frutto di animalisti. Così: “Ora il coordinamento dei gruppi vicini al collettivo «No-Rbm», che si oppone alle pratiche di sperimentazione animali per scopi farmaceutici, hanno [?] alzato il tiro, danneggiando le auto di alcuni dipendenti dell´azienda”. Anche noi abbiamo ipotizzato che l'atto sia stato condotto da un animalista, ma la nostra è una costruzione fittizia realizzata per sviluppare un ragionamento ipotetico. Invece la stampa, pur non conoscendo genesi e autore dell'atto, non esita ad attribuire con estrema leggerezza le responsabilità subito dopo aver invocato semplici sospetti. Non occorre molto acume per capire come l'atteggiamento dei media sia pericoloso per il movimento e come, l'eventuale vendicatore debba tenerne conto prima di intentare una qualsiasi azione. Qualora la catena delle circostanze dovesse allungarsi è facile ipotizzare un massiccio coinvolgimento degli organi di informazione che potrebbero gettarsi nella mischia per costruire una inedita rappresentazione di un nuovo mostro. Fatto che sarebbe aggravato in tempi carichi di terrorismo. Occorre considerare che brigate rosse, fondamentalismi islamici, anarco-insurrezionalisti sono argomenti trattati dai media in modo tale da trasmettere angoscia, perché si sa che maggiore è l'angoscia provocata, maggiore è la serrata delle file intorno alle istituzioni, specialmente quando esse incominciano a scricchiolare per manifesta incapacità di gestione dei processi economici e sociali. In effetti, la modernità ha trovato delle soluzioni propagandistiche di fronte alle quali sia quelle della bestia nazista, sia quelle del totalitarismo democratico dei secoli XVIII e XX sono prodotti di dilettanti. Insomma, un trattamento ben orientato in direzione dell'isolamento – per non dire la distruzione – delle posizioni dell'animalismo radicale che verrebbe tout court investito dall'onda d'urto della riprovazione generale. Di fronte a danneggiamenti insistiti, per le modalità stesse in cui verrebbero compiuti, si scatenerebbe il finimondo contro soluzioni così lontane dalla visione del “gattaro” - meglio ancora, della gattara – che continua ad essere, di gran lunga, l'unica immagine animalista coltivata dall'immaginario sociale.

    1. L'opinione stratificata nel pubblico.

A proposito di immaginario sociale... come giudicano gli individui atti del genere? Se gli atti non si esasperano, e in mancanza di particolare enfasi giornalistica (di cui l'articolo della Repubblica è un esempio), l'occhio del lettore scorre veloce senza particolare attenzione. Ma può anche darsi che scatti una specie di identificazione psicologica con la vittima del vandalismo il quale è stato punito attraverso il danneggiamento di cose private e, soprattutto, in un luogo lontano da quello in cui pratica le azioni stigmatizzate e combattute dall'ipotetico “guerriero”. Quest'epoca tende a frantumare la persona nei suoi ruoli e a perdere una visione organica di essa. Ciò vuol dire che nell'opinione pubblica viene ben distinto il personaggio che somministra farmaci a topi o squarta primati dal personaggio che alla sera gioca gioiosamente con i suoi bambini e magari con il gatto di casa Questo aspetto non è da sottovalutare. Aprire gabbie di visoni o di altri animali, cioè svolgere le classiche azioni di liberazione animale (sulle quali non diamo giudizi perché non è il caso che stiamo trattando) crea un automatismo nella mente del lettore che, insieme ad altri elementi della circostanza, può indurre a una certa solidarietà interiore. Danneggiare un oggetto e, per di più, lontano dall'azienda in cui il danneggiato opera, può creare una solidarietà interiore soltanto in coloro che già posseggono una propensione, magari puramente mentale, verso il liberazionismo o posseggono una grande empatia verso gli animali. Insomma, il valore simbolico dell'atto stenta a farsi strada e al suo posto si può manifestare una reazione fortemente negativa per l'invasione della sfera privata di una persona sconosciuta, ma nella quale è facile che nasca il fenomeno dell'identificazione.

    1. Il campo psicologico dell'attore.

E ora il problema più spinoso: chiediamoci quale sia ila motivazione interiore che induce l'“operatore di giustizia” ad agire. Sicuramente gli animali non ci guadagnano nulla come magari può avvenire in certi casi di liberazione animale. Si può ipotizzare invece che l'atto induca una tensione in chi subisce. Sicuramente crea tensione, ma si può stare sicuri ciò si tramuterà in un'ulteriore forma di odio senza rimuovere di un sola particella la sofferenza che il danneggiato impartisce agli animali. Insomma sembra che, lungi da ottenere effetti concreti, un'azione come quella che stiamo ipotizzando costituisca esclusivamente il mezzo attraverso il quale l'attore da libero sfogo a una sua esigenza personale per abbassare la soglia della sua frustrazione. Coloro che agiscono nel campo del movimento animalista con la passione derivata dal senso di giustizia e con empatia verso gli animali sanno cosa vuol dire vivere perennemente con l'angoscia di conoscere e di non poter fare nulla o quasi. Significa vivere con l'inferno dentro. Tuttavia ogni atto deve inserirsi in un piano, in una strategia e la violenza gratuita non serve assolutamente a nulla se non a peggiorare il livello di lucidità con il quale si deve guardare alla questione animale. Tanto più se si considerano gli effetti congiunti descritti nei punti (1) e (2).

Insomma, nel contesto descritto, se va bene, è possibile capitalizzare un insulso senso di vendetta, mentre, insistendo, si rischia addirittura di uscirne male generando ampie difficoltà in altri attivisti che scelgono di non risparmiarsi in una battaglia di lunga lena.

Questo è il nostro punto di vista. Non vale ritorcere chiedendo “voi cosa fareste per dare corpo concretamente alla protesta?” perché è chiaro che questa domanda, allo stato attuale, si può solo rispondere con un sospiro. Riteniamo tuttavia che alla nostra domanda: “non siamo costretti in difesa per l'immagine che i media costruiscono o possono costruire sul nostro silenzio intorno a certi fatti?” non si possa rispondere: “non e' molto importante quel che ci costruiscono sopra”. La battaglia per ottenere in prospettiva dei risultati si deve basare su una ricerca attenta degli stili di comunicazione badando di avere sempre argomenti da esibire contro le falsità che vengono dalla parte avversa. Del resto questo lavoro, pur con esiti scarsi, viene fatto abbastanza bene dal Movimento essendo i limiti delle iniziative da ascrivere a un altro ordine di problemi (l'indifferenza della gente che, attualmente, non si riesce a rimuovere con nessun sistema).

Riteniamo dunque che vi siano sufficienti motivi per giudicare negativi fatti ipotetici come quelli che vengono attribuiti in modo gratuito e senza uno straccio di prova dalla frase antipatica che riportiamo di nuovo:

Ora il coordinamento dei gruppi vicini al collettivo «No-Rbm», che si oppone alle pratiche di sperimentazione animali per scopi farmaceutici, hanno alzato il tiro, danneggiando le auto di alcuni dipendenti dell´azienda”

Frasi come queste sono maldestre e si prestano a molte controdeduzioni. Non sarebbe male se invece di lasciarle passare si rispedissero al mittente con “cattive maniere” e “buona comunicazione”.














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17/01/04