Scampoli di retorica sopra le macerie
«Serenità e stoicismo», mentre cadono le bombe, secondo le relazioni ufficiali. Tutti invece scappano disperati.

I giorni dell’ira, 14. "il Ponte", 25.11.1990
62. La «Città morta».
Nelle sue pagine, Ughi ricorda «i veti e le pretese dei Comandi Tedeschi». (1)
Annota Lombardini, sotto la data dello stesso 27 novembre 1943: «I tedeschi la fanno da padroni assoluti. Il loro comportamento nei confronti delle Autorità civili e dei pochi riminesi che vivono ai margini della città o sfollati nelle campagne... si palesa aggressivo, spesse volte disumano. Sentono per noi un disprezzo senza limiti... e lo dimostrano con retate di giovani, razzìe di bestiame, cereali, automezzi...». (2)
Cominciano ad operare i partigiani: «Vengono abbattuti pali telefonici, poste mine anticarro, messa in opera ogni forma di sabotaggio». La reazione tedesca è «dura, spietata», scrive Lombardini. I civili sono costretti a lavori massacranti. Al mare, si demoliscono le ville e si distrugge il viale Principe Amedeo, per creare postazioni di difesa antisbarco. (3)
Ma non ci sono soltanto i tedeschi e le bombe che piovono dal cielo, a rendere difficile la vita. I fascisti fanno da spietati servitori ai tedeschi.
Testimonia il pittore Demos Bonini: «Una notte, il ras della Rimini repubblichina [Paolo Tacchi, n.d.r.], venne ad arrestarmi come ostaggio politico, e assieme ad altri otto finii nelle mani dei tedeschi... Fummo portati al Comando di Villa Spina sulle colline riminesi e passammo tre giorni in uno stanzone vuoto, in piedi o sdraiati sul pavimento...». (4)
Era il dicembre '43: «Poi venne la fine della prigionia, ma la vigilanza della polizia politica era sempre presente. Così cominciò la lunga fuga, mai in casa, via per le montagne vicine, partenza all'alba, e ritorno alla sera». (5)
Pietro Arpesella, che a Riccione aveva partecipato al salvataggio di tre generali inglesi, ricorda quanto si fosse dato da fare Paolo Tacchi per catturare lui e gli altri antifascisti che avevano agito in quell'occasione. Ad aiutarlo, ci furono i Carabinieri, «rischiando di persona»: il maresciallo Fico, attraverso il brigadiere in pensione Russo, fa sapere ad Arpesella che Tacchi ha dato un ordine preciso: se lo prendono, non arrestarlo, ma fucilarlo sul posto. (6)
La famiglia Lanzetti subisce le ire di Tacchi per aver dato ospitalità ad un soldato inglese. All'arresto dei fratelli Gino ed Anselmo, segue il loro trasferimento a Lugo, dove i due vengono colpiti con «botte da orbi». A Bologna, deve svolgersi il processo contro di loro, li salva un bombardamento: «Avevamo una scorta di dodici persone con due Carabinieri; i dodici se la sono squagliata» ed i due Carabinieri dicono ai Lanzetti: «Noi vi diamo la libertà».
Maria Geroni, moglie di Anselmo Lanzetti, aggiunge: «Dopo l'arresto di mio marito, una sera si presenta Platania e si mette a parlare», dicendo che «Tacchi voleva che la famiglia dei Lanzetti fosse sterminata...». (7)
Intanto Rimini, dopo i bombardamenti del 26 novembre e del 28, 29, 30 dicembre, diventa una «Città morta», come la definisce Ugo Ughi nel suo rapporto al prefetto, scritto il 2 gennaio '44.
«Una sola cosa mi conforta», scrive Ughi, «che Iddio e gli uomini dopo la sperata vittoria vendichino tanta strage e tanti danni arrecati su una Città inerme...». (8)


Note
(1) Cfr. U. Ughi, Memorie, cit., p. 84.
(2) Cfr. F. Lombardini, Fra due fuochi…, cit., p. 26.
(3) Ibidem.
(4) Cfr. l'intervista in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 228.
(5) Ibidem.
(6) Cfr. l'intervista in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 232.
(7) Cfr. le interviste in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., pp. 236-237.
(8) Cfr. la relazione in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 144.



63. Retorica e cronaca.
Le relazioni di Ughi al prefetto sono una fonte di cronaca sulla vita a Rimini sotto i bombardamenti. Ma in quelle pagine, s'intravedono pure i segni della realtà politica di quei giorni.
I protagonisti sono divisi su due opposti palcoscenici. Da una parte, la gente comune, con la sua sofferenza in quel tragico spettacolo di morte, con la distruzione lenta della città, voluta non dal caso, ma dai piani di guerra, decisi dopo la conferenza di Teheran, svoltasi dal 28 novembre al 2 dicembre '43. (1)
Dall'altra, il capo dell'amministrazione pubblica che ostenta sicurezza nella «sperata vittoria» e negli incrollabili destini della Patria, secondo gli ultimi scampoli della vecchia retorica di regime.
A volte, sembra quasi che Ughi non riesca a rendersi conto di quanto scrive. Dopo i bombardamenti succedutisi dal 28 al 30 dicembre '43, egli riferisce: «La cittadinanza -percossa da così vasta sciagura- ha mantenuto contegno calmo e, vorrei dire, spartano: gran parte lavoravano sulle macerie...». (2)
Don Angelo Campana racconta invece che quei «tre bombardamenti costrinsero tutti ad andare via, ben pochi rimasero» in città. (3)
Dopo l'incursione del 21 gennaio '44, Ughi annota: «La popolazione presente in Rimini ha tenuto un contegno tranquillissimo: i bombardamenti subìti l'hanno già spiritualmente corazzata». (4)
Ed aggiunge di sperare nella «risurrezione di Rimini». (5)
«Tutta Rimini e dintorni in campagna!», riporta don Serafino Tamagnini nella «Cronaca parrocchiale» di Vecciano (Coriano). (6)
Il potere mostra certezza in se stesso, pur in mezzo alle difficoltà: «Durissimo il mio compito - quello del camerata Tacchi Segretario del Fascio... attivissimo il Fascio». (7)
Tra la gente si acuisce «l'odio ai fascisti, causa di tutti i guai d'Italia», spiega don Tamagnini. (8)
Il 30 gennaio, Ughi definisce Rimini una «Città quasi deserta». Il giorno prima, le bombe hanno arrecato «irreparabile offesa» al Tempio malatestiano: «Dall'immane ferita aperta verso il cielo non più sale a Dio la preghiera dei fedeli, ma sì una invocazione di giusta vendetta contro gli assassini degli innocenti e i distruttori dei più alti valori dello spirito e della civiltà umana», dei quali ovviamente i fascisti si sentono eredi ed incarnazione. (9)
Le autorità sono sempre «sul posto prima del cessare dell'allarme». «Calmo ed ordinato il contegno della popolazione presente»: Rimini dà un esempio «meritevole... di essere posto all'ordine del giorno della Nazione». (10)
Don Tamagnini scrive: «La storia d'Italia e del mondo non ha forse visto spettacolo più triste! Che orrore! Che disfatta! Povera Patria! Povera Rimini!». (11)
Dalle campagne e dai Comuni limitrofi, scendono a Rimini i «corvi umani», contro cui nulla può , precisa Ughi, «la dinamica energia del Segretario del Fascio», Tacchi. (12)
Nelle retrovie, racconta don Tamagnini, i tedeschi procedono al saccheggio «delle nostre belle contrade. Razzìe di bestiame, rubamenti a mano armata nelle case e nei campi, oltraggi alle persone...». (13)
Il 23 marzo '44, Ughi elogia ancora il comportamento «veramente ammirevole» della popolazione di Rimini che «merita di essere additata ad esempio di elevatezza morale, di sentimento patriottico, di spartano stoicismo non solo alle Città di Romagna, ma a tutta l'Italia». (14)
«Serenità e stoicismo», ribadisce tre giorni dopo, quando viene sconvolto il Cimitero: «...oggi anche la maledizione dei morti» perseguita «i selvaggi nemici». (15)
«Serenità». La gente vive invece nel terrore. Dal cielo, arrivano le bombe. E sulla terra, ci sono repubblichini e nazisti.
I tedeschi rastrellano in continuazione la popolazione, per i lavori forzati. Qualcuno riesce a fuggire, col cuore in gola, gettandosi tra l'erba alta dei campi della periferia. E per trovare forza a continuare a scappare, mangia fili d'erba, per placare l'arsura.
Qualcun altro è meno fortunato. Athos Olmeda, un riccionese di 18 anni, viene ucciso perché avvicinatosi ad una fontanella per bere: i tedeschi sospettavano una fuga. (16)
Ad un pranzo ufficiale di ringraziamento da parte dei tedeschi ai medici dell'ospedale di Rimini (siamo nel giugno '44), Paolo Tacchi pronuncia «una specie di discorso»: «...penso che la guerra per noi sia già perduta... (...) La Germania e l'Italia... ormai sono fuori combattimento». (17)
Il col. Christiani, ascoltando le parole di Tacchi, tradotte da un interprete, «diventò pallido e mostrò la sua incredulità e sofferenza». Un allarme aereo tolse dall'imbarazzo gli invitati italiani, già in preda ad un «certo panico» per quell'incidente politico. Ognuno «prese la via della fuga». (18)
Quando, nell'estate del '44, il ten. col. Werner von Lutze se ne va da Rimini, il nostro Municipio gli regala per ricordo un portasigarette d'argento, dal valore di 2.400 lire. Alle gentilezze, i nazisti rispondono requisendo tutti gli automezzi.
E' del luglio il bando tedesco che obbliga tutti gli uomini dai 18 ai 30 anni, a presentarsi a lavorare per le truppe germaniche. Il 12 agosto il maresciallo Kesselring annuncia che sono previste feroci rappresaglie contro le popolazioni residenti dove agiscono i partigiani.
Dal 15 luglio, i partigiani sono stati riconosciuti dal governo italiano «come parti integranti dello sforzo bellico della nazione». (19)
Dal 5 luglio, l'ingresso a Rimini è vietato senza un lasciapassare. Annota nel suo diario, Lombardini: «La città è irriconoscibile. Sul viso di quanti incontro noto i segni della disperazione. Quando avrà fine il triste calvario? L'avanzata delle truppe alleate procede lentamente. Sono ancora assai lontane». (20)
Il 4 giugno è stata liberata Roma. Il 6, c'è lo sbarco in Normandia. L'attacco alleato alla Linea Gotica inizia nella notte tra il 25 ed il 26 agosto 1944, sulle rive del fiume Metauro. L'arrivo a Rimini, il 21 settembre, apre le porte all'Italia del Nord. Il fiume Marecchia, scrive il Quartier generale alleato, era «l'ultima barriera prima della pianura».
I soldati alleati che girano per le nostre strade tra le infinite macerie, hanno sulla bocca una sola esclamazione: «Cassino, Cassino!».
La «carovana» dei repubblichini è scappata da Rimini l'ultimo giorno di agosto.


Note
(1) Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., cap. 7. «"A Rimini", dicono a Teheran», pp. 37-38.
(2) Cfr. la relazione in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 144.
(3) Cfr. Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 242.
(4) Ibidem, p. 145.
(5) Ibidem, p. 146.
(6) Ibidem, p. 277. Altri particolari su don Tamagnini, sono in A. Montemaggi, Nella Romagna sconvolta dalla guerra, la Chiesa è l'unica isola di conforto e aiuto, «Il Ponte», 31. 7. 1988.
(7) Ibidem, p. 143.
(8) Ibidem, p. 278.
(9) Ibidem, pp. 146-147.
(10) Ibidem, p. 147.
(11) Ibidem, p. 278.
(12) Ibidem, p. 148.
(13) Ibidem, pp. 278-279.
(14) Ibidem, p. 149.
(15) Ibidem, p. 151.
(16) Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., pp. 50-51.
(17) Cfr. l'intervista al dott. Marino Righi, in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 253.
(18) Ibidem.
(19) Cfr. A. Montanari, Rimini ieri, cit., cap. 11. «Arbeit, a lavorare!», p. 49.
(20) Cfr. F. Lombardini, Fra due fuochi…, cit., p. 44.



Al capitolo precedente.

Antonio Montanari



Giorni dell'ira. Indice
Rimini ieri. Cronache dalla città. Indice
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