Una
risposta articolata di Filippo Schillaci alle precedenti
osservazioni del Collettivo. Non riteniamo di controbattere
ulteriormente perché, allo stato delle cose, non sarebbe
saggio da parte nostra. Infatti molti fatti dovranno accadere
prima che si possa gettare una luce definitiva sulle questioni
sollevate. Consideriamo dunque i due contributi come motivi di
riflessione provvisoria per il Movimento animalista.
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Innanzi
tutto è opportuno mettere a fuoco quello che era
l’argomento del mio articolo Le
gerarchie animaliste e il movimento animalista:
esso, partendo dalla lettera aperta di Massimo Tettamanti
Movimento
per gli animali: unito o diviso? e rimanendo entro
i confini dell’esistente, tentava di analizzare
comparativamente i meccanismi di funzionamento (e non
funzionamento) di due realtà di fatto operanti nel
presente, prescindendo dal problema di quale struttura dovesse
avere una ipotetica terza realtà capace di ovviare ai
limiti delle prime due. Il progetto di una tale terza via
è problema ulteriore; aggiungo: problema fondamentale, ed
è quello posto dal collettivo di Rinascita Animalista:
"Come comportarsi di fronte a una barriera che, trasferendo
l’azione dall’iniziale scopo statutario al proprio
interesse (...) impedisce a forze nuove e motivate il
perseguimento di obiettivi che altri hanno lasciato
cadere?" L’alternativa sperimentata da Tettamanti
può senz’altro collocarsi nell’ambito di ciò
che R.A. chiama un "nuovo orientamento con venature
anarco-individualiste" la cui strategia, implicita del resto
nella sua struttura, è quella di "frantumare l’azione
in mille rivoli...". Può una tale strategia essere
"produttiva nel medio o nel lungo periodo?" Nel passo
citato da R.A. in realtà non fornisco alcuna risposta
positiva a questa domanda, anzi non la pongo neanche. Mi limito a
osservare che la struttura di un movimento spontaneo è
tale da impedire lo stabilirsi al suo interno di relazioni di
potere. Il problema dell’efficacia su grande scala
(spaziale o temporale) di una strategia quale quella che un tale
movimento destrutturato può mettere in atto lo pongo più
avanti, lì dove uso la metafora del rendimento di un
motore. E si vede dunque che la risposta è più
dubitativa che positiva. Prima però di affrontare
questo discorso vorrei far notare che il "frantumare
l’azione in mille rivoli..." non è
caratteristica peculiare del "movimento spontaneo", ma
è ciò che accade anche nelle Associazioni
gerarchizzate, almeno in ambito ambiental-animalista. Ricordo a
tale proposito una (allucinante) corrispondenza che, in tema di
caccia, ebbi qualche tempo fa con la responsabile dell’ufficio
legale di una grossa associazione ambientalista, cui feci
presente l’opportunità di far leva in maniera
sistematica, massiccia, organizzata, e soprattutto su scala
nazionale, sull’aspetto della caccia come problema di
pubblica sicurezza. Si tenga presente che l’Associazione in
questione è abbastanza grossa da poter fare tutto ciò.
Mi sentii rispondere (fra l’altro!) che, riguardo alla
questione da me sollevata "circa l'incolumita pubblica,
ritengo che non sia un tema da affrontare in questo modo, ma lo
terremo in considerazione. intanto le comunico che annualmente
comuni hanno o ancora fanno ordinanze per incolumita pubblica
nelle quali autorizzano a sparare perfino nei centri abitati.
paradossale no? Le abbiamo sempre impugnate e fatte annullare
nelle competenti sedi". Anche qui siamo dunque di fronte
a una azione polverizzata in mille rivoli, in una miriade di
piccole azioni su scala locale (contrastare ordinanze di singoli
comuni), che non intaccano la sostanza del problema a livello
nazionale, l’azione nei confronti del quale al contrario
viene decisamente rifiutata ("non è un tema da
affrontare in questo modo"). Strutture organizzative
opposte dunque, ma identiche strategie, ugualmente polverizzate,
prive di una ossatura portante che possa determinarne una
progressività di risultati nel tempo e nello spazio. Nel
primo caso, lo abbiamo già detto, ciò è
insito nella (non) struttura di un movimento spontaneo, nel
secondo è una conseguenza dell’autoreferenzialità:
colpire piccole propaggini periferiche del problema lasciandone
intatto il cuore garantisce il perpetuarsi del problema stesso e
pertanto della ragion d’essere dell’organizzazione
esistente solo in funzione di se stessa. C’è però
una sostanziale differenza fra questi due opposti che
apparentemente si toccano: la buona fede. La buona fede di chi
opera all’interno di un movimento spontaneo e di cui invece
non ho visto traccia nelle parole della mia interlocutrice sopra
citata. E’ una differenza le cui valenze non sono solo
di natura etica, perché se immaginiamo che a un certo
punto si aprisse, in qualche inimmaginabile maniera, una via
maestra che portasse alla soluzione di tutti i problemi su cui
noi operiamo, quel movimento spontaneo che R.A. ha chiamato (in
fondo non a torto) anarco-individualiasta farebbe di tutto per
seguirla, le Associazioni gerarchizzate farebbero di tutto per
chiuderla. A questo mi riferivo con la metafora del "motore
che non funziona". Le Associazioni fanno, con rendimenti
irrisori, vero, ma fanno, voi obiettate. Giusto. Esse con quella
miriade di microazioni periferiche finemente polverizzate di cui
ho citato un esempio (e che sono comunque necessarie a
giustificare la loro esistenza davanti all’universo-mondo)
arginano lo straripare della "cloaca" (per usare un
termine caro a un nostro "affezionato nemico" di un
recente passato), ma il problema è che qui non si vuole
arginarla, si vuole prosciugarla e su questo punto le
organizzazioni gerarchizzate sono da ritenersi, per loro stessa
natura, dall’altra parte della barricata. A loro la cloaca
serve. Da ciò la metafora del "rendimento zero"
e la mia simpatia per il movimento spontaneo che, se non altro,
sarà sempre dalla parte giusta della barricata.
Ma non abbiamo ancora
affrontato il problema fondamentale: "E allora che
fare?" Direi che questa domanda si può dividere in
due domande distinte e strettamente correlate. Correlate perché
dare una certa risposta a una di esse significa allo stesso tempo
escludere un certo numero di possibili risposte all’altra.
Eccole: a) quale struttura deve darsi una organizzazione per
evitare di divenire o amorfa (e dunque impotente) o
autoreferenziale (e dunque indolente)? b) quale strategia deve
mettere in atto per portare avanti i suoi obiettivi? Per
quanto riguarda la seconda domanda mi limito qui a dire
(rimandando a un secondo tempo una riflessione più
dettagliata) che qualunque strategia per poter attecchire e
giungere a una meta deve partire da una analisi oggettiva dello
stato di fatto ed elaborare un percorso (programmazione) che,
partendo da esso, conduca attraverso una serie di tappe
alla sua trasformazione in un altro consono al modello che viene
posto come obiettivo. E’ chiaro che ciò è
l’esatto opposto dell’azione frantumata in mille
rivoli che "anarco-individualisti" da una parte e
"gerarchi" dall’altra perseguono. Dunque occorre
una struttura, una qualche forma di coordinamento, di
organizzazione, ma occorre che questa struttura sia anche in
grado di non degenerare nella gerarchia. E siamo ora pronti ad
affrontare la prima domanda. R.A. espone a questo punto quella
che potremmo chiamare la teoria della "finestra utile"
o, come scrive l’autore, del "tempo di latenza",
quell’intervallo di tempo cioè che passa fra la
nascita di una organizzazione e il suo "deperimento
burocratico". E cita l’esempio del movimento
comunista, sulla falsariga del quale propone "un movimento
fortemente organizzato (...) con obiettivi, tattica e strategia
ben definite, potentemente antiistituzionale, capace di creare
forti pressioni a livello sociale, orientato a lasciare nella
loro solitudine il Legislatore e i suoi lacché...".
Questo passo piacerebbe molto a Nietzsche: in sole tre righe
svettano ben tre parole che evocano imperiosamente il concetto di
potere: "fortemente", "potentemente",
"forti". Nascono immediatamente dei problemi. Intanto
un movimento "potentemente antiistituzionale" è
destinato inevitabilmente a destare una reazione "potentemente
istituzionale" da parte delle istituzioni cui si
contrappone, reazione per opporsi con successo alla quale deve
essere "fortemente organizzato", più "fortemente
organizzato" di quanto sia "fortemente organizzato"
il potere istituzionale. Eccoci già entrati all’interno
di una logica di potere, non solo esterna (nei confronti
dell’avversario) ma anche interna (siamo ricaduti
nell’ambito di quelle organizzazioni a struttura "forte"
al cui interno dilagano rapporti di potere e gerarchie). La
seconda metà della frase citata affronta il tema della
seconda delle nostre due domande e pertanto per ora non la
approfondiremo. Concentriamoci sulla prima parte. Il punto è
che la "finestra utile" di una tale organizzazione non
può che essere estremamente ridotta, perché
affrontando l’avversario sul suo stesso terreno non potrà
non assumere i modi comportamentali dell’avversario. Dovrà
anzi assumerli con maggiore efficienza dell’avversario.
Divenire insomma, non solo come lui ma anzi peggio di lui.
Possedere una struttura "forte" significa
inevitabilmente darsi delle proprie "istituzioni", cioé
un proprio legislatore. E’ quanto è accaduto al
movimento comunista, e ad altri prima di esso. Ma c’è
di più: noi non stiamo parlando di produrre un manufatto
che una volta completato esiste indipendentemente dal suo
creatore. Il "manufatto" è in questo caso un
sistema etico, ed esso esiste finché esistono uomini che
ne sono portatori. Nel momento in cui la "finestra utile"
si chiude ciò che di buono è stato riversato
attraverso essa, non più alimentato, svanisce in breve
tempo. L’esperienza dell’URSS è in tal senso
un precedente impossibile da ignorare. Il problema non è
dunque quello di sfruttare effimeri "tempi di latenza"
bensì di domandarsi se non esista una struttura che unisca
le qualità di capacità di coordinamento strategico
teorico-pratico nel tempo e nello spazio e di rarefazione
strutturale che impedisca l’attecchire in forma prevalente
di rapporti di potere e di tutto ciò che ne consegue. Io
credo che una tale struttura sia concepibile e vorrei provare a
definirla mediante un paragone con i mezzi di comunicazione di
massa: si potrebbe dire che l’attuale associazionismo
gerarchizzato è simile alla televisione: un centro
emanante e una immensa periferia assorbente in maniera passiva,
il movimento spontaneo è paragonabile a una serie di
villaggi isolati fra loro fra i quali esistono solo frammentarie
e lente comunicazioni. Ma esiste una diversa struttura
topologica, quella della rete telematica, che ha il doppio
vantaggio di essere priva di un centro (impossibilità
nello stabilirsi di una gerarchia) e rapida ed efficiente nelle
comunicazioni (possibilità di attuare una strategia
programmata e attuarla in reciproco coordinamento). Io credo
che una analoga struttura topologica sociale sia l’unica
in grado di "raccogliere energie emergenti e determinate per
ben incanalarle". La connessione fra i vari nodi della rete
può garantire una "prassi" non polverizzata,
ovvero una programmazione della strategia, allo stesso tempo
l’assenza di un centro gerarchico (tutti i nodi sono di
pari livello) impedisce la degenerazione in senso
autoreferenziale. Ovviamente presupposto indispensabile
affinché una tale struttura funzioni è l’omogeneità
di intenti dei suoi nodi, la convergenza su "una nuova e
grande prospettiva" da introdurre nel mondo reale. E "questa
nuova e grande prospettiva" non può che essere quella
"Teoria che ancora non c’è" citata a
conclusione dell’articolo di R.A. Una teoria, aggiungo io,
che unisca i principi dell’ambientalismo, dell’animalismo,
del pacifismo e del bioregionalismo. Ed elaborata a lume di
razionalità. Solo da una tale sintesi, ancora in effetti
inesistente, potrà nascere un’etica antispecista
capace di tradursi in una prassi efficace.
Per quanto riguarda infine
la conclusione del mio articolo, una precisazione è
indispensabile: l’elenco dei passi da seguire affinché
un qualsiasi tentativo di instaurare rapporti produttivi con le
organizzazioni gerarchizzate possa andare a buon fine non è
fatto perché io ritenga una simile strada percorribile ma
al contrario per mostrare quanto già le sole premesse, i
soli passi preliminari di essa siano proibitivamente onerosi. Il
"buon lavoro e buona fortuna" con cui si chiude quel
passo vuole avere valore puramente sarcastico in quanto, appunto,
"che senso avrebbe ancora attardarsi a ragionare su chi non
può stravolgere la propria natura?"
Filippo
Schillaci
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