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Una bella poesia da accompagnare al regalo per la donna che amate?

Rimorchio.it ha pensato anche a questo.


Platone (428-347 a.C.)
[TI MANDO QUESTA MELA. SE MI AMI]
Ti mando questa mela. Se mi ami,
prendila, e dammi in cambio la tua verginità.
Ma se non vuoi, prendila ugualmente,
e pensa come è breve la stagione bella.
 


Gaio Valerio Catullo (84-54 a.C.)
[VIVIAMO, MIA LESBIA, E AMIAMO]
Viviamo, mia Lesbia, e amiamo:
tutte le chiacchere dei vecchi brontoloni
- lasciale perdere, non valgono una lira.
Tramonta il sole e poi ritorna:
per noi, quando la breve luce è tramontata,
solo rimane il sonno di una notte senza fine.
Dammi mille baci, e ancora cento,
poi altri mille, e altri cento ancora,
e mille e cento e non fermarti mai.
Poi, quando ne avremo a migliaia,
li confonderemo, per non sapere
- perché nessuno sappia il mucchio
di quei baci, e non ci dia il malocchio.


Carme LXXXVII
Nessuna donna potrà mai dire d'essere stata amata
quanto io ho amato la mia Lesbia.
Non s'è mai visto qualcuno mettere tanta fede in un legame
quanta ne ho messa io nel nostro amore.
 


Rabindranath Tagore (1861-1941)

[CHIEDEREI ANCORA QUALCOSA]
Chiederei ancora qualcosa
se possedessi il cielo,
le sue stelle
e il mondo
con le sue infinite ricchezze.

Sarei però contento anche d'ogni
piccola cosa
se lei fosse mia.

da "Il Giardiniere"
 

 

Giuseppe Conte (1945)
[INVITO ALL'AMORE]
Sei così bella questa sera
così assurdamente felice

che dovrei osare ora, subito
farti scivolare giù la camicia

larga e bianca attraverso
cui intravedo il tuo seno

e prenderti qui nel giardino,
prenderti sino al primo mattino.

Invece ci siamo appena baciati
e adesso già fuggiamo via

dicendoci solo: ci rivedremo.
Ma quando? Dove? Chi ci assicura

che tanta brama domani dura?
 


Teognide (VI-V sec. a.C.)
[MI TORMENTA L'ANIMA IL TUO AMORE]
Mi tormenta l'anima il tuo amore.
Non posso odiarti, non posso amarti.
È difficile odiare, se gli hai voluto bene;
è difficile amare, se lui non vuole più.

Mai l'acqua e il fuoco si mischieranno:
mai non saremo fedeli amici.
 


William Shakespeare (1564-1616)
[SILENZIO! QUALE LUCE IRROMPE...]
Silenzio! Quale luce irrompe da quella finestra lassù?
È l'oriente, e Giulietta è il sole.
Sorgi, vivido sole, e uccidi l'invidiosa luna,
malata già e pallida di pena
perché tu, sua ancella, di tanto la superi in bellezza.
Non essere la sua ancella, poiché la luna è invidiosa.
Il suo manto di vestale è già di un verde smorto,
e soltanto i pazzi lo indosano. Gettalo via.
È la mia donna; oh, è il mio amore!
se soltanto sapesse di esserlo.
Parla, pure non dice nulla. Come accade?
Parlano i suoi occhi; le risponderò.
No, sono troppo audace; non parla a me;
ma due stelle tra le più lucenti del cielo,
dovendo assentarsi, implorano i suoi occhi
di scintillare nelle loro sfere fino a che non ritornino.
E se davvero i suoi occhi fossero in cielo, e le stelle nel suo viso?
Lo splendore del suo volto svilirebbe allora le stelle
come fa di una torcia la luce del giorno; i suoi occhi in cielo
fluirebbero per l'aereo spazio così luminosi
che gli uccelli canterebbero, credendo finita la notte.
Guarda come posa la guancia sulla mano!
Oh, fossi un guanto su quella mano
e potessi sfiorarle la guancia!
 


Giovanni Boccaccio (1313-1375)
[ISCINTA E SCALZA, CON LE TREZZE AVVOLTE]
Iscinta e scalza, con le trezze avvolte,
e d'uno scoglio in altro trapassando,
conche marine da quelli spiccando,
giva la donna mia con le altre molte.

E l'onde, quasi in sé tutte raccolte,
con picciol moto i bianchi piè bagnando,
innanzi si spingevan mormorando
e ritraènsi iterando le volte.

E se tal volta, forse di bagnarsi
temendo, i vestimenti in su tirava,
sì ch'io vedeo più della gamba schiuso,

oh, quali avria veduto allora farsi,
chi rimirato avesse dov'io stava,
gli occhi mia vaghi di mirar più suso!
 


Johon Keats (1795-1821)
[CHE MI AMI TU LO DICI, MA CON UNA VOCE]
Che mi ami tu lo dici, ma con una voce
Più casta di quella d'una suora
Che per sé sola i dolci vespri canta,
Quando la campana risuona -
Su, amami davvero!

Che mi ami tu lo dici, ma con un sorriso
Freddo come un'alba di penitenza,
Suora crudele di San Cupido
Devota ai giorni d'astinenza -
Su, amami davvero!

Che mi ami tu lo dici, ma le tue labbra
Tinte di corallo insegnano meno gioia
Dei coralli del mare -
Mai che s'imbroncino di baci -
Su, amami davvero!

Che mi ami tu lo dici, ma la tua mano
Non stringe chi teneramente la stringe;
È morta come quella d'una statua
Mentre la mia brucia di passione -
Su, amami davvero!

Su, incendiamoci di parole
E bruciandomi sorridimi - stringimi
Come devono gli amanti - su, baciami,
E l'urna, poi, delle mie ceneri seppelliscila nel tuo cuore -
Su, amami davvero!


Jacques Prévert (1900-1977)
ALL'ANGOLO DI UNA STRADA
È mezzogiorno, tutto è tutto nero
e all'improvviso rosso di tanto in tanto
All'angolo di una strada che non esiste più
la morte passeggia come a casa sua.

Io me ne infischio, aspetto l'arcobaleno
e l'arcobaleno è il mio amante
L'amore si nasconde chi sa dove
l'amore si trova chi sa quando
l'amore si fa chi lo sa come
l'amore è più giovane della morte
anche se sono nati lo stesso giorno
All'angolo di una strada che non esiste più
che è appena andata via
la morte puttaneggia adescatrice.

Io me ne infischio, aspetto il mio amante
Sono sicura che oggi per lei
non ci sarà nessun cliente.
 

 

Edward E. Cummings (1894-1962)
[MI PIACE IL MIO CORPO QUAND'È COL TUO]
mi piace il mio corpo quand'è col tuo
corpo. È una cosa tanto nuova.
Muscoli meglio e nervi di più.
mi piace il tuo corpo. mi piace quel che fa,
e il come. mi piace sentir la sua spina
dorsale, le sue ossa e il tremolante
-liscio-sodo che bacerò
ancora ancora e ancora
di te mi piace baciare questo e quello,
mi piace, lentamente accarezzare, il folto
elettrico pelo, e quel che viene a carne
che si separa... E occhi grandi briciole d'amore,

e forse mi piace il brivido

di sotto me te così nuova


Saffo (VII-VI sec. a.C.)
[MI PARE SIMILE A UN DIO]
Mi pare simile a un dio
l'uomo che ti siede accanto
e ti ascolta così, mentre parli
con lieve sussurro e ridi amabile:
questo mi stringe il cuore nel petto!

Basta che ti getti uno sguardo
e subito la voce mi manca
la lingua si spezza, subito
un fuoco sottile mi scivola
sotto la pelle,

lo sguardo s'offusca, rombano le orecchie,
un freddo sudore mi cola, tutta
mi scuote un tremito,
e più verde dell'erba divento
e poco manca che muoia.

Ma bisogna che tutto sopporti...

 

André Frénaud (1907-1993)
A FURIA D'AMARCI
A furia d'amarci non ci conosciamo più,
perché non esiste più né tu né io,
ma un uccello cieco immobile sul vuoto,
che non canta, perfetto, che ringiovanisce.
Il fulgore del suo silenzio ripara le ferite.
Mio amore, ma tu e io diventiamo vergini!
 


Alfonso Gatto (1909-1976)
DENTRO L'AMORE
Al segno che ti dà la stanza sciogli
sulla parete l'ombra dei capelli,
le braccia alzate, la flessuosa voglia
d'avermi, e già dal ridere mi volti
nella raffica buia, mi cancelli
per affiorare dal lamento vano.
Smarrita, nel cercarmi con la mano,
nel distinguermi il volto, grata, piena
d'aperto e poi ripresa dalla lena
della dolcezza, calma a poco a poco
come in un lungo brivido. Dal gioco
degli occhi che balbettano mi ridi
sul petto a colpi di piccoli gridi.
 

 

Sesto Propenzio (50 ca-15 a.C.)
[LUOGHI DESERTI E SILENZIOSI...]
Luoghi deserti e silenziosi per il mio dolore,
e il soffio dello Zefiro nel bosco solitario.
Qui posso piangere la mia nascosta pena,
solo che le nude rocce mantengano il segreto.
Da dove cominciare, Cinzia mia, il lamento
delle mie lacrime, della tua durezza?
Ancora ieri, amante felice, mi dicevano:
oggi il mio amore si è macchiato di una colpa.
Cos'ho mai fatto? Quali incantesimi ti mutano?
Questa tua asprezza, è a causa di una donna?
Torna da me: mai nessun'altra - te lo giuro -
ha attraversato la mia soglia col suo bel piedino!
Acerbo il mio dolore, per colpa tua;
ma la mia collera non sarà mai tanto crudele
da motivare il tuo furore: non voglio farti piangere,
non rovinare gli occhi con le lacrime!
Non ti dimostro amore impallidendo,
la fedeltà non grida sul mio viso?
Ditelo voi - se conoscete amore -,
tu faggio, e tu pino, caro al dio d'Arcadia!
Ah, quante volte, sotto l'ombra tenera, risuona
la mia voce! E il nome “Cinzia” inciso sulla corteccia!
Forse perché la tua offesa mi dà un tormento
che soltanto le mute porte conoscono?
Ho imparato a sopportare in silenzio la superbia
della mia padrona: non fa rumore la mia pena.
Divine fonti, gelide rocce - il mio compenso -
e duro riposo su un sentiero abbandonato.
La storia del mio dolore dovrò narrarla
agli striduli uccelli, in solitudine.
Comunque tu sia, “Cinzia, Cinzia” ripeteranno i boschi,
e ogni roccia echeggerà il tuo nome.


William Ernest Henley (1849-1903)
A mia moglie
Prendi, cara, questo mazzo di versi,
perché, vecchi o nuovi,
tutto quel ch'è di buono in loro
appartiene solo a te;

e, cantando come quando tutto era giovane,
ti faranno ricordare
quegli altri, vissuti ma mai celebrati -
i migliori di tutti.

rimo