Officina della THEORÎA

Annotazioni sulle nuove disposizioni
a tutela degli animali (1)
- a cura del Collettivo -








(1) La prima parte di questa relazione, con piccole varianti, è stata presentata al Convegno: “Nuovo 727cp: potenzialità, emendamenti, proposte operative” organizzato dalla sezione genovese della LIDA tenutosi a Genova il 1marzo 2003. Ringraziamo la LIDA per l’invito che ci ha permesso di esprimere pubblicamente il nostro pensiero riguardo l’importante questione. Invitiamo inoltre gli interessati a richiedere alla LIDA il documento prodotto dal convegno come utile complemento alle osservazioni che troverà in queste pagine. La necessità di centrare aspetti che riteniamo basilari ci ha costretto a tagliare importanti rilievi che comunque sono emersi dal dibattito grazie anche al contributo fondamentale del Dott. Massimo Terrile del Movimento Antispecista


 

I - Le nuove disposizioni a tutela degli animali

Il testo recentemente approvato alla Camera era un provvedimento atteso da molto tempo. Del resto, molte associazioni hanno contribuito alla sua realizzazione con la presentazione di diverse proposte di legge e l'accompagnamento dell'iter presso la Commissione Giustizia. Va detto che il movimento animalista nel suo complesso si è espresso con favore sulla nuova normativa credendo di individuarvi il rimedio alle inadeguatezze del precedente art.727cp. Ma l'entusiasmo e' fondato? Questa e' la domanda alla quale cercheremo di rispondere. 

>        Di certo la nuova legge introduce alcuni aspetti positivi. La questione dei combattimenti tra cani viene finalmente affrontata con una serie di sanzioni pecuniarie e detentive che potrebbero costituire un efficace deterrente. 
>        Le pene detentive, del resto, compaiono in tutte le fattispecie di reato previste e questa è sicuramente una novità che mette l'Italia al pari con altre legislazioni in Europa.
>        Un altro aspetto positivo è la ricollocazione della normativa all'interno del Codice Penale. In effetti la legge precedente di modifica del vecchio 727cp (l.n. 473/93) aveva lasciato assurdamente l'articolo nella vecchia collocazione; il mantenimento della norma all'interno di un ambito attinente comportamenti umani *deviati* contrastava con l'intento del Legislatore di salvaguardare specificamente la soggettività animale. Questo era stato un punto fortemente criticato al quale, oggi, la nuova legge pone rimedio. Ora l'attacco alla vita e alla incolumità degli animali e' valutato "delitto" e non più "contravvenzione".

Queste osservazioni non possono tuttavia nascondere un giudizio fortemente critico. I rilievi sono due. Ma prima di analizzarli converrà fare alcune annotazioni su stranezze, incertezze, confusioni che indeboliscono la *ratio* che la legge dovrebbe possedere.

La prima osservazione è relativa all'art. 623-quinques. Si ricorderà come la precedente modifica dell'art. 727 fosse stata salutata per l'indirizzamento della protezione dal "sentimento di ripugnanza" che poteva invadere uno spettatore di maltrattamento, alla vera e propria soggettività animale che tale maltrattamento subiva. Ora, nel nuovo testo di legge appare un nuovo articolo, il 623-quinques appunto, che tratta di spettacoli o manifestazioni vietati e che stabilisce sanzioni piu' gravi dell'art.623-quater. Si e' preferito introdurre un articolo nuovo, con sanzioni più gravi del precedente, anziché aggiungere un comma al 623-quater che avrebbe prefigurato un aggravamento della fattispecie di reato: cio' induce a ritenere che la vecchia impostazione che attribuiva più importanza alle ragioni di aspetto sociale rispetto alla difesa della soggettività animale, rientri dalla finestra dopo essere uscita dalla porta. In effetti, a ben vedere, la presenza del "quinques" si giustifica poco ed è dubbio che possa offrire una maggiore copertura degli interessi degli animali impiegati in spettacoli, manifestazioni, feste.

Altre osservazioni possono essere riferite al residuo 727 che il Legislatore sta scegliendo di mantenere. Francamente non si comprende perché il 727cp debba avere ancora diritto di esistenza riducendosi a una enclave depotenziata del 623. Le fattispecie incluse nel 727 potrebbero in effetti essere inserite nel precedente articolo. Non sembra proprio di ravvisare motivi per i quali questa scelta non possa essere fatta. Ma a prescindere da questa considerazione c'e' un altro aspetto incerto. Esso attiene alla parziale mancanza di corrispondenza tra il titolo del 727 e il successivo dettato. Il titolo, fa riferimento a "detenzione illecita" di animali, quando la norma fa riferimento a "modalità illecite di detenzione". Quindi, come minimo, si dovrebbe porre una correzione al titolo oppure alla norma.

Questi sono gli elementi secondari che meritavano di essere messi in rilievo. Ma, come osservato, non sono ancora aspetti fondamentali. Piuttosto occorre dirigere altrove l'attenzione; precisamente su un gravissimo difetto dell'impianto della legge che la rende regressiva rispetto alla norma precedente e apre pesanti interrogativi sull'entusiasmo dimostrato dalle associazioni che hanno contribuito a realizzarla.

L’art. 623-quater e' quello su cui deve concentrarsi la nostra attenzione. Ma prima di affrontare il problema occorre fare un passo indietro e ritornare al vecchio dettato che recitava così:


- Chiunque incrudelisce verso animali senza necessità o
- li sottopone a strazio o sevizie o
- [li sottopone] a comportamenti e fatiche insopportabili per le loro caratteristiche o
- li adopera in giochi, spettacoli, o lavori insostenibili per la loro natura (...) o
- li detiene in condizioni incompatibili con la loro natura o
- abbandona animali domestici....

e' punito con l'ammenda ecc. ecc.

Dunque si tratta di sei fattispecie di reato che tentano di coprire, con una certa elasticità, le attività di aggressione alla soggettività animale. Sicuramente la prima fattispecie, assai generalista, potrebbe comprendere tutte le altre, le quali si caratterizzano per una maggiore qualità di dettaglio. Si può addirittura pensare che quell'espressione centrale, "senza necessità", prolunghi la sua ombra anche nei punti successivi.

Ora, sul termine "necessità" si è scritto molto. Spesso si stenta a andare in profondità, ma si presume che la necessità sia socialmente determinata, cioè sia costruita, prima ancora che sul piano giuridico, intorno a una serie di atti sociali che si traducono in leggi soltanto in ultima istanza. Dunque, il concetto di necessità è un concetto aperto. Ma proprio perché tale, diventa un campo di tensione in cui i difensori degli animali e i sostenitori della società specista possono combattersi nel tentativo, degli uni, di affermare diritti ancora inespressi; degli altri di mantenere i vantaggi che la società specista comporta.

Del resto perché non sfruttare questa possibilità? Secondo una interprete della valenza innovativa della ormai vecchia ln 473/93,

"la nozione di necessità (...) deve intendersi come una situazione di cogenza verificata non sulla base di usi o pratiche generalmente accettate, ma in base alla valutazione comparativa degli interessi umani e animali coinvolti, e alla constatazione che: 1) i primi riguardano beni vitali o comunque di estrema importanza per l'uomo; 2) non vi sia altro modo per soddisfarli; 3) vi siano fondate ragioni per ritenere che il sacrificio degli interessi animali coinvolti sia idoneo a consentire il soddisfacimento degli interessi umani in questione."(2) 

Purtroppo l'introduzione del concetto di necessità diventa un'arma a doppio taglio. E' vero, come e' stato rilevato, che: 

"la nozione di necessità rischia di mantenere in vita quella sorta di passpartout che ha finito per legittimare vari tipi di comportamenti, qualora vantassero la benché minima, anche solo apparente, ragionevolezza." (3) 

ma è anche stato rilevato che: 

"Questa fattispecie, tuttavia, può svolgere una funzione senz'altro più rilevante se riletta e corretta alla luce dei principi in precedenza rilevati [il bilanciamento degli interessi tra animali umani e non, nda] (...) Così inteso, il divieto di incrudelire verso animali senza necessità altro non è che l'espressione di quel fondamentale dovere generale, etico prima che giuridico, di non causare sofferenza e morte inutilmente a esseri sensibili” (3) 

Ora forse si riesce a vedere meglio il concetto di necessità come campo di tensione di valori compresenti nella società, ma non componibili, perché ontologicamente diversi. Un luogo di tensione dove si combatte un conflitto tra le interpretazioni di certe pratiche dolorose. Un conflitto di interessi, tra umani che pensano di poter infliggere impunemente sofferenza a animali e uomini che sostengono l'inutilità e la non necessita' di certe azioni.

Questo era il vecchio art. 727cp. Non si sa quanto frutto del caso e delle cattive trascrizioni dei pensieri, comunque era nata, in ambito giuridico, una terra di nessuno sulla quale gli animalisti potevano tentare di estendere l'influenza civile e culturale di cui, almeno nelle intenzioni, sono portatori.

Si consideri inoltre un aspetto assai importante che insieme al precedente, ci permetterà di dare un giudizio chiaro sull'evoluzione della legislazione sui maltrattamenti. L'art. 727 cp è stato visto anche come strumento di raccordo con la più ampia legislazione speciale inerente gli animali. E' stato rilevato che la legislazione speciale è composta... 

"...quasi sempre di provvedimenti di carattere concreto e analitico, cioè dotati di una certa articolazione nell'individuazione delle modalità di trattamento degli animali, emanati per lo più in attuazione di Convenzioni e Direttive comunitarie, ma quasi sempre si tratta di provvedimenti privi di sanzioni."(4) 

Così pare che il 727 cp assuma una funzione di prescrizione generale riuscendo a risolvere le incertezze che la legislazione speciale non riesce o non può sciogliere in materia di maltrattamento. 

Siamo ora in grado di entrare con i piedi nel piatto: possiamo leggere e ben interpretare l'impianto regressivo della nuova normativa. Leggiamo l'esordio: 

"Chiunque, senza necessita', ovvero, fuori dei casi previsti dalla legge, incrudelisce verso un animale o lo sottopone a sevizie o, tenendo conto della natura dell'animale valutata anche secondo le caratteristiche etologiche, lo sottopone a comportamenti, fatiche o lavori insopportabili e' punito con ecc. ecc. 

Non puo' sfuggire come la "non necessita'" che adesso, puo' persino essere interpretata come semplice sinonimo di esternalita' rispetto ai casi previsti dalle leggi speciali, non definisca una fattispecie, ma rappresenti una energica precisazione che esclude un enorme ambito dalla pertinenza della norma. "Senza necessita'" perde l'indistinzione e non rimanda piu' a riflessioni etiche prima che giuridiche sulla base delle quali sia possibile confliggere per far passare la propria visione delle cose. Ora non e' piu' possibile interpretare in modo evolutivo la norma. Se prima alcuni ottimisti a oltranza sostenevano che il 727cp... 

"... viene cosi' a assumere la funzione di una norma generale che, posta a chiusura delle varie discipline di settore, puo' realizzare l'esigenza di tutela ampia e penetrante..." (5)

... adesso questo non e' piu' neanche immaginabile!

Se come probabile, la nuova legge verra' approvata, non si potra' piu' esibire questo ragionamento, dato che essa rinchiude la casistica in una specie di banthustan per coprire situazioni decisamente residuali. Non a caso sembra costruita con una attenzione particolare per la problematica dei combattimenti clandestini (623 quinques e sexies).

In definitiva, probabilmente domani non si potra' piu', con la stessa facilita' di oggi, reclamare che i visoni abbiano uno spazio maggiore nella loro gabbia della morte, perche' il nuovo articolo 623-quater sara' costretto a occuparsi dei fatti suoi. Analogamente non si potra' pretendere che gli esotici non vengano venduti nei negozi per la stessa ragione. Il 727cp, con il notevole potenziale della prima fattispecie (incrudelimento su animali senza necessita') ha offerto delle possibilita' notevoli al movimento animalista che avrebbe potuto impegnarsi in battaglie durissime, ma ricche di evoluzioni. Basti pensare come non ci sia alcuna necessita' nell'allevare fagiani-polli da prendere a fucilate per puro divertimento. Come non ci sia alcuna necessita' di alimentare gli zoo con nuovi arrivi, nel detenere animali dentro teche di cristallo in barba alle loro caratteristiche etologiche e alla loro tanto conclamata "natura"; persino la caccia avrebbe potuto essere messa in discussione. Ma queste battaglie che la letargia del movimento non ha mai permesso di porre in atto, domani saranno rese piu' difficili, se non impossibili, dalla riscrittura del nuovo articolo del C.P.

E’ ora possibile fare un passo indietro e prendere in esame lo scarno articolo con il quale la legge prende l’avvio: 

Art. 623-ter (Uccisione di animali). Chiunque, per fini di crudeltà, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da 3 a 18 mesi.

L’articolo non era previsto nel testo originario licenziato dalla Commissione Giustizia della Camera e si presume che sia stato introdotto in seguito a osservazioni poste dalla associazioni che hanno seguito l’iter del ddl. Infatti, una delle critiche più pesanti che la l.n. 473/93 aveva dovuto sopportare, era stata l'esclusione di una fattispecie fondamentale nella nuova ottica di protezione: l'uccisione gratuita. L'uccisione degli animali veniva considerata reato se sopraggiungeva a seguito del maltrattamento e veniva trattata come aggravante del maltrattamento stesso, ma in sé non era considerata reato. E adesso? Si è posto rimedio a quella sciagurata amnesia?

L’orientamento del Legislatore diventa abbastanza chiaro alla luce di quanto è stato precedentemente detto. I 650 milioni di animali che vengono sterminati ogni anno in Italia, si presume, non subiscono la loro sorte per motivi di crudeltà, bensì per supportare l’“esigenza” umana di proteine nobili. Magari si riconoscerà che sparare chiodi in testa a bovini, suini, capre o sgozzare polli non sarà un’azione proprio graziosa per le persone che la subiscono, ma si insisterà nel sostenere che il “fine” non è la crudeltà in sé stessa, ma quello di soddisfare una legittima esigenza umana. Quindi è ovvio che la legge escluderà l’immenso esercito di viventi destinati a essere massacrati come vittime sacrificali.

Passiamo allora ad analizzare altri destini. Sappiamo che ogni anno molti animali di affezione vengono eutanasizzati da veterinari compiacenti senza alcuna necessità che non sia quella di liberarsi di un animale venuto a noia, o troppo vecchio, o inefficiente secondo logiche aberranti. Questa pratica è seguita da molti e rappresenta una alternativa all'abbandono: forse meno crudele dell'abbandono stesso, ma altrettanto odiosa. Inoltre tale pratica serve a molti allevatori per regolare l'incrocio della domanda del mercato con l'offerta. Possiamo pensare che tali atti rientrino nella fattispecie di reato prevista dall’art. 623-ter? No! Infatti la scrittura della norma sollecita immagini cruente di aggressioni al corpo animale come lapidazioni o squartamenti ben lontane da quelle asettiche e silenziose che si meterializzano dentro un ambulatorio veterinario. Quindi nessun giudice sarà disposto a mandare in galera il soggetto responsabile (cliente o veterinario o entrambi?) di tali atti.

In conclusione, a 10 anni da quella modifica, viene proposta una riscrittura della norma e nuovamente, grazie anche alla dimenticanza di coloro che hanno presentato ben 4 proposte di legge, l'uccisione gratuita dell'animale non è prevista come ipotesi di reato. Insomma, se la Commissione Giustizia ha licenziato un testo privo di questa importante copertura, la responsabilità ricade anche in chi non ha saputo ricordarle una ipotesi che avrebbe dovuto essere assolutamente integrata del ddl.

La pura conseguenza del discorso è semplice: il 623-ter potrà servire, come del resto il successivo, per impartire sanzioni esemplari in casi eclatanti, ancorché il responsabile di turno si faccia sorprendere nell’atto della violenza o dell’uccisione. Casi che rimbalzando nelle pagine dei giornali serviranno ad accendere i soliti fuochi fatui. Ma la condizione animale, quella vera, diffusa, disperante perché normale, non trarrà alcun vantaggio rispetto alla precedente scrittura. La quale, invece, avendo offerto ampie possibilità movimentiste per alzare la soglia di attenzione rispetto ai problemi, non è mai stata adeguatamente sfruttata.

I motivi del disimpegno animalista sono complessi e non possono essere affrontati in questo lavoro. Speriamo che diventino presto elementi di riflessione in una prospettiva di riforma del movimento. Invece si può gettare uno scandaglio sugli strani volti di certo animalismo nostrano analizzando brevemente i suggerimenti che tale animalismo ha fornito al Legislatore per produrre questo magnifico risultato. Con un doppio vantaggio: rimarremo in tema e miglioreremo la conoscenza di su strani “luoghi” dell’associazionismo animalista.


II – Deplorevoli suggerimenti di portentose associazioni

La prima parte di questo lavoro sembrerebbe suggerire che il Legislatore abbia compiuto un colpo di mano per svilire un potenziale prima disponibile; ma a ben vedere la realtà è diversa. Infatti dalla lettura dei progetti di legge della LAV, dell'ENPA, degli AI e della LdC si scopre che vi sono stati dei colpevoli suggerimenti rispetto ai quali, il progetto della Commissione Giustizia della Camera sembra semplicemente una parafrasi. Leggiamo i periodi corrispondenti delle proposte di legge di tali associazioni. Lasciamo fuori la prima proposta, quella dell’UNA, la quale non entrava nel merito non proponendo alcun articolato e limitandosi a chiedere di modificare il 727cp “configurando il fatto di maltrattare, torturare e uccidere animali come delitto e pertanto punibile con la reclusione”.

Proposta LAV:

“Chiunque, salvo ipotesi espressamente autorizzate da leggi speciali, uccide esseri senzienti che hanno diritto alla vita e al benessere o arreca loro danni fisici o li sottopone  a strazio e sevizie è punito con….” 

Rispetto alla questione sollevata, si può osservare il richiamo “salvo ipotesi espressamente autorizzate da leggi speciali”. Al di fuori di questo ambito si chiede la sanzione per chi commette attentato alla vita dell’animale. C’è da chiedersi perché la LAV abbia pensato di introdurre una clausola restrittiva in assenza di un preciso orientamento del Legislatore.

Altrettanto si può rilevare nella proposta ENPA: 

“Chiunque, fuori dai casi normativamente previsti dalle leggi speciali, maltratta gli animali, cagionandone senza necessità la sofferenza o uno stato di alterazione psichica ovvero biologica ecc. ecc.” 

La Lega del Cane sembra invece andare oltre. Leggere! 

“Salve le norme sulla detenzione degli animali anche pericolosi, sull’uccellagione, sulla caccia, sulla macellazione e sull’impiego, con licenza dell’Autorità, di specie utilizzabili in pubblici spettacoli, nonché detenuti a scopo di cura per la reintroduzione nel loro ambiente di origine, chiunque detenga, a qualsiasi titolo, animali in condizioni tali da cagionare loro un danno o uno stato di sofferenza, per incuria o per le modalità di custodia da considerarsi incompatibili con la destinazione naturale dell’animale detenuto, sia esso domestico o selvatico, avuto riguardo anche ai comportamenti ad alle necessità etologiche del singolo animale, è punito con la reclusione fino a 2 anni” 

Il desiderio di dettagliare fa compiere a questi solerti difensori degli animali degli scivolamenti sorprendenti. Per prima cosa ignorano bellamente i settori della vivisezione o degli allevamenti degli animali da pelliccia che sembrerebbero dunque cadere sotto l’ombrello della protezione. Simpatie (un po’ strane) per questi animali? Neanche per sogno! Semplici dimenticanze giacché addirittura, e inspiegabilmente, si dichiara che gli animali pericolosi e quelli “detenuti a scopo di cura per la reintroduzione nel loro ambiente di origine” possano essere sottratti alle norme sul maltrattamento. Insomma si possono cagionare danni o maltrattare specie detenute a scopo di cura, cioè animali che per condizione oggettiva e per finalità di azione dovrebbero essere particolarmente considerati nel loro stato di detenzione. Francamente è difficile pensare che chi ha scritto il testo abbia provveduto a rileggerlo prima di licenziarlo, altrimenti queste cose non sarebbero diventate pubbliche. Inoltre, altri si devono essere fidati ciecamente, altrimenti l’assurdità di simili frasi non sarebbe passata inosservata.

Discorso diverso invece per gli Animalisti Italiani.

“Chiunque incrudelisce verso animali domestici o addomesticati o tenuti in cattività o li sottopone a strazio o sevizie, ovvero li adopera in giochi ecc. ecc….” 

Si osserverà che in questo caso non si fa menzione della legislazione speciale né a casi particolari. Nello stesso tempo risalta agli occhi una sorprendente dimenticanza. Oggetto di tutela sono soltanto gli animali “domestici o addomesticati o tenuti in cattività”. I sinantropici e i selvatici sono assolutamente dimenticati. Di nuovo stranezze di una scrittura frettolosa! 

Possiamo ora sostenere che il Legislatore si merita le attenuanti generiche? Se le associazioni hanno sollecitato esse stesse una tale regressione, difficilmente si può tacciare la Commissione Giustizia della Camera e il Parlamento di scarsa sensibilità.  

Queste osservazioni, alle quali si potrebbero aggiungere altri elementi molto gravi (6) che trascuriamo per non appesantire eccessivamente la presente nota (7), dimostrano essenzialmente alcune cose: 

    >la scarsa accuratezza posta nel ripensare una materia così importante;
    >una certa fretta legata alla paura di essere scavalcate dalle altre associazioni viste come pericolose concorrenti (8);
    >l’incapacità di presentarsi davanti al Legislatore in modo compatto;
    >infine, l’aspetto di gran lunga più grave, una relazione di sudditanza con un potere specista verso il quale ci si presenta sempre con lo stile di chi chiede un favore. 

Che dire? Il movimento animalista nasconde sempre le propensioni tribali sotto la falsa insegna della specializzazione. Io mi occupo di vivisezione, tu di pellicce, lui di randagi, l’altro di vegetarismo, l’altro ancora, di caccia e dunque non possiamo mischiarci troppo. Si tratta di un atteggiamento poco convincente che andrebbe approfondito per saggiarne i pro e i contro. Tuttavia è intollerabile che su una proposta di cambiamento di norme generali si provveda alla scrittura delle stesse nell’isolamento secondo una logica separatista che non fa onore a nessuno e che genera le belle cose sulle quali ci siamo soffermati. 

A questo punto c’è modo e tempo di richiedere emendamenti? Ma soprattutto, c’è la volontà di sollecitarli? E prima ancora: c’è l’intelligenza di riconoscerne la necessità?


III – Calcoli errati di motivazioni inconsce,
ovvero: dove cade l’occhio dell’animalista?

Giungiamo infine al punto finale. Punto che abbiamo tradotto con una domanda provocatoria. La risposta a questa domanda è in grado di illuminare molto di quanto è preceduto. Osservando le proposte di legge presentate dalle associazioni, si può dire che l’occhio animalista è caduto essenzialmente su una ristretta classe di animali. Quasi per una invisibile forza gravitazionale, l’attenzione delle associazioni, quando si parla di maltrattamento, cade inevitabilmente nel destino dei cani e dei gatti e, eventualmente, di quelli che stanno sciaguratamente sostituendoli nelle case degli italiani grazie anche all’inesistente opera di contrasto. 

Ora, pur non recedendo di una virgola rispetto a quanto sostenuto in precedenza, riconosciamo che, se almeno su questo piano, si riuscisse a ottenere dei risultati, si potrebbe scontare un primo significativo successo. Ma questa norma ha qualche possibilità di mostrarsi veramente efficace? Da sola sicuramente no! Non sono nostri i dati che dichiarano la dispersione sul territorio di centinaia di migliaia di animali di affezione. Si tratta di un fenomeno strutturale che dipende da una sciagurata legislazione speciale che porta il nome “l.n. 281/91”. Una legge che, oltre a permettere l’ingresso di privati nel business dei canili, oltre a dimenticarsi completamente di animali che le nuove mode permettono di portare nelle case, lascia perfetta libertà agli umani di intraprendere con leggerezza azioni che si traducono inevitabilmente in successivi maltrattamenti e abbandoni. Dunque, anche per quanto riguarda questa partita, l’entusiasmo per le modifiche del Codice Penale è decisamente fuori luogo. A meno che non ci si accontenti di punizioni esemplari, ma del tutto episodiche, perché non è certo possibile sanzionare centinaia di migliaia di persone. 

Allora confidiamo nell’assunzione di una semplice considerazione: prima ancora che venga definitivamente approvata la legge tanto discussa (magari insistendo per introdurre una serie di emendamenti per rendere la legge più accettabile) le associazioni animaliste provvedano a fare mente locale su tutte le iniziative che hanno elaborato e lasciato cadere in tutti questi anni producendo soltanto carta da archiviare in rassicuranti faldoni. Realizzino collettivamente un progetto di legge sugli animali di affezione costruito sul confronto e sulla riflessione anziché sull’isolamento e sulla fretta e, se riusciranno a convincere il Parlamento a legiferare nel senso voluto, anche la nuova normativa sui maltrattamenti potrà generare benefici effetti sia pure in un ambito ristrettissimo. Se una “nuova 281” riuscirà a fare incontrare una produzione limitata con un consumo responsabile (9), la marginalità dei casi di maltrattamento potrà effettivamente essere gestita con una strumentazione leggera quale la normativa del codice penale. Solo allora la legge sui maltrattamenti (almeno per quanto riguarda un ambito assai ristretto) potrà introdurre un primo successo e dirsi effettivamente operativa. Altrimenti costituirà soltanto il consueto gioco di specchi attraverso il quale una società (compreso un suo strano e sparuto sott’insieme) cerca di mostrarsi migliore di quanto effettivamante non sia (10)




[2] Il maltrattamento degli animali: soggettivita', costituzione e tutela penale; pag. 58-59 - Alessandra Valastro - Torino

[3] ibidem, pag. 64-65

[4] ibidem, pag. 59

[5] ibidem, pag. 60

[6] Per esempio, l’ENPA cerca di ritagliarsi uno spazio “personale”. “All’accertamento delle violazioni (…) sono altresì competenti (…) le Guardie Zoofile dell’Ente Nazionale Protezione Animali”.  La LAV propone invece qualcosa che assomiglia alla monetizzazione del dolore (altrui)!: “10) Gli enti morali aventi finalità di tutela di protezione degli animali sono considerate persone offese (…).  11) In caso di condanna o di applicazione della pena ai sensi (…) il giudice può subordinare la concessione del beneficio della sospensione della pena al risarcimento del danno in favore della persona offesa.

[7] Insistiamo sull’importanza del documento della LIDA che, con un pregevole lavoro di ricostruzione, è andato oltre le nostre osservazioni rilevando altre incongruenze della legge e richiedendo il sostanzioso intervento di restauro di un edificio nato male.

[8] Addirittura esilaranti sono stati i comunicati di talune associazioni che si sono attribuite in toto il merito della riforma chiamando la legge, “la propria legge”!

[9] “produzione” e “consumo” quando si tratta di esseri viventi, sono concetti che troviamo detestabili, ma  a quanto pare siamo isolati nel concepire una società senza animali di affezione, e allora prendiamo atto sperando almeno che si giunga a un totale rispetto di animali fatti nascere per volontà dell’uomo e chiamati “di affezione”.

[10] Al fine di anticipare le obiezioni di un lettore intelligente siamo costretti a una precisazione. La critica principale di questo intervento ha posto in relazione la futura nuova legge con la legislazione speciale mettendo in risalto la funzione residuale del nuovo “sforzo” legislativo. Come dire: rispetto a prima, oggi è più difficile per la legge sui maltrattamenti, interagire con la legislazione speciale. Nello stesso tempo abbiamo considerato che il nuovo 623/727 per avere almeno una relativa efficacia rispetto agli A.d.A. dovrebbe raccordarsi con la legislazione speciale di riferimento. Allora è facile obiettare che così come si può operare sul terreno degli A.d.A., così si può fare in altri ambiti. Ma questa obiezione non tiene conto che l’unico terreno sul quale la brutalità della società specista è disposta a scendere a compromesso  è proprio – e solo – la dimensione degli A.d.A. In tutti gli altri ambiti, come recenti esperienze hanno dimostrato (anche per la nostra fondamentale incapacità di lottare per i diritti che tutti i giorni enunciamo), purtoppo allo stato attuale c’è poco da sperare.









index





officina






11/03/03