Giovanni Cristofano Amaduzzi, 'talpa' giansenista a Roma
Il cap. 4 di Lumi di Romagna"

Ad onta della sua ignoranza superlativa, si è comprato e stampato da se medesimo il nome di celebre e di chiarissimo sopra tutte le gazzette letterarie. Uomo più superbo e più insolente di costui non si dà, si spaccia per filosofo metafisico, per antiquario ed altro e scrive in un italiano che è più inintelleggibile del greco". Vincenzo Monti cesella così il ritratto dell'abate Giancristofano Amaduzzi, ricambiandogli la cortesia ricevuta nel 1779, all'apparire del proprio Saggio di poesie. Il libro non era piaciuto ad Amaduzzi che lo aveva giudicato in modo severo. (1)
Il gesuita Girolamo Fabbri Ganganelli scrive che Amaduzzi gli ha "data la gustosissima notizia che la sua signora madre di 86 anni mette gli denti". (2)
Non godeva di molte simpatie, Amaduzzi. Tutta colpa non soltanto di un carattere vivace e battagliero, ma soprattutto delle sue idee politiche e religiose. Apertamente antigesuita nella Roma di Clemente XIII (1758-69), la quale aveva (come lui stesso osserva), "una protezione fanatica" per i seguaci di Sant'Ignazio, Amaduzzi in quell'ambiente non ha vita facile. (3)
Agli occhi di molti, poi, lo rendono sospetto i rapporti che intrattiene con ecclesiastici i quali, per la loro aspirazione ad un rigorismo morale, si oppongono alla Compagnia di Gesù e sono chiamati giansenisti con un nome che lo stesso Amaduzzi vede usato in modo "calunnioso". Infine, la propensione da lui dimostrata verso i cambiamenti politici che in Francia sono sostenuti dagli scrittori illuministi, ne fa un personaggio pericoloso. Lo accusano infatti di essere indifferente ed eretico in materia di Religione. (4)
A forza di menzogne e malignità, confessa amareggiato Amaduzzi, si creano delitti e rei: forse anche perché "l'invidia vuol sempre un osso da rosicchiare". (5) Di invidie e gelosie, ne ha suscitate certamente parecchie il nostro abate. La sua carriera romana è stata folgorante.
Nato a Santa Maria di Fiumicino (Savignano), il 18 agosto 1740 da una famiglia longianese di possidenti terrieri molto impoveriti, è indirizzato al Seminario di Rimini dallo zio paterno, don Giovanni, parroco proprio del suo paese. Il vescovo Marco Antonio Zollio lo promuove agli ordini minori. A 15 anni, se ne esce dal Seminario e passa alla scuola di Iano Planco, dove studia Greco e Filosofia, materia nella quale, come lui confessa, si pone "con giovanile ardore a cozzare con gli ultimi avanzi dell'Aristotelico rancidume". Con Lelio Pasolini, longianese, si perfeziona in Diritto. (6)
Planco lo avvia a Roma, dove Amaduzzi trova un protettore ed amico nel cardinale santarcangiolese Lorenzo Ganganelli, il futuro Clemente XIV. Amaduzzi ha 22 anni, Ganganelli 57. Per ristorarsi "dal tedio delle seccaginose cure forensi", si occupa di erudizione, e si interessa all'Arabo e al Siriaco. Fra la visita ad un museo e la consultazione di una biblioteca, ha anche tempo per allacciare rapporti con altri studiosi. Alle "conversazioni" di casa Ganganelli, che si tengono il venerdì mattina, incontra vari conterranei, tra cui gli abati Galli (riminese) e Costantino Ruggeri (di Santarcangelo), soprintendente alla Stamperia di Propaganda Fide. L'amicizia con il cardinal Garampi, di cui frequenta la ricca biblioteca, gli sarà utile in futuro, per altre 'spinte'. Influenza su di lui esercita pure il sammaurese padre Agostino Giorgi, agostiniano, un teologo antigesuita.
Planco, ex allievo della Compagnia del Collegio di Rimini, è anch'egli contro i "Loyolisti": al suo pupillo Amaduzzi raccomanda di prender contatto con mons. Giovanni Bottari, considerato il capo degli antigesuiti. L'abate dà ascolto al dotto ed astuto maestro. I rapporti fra Amaduzzi e Bottari saranno frequenti e cordiali. In casa Bottari, è spesso ospite mons. Scipione de' Ricci che nel 1780 viene nominato vescovo di Prato e Pistoia: con lui, Amaduzzi entrerà in una fitta corrispondenza.
La carriera di Amaduzzi, per quanto folgorante come si è detto, nei suoi inizi è stata tuttavia in salita. Il suo ingresso nella Stamperia di Propaganda Fide, avviene per gradi. Prima, affianca l'abate Galli. Planco cerca inutilmente di farlo assumere dalla stessa Propaganda. Dopo essere stato fatto lettore di Greco alla Sapienza nel '69, l'anno dopo finalmente viene nominato da Clemente XIV soprintendente alla Stamperia, al posto di Costantino Ruggeri, contro il parere del Prefetto di Propaganda Fide, cardinal Castelli. Amaduzzi non piace a Castelli, che lo ritiene antigesuita. In base a tale opinione, Castelli ha già respinto un precedente intervento a favore dell'abate, fatto da papa Ganganelli appena eletto.
Lo stipendio di Amaduzzi è misero, ma lui dice di preferire quella vita modesta all'ombra del cupolone, piuttosto che un trasferimento alla corte antigesuitica di Napoli, dove è stato invitato. Non se ne va anche per privare i suoi "emuli del godimento della mia partenza da una città ove si teme qualche poco la bontà e l'invariabilità delle mie massime e de' miei portamenti".
Debutta in Arcadia con il nome di Biante Didimeo (Viandante Gemello), scrive versi perfetti ma convenzionali sulla sua infanzia a Fiumicino, e comincia a raccogliere gli "Anecdota litteraria ex manuscriptis codicibus eruta" che appariranno in quattro volumi (1773-83), a spese del medico bolognese Gian Ludovico Bianconi: sono il frutto di viaggi autunnali in archivi e biblioteche di varie città, e di lettere inviategli da corrispondenti come Garampi e Planco.
Cura articoli per riviste, anche se a malincuore, perché (come confida) sulle gazzette non si può disgustare nessuno. In Arcadia, pronuncia discorsi che fanno scandalo. Nel '76, esalta Galileo e considera la Filosofia rivolta a togliere i pregiudizi nella conoscenza. Nel '78, sostiene che la Filosofia deve essere "alleata della Religione": la ragione insegna a dubitare e ad assicurare, scopre le forze della natura ed i suoi arcani. La fede comanda "di sottomettersi" a ciò che la ragione non sa spiegare. La ragione ha liberato la Religione dalla superstizione e dall'ignoranza, ed ha mostrato il bisogno che l'uomo ha della stessa fede. (7)
Mentre cresce la sua fama nel mondo letterario italiano come erudito e pensatore illuminato, gli ambienti conservatori gli si mostrano ostili. L'abate Luigi Cuccagni di Città di Castello, in una Lettera anonima a stampa, lo accusa di non conoscere la lingua greca che insegna, di essere "impudente e fanatico…, nemico di tutti ed anche di quelli dai quali suole desinare tutte le settimane", e di non perdonarla "a veruno, se non forse a quei che sono come lui nemici del Papa, di tutto il clero e di Roma". (8) Pio VI (il cesenate Giovanni Angelo Braschi, succeduto a Ganganelli nel '75), sostenendo che "conveniva lasciare una certa libertà ai letterati" su alcune questioni, lo scagiona. (9) Amaduzzi si difende con una Rimostranza umile al trono pontificio che, su consiglio di amici pavesi, non affida alla stampa, ma invia come lettera privata a Pio VI. Il documento assume un significato non soltanto autobiografico, là dove richiama (anche se un po' confusamente) dottrine illuministiche sull'origine del potere politico, lette in chiave cattolica: predisposto da Dio "allo stato sociale", l'uomo obbedisce ad un capo voluto da Dio stesso come suo rappresentante; questo capo deve difendere gli uomini, ma se ciò non avviene, ognuno ha diritto di respingere gli attacchi altrui, però "senza turbare l'ordine sociale".
Amaduzzi vuole ribellarsi alla "cabala" ordita contro di lui da "alcuni falsi zelanti", e conferma la sua ortodossia, rifiutando l'etichetta di eretico che gli è stata appioppata. Ricordando i tributi di gratitudine a Clemente XIV suo "benefattore", sostiene che essi sono stati considerati "un sufficiente motivo per conciliarmi l'odioso epiteto di Anti-Gesuita con tutto il seguito delle idee, che a questo epiteto si applicano".
Amaduzzi sa che la sua posizione contro i "Loyolisti" è ben nota, e non soltanto a Roma. Giudica "infelice" il pontificato filogesuita di Clemente XIII. Per proteggere la Compagnia, il papa si è scontrato con i sovrani: "A questo impegno egli associava talento e sveltezza… ed anche cabala ed intrigo che aveva appreso nelle scuole gesuitiche e nella Curia romana". (10)
"Nemico della bugia", come si definisce nella Rimostranza, con un carattere comune agli "uomini vivaci e liberi" della sua terra, Amaduzzi però non può ignorare che i rapporti con mons. Ricci ed i cosiddetti pensatori "pistoiesi" considerati giansenisti, lo potevano far sospettare di allontanamento dalla dottrina ufficiale di Roma. Per questo, rivendica la sua fedeltà alla linea della Chiesa. (11)
Diversa è la questione politica: se in questo campo ha sentimenti differenti da quelli del papa, tuttavia si dichiara convinto "che il Santo Padre non sarebbe giammai per farmene un delitto", perché l'uomo non può essere privato del diritto a ragionare. (12)
La Rimostranza è inviata al papa il 18 settembre '90. Pio VI siede sul trono di Pietro da 15 anni. Tutto questo lungo periodo non ha cancellato le astiosità accumulatesi attorno alla figura di Amaduzzi, dopo la morte del suo protettore Clemente XIV, avvenuta il 22 settembre '74. Quando papa Ganganelli soppresse l'ordine dei Gesuiti il 21 luglio '73, Amaduzzi fu considerato l'ispiratore della "bolla" Dominus ac Redemptor con cui il provvedimento venne sancito.
L'"atleta dell'antigesuitismo", è stato definito il nostro abate per il suo gran daffare con i "pistoiesi". (13) Le lettere che Amaduzzi scrive a Planco testimoniano che era addentro alle segrete cose. Aveva potuto dichiararsi sicuro dell'abolizione della Compagnia già nel '69, quando papa Ganganelli era afflitto ed angosciato sino all'insonnia per colpa dei "Loyolisti". Nel febbraio '72, assicurava che il papa non dimostrava più incertezze. Nell'aprile '73, annotava che il pontefice, "ilare e brillante", faceva trasparire "sicurezza e tranquillità". Pubblicata la "bolla", Amaduzzi il 7 agosto scrive a Planco che "finalmente si comincia a veder chiaro…". (14)
Il 18 agosto 1794, Pio VI con la "bolla" Auctorem fidei condanna tutte le idee espresse da mons. Ricci. Amaduzzi è denunciato al papa: ha infatti inviato uno scritto a Ricci, anche lui quindi deve essere punito. Pio VI lo assolve: quel testo era anteriore alla "bolla" pontificia, quindi l'abate è innocente. Nelle lettere a Ricci, Amaduzzi si è scagliato spesso contro la "corrutela", l'"anarchia ecclesiastica e politica" di Roma, fino a scrivere nell'86: "Quant'è mai dura la condizione dei nostri tempi. Le verità cattoliche debbono essere reputate eresia e le riforme debbono passare per innovazioni scandalose ed illecite". (15)
Con Ricci, Amaduzzi ha assunto il ruolo di 'talpa' in Vaticano, inviando a Pistoia notizie che poi Ricci passa agli Annali ecclesiastici di Firenze, organo dei cosiddetti giansenisti italiani che propugnavano una linea riformatrice, alla vigilia del grande sconvolgimento dell'89. Dopo gli eventi francesi, Amaduzzi osserva che "tutto il mondo è in combustione… Le cose peraltro sono così complicate che se uno piange l'altro non ride e v'è solo da sospirare per tutti". (16)
Amareggiato, egli si ritira tra i suoi quattromila volumi che destina alla "Comunità di Savignano", con un testamento rogato dal notaio Bassetti il 19 gennaio 1792, due giorni prima di morire.
Un teologo protestante che lo aveva conosciuto attraverso Ricci, Federico Münster, aveva rilevato nel nostro abate una "sincerità veramente femminile" che lo faceva parlare "spesso senza ritegno e spesso senza ragione". Elegante, con una bianca parrucca, Amaduzzi mostrava un aspetto "simpatico ed avvincente". (17)
Ma nell'intimo del suo animo, doveva sentirsi inquieto: "le polemiche e il trovarsi quasi perseguitato contribuiscono forse ad affrettarne la fine". (18) In quell'autoritratto ideale schizzato nella Rimostranza, Amaduzzi ricorda al papa che, educato in casa a "serbare in ogni azione la verità e la schiettezza", aveva creduto "che altri pure avrebbe accarezzata questamia diletta qualità". La vita gli aveva invece mostrato che "onori e fortune" si ottengono "solo per via opposta". Appresa la lezione, l'abate ormai maturo, per "amore della tranquillità" s'era votato all'"indifferenza", anche se "irritato dall'altrui importunità", per cui dice di aver "pagato un qualche tributo alla natural mia vivacità" che contrastava con l'inclinazione "alla quiete, alla pace, all'indulgenza". (19)
Il suo ampio carteggio ci rivela un personaggio "coerente, generoso… desideroso di vivere in pace, disposto a dimenticare i torti ricevuti" (20), come dimostra l'invito rivolto a Planco a cessare dallo scrivergli in modo "così indispettito" e con "troppo vibrate punture". Nonostante "una non mediocre tolleranza all'insulto", Amaduzzi non riesce a digerire certe pagine del suo maestro. "Amabile" egli apparve a Pindemonte, ma tale non si mostra quando parla dei Gesuiti, a cui attribuisce come arma principale "l'impostura e la menzogna". Il protestante Münster non lascia dubbi: l'abate romagnolo "odia i Gesuiti con l'odio più profondo". L'allievo Amaduzzi in certi momenti non sembra meno "indispettito" del maestro Planco.

NOTE CAP. 4.
(1) Cfr. G. Pecci, Notizie, cit., pp. 9-10.
(2) Ibidem, p. 11. La lettera, datata Roma 27.9.1769, è indirizzata all'abate G. A. Battarra. Su Fabbri, cfr. qui la n. 19 del cap. 1.
(3) La lettera di A. è del 22.4.1767. Cfr. G. Gasperoni, Settecento italiano (Contributo alla Storia della Cultura), I, L'ab. Giovanni Cristofaro Amaduzzi, Cedam, Padova 1941, p. 151.
(4) Ibidem, p. 328.
(5) Ibidem, pp. 330 e 337.
(6) Ibidem, pp. 31-32.
(7) I due discorsi sono rispettivamente intitolati Sul fine ed utilità delle Accademie (1776), e La filosofia alleata della Religione (1778).
(8) Cfr. Lettera di un viaggiatore istruito a un amico di Roma, riguardante principalmente la dottrina del Signor Abate Amaduzzi, Zempel, Roma 1790, in G. Gasperoni, Settecento italiano, cit., pp. 207-208.
(9) La citazione è da una lettera di A., in G. Gasperoni, Settecento italiano, cit., p. 210.
(10) Lettera del 28.8.1783, ibidem, p. 187.
(11) Ibidem, p. 329.
(12) Ibidem, p. 332.
(13) La definizione è di A. Ademollo, in un testo del 1880 dedicato all'ambiente arcadico romano ed alla poetessa pistoiese Corilla Olimpica (Maria Maddalena Fernandez Morelli), con cui lo stesso Amaduzzi fu in corrispondenza. Corilla, scrivendo a Bertola, definì Amaduzzi uomo "dotto non meno che onesto". Cfr. G. Scotti, La vita e le opere di A. Bertola., Aliprandi, Milano 1896, p. 86.
(14) Sul carteggio Planco-A. relativo alla soppressione della Compagnia di Gesù, cfr. qui il cap. L'insonnia di papa Ganganelli.
(15) Cfr. in G. Gasperoni, Settecento italiano, cit., p. 181.
(16) Cfr. ibidem, p. 192. La lettera è del 12.6.1790.
(17) Ibidem, p. 204.
(18) Cfr. A. Fabi, G. C. A. in "Dizionario biografico degli Italiani", II, Istituto Enciclopedico Italiano, Roma, p. 615.
(19) Cfr. in G. Gasperoni, Settecento italiano, cit., p. 326.
(20) Ibidem, p. 200.

A Lumi di Romagna" integrale.
Antonio Montanari

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