Partiamo
dal principio fondamentale che l'acqua per bere, cucinare, alimentarsi,
lavarsi [l'acqua potabile, l'acqua "domestica" basilare per
vivere, la cui quantità indispensabile è stata stimata in
50 litri a giorno e a persona dall'Organizzazione mondiale della salute],
e l'acqua per la produzione agricola, industriale e le attività
terziarie indispensabili alla vita di una comunità umana [l'acqua
per la sicurezza d'esistenza collettiva, la cui quantità necessaria
è stata stimata a 1700 metri cubi dall'Oms e dalla Fao], fanno
pienamente parte del diritto fondamentale all'acqua, individuale e collettivo.
Questo diritto si fonda sull'accesso all'acqua per gli usi umani vitali,
di cui nessuno, per nessuna ragione, può essere privato.
Il diritto all'acqua non appartiene al campo della scelta. Non è
negoziabile. Non è reversibile. È universale, indivisibile,
imprescrittibile. Anche un condannato a morte ha diritto all'acqua. Dipende
quindi dalla responsabilità della collettività, cioè
delle istituzioni e dei responsabili pubblici, assicurare le condizioni
necessarie [giuridiche, economiche, finanziarie, sociali
] per garantire
la concretezza di questo diritto per tutti, in quantità e qualità
sufficienti alla vita e alla sicurezza dell'esistenza collettiva, secondo
le norme internazionali succitate.
Si può discutere del "livello" dei criteri menzionati,
50 litri e 1700 metri cubi. Alcuni, ad esempio, considerano la seconda
cifra eccessiva. Non si può, comunque, ridurre il campo del diritto
all'acqua alla sola acqua potabile. È la nostra proposta. Ovviamente,
non significa che questo diritto può essere soddisfato in qualunque
modo, in particolare con pratiche non "sostenibili" sul piano
sociale, ecologico, economico.
Garantire il diritto all'acqua ha costi eccessivi? Portare l'acqua in
ogni casa, com'è stato fatto quasi completamente nei paesi ricchi
e nei gruppi sociali agiati, ha significato investimenti colossali su
lunghi periodi, senza parlare dei costi per la cura e il miglioramento
delle infrastrutture e dei servizi esistenti; e, da qualche anno, per
il trattamento e la raccolta delle acque usate.
Questi costi sono in continuo aumento e rimangono notevoli. Ci torneremo.
Sono spesso fuori dalla portata delle capacità finanziarie delle
collettività locali dei paesi poveri, e anche, dicono, delle collettività
dei paesi ricchi. È questo uno degli argomenti più usati
per giustificare le difficoltà incontrate ancora oggi per assicurare
il diritto all'acqua per tutti e ovunque.
In realtà, l'argomento è tendenzioso. Perché anche
in numerosi paesi "a capacità finanziaria debole" dell'Asia,
dell'Africa e dell'America latina, i dirigenti "trovano" risorse
finanziarie per le spese militari - e poliziesche - molto più rilevanti
di quelle per l'acqua potabile, aiutati in ciò dai dirigenti dei
paesi ricchi [i principali venditori d'armi al mondo].
Invece, la pratica mostra che:
- nei paesi ricchi le risorse pubbliche esistono. Si possono creare sistemi
pubblici di ingegneria finanziaria funzionanti, di varie nature, fino
ai dispositivi basati sull'intervento di consorzi di banche e casse cooperative
legate al mondo dei sindacati e dei movimenti della società civile
[Chiesa, finanza etica]. Chi dice, ad esempio, che non è più
possibile che nuove Casse di risparmio veramente cooperative non possano
realizzare quel che il movimento delle Casse cooperative Desjardins ha
fatto in Québec, nell'ambito dei servizi pubblici, nel periodo
1950 -1990?
- nei paesi poveri, le risorse potrebbero anche essere trovate con l'annulamento
del debito di questi paesi, che rimane uno scandaloso saccheggio delle
richezze del sud da parte dei paesi ricchi del nord.
Insomma, considerando il diritto umano all'acqua, queste risorse devono
e possono essere prese in carico dalla collettività. Il loro finanziamento
riguarda l'erario. Ed è possibile.
Acqua potabile/acqua domestica per vivere. Nei paesi ricchi, riguardo
all'acqua potabile / acqua domestica per vivere, il finanziamento pubblico
deve coprire il costo dei 50 litri di acqua, al giorno e a persona, indipendentemente
da reddito, età, cittadinanza, sesso e lavoro. E deve coprire anche
una parte dei costi legati all'uso dell'acqua domestica che superino i
50 litri e corrispondano alla ricerca del benessere individuale e familiare.
In Vallonia e in Svezia, ad esempio, un abitante usa rispettivamente,
in media, 109 e 119 litri al giorno per usi domestici. La qualità
del suo livello di vita viene considerata più che decente. Il che
significa che nei paesi ricchi si può vivere più che decentemente
con 120 litri d'acqua al giorno.
Facciamo l'ipotesi che le nostre società decidano di considerare
120 litri quotidiani ad abitante come un uso ragionevole, sostenibile.
In questo caso, bisognerebbe applicare a un uso d'acqua situato tra i
50 e i 120 litri a persona un tariffa che proponiamo di chiamare "la
tariffa della sostenibilità", e che sia di poco inferiore
al costo reale di produzione.
Al di là dei 120 litri e fino ai 180/200 litri [il consumo medio
di un abitante dell'Europa occidentale], si entra nel quadro di un alto
consumo d'acqua, segno di un alto enore di vita. Si dovrebbe allora applicare
"la tariffa dell'interesse individuale", a tasso progressivo,
proporzionale alla quantità usata.
Si fa l'ipotesi che più di 200 litri al giorno a persona rappresenti,
per le nostre società, un uso eccessivo, non sostenibile, uno spreco
del patrimonio universale. In questo caso, proponiamo di applicare "la
tariffa del divieto", secondo il principio "chi inquina non
può". Se la società considera effettivamente che più
di 200 litri costituiscono un'attesa reale per la qualità di vita
dell'ecosistema, né il principio "chi consuma paga" né
il principio "chi inquina paga" possono venire applicati, visto
che non permettono la gestione sostenibile del bene acqua.
Acqua per la sicurezza dell'esistenza collettiva. Per quanto riguarda
il finanziamento pubblico dell'acqua per la sicurezza dell'esistenza colletiva,
è urgente mettere ordine in una situazione segnata da una regolamentazione
poco adatta e troppo permissiva in quasi tutti i paesi ricchi; da un sistema
di sussidi generalizzati poco chiaro, che obbedisce agli interessi corporativi
dei più forti; e dall'assenza di una politica di gestione finanziaria
coerente. In altre parole, i prelievi e l'uso dell'acqua per l'agricoltura
e l'industria sono o senza costo per gli utilizzatori o largamente sussidiati.
Proponiamo che si apra in Europa, prima di qualunque negoziato Agcs [gli
accordi per la privatizzazione dei servizi della Omc, ndr.] e insieme
al rigetto della direttiva Bolkenstein, un ampio dibattito su questo tema,
sapendo che è urgente definire, secondo noi, il livello che le
autorità pubbliche considerano, sul piano mondiale, come la quantità
di acqua produttiva per la sicurezza dell'esistenza collettiva di una
comunità umana.
Ricordiamo che l'impiego per l'agricoltura, l'industria e l'energia rappresentano
oggi il 90 per cento dei prelievi mondiali di acqua dolce.
Secondo l'Oms e la Fao, una comunità umana ha bisogno, per vivere
in sicurezza idrica, di 1700 metri cubi a persona e all'anno. Tra 1000
e 1700 metri cubi, si scivola verso una situazione di allarme idrico e
al di sotto di 1000 metri cubi si cade in una condizione di penuria idrica,
dalle gravi conseguenze sul piano della salute, dell'alimentazione e della
vita.
Due tesi pericolose. Un "contratto mondiale dell'acqua" che
regoli questi aspetti è urgente, perché la sua assenza rischia
di generare due situazioni critiche. Da una parte, il rafforzamento del
principio della "sovranità idrica nazionale". Si assisterà
così, soprattutto nell'ipotesi di una rarefazione crescente dell'acqua
dolce, al rafforzamento della "nazionalizzazione" della gestione
dell'acqua, strettamente subordinata agli interessi nazionali, invece
di una responsabilità mondiale in materia di sicurezza idrica.
Dall'altra parte, si affermeranno le tesi "sull'acqua virtuale",
secondo le quali i paesi in situazione di allarme o di penuria idriche
avrebbero interesse a non produrre in loco il cibo, anche quello di prima
necessità, che richiede grosse quantità d'acqua, ma ad importarlo,
risparmiando così il prelievo di quantità di acqua notevoli.
La quantità non prelevata rappresenterebbe "l'acqua virtuale".
Apparentemente ragionevoli, queste due tesi sono pericolose perché:
a] Trasferiscono all'ambito degli scambi commerciali la regolazione politica
di quello che dovrebbe appartenere all'ambito della cooperazione e della
mutualità interregionali, continentali e mondiali. Nell'ambito
agricolo, le regole commerciali sono tra le più ingiuste, le meno
solidali e le meno "sostenibili", e sono inoltre dominate dai
grandi trust mondiali, nordamericani, europei e giapponesi, dell'agro-alimentare
e della grande distribuzione. Suggerire ai paesi che hanno penuria di
acqua di far dipendere la loro sicurezza collettiva dai termini di scambi
commerciali profondamente diseguali, ci sembra poco ragionevole.
b] Condannano questi paesi ad una dipendenza dei paesi che producono e
distribuiscono derrate agricole, queste tesi impediscono ogni sforzo di
definizione e di applicazione di politiche e istituzioni mondiali [diverse,
ad esempio, dalla Fao, dall'Oms e dalla Wto/Omc, sempre più infeudate
agli interessi occidentali] nell'ambito agricolo, industriale e energetico.
Per i paesi che non devono fronteggiare un deficit idrico, proponiamo:
a] Che 1700 metri cubi a persona all'anno siano presi in carico
dalla collettività: questa cifra deve essere stabilita in modo
preciso rispetto ai diversi paesi, nel quadro di un "serpente"
di variazioni tra 1200 e 1700 metri cubi. La copertura finanziaria di
questi costi verrebbe assicurata da meccanismi di perequazione sulle entrate
percepite con la fiscalità sugli usi superiori a 1700 metri cubi.
b] Che, oltre i 1700 metri cubi a persona all'anno, si applichi
una tariffa progressiva, che varia in funzione degli usi per l'agricoltura
e l'industria, la loro quantità e il loro impatto sugli ecosistemi,
e dei prelievi fiscali di perequazione sugli usi a finalità energetica.
c] Che si definisca da quale livello di consumo i principi "chi
consuma paga" e "chi inquina paga" non vengono applicati
ma sostituiti dal divieto.
Per i paesi in allarme idrico e soprattutto in penuria idrica, proponiamo:
che, per prima cosa, le autorità locali favoriscano l'uso sostenibile
e rigoroso dell'acqua prioritariamente per gli usi domestici [acqua potabile
e salute] e per l'agricoltura destinata a soddisfare i bisogni locali,
vietando gli usi ingiustificati e inadeguati per l'agricoltora di esportazione.
A questo fine, dovrebbero essere sostenuti dai paesi ricchi del nord,
che dovrebbero smettere di sovvenzionare l'esportazione dei loro prodotti
agricoli [con 347 miliardi di dollari l'anno!] e dare almeno un terzo
di questi sussidi a favore dello sviluppo dei paesi poveri, il che - in
termini economici puramente quantitativi - basterebbe, insieme all'annullamento
del debito, per cancellare, in 15 anni, la fame, la sete e le malattie
connesse, nel mondo intero.
Tutto ciò permetterebbe a questi paesi di concentrarsi sul problema
della crescita irragionevole e "assassina" dei grandi concentramenti
urbani/baraccopoli.
La negazione del diritto alla vita attraverso la mancanza di accesso all'acqua
per la vita è nel cuore di queste città. Ci sono soluzioni
che permetterebbero uno sviluppo urbano più sano e meno devastante.
Una di queste risiede nello sviluppo di città medie e nella ricostruzione
di "municipalità a misura d'uomo" all'interno delle grandi
città con milioni di abitanti. Ciò permetterebbe alle popolazioni
di partecipare alla gestione e alla soluzione dei problemi comuni, concentrando
il lavoro degli abitanti soprattutto su ciò che riguarda l'acqua,
l'alimentazione, l'alloggio, la salute, i trasporti collettivi e l'educazione.
In questi paesi, il problema della copertura dei costi può essere
trattato solo nel quadro di una politica integrata di sviluppo della società
e dei diritti umani e sociali. Sono le scelte realizzate a questo livello
a dettare le priorità nella politica agricola, industriale, sanitaria,
al centro delle quali si trova la questione dell'acqua e del diritto alla
vita.
Queste dimensioni vengono totalmente ignorate dal rapporto "Finanziare
l'acqua per tutti" scritto dal Gruppo Camdessus, compilato su iniziativa
del Consiglio mondiale dell'acqua, con il sostegno della Banca mondiale,
delle multinazionali private dell'acqua e di un certo numero di governi
favorevoli alla privatizzazione dei servizi idrici. Per i suoi autori,
l'essenziale del finanziamento dell'acqua per tutti ruota attorno alla
creazione di un ambiente di regole economico favorevole all'iniziativa
privata, in grado di attrarre gli investimenti privati stranieri.
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L'acqua
è la base della vita sulla terra. Ma oggi questo bene comune, questa
risorsa preziosa, è in pericolo. Ciò grazie alla devastazione
ecologica della terra, all'inquinamento, alla deforestazione e conseguente
desertificazione, allo sfruttamento dell'uomo, agli sprechi, alle privatizzazioni.
Il numero di persone che vivono in paesi privi di una quantità
adeguata di acqua salirà secondo alcune previsioni, tra il 1990
e il 2025, da 131 a 817 milioni.
Vi è crisi idrica quando la quantità pro-capite disponibile
all'anno è inferiore a mille metri cubi. Sotto questa soglia, lo
sviluppo e la salute di un paese sono fortemente ostacolati, al di sotto
di 500 metri cubi la sopravvivenza è gravemente compromessa.
Grazie alla scarsità, l'acqua da bene comune è così
diventata un business. L'acqua è l'oro blu del futuro, l'acqua
è quotata in borsa. Come sottolinea Vandana Shiva nel suo ultimo
libro ["Le guerre dell'acqua"], "i conflitti per l'acqua
sono destinati a dilagare, soprattutto a causa delle crescenti privatizzazioni
e dei conseguenti giochi di potere che ruotano a ciò che, a torto
o a ragione, è ritenuto invece un bene universale".
Il boom delle bollicine in Italia
L'Italia, ricchissima di fonti, non fa parte, per sua fortuna, di quella
parte del mondo che non ha accesso a questo diritto fondamentale. Tuttavia,
in una ricerca Istat del 2000 era stata rilevata una grave irregolarità
nell'erogazione, nel 24 per cento della popolazione del Molise, nel 30
per cento in Sicilia e addirittura nel 45 per cento in Calabria. In queste
ultime regioni, non è la siccità a mettere a repentaglio
il diritto all'acqua. È il cattivo sfruttamento delle falde e delle
condotte colabrodo.
L'oro blu è diventato oggetto di ricatto da parte delle mafie locali
e di sfruttamento da parte delle grosse multinazionali dell'acqua. "La
mercificazione dell'acqua, facilitata dal boom delle acque minerali, rappresenta
uno dei mali più grossi e insidiosi", afferma Riccardo Petrella,
presidente del Comitato italiano del Contratto per l'acqua.
Per descrivere la situazione occorre senz'altro partire dallo sconcertante
primato dell'Italia nel settore delle acque minerali. Gli italiani sonoi
primi consumatori di acqua minerale non solo in Europa ma in tutto il
mondo. Il consumo medio pro-capite, che nel 1988 era di 80 litri, nel
2003 è più che raddoppiato passando a 182 litri, con un
incremento del 115 per cento. Nel resto dell'Europa occidentale l'incremento
è stato del 106 per cento. Si è passati dai 50,2 litri del
1988, ai 103 litri del 2002.
Le acque minerali "made in Italy" sono ai vertici del mercato
mondiale, con 177 imprese e 287 marchi: 11 miliardi di litri imbottigliati
di cui 1 miliardo destinato all'esportazione [soprattutto in Canada e
Stati uniti]. Calcolando un prezzo medio al litro di 0,50 euro, si ottiene
un fatturato complessivo annuo di circa 5 miliardi e 500 milioni di euro
pari a circa 11 mila miliardi di lire.
In Italia, San Pellegrino [gruppo Nestlè], San Benedetto [gruppo
Danone] e la Co.Ge.Di Italacqua coprono da sole i tre quarti del mercato.
Nestlè, che è svizzera, e Danone, francese, sono rispettivamente
al primo e secondo posto tra le imprese di acqua minerale. Nestlè
possiede più di 260 marche d'acqua minerale in tutto il mondo.
Tra di esse, Vittel, Contro, Perrier, San Pellegrino, Levissima, Panna,
San Bernardo, Pejo, Recoaro. Danone possiede invece, tra le altre, Ferrarelle,
San Benedetto, Guizza, Vitasnella, Boario, Fonte vica, e vorrebbe acquistare
l'acquedotto pugliese, il più grande d'Europa.
Un brindisi con l'arsenico
Secondo recenti dati Istat, l'87,2 per cento della popolazione sopra i
14 anni sorseggia acqua minerale. E Mineracqua, l'associazione di categoria
degli imprenditori del settore, sostiene che l'80 per cento degli italiani
considera l'acqua minerale come l'elemento più sano e naturale,
in quanto più pura dell'acqua di rubinetto. Tuttavia, come spiega
il Rapporto sullo stato dell'acqua in Italia, si tratta di una credenza
ingiustificata indotta dalla pubblicità. L'acqua minerale non è
né per definizione né in pratica necessariamente più
pura e più sana dell'acqua potabile comune.
L'acqua minerale è considerata dalla legge "acqua terapeutica".
Significa che può contenere cinque volte la quantità di
arsenico e quaranta volte quella di manganese ammesse nell'acqua di rubinetto.
Queste due sostanze sono considerate da Fao e Oms come pericolose per
la salute.
Nel 2003 alcune inchieste del procuratore aggiunto di Torino Raffaele
Guariniello accertavano contenuti di idrocarburi al benzene in quantità
dieci volte superiore alla media [fu il caso dell'acqua Guizza]. La fonte
dell'acqua Fiuggi, invece, venne chiusa dopo la scoperta di sostanze nocive
nelle bottiglie.
In questo clima di scandali il ministro della salute Girolamo Sirchia,
per salvare o non disturbare il mercato, varò in piene festività
natalizie [era il 29 dicembre del 2003] un decreto che innalzava la soglia
di tolleranza per molti degli inquinanti trovati nelle minerali [tra i
quali tensioattivi, oli minerali, antiparassitari, idrocarburi] facendo
rientrare molte industrie dell'acqua imbottigliata, come per magia, nella
legalità. Si chiama il decreto "salva acque minerali"
e consentiva inoltre, per far rientrare nei limiti di legge le minerali
con eccesso di arsenico o manganese, di abbassarne le quantità
tramite un trattamento di ozonizzazione, ossia tramite l'uso di ozono.
Un procedimento che potrebbe creare sostanze indesiderate, più
pericolose di quelle che si intende limitare [è il caso dei bromati,
fortemente cancerogeni].
126 marchi fuori legge
Un anno dopo, in applicazione della direttiva europea numero 40 del 2003,
il ministero della sanità, dopo anni di comportamenti incomprensibili,
è sembrato schierarsi dalla parte dei consumatori, dichiarando
con un decreto legge, illegali a partire dal 1 gennaio di quest'anno tutte
quelle acque minerali che superino i limiti di quantità delle sostanze
nocive previste per l'acqua potabile comune. Ben 126 marchi di acque minerali
sono state così messe al bando, ma alcune figurerebbero ancora
sui banchi dei negozi, dato che nessuno avrebbe dato ancora mandato ai
Nuclei antisofisticazione dei Carabinieri di imporne il ritiro.
Le regioni sembrano aver lasciato tutto nelle mani della provvidenza.
E tutti i vertici, aziende sanitarie locali, ministeri e forze dell'ordine
seguono il medesimo atteggiamento: "acqua in bocca".
Dal gruppo di minerali fuori legge, fatta eccezione per la San Paolo di
Roma, mancano stranamente i grossi nomi. Evidentemente i big del mercato,
come Danone e Nestlè sono riusciti a presentare analisi tranquillizzanti
al ministero. Probabilmente dopo aver tempestivamente effettuato, ove
necessario, il trattamento di ozonizzazione.
Ciò non toglie che l'intensificarsi delle revoche delle autorizzazioni
al commercio sia impressionante e preoccupante. Si deve precisare che
l'avvelenamento cronico, dovuto ad esposizione a lungo termine di arsenico
attraverso le acque potabili, secondo l'Organizzazione mondiale della
sanità, causa cancro alla pelle, ai polmoni, alla vescica ed ai
reni. Mentre il manganese oltre la misura consentita, potrebbe incrementare
la suscettibilità a infezioni polmonari.
Contro l'allarme lanciato da ambientalisti e dal Contratto mondiale dell'acqua,
Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, in una intervista al Salvagente,
il settimanale che aveva denunciato lo scandalo delle acque minerali ritirate,
usava toni tranquillizzanti sostenendo che ogni azienda subisce almeno
300 controlli l'anno, senza contare l'"autocontrollo"."Noi
non avveleniamo nessuno - precisava Fortuna - L'allarmismo è eccessivo,
perché l'Italia ha un patrimonio unico per qualità e quantità
di acque minerali, non vedo perché ci dovremmo far male da soli,
gettando un'ombra su un intero comparto: se qualcuno ha sbagliato, come
la San Paolo di Roma, trovata con un eccesso di manganese, ebbene la sbatteremo
fuori dalla nostra associazione".
Prezzi alti e canoni bassi
L'acqua minerale è più cara dell'acqua potabile. Costa dalle
300 alle 600 e persino 1000 volte più dell'acqua del rubinetto.
Secondo un'inchiesta di Federconsumatori il costo medio in Italia di 200
metri cubi di acqua potabile, corrispondente al consumo medio annuo di
una famiglia, nel 2000 era di 361.269 lire, cioè 1,86 euro al metro
cubo. Un litro di Perrier costa più di 1000 litri di acqua del
rubinetto [di quella di Forlì, la più cara d'Italia] e quasi
30 mila volte di più dell'acqua potabile di Milano. Il consumo
annuo di acqua minerale Perrier [1,48 euro a bottiglia] da parte di una
famiglia media può certamente costare attualmente più di
1000 euro, cioè più di due milioni di vecchie lire, all'anno.
Nei bar di Roma, un semplice bicchiere di acqua minerale costa mediamente
cinquanta centesimi di euro.
Secondo Riccardo Petrella, il successo di mercato dell'acqua minerale
è "uno scandalo": "Ci troviamo di fronte ad un fenomeno
di sfruttamento a fine di lucro di un bene demaniale pubblico che, secondo
quanto ha riconfermato la legge sull'acqua del 1994 fa parte del patrimonio
inalienabile delle regioni - spiega il fondatore del Contratto mondiale
dell'acqua - Lo sfruttamento avviene con il beneplacito formale ed esplicito
delle autorità pubbliche".
Le regioni hanno ceduto il diritto di gestione delle acque minerali a
tariffe radicalmente basse: Su 2000 miliardi di lire che rappresenta il
business delle acque minerali in Lombardia, la Regione ha visto arrivare
nelle sue casse meno di 300 milioni di lire, una miseria rispetto agli
incassi delle imprese private.
Occorre peraltro sottolineare che le regioni si devono anche sobbarcare
il costo dello smaltimento dei contenitori di plastica [in Pet]. Più
dell'80 per cento delle acque minerali usa infatti bottiglie in plastica.
E così le regioni finiscono per spendere più di quanto incassano
dai canoni. Soltanto per favorire alcune multinazionali che addossano
al potere pubblico il costo del loro inquinamento.
Un fiume di denaro in pubblicità
Per allargare sempre di più il proprio business, i signori dell'acqua
spendono annualmente cifre astronomiche in pubblicità. Fanno parlare
di sé a ogni spot televisivo, invadono le pagine dei giornali,
come sottolinea il coraggioso giornalista di "Famiglia Cristiana"
Giuseppe Altamore [autore di vari libri sull'argomento tra i quali "I
predoni dell'acqua", e "Qualcuno vuol darcela a bere"]
rimpinguano gli esausti bilanci delle case editrici che accettano ben
volentieri milioni di euro di pubblicità in cambio del silenzio.
"È difficile trovare sulla stampa articoli non elogiativi
sulle miracolose proprietà delle bollicine - spiega - Un fiume
di milioni di euro sommerge i mass media e spegne, molto spesso, qualsiasi
approccio critico all'informazione in questo delicato settore". Spesso
i produttori, nella loro ansia di convincere i consumatori, incappano
nelle ire del garante, che pone un freno agli spot giudicandoli pubblicità
ingannevole. Ma che importa? Le sanzioni sono talmente lievi che quasi
nessuno se ne accorge.
Sugli scaffali dei supermercati non ci sono solo le acque minerali, trovate
per esempio la cosiddetta "acqua di sorgente". Questo prodotto
e "una via di mezzo tra l'acqua potabile e la minerale". Deve
avere un'origine rigorosamente sotterranea, non può essere disinfettata
ma può essere trattata [con l'ozono?] per rimuovere l'arsenico,
il ferro e il manganese. E, dulcis in fundo, trovate, guarda caso l'"acqua
potabile imbottigliata". All'apparenza può sembrare acqua
minerale, invece è acqua ad uso umano [cioè di rubinetto]
"microfiltrata" e ricostituita con l'aggiunta di sali minerali.
Insomma, si tratta di acqua comune sotto mentite spoglie.
Nel mondo l'azienda leader di quest'acqua è la Coca cola che vende
l'acqua comune in bottiglia nei paesi del sud del mondo privati dell'acqua
come bene comune. Era prodotta proprio dalla multinazionale di Atlanta
l'acqua Dasani, imbottigliata e venduta in Gran Bretagna. È stata
ritirata dal mercato perché conteneva una elevata percentuale di
bromato, una sostanza che può svilupparsi per reazione nelle acque
trattate con ozono.
In Italia venticinque produttori di filtri per il trattamento dell'acqua
potabile sono nel mirino di una indagine dei Nas. L'inchiesta è
partita da un esposto di Mineracqua, in cui si faceva riferimento alla
somministrazione da parte di alcuni ristoranti di Roma, delle cosiddette
acque in caraffa spacciate per acqua minerale. Diversi ristoranti sono
stati condannati per aver somministrato acqua che aveva perduto i requisiti
di potabilità. Il fenomeno dell'acqua potabile imbottigliata meriterebbe
un discorso a parte; nel nostro paese imbottigliare l'acqua del rubinetto
è perfettamente legittimo, basta sapersi organizzare. Per ora questa
vera e propria truffa legalizzata è limitata, si ritiene infatti
che non raggiunga il 4 per cento della produzione totale di acqua minerale.
Vale a dire un fatturato prevedibile in circa 200 milioni di euro.
Ma il fenomeno potrebbe crescere data la tendenza generalizzata a privatizzare
gli acquedotti pubblici. Contro la gestione privata dell'acqua in Toscana
è stata proposta una legge regionale di iniziativa popolare che
tende appunto a sottrarre le reti idriche toscane alla gestione di privati.
Due inchieste giudiziarie
Dal 25 dicembre 2003 è definitivamente entrata in vigore una nuova
legge sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, la
numero 31 del 2001.
L'obiettivo della nuova legge è la ricerca di una sempre maggiore
sicurezza sulla base delle indicazioni dell'Organizzazione mondiale della
sanità e di ricerche epidemiologiche internazionali che rivelano
la presenza di nuovi rischi prima ignoti.
Sono state infatti individuate sostanze inquinanti che, in passato, non
si pensava potessero esistere nell'acqua potabile, anche in frazioni di
millesimi di grammi. Finora si riteneva che tale legge non potesse riguardare
le acque minerali ma soltanto l'acqua potabile comune.
Invece, il sostituto procuratore di Bari, Domenico Seccia, ha disposto
la citazione in giudizio per i vertici di due aziende, la Claudia prodotta
ad Anguillara Sabazia [in provincia Roma] di proprietà della San
Pellegrino, e la Nuova Tutolo Rionero, con stabilimento in provincia di
Potenza. La prima azienda dovrà rispondere [udienza 22 aprile prossimo]
per la presenza di arsenico, boro, fluoro e manganese. La seconda per
eccesso di arsenico.
Gli imputati dovranno rispondere delle accuse di produzione e commercio
di bevande pericolose per la salute pubblica.
Il pubblico ministero ha ritenuto che le acque minerali devono avere gli
stessi limiti delle acque potabili di rubinetto. Il ministero della salute,
rispondendo in aula a un'interrogazione della deputata verde Luana Zanella,
ha confermato lo stop al rilascio del riconoscimento dell'acqua minerale
naturale prelevata dalla San Benedetto dai pozzi di Padernello di Paese.
Infatti il Consiglio superiore di sanità ha rilevato la presenza
di un valore di arsenico superiore al limite di legge.
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Alla
fine dell'Ottocento, quando mia nonna era bambina, la sua famiglia viveva
in una casa in cui non c'era l'acqua corrente, come in quasi tutte le
case. Così ogni giorno dovevano andare a prenderla alla fontana
nella piazzetta vicina.
La vedo con gli occhi dell'immaginazione scendere le scale carica di brocche
e secchi, fare un piccolo tratto di strada, mettersi in coda chiacchierando
con le altre donne e le altre bambine in attesa del loro turno, tornare
a casa portando a braccia i recipienti pieni.
Una vita faticosa e dura. Oggi, dopo più di cent'anni di progresso,
nei supermercati le persone riempiono i carrelli di bottiglie di plastica
piene d'acqua, le scaricano nei portabagagli delle automobili, con cui
le portano fino alle loro abitazioni, le scaricano dai portabagagli e
le portano a braccia in casa. Proprio come faceva mia nonna. Ma con sei
differenze.
1. Mia nonna era costretta a fare la fatica di portare a braccia l'acqua
in casa. La sua non era una scelta. Oggi le persone che fanno questa fatica,
non vi sono costrette. La loro è una scelta. E il passaggio dalla
costrizione alla libertà di scelta è un progresso, baby!
2. Mia nonna per portare l'acqua a casa doveva soltanto scendere le scale
e fare un breve tratto di strada a piedi. Oggi le persone per coprire
il tragitto casa-supermercato-casa usano l'automobile. Impiegano più
tempo, hanno costi di trasporto e consumano fonti fossili, che emettono
Co2, ossidi di azoto [Nox] e polveri sottili [pm 10], incrementando l'effetto
serra e inquinando l'aria. Ma andare in automobile è un progresso,
baby!
3. L'acqua che portava a casa mia nonna era attinta dalla falda idrica
sottostante; l'acqua in bottiglia viene da centinaia, o migliaia di chilometri
di distanza. Ha un costo di trasporto e consuma fonti fossili, che emettono
Co2, ossidi di azoto [Nox] e polveri sottili [pm 10], incrementando l'effetto
serra e inquinando l'aria. Ma l'estensione dei mercati è un progresso,
baby!
4. I recipienti di metallo con cui mia nonna trasportava l'acqua erano
sempre gli stessi; quelli utilizzati oggi sono di polietilene tereftalato
[Pet] monouso. Per produrli si è consumato petrolio in un'industria
petrolchimica [2 chilogrammi di petrolio per ogni chilogrammo di plastica];
si è consumato gasolio per trasportarli dall'industria petrolchimica
allo stabilimento dove è stata imbottigliata l'acqua; altro gasolio
si consumerà per portarli dalle abitazioni ai cassonetti della
raccolta differenziata e di qui a
Al consorzio obbligatorio Replastic?
Alla discarica? All'inceneritore? Ogni trasporto delle bottiglie ha comportato
un costo e un consumo di fonti fossili, che emettono CO2, ossidi di azoto
[Nox] e polveri sottili [pm 10], incrementando l'effetto serra e inquinando
l'aria. Ma l'economia di mercato e l'industria sono un progresso, baby!
5. La produzione di un chilogrammo di Pet richiede 17,5 chilogrammi di
acqua e rilascia in atmosfera 40 grammi di idrocarburi, 25 grammi di ossidi
di zolfo, 18 grammi di monossido di carbonio e 2,3 chilogrammi di anidride
carbonica [Paul Mc Rande, "The green guide", in "State
of the world 2004", Edizioni Ambiente, Milano 2004, pagg. 136-137].
Poiché una bottiglia in Pet da 1,5 litri pesa 35 grammi, con un
chilo di Pet se ne fanno 30. Pertanto, per trasportare 45 litri d'acqua
se ne consuma quasi la metà. A mia nonna poteva caderne qualche
goccia per strada se riempiva troppo i suoi recipienti. Quanto all'emissione
di gas, al massimo qualche volta sotto lo sforzo poteva rilasciare qualche
scorreggetta.
6. L'acqua che portava in casa mia nonna non costava nulla, l'acqua in
bottiglie di plastica costa da 2 a 4,5 euro alla confezione di 6 bottiglie
da 1,5 litri [prezzi di novembre 2004]. In realtà, il costo effettivo
dell'acqua contenuta nelle bottiglie è solo l'1 per cento del costo
di produzione totale, l'imballaggio ne assorbe il 60 per cento. Ma si
può spendere di più solo se si è più ricchi
e la crescita della ricchezza è un progresso, baby!
Rispetto ai tempi di mia nonna, per fare la stessa fatica e avere la stessa
utilità ci vuole più tempo, si inquina molto, mentre prima
non si inquinava affatto, e si paga, mentre prima non si pagava. Il contributo
alla crescita del prodotto interno lordo dato dalla produzione e dal commercio
delle acque in bottiglia ha comportato un peggioramento della qualità
della vita individuale e della qualità ambientale. Questo è
il progresso, baby?
Quanto paga e quanto inquina in un anno una persona che consuma acqua
in bottiglie di plastica nella misura di 1 litro al giorno? Trecentosessantacinque
litri corrispondono a poco più di 40 confezioni da 6 bottiglie
di 1,5 litri. Ai prezzi attuali, il costo va da 80 a 180 euro all'anno.
Per trasportare 15 tonnellate, che corrispondono a 10 mila bottiglie d'acqua
da 1,5 litri, un camion consuma 1 litro di gasolio ogni 4 chilometri [25
litri ogni 100 chilometri]. Ipotizzando una percorrenza media di 1000
chilometri, tra andata e ritorno [l'acqua altissima e purissima che va
dall'Alto Adige alla Sicilia ne percorre molti di più], il consumo
di gasolio ammonta a 250 litri, ovvero 250.000 cm3 che, divisi per 10
mila bottiglie corrispondono a 25 cm3 di gasolio per bottiglia. Moltiplicando
25 cm3 per 240 si deduce che il consumo giornaliero pro-capite di 1 litro
di acqua in bottiglia comporta un consumo di 6 litri di gasolio all'anno.
A questi 6 litri di gasolio vanno aggiunti: i consumi di petrolio per
produrre le bottiglie di plastica [8 kg per 240 bottiglie]; i consumi
di gasolio dei camion che trasportano le bottiglie di plastica vuote dalla
fabbrica che le produce all'azienda che imbottiglia l'acqua e dei camion
che le trasportano dai cassonetti agli impianti di smaltimento; i consumi
di benzina degli acquirenti nei tragitti casa-supermercato-casa. Ipotizziamo
quindi che il consumo annuo di combustibili fossili di una persona che
compri l'acqua in bottiglie di plastica sia di almeno di 8 litri di gasolio/benzina
oltre gli 8 chili di petrolio.
Una famiglia di quattro persone spende quindi ogni anno da 320 a 720 euro
e fa bruciare almeno 32 litri di combustibili fossili per bere acqua in
bottiglie di plastica. Evidentemente pensa di ottenere vantaggi superiori
ai costi economici che sostiene e ai danni ecologici che genera. Dal punto
di vista chimico e batteriologico questi vantaggi non ci sono. Dal punto
di vista organolettico possono esserci se l'acqua distribuita dall'acquedotto
è troppo clorata. Ma per toglierle il sapore del cloro è
sufficiente scaraffarla con un po' di anticipo, o utilizzare appositi
filtri consentono di eliminarlo.
In realtà il costo dell'acqua minerale in bottiglia comprende anche
il costo delle frottole che si bevono insieme ad essa. Una di queste acque,
secondo la pubblicità, fa digerire tutto. Una fa fare tanta pipì
[come tutte le acque, anche con quella del rubinetto]. Una ha un effetto
collaterale sorprendente: risveglia il desiderio erotico. Una è
fatta con energia verde al cento per cento. Una si pubblicizza facendo
fare una pernacchia a una particella di sodio. Una a volte fornisce l'apporto
di calcio necessario a prevenire l'osteoporosi, a volte è utile
nella prevenzione della calcolosi perché è povera di calcio...
Se invece non si beve di tutto e al posto dell'acqua in bottiglia si beve
l'acqua del rubinetto, si ottiene un risparmio economico che comporta
una diminuzione dell'inquinamento ambientale. E una decrescita del Pil.
Ciò disturba non solo le industrie che imbottigliano e vendono
acqua minerale, le aziende di trasporti e petrolchimiche, i ministri delle
finanze [riduce il gettito dell'Iva sulle vendite di acqua in bottiglia
e delle accise sui carburanti]; i presidenti delle aziende municipalizzate,
o consorzi, o Spa a prevalente capitale pubblico per la gestione dei rifiuti
perché diminuiscono gli introiti delle discariche e degli inceneritori;
i gestori di reti di teleriscaldamento alimentate da inceneritori, perché
devono rimpiazzare il combustibile derivante da rifiuti [che ritirano
a pagamento] con gasolio [che devono comprare].
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Servizi
Locali di pubblica utilità: un diritto
I servizi locali di pubblica utilità (acqua, energia, rifiuti, ecc.)
sono uno strumento collettivo che può garantire a tutti l'esercizio
dei diritti di cittadinanza e che può ridistribuire ricchezza. Sono
il segno distintivo di una società realmente e solidaristicamente
civile. Oggi tali servizi sono colpiti da liberalizzazione e privatizzazione.
Bisogna invertire la tendenza.
A questo scopo si deve definire e praticare la difficile e non breve lotta
della ripubblicizzazione.
Nell'immediato vogliamo costruire una piattaforma regionale che, partendo
dalla pubblicizzazione possibile, sappia:
1. realizzare l'affidamento in house sia del Servizio Idrico Integrato (bloccandone
le privatizzazione in Lombardia), sia degli altri servizi oggi gestibili
in forma pubblica (rifiuti, teleriscaldamento, trasporti, ecc.).
2. rallentare la privatizzazione di tutti i servizi mantenendo o recuperando
il 100% di proprietà pubblica nelle S.p.A.;
3. rafforzare il ruolo di indirizzo e di controllo sulle Società
da parte degli Enti Locali. In pratica ciò significa che Consigli
Comunali, Sindaci e Amministrazioni Comunali devono essere soggetti determinanti
lella governance dei servizi locali, decidendo le finalità territoriali,
gli indirizzi di sviluppoe la relativa politica delle risorse.
4. Riaffermare il criterio della TERRITORIALITA' sostanziato dalle seguenti
qualificazioni:
· Norme amministrative comunali e provinciali che devono affermare
la territorialità del"bene primario servizio di pubblica utilità"
mediante forme completamente pubbliche di assetti societari e proprietari.
· Aggregazione societaria delle S.P.A. pubbliche che deve avere una
funzione di coordinamento e cooperazione territoriali in alternativa ai
piani di integrazione-privatizzazione in holding sovra territoriali.
· Partecipazione di cittadini soggetti di territorio che si pronuncino
mediante consigli o altri strumenti decisionali.
La pratica di questi obiettivi deve tener conto del quadro di privatizzazione
in corso.
Il quadro di privatizzazione: il "Big Match"delle utilities
in generale in Lombardia
A livello nazionale sono in atto varie operazioni di alleanze, fusioni,
acquisizioni tra S.P.A. e con privati per costituire soggetti di grandi
dimensioni in grado di intervenire nel nuovo "mercato" delle
utilities.
In Lombardia i due progetti di holding più significativi in corso
sono :
"LOMBARD UTILITIES" (IN FASE ANCORA INIZIALE) (un progetto di
holding che aggrega 20 ex municipalizzate); "LINEA GROUP (IN FASE
MOLTO AVANZATA) (un progetto di holding costituito da 4 soci Aem Cremona,
Tea Mantova, Astem Lodi, Atm Pavia e 2 aspiranti CsC Crema, Cogeme Brescia).
I progetti di privatizzazione si basano su 2 cardini strategici:
1) L'aggregazione dei vari business riordinati su linee verticali regionali
in Società di scopo/filiera deterritorializzate.
Le Società di filiera: per l'Acqua Lombarda (includente le Società
d'Ambito affidatarie dei servizio idrico intergrato); per l'Energia Lombarda
(teleriscaldamento, produzione di energia elettrica, ecc.); per Rifiuti
e Ambiente Lombardia (ciclo completo dei rifiuti). Le Società di
scopo per gestire: le fasi acquisto, trasporto, stoccaggio, modulazione
della filiera del gas; la fase del servizio di distribuzione gas.
2) L'istituzione di holding che partecipano le Società di scopo/filiera
e le dirigono con governance centralizzata.
Così i servizi pubblici, perduta la territorialità, diventano
soggetti economici orientati al mercato e alla competizione e il loro
governo passa dalle amministrazioni locali alle Società di scopo/filiera
e alle holding controllate dalle lobbies politico/manageriali.
Piattaforma regionale contro la privatizzazione
La crescente consapevolezza del diritto ai beni comuni e le grandi mobilitazioni
in loro difesa possono oggi raggiungere il concreto obiettivo di ostacolare
la privatizzazione attraverso la seguente piattaforma:
1) Realizzare le pubblicizzazioni già oggi possibili a partire
dal Servizio Idrico Integrato (acqua). La Finanziaria 2004 (art. 14) dà
la facoltà agli Enti Locali di affidare direttamente i servizi
acqua, rifiuti, calore e trasporti a S.p.A. totalmente pubbliche, dobbiamo
quindi chiedere a tali enti di applicare questa normativa. Dal progetto
di gestione pubblica del SII, contenuto nel manifesto del CICMA, si ricava
la serie di atti da rivendicare localmente a Province, ATO e Comuni:
· delibera dell'ATO e dei comuni di affidamento diretto in house
della gestione del SII al costituendo o esistente Gestore Unico Pubblico
(G.U.P.);
· Stipula della convenzione e approvazione degli statuti delle
società pubbliche. In particolare gli statuti degli enti locali
devono prevedere che :
- lo statuto delle Società e gli atti fondamentali debbano essere
approvati e modificati non solo dall'assemblea dei soci ma anche dai consigli
comunali.
- I documenti e le informazioni in possesso delle Società, vengono
fornite al Comune. Essi devono essere accessibili ai componenti del Consiglio
e della Giunta con le modalità e le forme previste dal regolamento
del consiglio.
- Mantenere la proprietà delle reti e degli impianti in mano totalmente
pubblica : laddove gli enti locali conferiscono i propri bene alla S.P.A.
patrimoniale, devono provvedere esplicitamente nel prorio statuto e in
quello della S.P.A. , che i soci azionisti possono essere solo gli Enti
Locali.
- Prevedere anche l'inserimento di clausole sociali di salvaguardia per
i lavoratori del settore trasferiti, al fine di evitare peggioramenti
contrattuali e garantire il mantenimento dei livelli occupazionali .
- Prevedere che gli utili debbano essere investiti per migliorare le infrastrutture,la
qualità e l'accessibilità del servizio per l'utenza.
2) Usare gli spazi di ripubblicizzazione esistenti (gas ed energia)
Di recente sono state introdotte modifiche delle norme di settore che
permettono di rallentare le privatizzazioni in particolare la legge Marzano
23 agosto 2004, n. 239 proroga il periodo transitorio per gli affidamenti
in essere dei servizi del gas e dell'elettricità fino il 31 dicembre
2008 e anche fino al 2012 e indica la necessità di darsi dimensioni
adeguate per la gestione dei servizi.
Rifondazione chiederà ai governi regionali di centrosinistra e
auspicabilmente anche a quello nazionale di introdurre, nei prossimi 2
o 3 anni, normative fondate sul diritto ai beni comuni che permetteranno
di:
· stabilizzare i servizi mantenuti completamente pubblici con gestioni
dirette o in house;
· confermare la pubblicizzazione delle S.p.A. rimaste di proprietà
pubblica al 100% in forza della proroga Marzano.
È' dunque evidente che dobbiamo assolutamente utilizzare questi
spazi di legge.
Attuazione della piattaforma regionale contro la privatizzazione
La piattaforma deve avere il massimo sviluppo politico e organizzativo.
Il C.P.R. decide di:
1) Presentare nei Consigli Comunali /Provinciali l'o.d.g. sull'acqua predisposto
dal CICMA.
Assumere il "MANIFESTO ITALIANO PER UNA GESTIONE PUBBLICA NUOVA DELL'ACQUA"
del CICMA come punto di riferimento;
1) Proporlo a tutti i soggetti di territorio che lottano per il diritto
ai beni comuni.
2) Portare "Il Manifesto" nel confronto per l'alleanza regionale
di centrosinistra, chiedendo di inserirne i contenuti nel programma.
3) Convocare incontri provinciali (di Comitato Politico, Direttivo, Dipartimenti
o commissioni lavoro e ambiente di Federazione), aperti ai movimenti,
nei quali presentare e adeguare localmente i punti di piattaforma, raccogliendo
comunque informazioni sullo stato di liberalizzazione/privatizzazione
dei servizi pubblici locali, in particolare del SII;
4) Costruire un progetto alternativo a LOMBARD UTILITIES sulla base del
lavoro del punto 1e basato sull'affidamento diretto in house e sulla territorialità.
5) Cogliere e rilanciare la proposta di collegare tutte le lotte in un
"tavolo regionale del diritto all'acqua" che sia costituito
in un convegno regionale, in collaborazione col CICMA, da convocare in
marzo, anche in forza delle seguenti due circostanze:
· il Forum Sociale Europeo, nello stesso mese, propone di attuare
iniziative per il diritto all'acqua e contro la liberalizzazione-privatizzazione
dei servizi pubblici prevista dagli accordi GATS e dalla direttiva Bolkenstein
· la battaglia per il diritto all'acqua deve assumere il rilievo
elettorale che le spetta;
6) Finalizzare alla costruzione del convegno regionale, il lavoro svolto
dalle federazioni indicato nei punti precedenti.
Intervenire sulle situazioni di emergenza
Linea Group è il punto più avanzato della strategia lombarda
di aggregazione tramite holding. Il suo progetto può diventare
operativo nel 2005 se, per fine anno, tutti i 4 comuni soci della holding
votano la relativa delibera indirizzo. Ad oggi questo è accaduto
in 3 comuni. È quindi necessario portare alla quarta delibera le
seguenti modifiche:
- scorporo del servizio idrico integrato dal progetto Aziende di filiera
e affidamento in house;
introduzione di clausole di garanzia territoriale con relativa revisione
delle decisioni assunte negli altri comuni.
Per sviluppare ulteriormente l'opposizione a questo progetto di deterritorializzazione
e privatizzazione, il coordi namento, già organizzato dal dipartimento
lavoro regionale, deve aggregare le federazioni di Brescia, Crema, Cremona,
Mantova, Lodi, Pavia e definire un programma di pubblicizzazione dell'acqua
e dei beni comuni che sappia contrapporsi alle particolari tattiche provinciali
e sovraterritoriali di Linea Group.
Dicembre 2004
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